Ancora esclusi tutti gli scrittori sardi, Deledda compresa!

ANCORA ESCLUSI TUTTI GLI SCRITTORI SARDI, DELEDDA COMPRESA!

di Francesco Casula

Cambiano i Governi ma la musica non cambia: prima Berlusconi poi i “democratici” (Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) poi il giallo-verde di Lega e 5 stelle e poi ancora il Conte 2 e Draghi e oggi Meloni: ma gli scrittori sardi continuano ad essere esclusi dai programmi scolastici.
Sono infatti passati più di due decenni e la situazione è ancora quella cristallizzata dal DPR 89/2010 nel quale Mariastella Gelmini, all’epoca Ministro dell’Istruzione, dettava le linee guida per i docenti, e definiva i fondamentali degli insegnamenti ritenuti strategici per le scuole superiori.
Nel documento ancora in vigore, per quel che concerne la poesia e la narrativa del ‘900 da affrontare nei licei, sono indicati a titolo esemplificativo diciassette autori principali a cui fare riferimento: “…si esordirà con le esperienze decisive di Ungaretti, Saba e Montale, …contemplerà un’adeguata conoscenza di Rebora, Campana, Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto, …comprenderà letture da autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, P. Levi e potrà essere integrato da altri autori come Pavese, Pasolini, Morante, Meneghello”.
Avete capito?
C’è Meneghello (con tutto il rispetto per lo scrittore vicentino) ma non Grazia Deledda, unica Premio Nobel donna in Italia per la letteratura. Come non c’è un romanziere di levatura europea: Salvatore Satta.
E’ pur vero che il docente nella sua autonomia didattica può inserire nella sua Programmazione scolastica gli Autori che ritiene più validi. Ma quanti lo fanno? E comunque rimane immutata la scelta ministeriale, cieca e escludente gli Autori sardi.
Perché?

L’OLOCAUSTO SARDO

L’OLOCAUSTO SARDO
di Francesco Casula
Il 27 gennaio 1945 ad opera delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa fu liberato il campo di concentramento di Auschwitz. Per ricordare tale evento e per commemorare le vittime dell’Olocausto, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 1º novembre 2005, ha istituito, il Giorno della Memoria, da celebrarsi, a livello internazionale ogni anno, proprio il 27 gennaio. Per la verità, il Parlamento italiano, dopo ben quattro anni di discussioni, aveva già istituito nel 2000 e per la stessa data, il Giorno della memoria. E’ stata una decisione quanto mai opportuna: quel genocidio di milioni di esseri umani non può infatti finire nel dimenticatoio. Come fosse roba vecchia, da consegnare, sic et simpliciter, al passato. Occorre infatti sorvegliare attentamente la nostra memoria e non dimenticare. Anche perché quel passato orribile, non è del tutto passato. Proprio in questi ultimi anni infatti inquietanti e cupe nubi si addensano nei cieli europei con l’affermarsi di movimenti e Partiti intolleranti e xenofobi, che si sipirano proprio al fascismo e al nazismo. Perché questi vengano sconfitti e liquidati, soprattutto i giovani devono studiare e conoscere la tragedia immane dell’Olocausto. Ad essere internati nei lager e poi sterminati furono in particolare gli Ebrei: 6 milioni, dicono le cifre ufficiali. A questi occorre aggiungere almeno altri 6 milioni costituiti da oppositori e dissidenti politici, omosessuali, disabili, Rom, Slavi. E persino da minoranze religiose come i testimoni di Geova, Pentecostali ecc. Di mezza Europa. Bene: ma in questa sede voglio parlare dell’olocausto sardo: di cui non si parla mai. La Sardegna è una delle regioni che ha pagato un altissimo tributo di deportati, soprattutto militari:furono circa 12.000 mila i soldati sardi IMI (Internati militari italiani) rinchiusi nei lager, fra i 750-800 mila militari e civili fatti prigionieri dai nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Per spiegare un numero così alto di militari sardi deportati occorre capire la situazione in cui si trovarono nei fronti di guerra (Grecia, Albania, Slovenia, Dalmazia) dopo l’armistizio dell’8 settembre. Quando il 9 settembre, vigliaccamente sia il re Vittorio Enmanuele III (più noto come Sciaboletta) che Badoglio, abbandonano Roma e fuggono a Brindisi. I soldati sardi nei fronti di guerra, in genere giovani e giovanissimi,con la difficoltà di tornare in Sardegna e sbandati, furono posti di fronte all’alternativa di aderire alla RSI (Repubblica sociale di Salò) o di diventare prigionieri dei tedeschi e dunque di essere imprigionati nei lager. Quasi nessuno aderì alla RSI e dunque il loro destino fu segnato. Finirono quasi tutti nei campi di concentramento: solo pochi, dopo la liberazione, tornarono in Sardegna. E gli altri? Della maggior parte ancora oggi non sappiamo niente o quasi. Iniziamo a ricordare questi giovani, il nostro Olocausto: dimenticato dalla scuola, dai Media e dalla politica. Colpevolmente.
 
 
 
 
 
 
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S’ISCOLA IN SARDIGNA

Francesco Casula
S’ISCOLA IN SARDIGNA
di Francesco Casula
Deo la penso goi. E so curiosu de ischire e connoschere ite nde narant sos Partidos chi si presentant a sas eletziones. la scuola italiana in Sardegna non risulta né interessante, né gratificante, né attraente: è una scuola di Stato e non pubblica nel senso che è rivolta a un alunno che non c’è: tutt’al più a uno studente metropolitano, nordista e maschio. Dunque non a un sardo. E tanto meno a una sarda. E’ una scuola che con i contesti sociali, ambientali, culturali e linguistici degli studenti non ha niente a che fare. Nella scuola la Sardegna non c’è: è assente nei programmi, nelle discipline, nei libri di testo, nell’organizzazione. Provate a chiedere a uno studente sardo che esca da un liceo artistico, cosa conosce di una civiltà e di un’architettura grandiosa come quella nuragica, sicuramente fra la più significative dell’intero Mediterraneo; provate a chiedere a uno studente del liceo classico cosa sa della parentela fra la lingua sarda e il latino; provate a chiedere a uno studente di un Istituto tecnico per ragionieri e persino a un laureato in Giurisprudenza cosa conosce di quel monumentale codice giuridico che è la Carta de Logu di Eleonora d’Arborea. Vi rendereste conto che la storia, la lingua e la civiltà complessiva dei Sardi dalla scuola ufficiale è stata non solo negata ma cancellata. Permane una scuola monoculturale e monolinguistica, negatrice delle specificità, tutta tesa allo sradicamento degli antichi codici culturali e basata sulla sovrapposizione al “periferico” di astratti paradigmi e categorie che le grandi civiltà avrebbero voluto irradiare verso le civiltà considerate inferiori. Questa scuola ha prodotto in Sardegna, soprattutto negli ultimi decenni, giovani che ormai appartengono a una sorta di area grigia, a una terra di nessuno. Apprendono l’italiano a scuola ma soprattutto grazie ai media: ma si tratta di una lingua stereotipata, gergale, banale, una lingua di plastica, inodore, insapore e incolore. Ma una scuola monoculturale e monolinguistica produce effetti ancor più gravi e devastanti a livello psicologico e culturale. Da decenni infatti la pedagogia moderna più attenta e avveduta ritiene che la lingua materna e i valori alti di cui si alimenta siano i succhi vitali, la linfa, che nutrono e fanno crescere i bambini senza correre il gravissimo pericolo di essere collocati fuori dal tempo e dallo spazio contestuale alla loro vita. Solo essa consente di saldare le valenze e i prodotti propri della sua cultura ai valori di altre culture. Negando la lingua materna, non assecondandola e coltivandola si esercita grave e ingiustificata violenza sui bambini, nuocendo al loro sviluppo e al loro equilibrio psichico. Li si strappa al nucleo familiare di origine e si trasforma in un campo di rovine, la loro prima conoscenza del mondo. I bambini infatti – ma il discorso vale anche per i giovani studenti delle medie e delle superiori – se soggetti in ambito scolastico a un processo di sradicamento dalla lingua materna e dalla cultura del proprio ambiente e territorio, diventano e risultano insicuri, impacciati, “poveri” sia culturalmente che linguisticamente. Di qui, per esempio, la mortalità e la dispersione scolastica record in tutta l’Italia.. Ite faghere? Cambiare radicalmente la didattica, i curricula, la stessa mentalità di docenti e dirigenti scolastici. Per quanto attiene alla lingua sarda occorrerà finalmente partire dal dato – appurato scientificamente da tutti gli studiosi – che la presenza della lingua materna e della cultura locale nel curriculum scolastico non si configurano come un fatto increscioso da correggere e controllare ma come elementi indispensabili di arricchimento, di addizione e non di sottrazione, che non “disturbano” anzi favoriscono apprendimento e le capacità comunicative degli studenti, perché agiscono positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo. Di qui la necessità che nelle scuole di ogni ordine e grado si inserisca la lingua e la cultura sarda, come materia curriculare. Altrimenti i record negativi della scuola in Sardegna permarranno. E continuare a piangersi addosso e a lamentarci servirà a poco.
 
 
 
 
 
 
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