Personaggi sardi

Personaggi storici sardi.
1. Il re giudicale Ugone III
di Francesco Casula
Ugone III successe a l padreMarian IV, quasi quarantenne. La sua figura ha valutazioni storiche contrastanti e, per certi versi, opposte.
Le fonti storiche iberiche, in particolare Geronimo Çurita,cronista del reyno de Aragon, lo descrivono come crudele e tiranno, quelle francesi – che sostanzialmente si rifanno allo stesso Çurita – come rozzo e ignorante, “fier e sauvage insulaire” (Gabriel-Henri Gaillard). Il cronista aragonese gli attribuisce infatti tirania, crueldad y barbara naturalesa.
Sulla sua figura, la sua azione ma soprattutto sulla sua fine abbiamo comunque poca documentazione. Secondo lo storico medievista Francesco Cesare Casula pare che il suo dispotismo non fosse accettato dal suo popolo, che ritenendo di essere stato tradito nel suo rapporto di bannus consensus, il 3 marzo i383 si sollevò e, secondo l’antica usanza del tirannicidio lo pugnalò insieme alla figlia, gettandolo, ancora vivo in un pozzo, con la lingua tagliata: a documentarlo una cronaca, secondo cui “il popolo di Arborea, con altri dell’Isola rivolsero le armi contro il Giudice e lo uccisero insieme alla figlia e gli portarono via tutti i beni…e ciò a causa del suo dispotismo”.
Ugone viene ucciso nel 1383 nel suo palazzo a Oristano: secondo però altri storici non a causa della sua “tirannia” ma per una serie di altre ragioni: ragioni esterne da ricondurre alle ostilità degli Aragonesi e dei nemici di Arborea; ragioni interne da ricercare nei “printzipales” e nei mercanti che erano scontenti perché Ugone era troppo autoritario e imponeva tasse troppo alte per poter mantenere i mercenari tedeschi, provenzali e borgognoni.
Certo – scrive Raimondo Carta Raspi – “Fin dai primi provvedimenti di Ugone appare il pugno di ferro”*1. Ma la sua non sarebbe stata una “tirannia” bensì una “signoria” “ in quegli anni necessaria, per imporre ai Sardi, a tutti i Sardi, sacrifici e sangue per sottrarre la Sardegna alla monarchia aragonese”*2

*1 Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Mursia editore, 197, Milano,pagina 593.
”*2 Ibidem.

E la sua morte dunque non sarebbe causata dalla sua “tirannia” bensì dalla sua inimicizia feroce nei confronti degli Aragonesi, che la morte stessa avrebbero organizzato con la connivenza di alcuni ascari sardi, ad iniziare da un certo De Ligia.
A tal proposito rimando a Pimpirias de istoria e istoriografia sarda. presenti in questo stesso paragrafo.
Sempre lo storico Raimondo Carta Raspi, al contrario delle fonti aragonesi, rivaluta la figura di Ugone III per la sua attività legislativa (leggi e ordinanze che in parte confluiranno nella Carta de Logu di Eleonora) ma soprattutto perché sarebbe stato “il più sardo dei Giudici, il valoroso capitano che avrebbe potuto sottrarre la Sardegna per sempre alla dominazione straniera”. 3
*** Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Mursia editore, 197, Milano, pagina 625.

Sempre Carta-Raspi, così giustifica la morte di Ugone: la morte di Ugone
“Può darsi che il governo di Ugone fosse duro e che lo stato di guerra comportasse sacrifici e privazioni. Certo non più che nei decenni precedenti. Abbiamo visto anzi che la guerra in corso si riduceva all’assedio di Cagliari e di alghero, oltre alla sorveglianza marittima e costiera. Purtroppo manchiamo di molti elementi per poterci formare un giudizio sugli avvenimenti oristanesi di quegli anni e soprattutto sulla congiura ordita contro Ugone: ma vi è forse uno spiraglio nella stessa contraddizione nelle fonti che ricordano l’assassinio del Giudice e, ancor più nella soppressione insieme, dell’unica figlia Benedetta. Poiché non ci sono rimaste che fonti aragonesi, sarebbe stato strano ch’esse non dicessero che furono gli stessi Sardi a uccidere Ugone; d’altronde sarebbe stato difficile ad Aragonesi poter giungere impunemente fino a lui e assassinarlo.
In un documento del 1416 si legge che Ugone fu «sanguine occisus a suis», e in altro ch’egli «fo per ells (dai sardi) anegat et mort». Sarebbe stato, è detto altrove, pugnalato e poi gettato in un pozzo. Ignoriamo dove ciò poté avvenire, ma, poiché con Ugone fu uccisa anche la figlia, si dovrebbe pensare al palazzo giudicale, ma più probabilmente altrove, dove con poca o senza scorta il Giudice poté recarsi con la figlia. Non vi è dubbio che alla congiura abbiano partecipato persone che potevano seguire da vicino il Giudice per cogliere il momento in cui poter attentare alla sua vita a colpo sicuro. Ma chi poteva avere interesse, tra i Sardi e soprattutto tra gli Oristanesi, a sopprimere l’ultimo Giudice d’Arborea e perciò a far crollare in un medesimo momento gli ideali e le aspirazioni e le conquiste di quei decenni, per consegnare al re e ai famelici baroni aragonesi la Sardegna con le sue popolazioni e le risorse e il suo stesso onore? Fu certo opera di inconsapevoli sicari, bene aizzati e anche meglio pagati, incuranti delle funeste conseguenze che sarebbero derivate alla Sardegna col loro delitto.
Gli storici sono quasi tutti d’accordo nel supporre che le fila della congiura siano state ordite in Cagliari e che non doveva essere estraneo il de Ligia. . Ciò è più che verosimile: e se manchiamo di prove per il de Ligia, non sussistono dubbi che l’assassinio di Ugone e della figlia fu premeditato dalla cancelleria aragonese, come già in passato fu tenuta la cattura di Mariano, e in seguito di Eleonora e del figlio; unico mezzo per vincere la invincibilità degli Arborea”.*
Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Mursia editore, 197, Milano, pagine 623-624.

INCENDI TIR CARICHI DI FIENO SARDI POCOS LOCOS Y MAL UNIDOS?

Francesco Casula
INCENDI TIR CARICHI DI FIENO SARDI POCOS LOCOS Y MAL UNIDOS?
La 131 percorsa senza sosta da camion e furgoni, esibenti orgogliosamente la bandiera dei 4 Mori e carichi di fieno, foraggio e altri aiuti, destinati agli agricoltori del Montiferru, in modo plastico, smentisce clamorosamente il vieto becero e inveterato luogo comune dei Sardi pocos, locos y mal unidos, attribuito addirittura a Carlo V, ma mai verificato in alcun documento o altra fonte storica. Del resto l’imperatore poco doveva conoscere la Sardegna se non dai dispacci “interessati” dei vice re: solo due volte la visitò direttamente. Nel 1535 quando durante la spedizione contro Tunisi e i Barbareschi sbarcò a Cagliari trattenendosi alcune ore e nell’ottobre del 1541, nella seconda spedizione, questa volta contro Algeri, il più attivo nido dei Barbareschi. In questo caso la flotta imperiale sostò in Sardegna: ma non – come ebbe a sostenere Carlo V – per visitare Alghero, dove passò la notte del 7, bensì per esserne abbondantemente approvvigionato, a spese della popolazione della città catalana e dell’intero sassarese. In realtà quel giudizio malevolo non Carlo V lo pronunciò ma Martin Carrillo, Visitador del Reyno de Cerdeña. Questi, ambasciatore del re Filippo III, in un resoconto stilato per il sovrano spagnolo in merito alla situazione linguistica e culturale della Sardegna scriverà: Il Catalano e lo Spagnolo vengono utilizzati e capiti nelle città, mentre il Sardo è la lingua comunemente utilizzata nei villaggi. E a tal proposito definirà appunto i Sardi: pocos, locos y mal unidos. E si riferiva ai sardi in relazione alla situazione linguistica, non in quanto tali. Ma tant’è: tale luogo comune, è stato interiorizzato da molti sardi, con effetti deleteri e devastanti, specie a livello psicologico e culturale (vergogna di sé, complessi di inferiorità, poca autostima, voglia di autocommiserazione e di lamentazione) ma con riverberi in plurime dimensioni: tra cui quella socio-economica. I Sardi certo sono pocos: e questo di per sé non è necessariamente un fattore negativo. Ma non locos: ovvero stolti, stolidi e men che meno imbecilli. Certo le esuberanti creatività e ingegnosità popolari dei Sardi furono represse e strangolate dal genocidio e dal dominio romano. Ma la Sardegna, a dispetto degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico Piero Meloni. E non fu annientata. La resistenza continuò. I Sardi riuscirono a rigenerarsi, oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati: sos rennos. Certo con catalani, spagnoli e piemontesi furono di nuovo dominati e repressi: ma dopo secoli di rassegnazione, a fine Settecento furono di nuovo capaci ai alzare la schiena e di ribellarsi dando vita a quella rivoluzione antifeudale, popolare e nazionale che porrà la base della Sardegna moderna. Certo, si è tentato in ogni modo di scardinare e annientare lo spirito comunitario, la solidarietà popolare, quella pluralità di reti sociali e di relazione che avevano caratterizzato da sempre le Comunità sarde con variegati sistemi e costumi solidaristici di aiuto reciproco e di forte unità: basti pensare a s’ajudu torrau o a sa ponidura: costumanza che colpirà persino un viaggiatore e visitatore come La Marmora che [in Viaggio in Sardegna di Alberto Della Marmora, Gianni Trois editore, Cagliari 1955, Prima Parte, Libro primo, capitolo VII., pagine 207-209] scriverà ”Fra le usanze dei campagnuoli della Sardegna, alcune sono degne di nota e sembrano risalire all’antichità più remota: citeremo le seguenti: Ponidura o paradura. – Quando un pastore ha subito qualche perdita e vuol rifare il suo gregge, l’usanza gli dà facoltà di fare quel che si dice la ponidura o paradura. Egli compie nel suo villaggio, e magari in quelli vicini, una vera questua. Ogni pastore gli dà almeno una bestia giovane, in modo che il danneggiato mette subito insieme un gregge d’un certo valore, senza contrarre alcun obbligo, all’infuori di quello di rendere lo stesso servizio a chi poi lo reclamasse da lui…” Così le identità etnico-linguistiche, le specialità territoriali e ambientali, le peculiarità tradizionali, pur operanti in condizioni oggettive di marginalità economica sociale e geopolitica permangono. I Sardi infatti, nonostante le tormentate vicende storiche costellate di invasioni, dominazioni e spoliazioni, hanno avuto la capacità di metabolizzare gli influssi esterni producendo una cultura viva e articolata che ha poche similitudini nel resto del mediterraneo. Basti pensare al patrimonio tecnico-artistico, alla cultura materiale e artigianale, alla tradizione etnico-musicale connessa alla costruzione degli strumenti, alla complessa e stratificata realtà dei centri storici e delle sagre, agli studi sulla realtà etno-linguistica, alla straordinaria valenza mondiale del patrimonio archeologico e dei beni culturali, all’arte: da quella dei bronzetti a quella dei retabli medievali; dagli affreschi delle chiese ai murales, sparsi in circa duecento paesi; dalla pittura alla scultura moderna. Ma soprattutto basti pensare alla lingua, spia dell’Identità e substrato della civiltà sarda. Entrambe non totem immobili (sarebbero state così destinate a una sorte di elementi museali e residuali) ma anzi estremamente dinamiche. La poesia, la letteratura, l’arte, la musica, pur conservando infatti le loro radici in una tradizione millenaria, non hanno mai cessato di evolversi, aprirsi e contaminarsi, a confronto con le culture altre. Soprattutto questo avviene nei tempi della modernità, a significare che la cultura sarda non è mummificata. E’ segno di un popolo stolto e diviso? Ed è segno di un popolo stolto e diviso l’ampia corposa e ubiquitaria solidarietà espressa dai Sardi nei confronti delle popolazioni colpite dagli incendi criminali?

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