La proposta di legge dei consiglieri regionali del PSD’Az

UN INNO PER I SARDI

E CONTRO I BARONES.

di Francesco Casula

I consiglieri regionali del Psd’Az hanno presentato una proposta di legge perché “Su patriota sardu a sos feudatarios” meglio conosciuto come “Procurad’ ‘e moderare, barones, sa tirannia” di Francesco Ignazio Mannu, venga adottato come inno ufficiale ed istituzionale della Sardegna. Esso scrivono i consiglieri sardisti “può e deve diventare, alla pari della bandiera e della lingua sarda, un ulteriore simbolo identificativo, espressivo e conservativo dell’essenza spirituale del Popolo sardo e anche uno strumento per conoscere meglio e approfondire la propria storia, la propria cultura e le proprie radici, così come è il caso di altri popoli d’Europa che hanno ritenuto opportuno dotarsi di inni propri come per esempio Els Segadors adottato dal Parlamento catalano nel ’93 o Eusko Abendaren Ereserkia nei Paesi Baschi”. Si dirà: è ormai datato. Tutt’altro. E’ di una attualità stupefacente. Permangono ancora oggi i Barones prepotenti, i “poveros de sas biddas” che trabagliant “pro mantenner in zittade/Tantos caddos de istalla/A bois lassant sa palla/Issos regoglint su ranu,/ Et pensant sero e manzanu/Solamente a ingrassare. L’Inno è un lungo e complesso carme in sardo logudorese, di 47 ottave in ottonari, – modellato sui gosos –per un totale di 376 versi in cui ripercorre le vicende di un momento cruciale della storia della Sardegna: il periodo del triennio rivoluzionario sardo (1793-96), che la ricerca storica più recente indica come l’alba della Sardegna contemporanea: anni drammatici, di profondissimi sconvolgimenti e di grandi speranze in cui il popolo sardo – oppresso da un intollerabile regime feudale – riuscì a esprimere in modo corale le sue rivendicazioni di autonomia politica e di riforma sociale. L’inno è legato dunque ai momenti più fervidi della rivolta dei vassalli contro i feudatari, quando alla fine del secolo XVIII i Sardi, acquistata coscienza del loro valore contro i Francesi del generale Troguet, vollero spezzare il giogo dei baroni e dei Piemontesi e reclamarono per sé libertà  e giustizia. Esso è dunque imbevuto del diritto naturale della “bona filosofia” illuminista antifeudale. Si tratta di un terribile giambo contro i feudatari, anzi, più che un giambo il suo doveva essere un canto di marcia, una vibrata e ardente requisitoria contro le prepotenze feudali. L’andamento della strofa è concitato e commosso, il contrasto fra l’ozio beato dei feudatari e la vita misera dei vassalli è rappresentata con crudezza: l’inno, anche se raramente viene trasfigurato in una superiore visione poetica, dopo tanta arcadia è una voce schietta, maschia e vigorosa e come tale sarà destinato ad avere una enorme risonanza, tanto da diventare il simbolo stesso della sollevazione contro i baroni e da essere declamata dai vassalli in rivolta a guisa di “Marsigliese sarda”. L’inno –che sotto il profilo linguistico, si articola su due livelli, uno alto e uno popolare – non è sardo solo nella lingua, ma anche nel repertorio concettuale e simbolico che utilizza. Infatti, anche se, come abbiamo visto, rappresenta un esplicito veicolo di cultura democratica d’oltralpe, esso è un primo esempio di discorso altrui divenuto autenticamente discorso sardo.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 31-7-2012

 

 

Flumini, 2 agosto, presentazione libro di Francesco Casula: La Lingua sarda e l’insegnamento a scuola (Alfa editrice, Euro 14)

Flumini-Quartu Sant’Elena – LA LINGUA SARDA E L’INSEGNAMENTO A SCUOLA” di Francesco Casula

 
Pubblicazione:

Lunedì, 30 Luglio, 2012 – 10:46

 

L’Associazione ITA MI CONTAS in collaborazione con la Biblioteca di Flumini organizza per il 2 agosto (ore 28 presso la Biblioteca di Flumini) la presentazione del libro:

LA LINGUA SARDA E L’INSEGNAMENTO A SCUOLA” di Francesco Casula, (Alfa Edizioni, Euro 14).

Sarà presente l’Autore.

Presentazione
Nella prima parte, questo volumetto raccoglie e sviluppa i temi che l’Autore ha svolto e affrontato in una serie di Conferenze-lezioni sulla Lingua sarda in alcune scuole della Provincia di Cagliari, segnatamente nei Licei classici .
Nella seconda invece si riporta la legislazione internazionale, europea, nazionale e regionale a tutela delle minoranze linguistiche, commentata dall’avvocato Debora Steri.
Si tratta di temi, per lo più sconosciuti ai giovani, anche perché assenti nei curricula e nei programmi scolastici . La scuola infatti da sempre ha espunto ed escluso la Lingua sarda come del resto la storia e –in genere- tutto quanto attiene all’universo culturale sardo.
E ciò, nonostante i programmi della Scuola elementare – e, sia pure ancora in misura insufficiente della scuola media e superiore– raccomandino di portare l’attenzione degli alunni “sull’uomo e la società umana nel tempo e nello spazio, nel passato e nel presente, nella dimensione civile, culturale, economica, sociale, politica e religiosa, per creare interesse intorno all’ambiente di vita del bambino, per accrescere in lui il senso di appartenenza alla comunità e alla propria terra”.
“E’ compito della scuola elementare – si afferma ancora – stimolare e sviluppare nei fanciulli il passaggio dalla cultura vissuta e assorbita direttamente dall’ambiente di vita, alla cultura come ricostruzione intellettuale”.
Ciò significa –per quanto attiene per esempio alla lingua materna– partire da essa per pervenire all’uso della lingua italiana e delle altre lingue, senza drammatiche lacerazioni con la coscienza etnica del contesto culturale vissuto, in un continuo e armonico arricchimento della mente e dell’intelletto, per aprire nuovi e più ampi orizzonti alla formazione e all’istruzione.
La pedagogia moderna più attenta e avveduta infatti ritiene infatti che la lingua materna e i valori alti di cui si alimenta siano i succhi vitali, la linfa, che nutrono e fanno crescere i giovani, ancorandoli fortemente alle loro “radici” etno-storiche, etno -culturali ed etno-linguistiche, senza correre il gravissimo pericolo di essere collocati fuori dal tempo e dallo spazio contestuale alla loro vita. Solo essa consente di saldare le valenze e i prodotti propri della sua cultura ai valori di altre culture. Negando la lingua materna, non assecondandola e coltivandola si esercita grave e ingiustificata violenza sui giovani, nuocendo al loro sviluppo e al loro equilibrio psichico. Li si strappa al nucleo familiare di origine e si trasforma in un campo di rovine la loro prima conoscenza del mondo. I bambini infatti –ma il discorso vale anche per i giovani studenti delle medie e delle superiori– se soggetti in ambito scolastico a un processo di sradicamento dalla lingua materna e dalla cultura del proprio ambiente e territorio, diventano e risultano insicuri, impacciati, “poveri” sia culturalmente che linguisticamente.

Solidarietà a Franco Scanu, sindaco di Sindia.

QUELLA BOMBA

CHE FA TORNARE

LA VIOLENZA

di Francesco Casula

La vicenda della bomba contro il sindaco di Sindia Franco Scanu merita e abbisogna di una riflessione e di uno “scavo”. E’ sbagliato, per intanto,  derubricarla a semplice bravata o mero vandalismo. Sia ben chiaro: nessun giustificazionismo o alibi, per l’atto infame e ignobile. Vigliacco e autolesionista per l’intera comunità sindiese. Da condannare, fermamente, senza se e senza ma. Specie se si considera che è stato perpetrato ai danni di una persona tranquilla, pacifica e dialogante. Aperta al confronto. Aliena da furori ideologici e politici. Che sempre più appartiene a una “casta al contrario” – quella appunto dei sindaci e degli amministratori dei paesi sardi ma segnatamente di quelli del Nuorese – che dalle cariche politico-amministrative subisce solo danni e rogne, al posto di benefici e privilegi. I Comuni isolani infatti – massacrati e taglieggiati dalla politica del governo Monti – ormai non hanno più nemmeno lacrime per piangere. Quotidianamente di fronte all’alternativa di chiudere le scuole materne o riparare le strade. Costretti spesso ad aumentare le imposte locali per poter erogare i servizi essenziali alla popolazione. E’ infatti finita da un pezzo  l’era degli appalti o della distribuzione clientelare di posti di lavoro e risorse ad amici e famigli. Oggi, sindaci e amministratori in Sardegna sono uomini di frontiera, l’ultimo presidio della rappresentanza democratica. Occorre dunque che non vengano lasciati soli: insieme alla condanna per gli atti di intimidazione è necessaria perciò la solidarietà delle comunità. Che oltrepassi l’emozione del momento. Solidarietà che deve tradursi in partecipazione democratica per ricostruire, dal basso, la coesione sociale. E’ infatti nella disgregazione e nella mancanza di forti valori comunitari condivisi che alberga, nasce e cresce l’atto violento.

Altrimenti, temo, simili episodi aumenteranno a dismisura. E la Sardegna rischia di detenere, su questo versante, altri poco invidiabili primati: se è vero come risulta da un testo facente riferimento al “rapporto sulla criminalità in Sardegna”, redatto nel 2010 da un ateneo sardo e depositato in Parlamento, che nell’Isola “negli ultimi quattro anni ci sono stati 1313 attentati, primato che supera la Sicilia di tre volte, la Campania di cinque volte e regioni come le Marche e la Valle d’Aosta di ben cento volte”.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 27-7-2012

 

 

Distruzione delle foreste sarde: dopo Cartaginesi e Piemontesi ecco Monti.

Addio ai boschi

Ma c’è solo

Gran silenzio

di Francesco Casula

L’Isola del «grande verde»,  che fra il XIV e XII secolo avanti Cristo fonti egizie, accadiche e ittite dipingevano come patria dei Sardi shardana è sempre più solo un ricordo. La storia documenta che l’Isola verde, densa di vegetazione, foreste e boschi, nel giro di un paio di secoli fu drasticamente rasata, per fornire carbone alla industrie e traversine alle strade ferrate, specie del Nord d’Italia. Certo, il dissipamento era iniziato già con Fenici Cartaginesi e Romani, che abbatterono le foreste nelle pianure per rubare il legname e per dedicare il terreno alle piantagioni di grano e nei monti le bruciarono per stanare ribelli e fuggitivi, ma è con i Piemontesi che il ritmo distruttivo viene accelerato. Essi infatti bruciarono persino i boschi della piana di Oristano per incenerire i covi dei banditi mentre i toscani li bruciarono per fare carbone e amici e parenti di Cavour, come quel tal conte Beltrami “devastatore di boschi quale mai ebbe la Sardegna”, mandò in fumo il patrimonio silvano di Fluminimaggiore e dell’Iglesiente.

Con l’Unità d’Italia infine si chiude la partita con una mostruosa accelerazione del ritmo delle distruzioni: lo stato italiano promosse e autorizzò nel cinquantennio tra il 1863 e il 1910 la distruzione di splendide e primordiali foreste per l’estensione incredibile di ben 586.000 ettari, circa un quarto dell’intera superficie della Sardegna, città comprese.

Così, mentre ancora ai tempi di La Marmora la Sardegna aveva dei boschi fitti che potevano ricoprire un quinto dell’Isola, è certo – come scrive anche Le Lannou che dal 1850 al 1925 il patrimonio forestale dell’Isola s’è notevolmente e ulteriormente assottigliato grazie all’opera “criminale” di italiani, inglesi, francesi e belgi che trasformarono intere distese di alberi secolari in traversine per le ferrovie e travature per le miniere e per far legna con cui fondere i minerali. Oggi si vuole di continuare a tagliare gli alberi: grazie al Governo Monti. Una nuova legge (la n.35 del 4 aprile 2012) riduce i vincoli di salvaguardia delle aree boschive, così 700000 ettari rischiano di non essere più protetti. I Media sardi tacciono su quest’obbrobrio legislativo. Ne ha dato conto solo questo Quotidiano, con un bel servizio di Maddalena Brunetti, il 17 luglio scorso. Ma dove stanno gli ambientalisti? E che dicono i nostri politici?

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 24-7-2012

 

 

 

 

 

 

 

 

Il sardo non è una lingua ma un dialetto: Quei giudici non sanno quello che dicono

 

IN CASSAZIONE

NON SANNO

CHI E’ WAGNER

di Francesco Casula

La sentenza della Cassazione:”Il sardo non è una vera lingua, è solamente un dialetto” è una sciocchezza sesquipedale, derivante da semplice crassa ignoranza. Pensavamo che tale affermazione fosse da ricondurre solo a luoghi comuni e pregiudizi, insomma agli Idola fori, di cui parla il filosofo Bacone. Ma tant’è: tali idola sembrano aver conquistato anche i grigi giudici della Cassazione. Assolutamente digiuni di cultura linguistica. Non vi è infatti studioso del Sardo che lo consideri dialetto. Ad iniziare dal principe della Linguistica sarda del primo Novecento, il tedesco Wagner, che non a caso titola la sua opera fondamentale “La Lingua sarda”. Si potrà obiettare: ha molte varianti e una pluralità di parlate. Sì, ma le differenze e le divisioni attengono per lo più alla fonetica, importante in una Lingua ma non determinante, come invece lo è la grammatica e la sintassi che è unitaria. Ma anche dato e non concesso che si tratti di una lingua “divisa”, qualcuno si è mai sognato di non considerare una lingua il Greco antico – ma è solo un esempio – pur essendo questo composto di quattro varianti: Eolico, Ionico (utilizzato da poeti come Omero, Archiloco, Tirteo), Dorico (usato da Pindaro, e Simonide) e Attico (usato da Tucidide, Demostene, ecc.)? E addirittura in più di dieci sottovarianti come l’Arcadico, il Cipriota, il Miceneo, l’Acheo? La verità è che non solo il Sardo è una Lingua, ma ha prodotto una vasta e ricca letteratura, nonostante, dopo essere stata lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale, venga emarginata con la sovrapposizione prima dei linguaggi italiani di Pisa e Genova e poi del catalano e del castigliano e infine di nuovo dell’italiano. Da una analisi attenta della letteratura sarda potremmo infatti verificare che dalle origini del sardo – nato secoli prima dell’italiano – fino ad oggi, non vi è stato periodo nel quale la lingua sarda non abbia avuto una produzione letteraria: spesso di assoluto valore estetico. Ma, a parte tutto questo, c’è da chiedersi: ma la Corte di cassazione conosce le leggi dello Stato italiano? Non sa che laLegge 482 del 15 dicembre 1999 prevede, fra le Lingue (non dialetti) da valorizzare e tutelare, anche la Lingua sarda? O i giudici pensano di essere sopra la Legge?

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 21-7-2012U

 

 

 

 

 

Efisio Arbau lancia le sue proposte per governare la Sardegna

 

ECCO “LA BASE”

PER DIRIGERE

LA REGIONE

di Francesco Casula

Parte da Nuoro verso Cagliari la marcia de “La Base”. Per governare la Regione, non per conquistare il potere. Lo ha chiarito il fondatore e leader del Movimento Efisio Arbau. L’avvocato-pastore, già sindaco di Ollolai nonché consigliere provinciale.  nei giorni scorsi, nel suggestivo Monte Ortobene di Nuoro rilancia le sue proposte “draconiane” – le ha definite –  in realtà in sintonia col  comune sentire della gente sarda. Ad iniziare dalla guerra alla casta e ai suoi privilegi: per i consiglieri regionali si propone uno stipendio massimo di tre mila euro; ma anche allo Stato inadempiente: come primo atto concreto la class action per il recupero del credito di un miliardo e mezzo di euro delle quote di entrate fiscali mai avute dalla Sardegna. Quindi il nuovo ruolo dei Comuni (la Sardegna esiste grazie alle sue comunità. I 377 Comuni dell’isola sono i luoghi dove si deve esercitare la sovranità nella nostra terra); dell’Università (bisogna partire dal sistema universitario unico della Sardegna, con un’unica offerta formativa tra gli attuali atenei); della Scuola (con il superamento delle scuole dell’isolamento e l’avvio dell’organizzazione a campus – case della cultura –  intercomunali). E ancora: un reddito ai giovani (la nuova generazione deve essere messa in condizioni di poter provare a rimanere nella nostra isola. Un reddito minimo garantito per tutti i giovani dai diciotto ai trent’anni per formarsi, istruirsi, avviare un’impresa, trovarsi un lavoro autonomo e persino creare una famiglia). Interessanti e largamente condivisibili sono gli scampoli di programma economico-identitari con la sovranità alimentare:”mangio quello produco e vendo quello che non consumo”. Decidono i sardi – scrive La Base – cosa produrre e cosa mangiare. I prodotti sardi devono avere l’etichetta con il logo della nostra Isola. Ogni piccola attività commerciale avrà un credito di imposta per garantire uno scaffale ai nostri prodotti. Le mense scolastiche dovranno avere i prodotti sardi gratuitamente, attraverso contratti di sponsorizzazione e somministrazione sottoscritti dalla Regione. Il latte ovino ad un euro: attraverso un accordo promosso dalla Regione con associazioni agricole, movimenti dei pastori, industriali caseari e cooperative. Infine un avvertimento: tutti a casa quelli che hanno fallito e non rispettano i sardi.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 18-7-2012

 

 

 

 

Ollolai 14-7-2012: così ho ricordato Michele Columbu, omine de gabbale.

COMMEMORAZIONE  DI MICHELE COLUMBU A OLLOLAI IL 14-7-2012

di Francesco Casula

La mia non sarà una commemorazione formale quanto piuttosto una testimonianza, un ricordo del Maestro e dell’Amico.

Michele Columbu è stato un protagonista assoluto degli ultimi 60 anni di storia: anzi, ha fatto la storia degli gli ultimi 60 anni in Sardegna: non solo politico-istituzionale-autonomistica ma anche culturale, letteraria, linguistica.

Con lui scompare l’ultimo patriarca del Sardismo, che ha saputo innovare e rinnovare indirizzandolo verso sentieri nazionalitari e indipendentisti. Scompare il prestigioso leader del PSD’Az, che negli anni ’80 è riuscito a salvare se non dal rischio di estinzione, certo dalla marginalizzazione e marginalità.

Con lui scompare il parlamentare (italiano ed europeo) di valore; l’intellettuale originale, straripante, fuori dalle regole. Scompare lo scrittore colto e raffinato, l’affabulatore brillante. affabulator maximus, lo ha definito Natalino Piras, sulla rivista Ichnusa.

Scompare l’amministratore coraggioso ed eroico: basti pensare al suo ruolo di Sindaco di Ollolai negli anni ’60, alla base della mitica “Marcia”. E’ lui stesso a raccontarci la sua avventura: “Insegnando a Cagliari andavo a Ollolai alla fine della settimana…domenica facevo Consiglio…non c’erano assegni né gettone di presenza…io mi sentivo chiamare da tutte le parti «amministratore». Non potevo riparare un selciato, in dissesto e pericoloso, perché non c’era un centesimo nel comune…”.

E poi ci sono i disoccupati “cinquanta capifamiglia” e i pastori colpiti da una grande nevicata. Manda Espressi e Telegrammi agli Assessori regionali. Neppure gli rispondono. Così concepisce e attua la marcia che passerà alla storia: da Cagliari a Ollolai a Sassari, percorrendo a piedi 500 km lungo tutta la Sardegna per chiedere lavoro e sviluppo delle zone interne e montane, per esprimere la protesta della Sardegna interna contro le condizioni di arretratezza in cui era lasciata non solo dal Governo centrale ma anche da quello regionale. Arriveranno attestati di solidarietà da tutta l’isola, specie dal mondo agropastorale. Si svilupperà una vera e propria protesta di massa contro il fallimento dell’Autonomia.

 

Ma io oggi non voglio parlarvi di tutto questo: ovvero del “personaggio”, quanto della “persona”: del Michele Columbu più intimo e meno pubblico. E più ollolaese.

Fino alla mia adolescenza Michele Columbu era un mito. Così emergeva dal racconto, dalla narrazione che mi faceva mia madre, sua parente, vicina di casa, solo di qualche anno più giovane. Per tutti gli Ollolaesi e non solo, era “Su Professore”: il professore per antonomasia, per eccellenza. A significare insieme rispetto affetto e ammirazione. Tutta la popolazione lo considerava, da una parte “altro” da sé, per la sua cultura, il suo ruolo politico, il suo carisma; dall’altra, nel contempo, tutto suo, per la capacità del personaggio di essere perfettamente integrato e inserito e dunque per farsi accettare pienamente dall’ambiente paesano: per la sua capacità di stabilire relazioni e rapporti con tutti, di incrociare anziani e giovani, pastori e contadini; per il suo stesso modo di vestire, per l’utilizzo abituale e usuale della Lingua sarda. Con tutti. Che padroneggiava magistralmente, in tutte le sue varianti. Di cui conosceva le parlate di moltissimi paesi del Nuorese.

Ricordo a questo proposito un episodio. Qualche anno fa a Orani ha presentato un mio libro su Marianna Bussalai. A un pubblico numerosissimo che affollava la sala consiliare chiese:”Volete che vi parli in ollolaese, oranese o nuorese?”. Parlò in perfetto ollolaese ma avrebbe, con la stessa perfezione, parlato anche in oranese o nuorese.

 

Alla fine degli anni ’70 iniziai a frequentare e conoscere personalmente Michele Columbu: grazie anche al fatto che abitavamo molto vicino (lui a Capitana e io a Flumini).  

In lui ho sempre ammirato la saggezza, il moderato ottimismo, mai vacuo però e anzi temperato da un alone di scetticismo.

Mi ha sempre colpito il suo occhio sorridente, mai cattivo né arcigno, che spesso si fa ustorio ma che preferisce sempre l’ironia all’indignazione e all’invettiva; lo sberleffo satirico all’aggressione verbale; la canzonatura e il motteggio – quasi sottovoce – allo sbraitare e alzare la voce con urla e ai berci. Egli è evidentemente convinto che la messa in ridicolo frusti e tagli più netto e con più energia del serioso o dello sparare a mitraglia. Ciò anche sulla scia della tradizione sarda.

 

Negli ultimi 10 anni ho letto e riletto i suoi scritti, anche per motivi contingenti: ho inserito Michele Columbu nella mia “Letteratura e civiltà della Sardegna” (2 volumi, Grafica del Parteolla editore, pubblicati recentemente) cui ho dedicato una decina di pagine.

E ho scoperto-riscoperto uno scrittore raffinato e colto, con un linguaggio carico di deflagrazioni umoristiche e dalle grandi capacità allusive, impregnato di immagini ardite, di metafore, di parabole, di simboli e di proverbi. O, meglio, di Dicios. Quel linguaggio che aveva saputo mutuare – sia pure con grande originalità – dalla cultura tradizionale e dall’oralità.

Sia nei Racconti che nei Saggi. Sia in quelli scritti in italiano che in quelli scritti in sardo: fra questi ultimi penso in modo particolare ai piccoli saggi Istados e nassiones, In chirca de una limba e Sardos malos a creschere.

 Ma penso soprattutto ai racconti di L’aurora è lontana (1968) e al romanzo Senza un perché (1992), che entrerà fra i finalisti del Premio nazionale letterario Giuseppe Dessì. Dominato, specie quest’ultimo dall’umorismo e dall’ironia. Mi sembra anzi quest’ultima la cifra predominante nella vita e nella scrittura di Michele. Quell’ironia che trova fondamento nella tradizione umoristica sarda. Perché Michele Columbu avrebbe potuto ripetere e far suo quanto sostenuto da Emilio Lussu: ”Nella letteratura non ho maestri. L’ironia che mi viene attribuita come caratteristica dei miei scritti non è mia ma sarda. E’ sarda atavicamente…”.

A proposito di Lussu e del rapporto di Michele con il cavaliere dei rossomori solo un cenno.  Nel 1948 Columbu non segue Lussu nella scissione del Psd’az, nonostante fosse “lussiano” dal punto di vista della politica sociale e anche per la simpatia che sentiva per l’uomo: è infatti in disaccordo per quanto atteneva “alla politica delle alleanze e di collaborazione con i partiti esterni”. Ma la stima reciproca non scemerà.

 

 

L’eredità di Michele Columbu è dunque come abbiamo visto, politica, etica e letteraria, ma soprattutto, e con questo mi avvio alle conclusioni, identitaria. E il lascito identitario è metaforicamente e esemplarmente rappresentato oggi dal ritorno delle sue spoglie a “casa”, a Ollolai. Per ricongiungersi con la sua terra. Con i parenti e soprattutto con sua madre, Tzia Anna Mazzone: mi l’amento comente siat oje, cando in Su ‘e papassinu nos brigaiat, a mene e a Zizzu Columbu, su nepode e compare e amigu meu corale, chi est innoghe.

Michele è tornato alle radici. Dopo essersi dotato di robuste ali e a aver volato in Italia e in Europa, a Roma e a Strasburgo. Aperto al respiro del mondo grande e terribile.

Così mi piace ricordare Michele. Anche al di là dei suoi successi politici. Del suo essere stato deputato e parlamentare europeo. Perché al  di là del suo cursus honorum Michele Columbu era, è stato soprattutto un’omine de gabbale. Antzis: UN’OMINE. Senza ulteriori aggettivi e specificazioni. In sardu, un’OMINE narat totu.

Adiosu Michè, o mezus, adiosu Su Professò.

E, che la terra ti sia lieve.

Presentazione a Flumini di Quartu di “Letteratura e civiltà della Sardegna” , di Francesco Casula, (Grafica del Parteolla Editore, pagine 275, Euro 20)

L’Associazione culturale ITTAMICONTASA in collaborazione con la Biblioteca comunale organizza per giovedì 19 luglio (ore 18, nella Biblioteca di Flumini di Quartu) la presentazione del libro

LETTERATURA E CIVILTA’ DELLA SARDEGNA 

 di Francesco Casula, ((Edizioni Grafica del Parteolla, pagine 275, Euro 20)

Sarà presente l’Autore.

Il volume dedica più del 50% delle pagine a Autori che scrivono in Lingua sarda e ai corrispettivi testi :dai primi documenti in volgare sardo ai Condaghes, dalla Carta De Logu di Eleonora d’Arborea a Antonio Cano, da Gerolamo Araolla e Antonio Maria da Esterzili a Matteo Garipa, da Sa scomunica de Predi Antiogu arrettori de Masuddas a Efisio Pintor Sirigu, da Francesco Ignazio Mannu a Diego Mele e Peppino Mereu fino a Antioco Casula (Montanaru) e Pedru Mura.

Fra gli Autori che scrivono in Lingua italiana sono presenti Giambattista Tuveri, Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Grazia Deledda, Sebastiano Satta, Salvatore Cambosu, Antonio Pigliaru, Giuseppe Fiori, Giuseppe Dessì e Salvatore Satta.

Vi è anche un Autore bilingue Michelangelo Pira (che ci ha lasciato testi in Sardo e in Italiano) e uno quadrilingue, Sigismondo Arquer, che ha scritto in Sardo, Latino, Castigliano e Catalano.

Il secondo volume dovrebbe uscire, sempre per le Edizioni Grafica del Parteolla in autunno, con Autori che arriveranno fino ai nostri giorni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La scomparsa di Michele Columbu, omine de gabbale.

L’ADDIO A COLUMBU

PATIARCA SARDISTA.

di Francesco Casula

Michele Columbu ci ha lasciato. In un ospedale cagliaritano, il pomeriggio del 10 luglio scorso il suo cuore non ha più retto. Con lui scompare l’ultimo grande patriarca e leader del Sardismo ma anche l’intellettuale, lo scrittore e l’affabulatore ironico. Michele Columbu nasce a Ollolai l’8 febbraio 1914. Si laurea all’Università di Cagliari in Lettere classiche. Partecipa alla seconda guerra mondiale sul fronte russo. Nel 1948, non segue Lussu nella scissione del Psd’az, nonostante fosse “lussiano” dal punto di vista della politica sociale e anche per la simpatia che sentiva per l’uomo: è infatti in disaccordo per quanto atteneva “alla politica delle alleanze e di collaborazione con i partiti esterni”. Ma amareggiato e a disagio per quanto era successo, abbandona la Sardegna e si reca a Milano dove insegnerà nelle scuole medie. Rientrato in Sardegna – è lui a ricordarlo –  dal 1964 fa il professore a Cagliari e il Sindaco di Ollolai. Ecco come racconta la sua doppia “professione”:“Insegnando a Cagliari andavo a Ollolai alla fine della settimana…domenica facevo Consiglio…non c’erano assegni né gettone di presenza…io mi sentivo chiamare da tutte le parti «amministratore». Non potevo riparare un selciato, in dissesto e pericoloso, perché non c’era un centesimo nel comune…”. E poi ci sono i disoccupati “cinquanta capifamiglia” e i pastori colpiti da una grande nevicata. Manda Espressi e Telegrammi agli Assessori regionali. Neppure gli rispondono. Così concepisce e attua la marcia che passerà alla storia: da Cagliari a Ollolai a Sassari, percorrendo a piedi 500 km lungo tutta la Sardegna per chiedere lavoro e sviluppo delle zone interne e montane, per esprimere la protesta della Sardegna interna contro le condizioni di arretratezza in cui era lasciata non solo dal Governo centrale ma anche da quello regionale. Arriveranno attestati di solidarietà da tutta l’isola, specie dal mondo agropastorale. Si svilupperà una vera e propria protesta di massa contro il fallimento dell’Autonomia. Chiamato al Centro regionale della programmazione come esperto dei problemi del mondo agropastorale, lascia quando nel 1972 fu eletto deputato come indipendente  nelle liste del PCI, in rappresentanza del Partito sardo d’azione, di cui diventerà segretario prima e presidente poi. Nel 1984 venne eletto parlamentare europeo nella lista Federalismo Europa dei Popoli. Ha scritto numerosi racconti (i più famosi sono quelli della silloge L’aurora è lontana (1968) e un  romanzo Senza un perché (1992), che entrerà fra i finalisti del Premio “Giuseppe Dessì”. Columbu scrive prevalentemente in italiano ma anche in lingua sarda, che padroneggia magistralmente. Al di là dei contenuti e della lingua utilizzata, quello che emerge dalle opere di Columbu, che amava ironicamente definirsi “un pastore per pura combinazione laureato”, è uno scrittore raffinato e colto, con un linguaggio carico di deflagrazioni umoristiche e dalle grandi capacità allusive, impregnato di immagini ardite, di metafore, di parabole, di simboli e di proverbi. In lui ho sempre ammirato la saggezza, il moderato ottimismo, mai vacuo però e anzi temperato da un alone di scetticismo, il suo occhio sorridente, mai cattivo né arcigno, che spesso si fa ustorio ma che preferisce sempre l’ironia all’indignazione e all’invettiva, lo sberleffo satirico all’aggressione verbale.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 11-7-2012

 

Conferenza stampa (Roma, 6-7-2012, Camera dei deputati) dei minatori della Carbosulcis

IL SULCIS

E’ CON I MINEROS

DELLE ASTURIE

di Francesco Casula

Venerdi 6 luglio scorso, alla Camera dei Deputati a Roma, si è svolta una interessante conferenza Stampa dei minatori del Sulcis in solidarietà a quelli delle Asturie in Spagna, con la presenza di Marco Rizzo, già europarlamentare del PdCIe Astor Garcia, responsabile esteri del Partito Comunista dei Popoli di Spagna. Artefice e promotore dell’iniziativa è stato Antonello Tiddia, combattivo delegato Rsu della Carbosulcis, impegnato da sempre nel movimento ambientalista e pacifista sardo: fra l’altro è stato in prima fila contro i radar, contro le basi militari e contro il nucleare.  La lotta dei minatori della Comunità autonoma delle Asturie, iniziata un mese e mezzo, è una reazione forte alla decisione del governo spagnolo di Mariano Rajoy, per conto (o, per meglio dire, per ordine) dell’Unione Europea, di tagliare i sussidi per l’industria mineraria di oltre il 60%, minacciando così 8 mila posti di lavoro diretti nel settore minerario e, probabilmente, circa altri 30.000 nell’indotto. I minatori della Sardegna, hanno così raccolto centinaia di firme di solidarietà (di intellettuali, scrittori, sindacalisti, politici sardi e italiani) per i loro compagni spagnoli che sono state consegnate nella Sala Stampa della Camera dei Deputati il 6 luglio, in occasione della Conferenza stampa, fortemente voluta dallo stesso Tiddia, per far conoscere all’opinione pubblica una lotta che i media italiani sottacciono. E di cui non c’è traccia nella Stampa sarda. Una lotta e uno sciopero che coinvolge l’intero settore minerario asturiano e che prosegue a oltranza. Proprio nei giorni scorsi è sfociata in violenti scontri fra le forze della sicurezza e i minatori, per i quali il taglio degli “aiuti” decisi dal Governo, porrà di sicuro fine all’intera attività mineraria. Di qui anche la decisione di organizzare una “Marcia nera” che dovrebbe portare a Madrid, il prossimo 13 luglio, migliaia di mineros, accompagnati dai familiari, sindacalisti e militanti di sinistra che sostengono le loro lotte. Attualmente in Spagna i minatori sono l’unica categoria sociale fortemente mobilitata contro il governo di Madrid e gli ordini provenienti dall’Europa. I minatori del Sulcis, anche per conoscere meglio la situazione dei loro colleghi spagnoli, vorrebbero invitare in Sardegna una loro delegazione, per poi ricambiare la visita nelle Asturie.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 10-7-2012