Conferenza su Emilio Lussu – Biblioteca di Flumini 3-10-2013

EMILIO LUSSU*

Il mitico comandante militare, il fondatore del Partito sardo, il combattente antifascista, il grande scrittore.

Emilio Lussu nasce ad Armungia (Ca) il 4 Dicembre 1890 in cui conosce “gli ultimi avanzi di una società patriarcale comunitaria senza classi”. Laureatosi a Cagliari in Giurisprudenza nel 1915, interventista convinto e chiassoso, partecipa con entusiasmo, “con l’elmo di Scipio in testa” alla Prima Guerra mondiale, trascinato da una forte passione civile, ispirata a sentimenti democratico-risorgimentali, introiettati durante le giovanili esperienze nell’Università di Cagliari.

   Al fronte, sperimenta invece sulla propria pelle, l’assurdità e l’insensatezza della guerra: la vita dei soldati sardi morti, a migliaia, in inutili azioni dimostrative richieste dalla scellerata strategia del generale Cadorna (“più utile al nemico da vivo che da morto” lo definirà) susciterà in lui un moto di ribellione consapevole e una rivolta morale alla guerra e alla classe che la provoca.

Leggendario comandante della “Brigata Sassari”, prima tenente poi capitano, per il suo eroismo gli verranno assegnate ben quattro medaglie, diventando poi per i Sardi –e non solo per gli ex combattenti- un vero e proprio mito.

Finito il conflitto bellico, Lussu viene trattenuto in servizio di punizione alla frontiera iugoslava, “colpevole” di aver dimostrato i traffici illeciti di un generale a danno dei beni dell’esercito. Rientrato in Sardegna solo nel 1919, partecipa alla fondazione del Partito sardo d’azione la cui nascita, secondo lo stesso Lussu , è da porre in stretta relazione con l’esperienza della guerra, con il senso di solidarietà creatosi fra i soldati sardi al fronte, con la presa di coscienza politica che era avvenuta non solo in lui ma anche da parte dei suoi compagni.  Non fu –scriverà Lussu- propriamente un movimento di reduci, come quello dei combattenti in tutta Italia. Fin dal primo momento fu un generale movimento popolare, sociale e politico, oltre la cerchia dei combattenti. Fu il movimento dei contadini e dei pastori”.

Nelle liste del Partito sardo d’azione Lussu verrà eletto deputato nel 1921 e 1924, rappresentandolo in Parlamento fino al 1926, quando dovette fare i conti con il nascente fascismo di Mussolini e con le provocazioni e le violenze dello squadrismo in camicia nera.

Dichiarato decaduto in quanto “aventiniano”, il 31 Ottobre del 1926 quando ormai il fascismo stava imponendo la sua dittatura con le “leggi fascistissime”, lo scioglimento dei partiti e dei sindacati di ispirazione socialista e cattolica, Lussu viene assalito nella sua casa a Cagliari da un gruppo di fascisti. Quello stesso giorno a Bologna, c’era stato un attentato, fallito, contro il duce e i fascisti non perdono l’occasione per scatenarsi ovunque alla caccia degli oppositori. Per difendersi Lussu spara un colpo di pistola contro il primo squadrista che gli si presenta davanti e lo uccide. Arrestato e assolto dai giudici in istruttoria per legittima difesa, viene però condannato in via amministrativa da una commissione fascista, in base alle leggi eccezionali per la difesa dello Stato, volute da Mussolini, a cinque anni di deportazione a Lipari dove conosce –fra gli altri- Ferruccio Parri, Carlo Rosselli e Fausto Nitti, con cui nel 1929, dopo quattro tentativi falliti riesce a evadere avventurosamente per rifugiarsi a Parigi.

Qui da esule, insieme ad altri emigrati politici italiani –fra cui Gaetano Salvemini e Carlo Rosselli-  sarà fra i fondatori di “Giustizia e Libertà” di cui rappresenterà l’ala rivoluzionaria. Nel 1936 verrà ricoverato nel sanatorio di Clavadel-Davos dove sarà sottoposto a un difficile intervento chirurgico ai polmoni, in seguito all’aggravarsi di una malattia seria, la Tbc, contratta nel carcere fascista, malcurata a Lipari e trascurata nell’esilio.

Nel corso della degenza porterà a termine la stesura dell’opera Teoria dell’insurrezione in cui sostiene l’insurrezione popolare antifascista e un nuovo ordine statuale improntato al federalismo democratico e repubblicano. Nel 1937 scrive Il Cinghiale del diavolo, racconto sulla caccia che diviene pretesto per riepilogare le radici antropologiche dell’autore che, in quanto avvertite come autentiche, sono rievocate positivamente e ottimisticamente. Nel 1938 scrive il suo capolavoro: Un anno sull’altipiano, grande e mirabile denuncia di quel “macello permanente” che è la guerra.

L’altra opera più famosa, in cui rievocherà le vicende politiche del decennio 1919-1929, Marcia su Roma e dintorni, la scriverà fra il ’29 e il ’33, insieme a La Catena. Nel 1968 scriverà il saggio politico Sul Partito d’azione e gli altri, mentre uscirà postumo La difesa di Roma nel 1987.

Partecipa alla guerra civile in Spagna poi alla Resistenza in Francia e in Italia. Ministro all’assistenza post-bellica (1945) e per i rapporti con la Consulta (1945-46), fu deputato alla Costituente e in seguito senatore prima di diritto (1948) poi eletto fino al 1968.

Muore a Roma alle 14 di Mercoledì 5 Marzo del 1975 a 85 anni, povero e in casa d’affitto.

* Tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna di Francesco Casula, volume I, Edizioni Grafica del Parteolla, Dolianova, 2011.

 

 

Letteratura e civiltà della Sardegna di Francesco Casula recensita da Giulio Angioni

 

Mille percorsi dell’identità. Una mappa per ritrovarsi, di GIULIO ANGIONI

 

L’illustre cattedratico dell’Università di Cagliari presenta la recente fatica

di Francesco Casula.

Nel primo volume dell’opera “Letteratura e civiltà della Sardegna” Francesco Casula riflette sul ruolo giocato dall’Isola nella storia europea.

Francesco Casula, potrebbe dirsi, si è dedicato alla sua ultima fatica storico-letteraria con lo stesso piglio, aggiornato, del canonico Giovanni Spano rispetto alla mole dei suoi studi, cioè sentendo desiderio e dovere di “illustrare la patria” sarda. Casula ha dato finora, tra l’altro, molte prove di quanto anche un sardismo molto risentito possa essere supporto e spinta verso operazioni che meritano, come questa sua di proseguire una tradizione anche sarda ormai quasi bisecolare di storiografia letteraria, se si può considerare un inizio la “Storia letteraria di Sardegna” che Giovanni Siotto Pintor pubblicava nel 1843-1844. Da allora non sono mancate le storie anche complessive della scrittura letteraria in Sardegna, come la “Storia della letteratura di Sardegna” di Francesco Alziator, di un secolo dopo, datata ma forse ancora utile per il materiale raccolto e messo a disposizione. Un tema qui subito trattato e risolto è quello di quale sia l’oggetto dell’opera e che si debba intendere con l’espressione letteratura sarda o di Sardegna. Anche su questo tema, da ultimo anche una storia della letteratura in sardo, di Salvatore Tola, “La letteratura in lingua sarda”. Testi, autori, vicende, del 2006, è anch’essa da considerare propedeutica a2questo grosso lavoro di Casula, che dà ampio spazio e risalto alla produzione in sardo e la considera quella più autentica, anzi la più identitaria, auspicandone lo sviluppo: ma, come non può non accadere a chi affronti sensatamente un compito come il suo, le scritture letterarie dei sardi “dobbiamo valutarle non tanto per la lingua che scelgono, quanto per l’uso che ne fanno e per il modo di collocarsi esteticamente e non solo, in Sardegna” (p. 11). Del resto, secondo gli intendimenti del nostro autore, «l’intera letteratura sarda… risulta… autonoma, distinta e diversa dalle altre letterature. E dunque non una sezione di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore» (p.10). “Letteratura e civiltà della Sardegna” si intitola quest’ultima corposa opera di Francesco Casula, di cui è uscito, nelle Edizioni Grafica del Parteolla, il primo dei due volumi previsti. Questo primo volume tratta dell’attività letteraria in Sardegna negli ultimi mille anni, dalla prima carta sarda rimastaci, quella cagliaritana del 1070, fin oltre il nostro quasi contemporaneo Salvatore Cambosu, che moriva nel 1962, arrivando alla nostra contemporaneità con Salvatore Satta, Giuseppe Dessì e Giuseppe Fiori che ci lasciava nel 2003. E ne tratta appunto come cosa a sé, soprattutto perché «è proprio l’Identità sarda il tratto che accomuna gli Autori che abbiamo scelto e trattato in questo volume” (p.11), dove la nozione di identità sarda sembra significare un comune modo di sentire che va con costanza ineguagliata, anche in quanto ereditato da epoche preistoriche lontane come quella nuragica, dagli scrivani delle corti giudicali ai romanzieri in italiano e in sardo del Novecento e del Duemila. Alla nozione di “civiltà della Sardegna” usata nel titolo Casula tiene fede lungo tutto il suo percorso, dalla ‘libertà’ giudicale ai vari modi di egemonia pisana e genovese, all’invasione iberica, all’acquisto sabaudo, al triennio rivoluzionario settecentesco, al risorgimento italiano, alla prima guerra mondiale, al primo sardismo, al fascismo, alla seconda guerra mondiale, alla rinascita, all’industrializzazione malfatta e fallita nei modi e negli scopi: tutti momenti e temi che situano nella temperie dei loro tempi i vari prodotti letterari e i loro autori. Un fatto importante è che Francesco Casula è stato uomo di scuola per quarant’anni, perché in quest’opera l’intento didattico è strutturante, sebbene non proprio nuovo, se si ricorda almeno il recente manuale per le scuole superiori di Giovanni Pirodda, “Sardegna”, per non dire della fortunata antologia di Giuseppe Dessì e Nicola Tanda, “Narratori di Sardegna”, del 1973. In queste pagine di Casula l’impianto didattico si organizza in un dialogo propositivo costante con i giovani, secondo una formula che offre inquadramenti storici, letture, commenti autorevoli, inviti a proseguire la ricerca. Il tutto dentro un orizzonte, costantemente ridefinito, in cui il giovane studente sardo è invitato all’identificazione di sé sulla scorta della nostra attività letteraria. Non è raro in Sardegna chi agisce in vari ambiti, compreso quello degli studi storici, mosso e sostenuto dalla convinzione risentita che l’antica3diversità dell’isola debba certe sue negatività non solo alla storia millenaria di sudditanze ma anche a una sorta sottovalutazione, di conventio ad excludendum, persino di un complotto o, quando va bene, di costante distrazione del resto del mondo rispetto alla Sardegna, che così risulta al mondo molto meno di quanto convenga anche al resto del mondo. Casula partecipa in questa opera di questo modo di sentire il bene e il male dell’essere sardi. Ciò che più vi si apprezza è che esso sostiene, anche in quanto risentimento, a volte imprese meritorie che forse altrimenti non si darebbero. Bisogna augurarsi che il piglio rivendicativo sardista guadagni a quest’opera più lettori e abili utilizzatori nella scuola di quanti non ne renda perplessi.

 

 

 

Una recensione di Pietro Picciau (Unione Sarda) sulla mia “Letteratura e civiltà della Sardegna” (Edizioni Grafica del Parteolla)

L’introduzione di “Letteratura e civiltà della Sarde­gna” (Edizioni Grafica del Parteolla) pone un sugge­stivo quesito preliminare:

«È esistita una Letteratura e una Civiltà sarda? ». L’autore Fran­cesco Casula (nato a Ollolai. per circa 40 anni docente nei licei e e negli Istitu­ti superiori, dirigente sindacale. stu­dioso di storia e lingua sarda. scritto­re e giornalista) al ‘termine di un do­cumentato e approfondito ragiona­mento – un viaggio storico e letterario utile per chiunque, a cominciare’ dagli studenti – sostiene di sì. L’importan­te. avverte. è che la «produzione letteraria esprima una specifica e partico­lare sensibilità locale», Quindi una let­teratura sarda esiste se. «come ogni letteratura. ha i tratti universali della qualità estetica e se. in più è specifica, non tanto per questioni grammatica- ” li, quanto per una questione di Iden­tità». E proprio l’Identità sarda l’ele­mento che avvicina gli autori inseriti dall’autore nel primo volume di “Let­teratura e Civiltà della Sardegna”.

Casula propone un itinerario stori­co-letterario che parte dalla nascita della lingua sarda e dai primi docu­menti per proseguire con la trattazio­ne di autori (di ciascuno presenta la biografia, un brano, un giudizio criti­co e una sezione per l’attività didatti­ca) che formano le fondamenta della nostra letteratura: Antonio Cano, Sigi­smondo Arquer, Girolamo Araolla, Giovanni Matteo Garipa e Fra Antonio .Iaria da Esterzili durante il dominio catalano-aragonese e spagnolo; Efisio Pintor Sirigu, Francesco Ignazio Man­nu, Diego Mele, Peppino Mereu e l’autore sconosciuto di Sa scomuniga de Predi Antiogu nel Settecento-Ottocen­to; Giambattista Tuveri, Antonio Gramsci e Emilio Lussu per un «nuo­vo stato e un nuovo ordine sociale».  Tra i romanzieri del 1900-2000 sonò, stati scelti Grazia Deledda, Salvatore Satta e Giuseppe Dessì. Per racconta­re il banditismo e la società del males­sere, i codici ‘barbarìcìni e i suoi ana­listì, Casula ha indicato Antonio Piglia­ru, Michelangelo Pira e Giuseppe Fio­ri. Sebastiano Satta è l’autore in lingua italiana inserito nel capitolo sulla letteratura identitaria del 1900-2000; mentre tra gli autori in lingua sarda fi­gurano.Antioco Casula (Montanaru), Pedru Mura e Salvatore Cambosu.

La domanda iniziale sull’esistenza della letteratura e di una civiltà sarda è intrigante sia per la risposta che ne danno gli autori citati, sia per quanto lo stesso Casula sostiene per confuta­re l’affermazione: «C’è cm lo nega». E l’inizio avvincente del viaggio (crìtìco, storico, letterario) in compagnia del­l’autore. Alcuni,avverte Casula, «dubi­tano perfino che la Sardegna abbia avuto una storia tout court. Emilio Lussu ha scritto che noi non abbiamo avuto una storia. La nostra storia è quella di Roma, di Aragona, ecc. Lo , storico francese Le Roy Ladurie ha sostenuto che la Sardegna giace fu un angolo morto della storia. Francesco Masala, il nostro più grande poeta et­nico, parla di storia dei vinti perché i vinti non hanno storìa. Fernand Brau­del, il grande storico francese; diretto­re della rivista Annales che rivoluzio­nerà la storiografia, alludendo ad al­cuni popoli mediterranei, forse anche all’Isola. ammette che la loro storia sta, nel non averne e non si discosta mol­to da questa linea raccontando che viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano ne1 Liba­no e la preistoria in Sardegna».

Pietro Pìcciau

 

 

Il Minuto-Notizie Mediterranee Edizione Sardegna intervista Francesco Casula sulla Lingua sarda.

 

(IlMinuto) –– Agoa de una pàsida manna torrat “Ndi Chistionaus Impari”, la fentana de IlMinuto chi fueddat de sardu de política linguìstica. Custa cida sa Redatzioni at intervistau a Frantziscu Casula, intelletuali de Ollolai spertu de língua, istória e cultura sarda impegnau de sèmpiri in custu fronti

 

Francesco Casula e su sardu, si contat custa istória?

 

Un’istoria longa. Eo ap’imparau su sardu dae mama. A beru, pro mene, sa limba sarda est istada su “parlar materno”, comente naraiat Dante. Limba des sonos, sentidu e musica. Limba de vocales. E duncas limba de poesia, proite sas vocales sunt pro su poeta s’anima de sa limba, sunt su liongiu intre sa limba e su cantu, intre sa poesia, sa musica, su ritmu e su ballu. Mescamente de su ballu sardu, cando sa zente, tot’impari si pesaiat a ballare, in sa Pratza de bidda. So intrau in sas iscolas, in prima elementare sena connoschere una paraula in italianu: fia unu monolingue. S’italianu, tando, in Ollolai nemos l’allegaiat: ne in su foghile ne in foras. No esistiat. Duncas ap’imparau s’Italianu comente una limba istranza e nova de su totu. Dae sos libros. Dae su mastru. In sos primos meses de iscola apo tentu dificultades: in su Primu Trimestre – tengio galu bene remonida, comente chi sia una richillia pretziada, sa pagella de cussa prima elementare – in totu sas materias sos votos fiant 2-3-2-3-4. In su Segundu trimestre fiant diventados totus 9. In su terzu totus 10. Ca fia un’Einstein? No, ca s’Italianu chi aia imparadu fiat sena amisturamentos cun su Sardu. Pro non narrere chi fia meda curiosu de imparare cussa limba noa. Mama – galu bia, tenet 94 annos e Deus la cunservet! – mi naraiat semper: “Fizu meu, in domo allega in Sardu, in Iscola e cun su mastru in Italianu!”. E gai pro medas annos apo fatu. Cando so andadu in Continente pro istudiare – a Torino pro su Liceo e a Roma pro s’Universidade – apo sighidu a faeddare in Sardu cun sos amigos e in Italianu in Iscola. Torrau in Sardinna apo cumenzadu a cambiare musica: faeddande su Sardu puru in Iscola e non solu in familia. Antzis, comente insennante, apo cumenzadu a l’imparare a sos dischentes. Innantis meda de che essire sa Lege 26 e 482.

 

In annus meda de impìgniu po sa lìngua sarda at agatau strobus?

 

Tzertu, in sos primos annos, – semus in su ’70 – fiat prus difitzile. Carchi collega si poniat a riere. Carchi preside m’acertaiat su registru pro bidere ite letziones faghia. Ma depo narrere chi no apo agatau medas strobus: ca de su risu de sos collegas o de sos controllos de sos Presides ego mi nd’afutia. E antzis, fia capatze de los gruspire in sos ogros! Sas dificultades fiant prus a prestu, chi mi depia imbentare sos medios didaticos, chi tando non bi fiant pro nudda. Abellu abellu mi los apo fraigados pro contu meu, chircande de cumbinchere ateros collegas subra s’importantzia, culturale, tzivile e mescamente didatica de s’insennamentu de su Sardu in sas Iscolas. In parte bi so rennessidu, in parte nono. Su triballu de faghere est galu meda: ma oe cun sas leges noas (26 e 482) ma mescamente cun sa Lege de s’Autonomia iscolastica, chi permitit a calesisiat mastru o professore de dedicare su 20% de sas oras curriculares a materias comente sa Limba sarda, est prus fatzile. Tocat solu a si moere. E tzertu tocat a batallare pro faghere leges prus a favore: ma in su mentres su sardu, bisonzat chi l’iscriimus, lu faeddamus, l’insennamus.

 

Po Francesco Casula ita iat a depi fai su Guvernu de Sardigna po su sardu?

 

Depet operare a manera de otènnere una modìfica costitutzionale pro introduire sa limba sarda in s’Istatutu de Autonomia Ispetziale comente limba natzionale de su pòpulu sardu, cun sa matessi tutela reconnota a sas limbas alloglotas, in sos territòrios rispetivos de cumpetèntzia e àmbitos de difusione. E dunscas, sa Limba sarda siat insennada, comente materia curriculare, in totu sas iscolas, de calesisiat ordine e gradu. E depet peri faghere ateras cosas s’Iscola comente sa Regione. Ma bos la naro in Italianu.
Occorre favorire la crescita dei giovani studenti predisponendo ricerche ambientali e sulle condizioni socio-economiche, mettendo in essere progetti di sperimentazione metodologico- didattiche volti a suscitare interesse e a creare atteggiamenti favorevoli e positivi rispetto alla comunità sarda, al fine di cambiare l’esistente; occorre stimolare il sistema scolastico perché realizzi un reale processo di autonomia pedagogica e didattica che parta e muova dalla realtà sarda: un discorso pedagogico moderno e avveduto non può infatti prescindere dal pensare a una scuola radicata e ancorata alla tradizione, in grado di educare i giovani a conoscere prima e a padroneggiare poi la lingua e la cultura sarda: musica, arte, storia, teatro, letteratura, diritto etc. occorre una scuola in cui la scoperta e la valorizzazione della tradizione negli aspetti più vivi e significativi, possa trovare l’humus per germogliare e per inserire il “locale” e il nostro specifico e peculiare nella cultura mediterranea, europea e mondiale, per continuare ad essere sardi e insieme vivere da cittadini italiani, mediterranei ed europei occorre cioè una scuola in cui i valori alti del passato, che reggono ai flutti di una modernità-modernizzazione effimera e fatua si coniughino dialetticamente con altre culture, con la scienza e la tecnologia, in una sorta di convivenza dei distinti , facendo cioè coesistere, conciliando dialetticamente gli elementi della “consuetudine autoctona” con quelli della modernità vera, mediando e facendo continuamente sintesi fra vecchio e nuovo, continuità e discontinuità, locale e globale. E dunque rifiutando da una parte l’etnocentrismo dall’altra l’esterofilismo. Stando sempre attenti a che l’impatto della globalizzazione si risolva nella negazione, distruzione e/o devastazione delle culture ( e delle economie) deboli ,come è già avvenuto altrove – come dimostrano fra gli altri Levi-Strauss in Il pensiero selvaggio e Joseph Rothscild in Etnopolitica – e come rischia di succedere anche in Sardegna. Per questo occorre opporsi, ad iniziare dunque dalla scuola, al fenomeno dello “sradicamento” dell’identità connaturato alla globalizzazione e al consumismo; occorre una scuola che ricordi – e insegni – ai giovani che senza legami con il passato, senza radici, non c’è presente né futuro, che se una comunità non dispone delle conoscenze fondamentali della sua storia (compresa quella dei singoli villaggi, che spesso consente di individuare il ceto sociale originario e il conseguente tipo di formazione storico- urbanistico, vedi Il giorno del giudizio di Salvatore Satta) non può maturare né il sentimento di appartenenza né la consapevolezza dell’importanza del nesso tra locale e globale che è in buona sostanza coscienza comunitaria, ossia accettazione dell’ideale della collaborazione tra popoli diversi; alla scuola spetta in definitiva il compito primario, sia di fornire gli elementi utili per la formazione moderna legata alla realtà e ai bisogni giovanili, sia gli strumenti metodologici per comprendere il nesso inscindibile, pur nella diversità, tra la storia millenaria dell’Isola e la condizione presente per permettere al giovane sardo di innestare – senza prevaricarla – la tradizione nel processo di sviluppo della società complessa; per evitare forme campanilistiche o esaltazione della minutaglia folclorica e insieme per rifiutare la mentalità caudataria tipo “pinta la legna e portala in Sardegna” che induce solo ad atteggiamenti esterofili e a complessi di inferiorità. Ma soprattutto spetta il compito di insegnare a diventare produttori in proprio e dunque anche esportatori di beni di consumo, materiali e immateriali. E un popolo è tanto più capace di emanciparsi e creare e produrre beni di consumo ma soprattutto cultura d’ampia caratura ed esportabile quanto più è radicato in sé il senso della propria Identità e dignità. L’uomo contemporaneo, soprattutto nell’epoca della globalizzazione economica, della comunicazione planetaria in tempo reale e di Internet non può vivere senza una sua dimensione specifica, senza “radici”, sia per ragioni psico- pedagogiche (un punto di riferimento certo dà sicurezza, consapevolezza di sé e fiducia nel proprio futuro) sia per motivi di ordine culturale. La comprensione del nuovo è sempre legata alla conoscenza critica della storia della società in cui si vive, alle tecniche di produzione, al senso comune, alle tradizioni. E’ questo l’antidoto più efficace contro la sub-cultura televisiva e à la page, circuitata ad arte da certa comunicazione mass- mediale che riduce la tradizione a folclore e spettacolo ad uso e consumo dei turisti. Altrimenti prevalgono solo processi di acculturazione imposti dal “centro”, dalle grandi metropoli, dai poteri forti, arroganti ed egemonici che riducono le peculiarità etniche a espressione retorica, pura mastrucca, flatus vocis. Occorre però concepire e tutelare lo “specifico individuale e collettivo” non come dicotomia ma in connessione con il generale, vivendo l’identità sarda con dignità e orgoglio ma senza attribuirgli un significato ideologico o di mito; identità non come dato statico e definitivo ma relativo, fluido e dinamico, da conquistare- riconquistare, costruire- ricostruire dialetticamente e autonomamente, adattandolo e sviluppandolo, quasi giorno per giorno. L’attaccamento alla civiltà “primigenia”, in quanto realizza un continuum fra passato e presente, dà maggiore apertura al mondo grande e terribile di cui parlava Gramsci, e sicurezza per il futuro. In questa continuità- simbiosi fra antico- moderno e post- industriale post- moderno, in cui la positività della Sardegna s’innesta nella positività mediterranea ed europea, consiste il significato profondo dell’Identità e dell’Etnia che da un lato ci libera dalle frustrazioni, dalla chiusura mentale e dal complesso dell’insularità; dall’altro ci salvaguardia dai processi imperialistici di acculturazione, distruttivi dell’autenticità delle minoranze e dal soffocamento operato dalla camicia di nesso degli interessi economico- finanziari.

 

Su sardu in su giornalismu: s’iscola de giornàlismu de s’Universidadi de Tàtari impitat scéti s’italianu. No iat essi mellus, imbecis, unu bilinguismu sardu-italianu?

 

Diat essere mengius meda. Oe, nessi in parte sa Limba sarda est sena tropea, in foras de corrazos e prus libera de faeddare de su chi cheret: bidimus chi cominzat a produire a bunda, e non so propassende, liburos de ite-si-siat e de cada casta: chi allegant de istoria, de tecnica e iscientzia, de didatica, de telematica, in una paraula de sa cultura “arta” e de sa “modernidade”. Duncas – si a beru cherimus su bilinguismu perfetu – sa Limba sarda depet intrare, comente limba normale, in totu sos medios de sa comunicazione moderna, a cumentzare dae sos giornales. Ma comente faghent sos giornalistas a iscriere in sardu si non l’imparant? Mescamente sos giovanos ? Est a beru de importu mannu chi sas iscolas de giornalismu siant bilingues, e duncas in unu cras sos giornalistas potant iscriere puru in Sardu, pro abetuare sos letores a la leghere sa Limba, a bidere comente s’iscriet e duncas a l’imparare. Ca una cosa depet essere crara: si su sardu s’imparat in sas Iscolas ma in foras non s’allegat, non s’intendet, non si leghet, non si bidet (a cumenzare dae sa toponomastica) abarrat una limba morta, cumente oe capitat a su Latinu, su Grecu e, medas bortas, finas a sas limbas istrangias (Ingresu, Francesu ecc.). Chergio narrere chi est netzessariu s’impreu sotziale e ufitziale de su Sardu si nono semus solu molinand’ abba.

 

Comenti giornalista e intelletuali impegnau po su sardu tenit consillus de donai po s’impreu de sa língua sarda in s’Iscola de giornalismu?

 

Depet essere impreada comente una limba normale, comente s’Italianu o un’atera limba. In sardu non bi sunt tzertas paraulas ? Nulla quaestio, naraiant sos latinos: si pigant da ue bi sunt! Comente faghet s’Italianu. Comente faghent totu sas limbas. Eo isco bene che meda gente tenet galu sa bibirrina e s’arrenghesciu chi sa limba sarda no est capassa de faeddare de cultura “urbana e scientifica” e duncas de modernidade, – comente faghent sos giornales – proite limba de campagna, de sartu, de pastores e de massajos. A chie pensat chi sas limbas locales – e duncas pro nois su Sardu – serbant pro narrere carchi paraula mala o pro chistionare solu de contos de foghile o peus de burrumballiminis e non de cosas importantes e de modernidade, rispondet unu semiologu comente Stefano Gensini (In Elementi di storia linguistica italiana, Minerva Italica, Bergamo 1983). Ammentande Leibniz, narat chi non b’est limba pobera chi non siat capassa de allegare de totu. A sa matessi manera chistionant filosofos e linguistas comente a Ferdinand de Saussurre (In Corso di linguistica generale,Laterza, Bari,1983) e L. Wittgenstein (In Osservazioni filosofiche, Einaudi, Torino,1983). Ma mescamente a sos ballallois chi pensant a una limba sarda chi no est abile a narrere totu, rispondet su prus mannu istudiosu de bilinguismu a base etnica, J. F. Fishman, (In Istruzione bilingue, Ed. Minerva Italica, 1972) chi gosi iscriet:”Ogni e qualunque lingua è pienamente adeguata a esprimere le attività e gli interessi che i suoi parlanti affrontano. Quando questi cambiano, cambia e cresce anche la lingua. In un periodo relativamente breve, qualsiasi lingua precedentemente usata solo a fini familiari, può essere fornita di ciò che le manca per l’uso nella tecnologia, nell’Amministrazione Pubblica, nell’Istruzione”.

 

Pro cuncruire

 

In su 1996 (in su mese de maju) so istadu cundennadu dae su tribunale de Tatari, a pustis de unu processu duradu ses annos: dae su 1990. Su motivu: aia iscritu, comente Segretariu generale de sa CSS (Confederazione sindacale sarda) duos articulos in sa Nuova Sardegna (su 27 de capidanni e su 1 de sant’andria de su 1989 ) criticande duas mastras (sitzilianas) chi aiant botzadu duos pitzinneddos, frades, (de segunda e de quarta elementare) de Santu Pantaleo (Olbia) pro custos motivos chi risultant dae sas ischedas de valutatzione (sas pagellas de unu tempus). Pro su pitzinneddu, Lucio Cucciari, de segunda elementare: “Non è riuscito a conseguire un sufficiente patrimonio linguistico perché parla quasi esclusivamente dialetto”. Pro sa sorre de quarta elementare, Immacolata Cucciari : “Non riesce a manifestare il suo mondo interiore poiché possiede un lessico estremamente ridotto e influenzato dal dialetto”. Pro mene, segretariu de unu Sindicadu natzionale sardu e, mescamente, professore e, connoscidore de sa didatica e de sa pedagogia, cussas motivatziones mi pariant unu macchine e duncas aia iscrittu che la decisione di bocciare i due bambini era “Un vero e proprio assurdo pedagogico, didattico, educativo” (Articolo del 27/9/89). “Un atto di discriminazione e di selezione nei confronti di due alunni solo perché sardo parlanti”. (Articolo del 1-11-1989). So istadu cundennadu in primu e segundu gradu a pagare sas ispesas protzessuales e una multa, semper in dinare. Ite narrere? Cussa cundanna m’at ispintu a mi dedicare totu cantu, conca, anima e coro, a s’istudiu, sa difusione e sa valorizzatzione de su Sardu.

 

F.P.

 

 

 

ECCO CHI DEFINISCE I SARDI “POCOS LOCOS Y MAL UNIDOS”.

Nella mia nota del 21-9-2013 (che troverete in questo blog) scrivevo “Noto che intellettuali insospettabili e avveduti continuano a ripetere il becero e trito luogo comune sui Sardi pocos, locos y mal unidos, attribuito a Carlo V, ma mai verificato in alcun documento o altra fonte storica”.

Oggi, dopo una ricerca e uno studio sono in grado di affermare che quella definizione non è assolutamente di Carlo V ma di Martin Carrillo, Visitador del Reyno de Cerdeña.Questi, ambasciatore del re Filippo IV nel 1641, in un resoconto stilato per il sovrano spagnolo in merito alla situazione linguistica e culturale della Sardegna (“Il Catalano e lo Spagnolo vengono utilizzati e capiti nelle città, mentyre il Sardo è la lingua comunemente utilizzata nei villaggi”– scriverà-), definirà appunto i Sardi:”pocos, locos y mal unidos”.

A scriverlo e sostenerlo è Eduardo Blasco Ferrer con Giorgia Ingrassia in Storia della Lingua sarda (CUEC,Cagliari, 2009 – Pagina 92.)

24-9-2013: RICORDANDO GIANFRANCO PINTORE NEL PRIMO ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE

 

GIANFRANCO PINTORE *

Il giornalista, saggista e scrittore bilingue e identitario (1939-2012)

Gianfranco Pintore nasce ad Irgoli (Nuoro) il 31 agosto 1939. Nel 1951 lascia la Sardegna. A Firenze frequenta il ginnasio, il liceo classico e si iscrive all’Università. Ha in testa un’idea: la laurea non serve per il mestiere di giornalista che vuol fare e fa gli esami che gli interessano: in Architettura con Ludovico Quaroni, in Scienze politiche con Giovanni Spadolini, di Giurisprudenza. Intanto, a partire dal 1962 fa il “volontario di cronaca” nella redazione fiorentina di “L’Unità” e nel 1965 è chiamato alla redazione centrale a Roma, per la quale lavora prima nella sezione cronaca e quindi in quella degli esteri. È inviato speciale e per un certo periodo corrispondente da Varsavia. Dopo le sue dimissioni da ”L’Unità” in seguito all’invasione della Cecoslovacchia, lavora nel settimanale “Mondo Nuovo e quindi, a Milano, nel settimanale “Abc come inviato e infine come redattore capo.

Nel 1973 stipula con la casa editrice Mazzotta di Milano un contratto per la redazione di un saggio che l’anno successivo è pubblicato con il titolo “Sardegna: regione o colonia?”. È lo studio del rapporto conflittuale fra la comunità di Orgosolo e lo Stato, giocato fra storia, tradizione orale, testimonianze, ed è anche la ricerca di quanto Orgosolo rappresentasse lo spirito dell’intera Sardegna, di quanto in altre parole la Sardegna potesse sentirsi rappresentata dal sentimento comunitario del paese, altrimenti e altrove descritto come “il paese dei banditi”.

All’uscita del libro decide di restare in Sardegna, come corrispondente di “L’Espresso” di Eugenio Scalfari prima e successivamente di “Tempo illustrato” di Lino Jannuzzi. Lavora anche per “La Nuova Sardegna” di cui fa l’inviato e conduce una serie di campagne di stampa. Quella per il bilinguismo e quella per la Zona franca gli costerà il licenziamento in tronco per richiesta esplicita di un dirigente di partito decisamente contrario e all’uno e all’altra. Dirige a Nuoro la prima, e per ora unica, radio libera bilingue, “Radiu Supramonte” e fonda a San Sperate il mensile “Sa Sardigna”, anch’esso bilingue.

Nel 1981 esce il suo romanzo in italiano Sardigna ruja, storia della contrastata industrializzazione forzata delle Terre interne della Sardegna che ha come effetto il sorgere di una banda guerrigliera che dà il nome al romanzo. A questo fa seguito, nel 1984, Manzela, romanzo in italiano sugli effetti che il conflitto fra codice italiano e legge consuetudinaria ha sulla vita di un giovane intellettuale e della sua compagna, Manzela (Mariangela).

Dalla seconda metà degli anni Ottanta alla prima metà del decennio successivo a Cagliari dirige il periodico del Partito sardo d’azione “Il Solco”. Nel frattempo, nel 1986, pubblica con Rizzoli Sardegna sconosciuta, un viaggio in cento tappe all’interno della civiltà dei sardi per raccontare a turisti curiosi l’altra faccia, quella più intima e insolita, di un’isola prevalentemente visitata per le sue spiagge (una seconda edizione, riveduta e corretta, è pubblicata, sempre da Rizzoli, nel 2001).

Nel 1989 il suo romanzo Su Zogu ottiene il premio Casteddu de sa Fae di letteratura in lingua sarda : in un futuro non molto lontano, in una Sardegna divisa tra Coste e Terre interne, un gruppo di giovani si ribella alla dittatura paternalistica imposta al centro dell’isola. Nel 2000, con il titolo La caccia, ne esce la traduzione in italiano.

Nel 1996, pubblica il saggio sul federalismo La sovrana e la cameriera, titolo evocativo del rapporto esistente fra l’autogoverno pieno che avrebbe dovuto realizzare i diritti storici della Sardegna in quanto nazione e l’autonomia storicamente realizzatasi in Sardegna.Tornato a Nuoro, dirige l’emittente bilingue “TeleSardegna”,per la quale cura anche il primo telegiornale in sardo, Telediariu, e fa l’editorialista per il quotidiano “L’Unione sarda”.

Nel 2002, pubblica il romanzo in sardo “Nurai”. Nel 2006, insieme a Natalino Piras e a Giulio Angioni, pubblica il volume Lula. Nel 2007 scrive un altro romanzo in lingua sarda Morte de unu Presidente, un noir che prende le mosse dall’assassinio del Presidente della Regione sarda. Sembra un omicidio a sfondo sentimentale ed è ben altro. Nel 2009 pubblica un altro romanzo in lingua sarda Sa losa de Osana (La stele di Osana).

Nel 2011 scrive il suo ultimo romanzo, Il grande inganno, in italiano.

Muore a Orosei il 24 settembre 2012, dopo una lunga malattia.

Presentazione del testo [passo tratto dal romanzo Nurai, Ed. Papiros, Nuoro 2002, pagine 12-15) ]

Con il romanzo Nurai, una storia di spie e omicidi, ambientata nella Sardegna degli ultimi anni, Pintore continua la sua esperienza di autore di romanzi gialli dopo Sardigna Ruja – in cui uscendo dai canoni tradizionali del folklore, analizza e approfondisce i codici di comportamento di un popolo – ma soprattutto dopo Manzela – in cui l’autore ha voluto mostrare il contrasto fra le due leggi, quella italiana e quella sarda, e il travaglio esistenziale che ne deriva – e in parte anche dopo Su Zogu, anche se questo è più ascrivibile al romanzo fantascientifico.

Una storia quella di Nurai – nella quale Pintore riesce a trovare una mediazione stilistica fra il saggio e il romanzo – molto intritzida (complessa, intricata) e avvincente, con decine di morti, di feriti, di incidenti, di bombe. Così intritzida che solo nell’ultima parte del romanzo s’isboligat totu sumisteriu (si chiarisce, si dipana, tutto il mistero) tanto da far dire all’Autore che la vicenda est comente cuddos contos de Shakespeare chi agabant cun sa morte de totu sos pessonarzos (è come i racconti di Shakespeare che terminano con la morte di tutti i personaggi). Con intrecci che hanno inizio, si interrompono, si spezzano. Con personaggi –poliziotti maschi e femmine, carabinieri, bandititi e ladri, giornalisti e generali, giovani e belle ragazze, militanti nazionalisti e persino un deputato autonomista e un primo Ministro italiano – che si cercano, si fuggono, si perdono e si ritrovano, in una inesauribile girandola di avventure e di intrighi.

Pintore in Nuraialmanacca, racconta e rappresenta la Sardegna reale, con i suoi drammatici problemi. nuovi e antichi, in cui allo specifico locale e identitario si sovrappone la ”modernità”, arrivata dall’esterno:Sas bases militares e Maschinganna (Le basi militari e “Maschinganna”: un poligono militare segreto); su traficu burdellosu e sena ordine e sas trumbas de sas veturas, impressadas e nevroticas, chimente in Zordania o Maroco (il traffico chiassoso e disordinato e i clacson delle auto frettolose e nevrotiche come in Giordania o Marocco); sas fileras de machinas longas cantu sa carrela (le file delle macchine lunghe come un’intera strada); sos palatos inieddados dae su gas de sas machinas (i palazzi anneriti dall’inquinamento dei gas delle auto); sas duas turres de sa fabrica de Otana chi ghetant lughes tabachinas e fumu biancu contra a sas nues (le due ciminiere della fabbrica di Ottana che mandano luci color tabacco e fumi bianche verso le nuvole); sas iscritas mannas in sos mureddos e in sas rocas contra a unu Parcu (le scritte cubitali nei muri e nelle rocce contro un Parco).

NURAI E MINTONIA

[…] Nurài aìat ascurtadu sena si tremer, pigadu dae sas paraulas de tiu Valurta. Non cumprendiat ite bi pitzigaiat su contu cun sos fatos chi l’interessaiant, ma cudd’òmine l’aìat incantadu. Seidu in su tupeddu de fèrula acurtzu a sa tziminera pintada de ruju, sas palas semper tèteras sena unu mamentu de istrachitùdine, Naniu1 Valurta depiat esser unu chi petzi su connotu aìat fatu saviu.”Mi diat agradare a li pregontare si at ascurtadu mai unu telediariu” at atinadu Nurài. Sa televisione fit alluta dae cando fit intradu a cudda coghina e fit gasi bassa chi azomài mancu nd’essiat sonu. Ghetende una mirada pagu cuidada, at bidu sa locudora moende sas lavras e deretu a pustis sas imàzines de una tzitade. L’at reconnota deretu s’arvorada de Sarajevo. E un’òmine, chi a sos tempos aìat intervistadu unu bene de bias, pesende sas manos in artu e riende. “Tando bi l’at fata a bincher torra, tiu Isetbegovic” at murmutadu. In sa domo pariat non b’aeret àtera zente in prus de sos tres òmines. Ma — l’aìat imparadu àteras bias bisitende Orgovèi2 — in medas domos sa televisione abarraiat semper alluta. Comente chi esseret unu servitziu dèpidu a s’istranzu: tocaiat a isse leare su pessu de artiare s’audiu e de si pompiare su chi l’agradaiat o de la dassare comente fit e istoriare paris cun sos meres de domo.

“Bisse'”3 at mutidu tiu Naniu. E comente chi esseret isetende cussa boghe, dae palas de sa zanna est intrada una fèmina in beste niedda, sos pilos cuados dae unu mucadore tabachinu bene presu chi li faghiat cuadru a sa cara lisa de una de binti annos, mancari nd’aeret tentu nessi duas bias.

“Ue’, Boe’4. Inoghe sezis?” at naradu issa a Boelle e l’at porridu sa manu a Nurài. “E s’istranzu, sanieddu sezis?”

“Gheta·lis a biber” at ordinadu su betzu. E deretu una zòvana est intrada cun una safata in manos chi b’aìat tres tzìcheras e una tziculatera nuscosa de cafè essinde.

“Ue'” at saludadu. “E tando, nant chi ses unu zornalista. Ello, mortos a sas bistas b’at?” at naradu, acurtziende·li sa safata cun sa tzìchera prena. Su tonu fit de brulla, sas paraulas fint zustas zustas sas chi cheriat narrer.

“Si no nd’ischis tue chi ses de sa bidda” l’at torradu isse, cun su matessi tonu de brulla.

S’est posta a rier e sas lavras longas e prenas si sunt abertas iscuguzende duas filas de prendas biancas. Ma sos ogros, issos non fint riende e ant iscoviadu, prus de sas allegas, s’astiu chi sa pitzoca teniat in corpus. Boelle puru si nd’est sapidu: “Minto’5, est s’istranzu meu, Nurài” l’at fatu a murru tostu, comente pro lordinare a la segare in curtzu. Sa chi tiu Naniu aìat mutidu Bissenta, at bogadu tres tzichetes e un’ampulla de abardente dae unu rebustu lùghidu che bidru e est essida saludende: “Istentade·bos”.

“Boe’, no as a esser su primu nen s’ùrtimu chi trampant, custos” l’at torradu Mintònia, issa puru a murru postu. “Ite lis interessat a issos? Benint a inoghe cun sa conca prena de ideas belle cuncordadas in antis de moer e a sa furca su beru si s’atrivit de cuntrastare sos prezudìtzios issoro.” Sas paraulas nche l’essiant arrajoladas sena mancu fagher mustra, como, de esser allegas de brulla. Sos pilos nieddos, longos finas a palas, mòidos cun sa manu nervosa, ant mustradu su tugru longu e benas inchietas. “E pessas chi benint pro contare in bonu sos problemas de bidda? Nono, issos falant che gurturzos petzi cando intendent fragu de petza pudende. Sighint s’arrastu de sa morte mala in antis chi b’apat arrastu…”

“Minto’, Mintònia ti naras, beru?” at naradu Nurài, agatende unu badu in cussu riu de allegas. “So de acordu cun tegus, meda prus de su chi podes pessare.”

“Ca tue ti pessas diferente dae sos àteros, marranu.”

“S’incapas so diferente o si podet dare lu pesso ebia. Ma, pro ite non l’averguas tue etotu? Non bi cheret mancu meda: bastat de lu legher su chi iscrio. Tando as a cumprender si sos gatos sunt totu murros ca los pòmpias a de note o si est a beru chi tenent totus su pannu murru. Salude” at naradu Nurài acurtziende a lavras sa tassighedda chi sa zòvana l’aìat prenadu de abardente.

“E bida” l’at torradu Naniu. “Mintònia est istudiende in Casteddu”6 at sighidu cun s’àera de li bogare còntigas a sa fiza.

“Nade, tiu Nani’, e it’est chi est capitadu in Gorthene?7 Tres annos como, mi paret chi azis naradu” at pregontadu Nurài.

“Una mortina est capitada. Unu burdellu mannu: tres mortos b’at àpidu sa die. Si sunt isparados a pare zustìtzia e bandidos nant chi fint: tres òmines nche los ant regortos in fustes birdes.”

“Su chi ant contadu zustìtzia e zornalistas” fit narende Mintònia cando est intrada un’àtera fèmina […].

Note

1. Naniu: in Italiano Anania

2. Orgovei: nome di pura fantasia, che risponde, più che a un preciso paese sardo, a un “luogo dello spirito”, a una metafora. Per indicare che non solo Orgosolo – come il lettore di primo acchito potrebbe pensare – ma molti paesi sardi del Nuorese avrebbero potuto essere teatro delle vicende narrate.

3. Bissè: diminutivo del sardo Bissente, in italiano Vincenza.

4. Boè: diminutivo del sardo Boelle, in italiano Raffaele.

5. Mintò: diminutivo del sardo Mintonia, in italiano Maria Antonia.

6. Mintonia est istudiende in Casteddu (Mintonia sta studiando a Cagliari) dice il padre a Nurai, per significare che ormai la ragazza è fuori dall’ambiente del paese –no est de sos nostros, non è dei nostri insomma – e per questo parla in quel modo.

7. Gorthene: precisa località ubicata a Osposidda, dove avvenne uno scontro armato fra polizia e banditi con l’uccisione di tre persone.

Traduzione

Nurài aveva ascoltato in silenzio, affascinato dalle parole del vecchio Valurta. Non capiva che cosa c’entrasse il suo racconto con i fatti che a lui interessavano, ma quell’uomo l’aveva ammaliato. Seduto su un panchetto di ferula, accanto al caminetto verniciato di rosso, le spalle sempre impettite senza un cenno di stanchezza, Naniu Valurta era certo di quelli che solo la conoscenza delle usanze aveva fatto saggio.

“Mi piacerebbe chiedergli se ha mai dato ascolto a un telegiornale” pensò Nurài.

Il televisore era acceso da quando era entrato in quella cucina e il tono era così basso che quasi non ne usciva suono. Dandogli uno sguardo distratto, ha visto il movimento delle labbra della lettrice e subito dopo le immagini di una città. Riconobbe subito un viale di Serajevo. E vide un uomo, che in altri tempi aveva intervistato molte volte, levare le mani in alto e sorridere. “Dunque ce l’hai fatta a vincere ancora, vecchio Isetbegovic” , sussurrò.

In casa sembrava non ci fosse altra gente, oltre a loro tre. Ma – aveva imparato nelle altre occasioni in cui aveva visitato Orgovèi – in molte case il televisore rimaneva sempre acceso. Quasi fosse un servizio dovuto all’ospite: spettava a lui decidere di sollevare l’audio e di guardare ciò che più gli interessava o di lasciarlo così com’era e discorrere con i padroni di casa.

“Bissè” chiamò zio Naniu. E come se stesse aspettando quel richiamo, da dietro la porta entrò una donna vestita di nero, i capelli nascosti da un fazzoletto marrone ben legato che incorniciava un volto liscio di una ventenne, anche se certo avesse almeno il doppio di quegli anni.

“Uè, Boè. Qui siete?” disse a Boelle, porgendo la mano a Nurài. “E il forestiero, in salute siete?”

“Versate da bere agli ospiti” ordinò il vecchio. E subito una ragazza entrò con un vassoio in mano su cui erano tre tazzine e una caffettiera odorosa di caffè gorgogliante.

“Uè” salutò. “E dunque pare che sei un giornalista. Cos’è? morti in vista ci sono?” disse, avvicinandogli il vassoio con una tazzina piena. Il tono era scherzoso, le parole erano giusto giusto quelle che voleva dire.

“Se non lo sai tu che sei di qui” rispose lui, con lo stesso tono allegro.

Scoppiò a ridere e le labbra lunghe e piene si aprirono scoprendo due file di perle bianche. Ma gli occhi non sorrisero, mostrando anzi, più delle parole, un astio che la ragazza aveva in corpo. Anche Boelle se ne accorse: “Mintò, è mio ospite, Nurài” fece a muso duro, come per intimarle di farla finita. La donna che zio Naniu aveva chiamato Bissenta portò tre bicchierini e una bottiglia di acquavite tolta da un mobile di fòrmica luccicante e uscì salutando: “Trattenetevi”. “Boè, non sei il primo né sarai l’ultimo che imbrogliano, questi” rispose Mintònia, anche lei a muso duro. “Che cosa interessa a loro? Vengono qui con la testa piena di idee ben confezionate prima di partire e vada al diavolo la verità se osa contrastare i loro pregiudizi”. Le parole le uscivano furenti senza più far finta di essere frasi scherzose. I capelli neri, lunghi fino alle spalle, mossi da una mano nervosa, mostrarono il lungo collo e vene stizzite. “Pensi davvero che vengano qui per raccontare con interesse i problemi del paese? No, loro scendono come avvoltoi solo quando sentono tanfo di carne marcia. Seguono il sentore della mala morte ancor prima che ci sia l’odore…”

“Mintò, Mintònia ti chiami, vero?” disse Nurài, trovando un guado in quel torrente di parole. “Sono d’accordo con te, molto più di quanto tu possa pensare.”

“Chiaro, perché tu ti credi diverso dagli altri.”

“Forse sono diverso e forse lo penso solamente. Ma perché non verifichi tu stessa? Non ci vuole molto: basta leggere quel che scrivo. Allora capirai se i gatti sono tutti scuri perché li guardi di notte o se davvero tutti hanno il pelo scuro. Salute” disse Nurài avvicinando alle labbra il bicchierino che la ragazza aveva riempito di acquavite.

“E vita” rispose Naniu. “Mintònia sta studiando a Cagliari” continuò con l’aria di trovare una qualche scusante alla figlia. “Ditemi, tiu Nanì, cos’è che è capitato davvero a Gorthene? Tre anni fa, mi pare che abbiate detto” chiese Nurài.

“Una strage è successa. Una gran confusione: ci sono stati tre morti, il giorno. Si sono sparati polizia e banditi, a quel che hanno detto: tre uomini, li hanno trasportati su barelle di rami verdi.”

“Questo è quello che hanno raccontato polizia e giornalisti” stava dicendo Mintònia, quando nella stanza è entrata un’altra donna.

Giudizio critico

Per Francesco CasulaNessuna sintesi può dare anche una sola pallida idea di Nurai: tanti e tali sono infatti le figure e i personaggi, gli episodi e le descrizioni paesaggistiche e ambientali di cui il romanzo di Gian Franco Pintore è tramato. E che si intrecciano con riflessioni personali – sul ruolo e sulla deontologia professionale del giornalista, per esempio – digressioni ragionanti, excursus etno-antropologici, immagini e metafore mutuate dalla vita rustica, soprattutto barbaricina che l’autore ben conosce e, direttamente.

Sempre Casula, a proposito della lingua sarda utilizzata scrive che “Vi è in Nurai, più che nei suoi precedenti romanzi in Lingua sarda, un suo personale, ampio e corposo tentativo di censimento, di scavo, di esplorazione, di ricerca, di studio e di sperimentazione di un progetto di Limba, unificata, standardizzata e sovraordinata, una sorta di Koinè linguistica e ortografica”.

[Francesco Casula, Nurai: una paristoria meda intritzida de Gianfranco Pintore, Sardinna,rivista quadrimestrale bilingue di politica, cultura, economia, anno I, numero II, Nadale 2002, Alfa editrice, Quartu, pagine 89-91].

Scrive invece Giuseppe Marci, riferendosi a Pintore autore dei primi tre romanzi, Sardigna Ruja, Manzela e Su Zogu: ”Gianfranco Pintore insieme rappresenta la continuità della tradizione narrativa sarda e un punto di rottura significativo. Scrittore a tesi, animato da una forte carica ideologica, non di rado pronto a sacrificare le esigenze dell’arte in nome del principio che intende affermare, sembra essere un diretto erede di quegli autori ottocenteschi che miravano attraverso i loro romanzi, alla proposta di una immagine nuova e positiva della Sardegna. […].

Ma d’altra parte egli è anche un innovatore che lavora sullo strumento linguistico, rinunciando nelle prime due opere, al conforto della lingua letteraria, per imboccare l’aspro sentiero dell’italiano regionale sardo e riprodurre le forme del parlato quotidiano e nell’ultima optando risolutamente per l’impiego del sardo”.

[Giuseppe Marci, Gianfranco Pintore: continuità e rinnovamento nella letteratura sarda, La Grotta della vipera, rivista trimestrale di cultura, anno sedicesimo, nn.50-51, 1990].

ANALIZZARE

Il romanzo si intride della stessa cronaca, si nutre di dati e vicende politiche e pubbliche attuali o comunque recenti, in modo particolare del cosiddetto complotto separatista di qualche decennio fa, ovvero de sa rebellia autonomista contra su Guvernude su grustiu de zente – a su chi s’ischiat in Romachi zughiat in conca de pesare burdellu in Sardinna pro che istacare sa Sardinna dae s’Istadu (del complotto autonomista contro il Governo…di un gruppo di persone – così almeno si sapeva a Roma – che aveva in mente di creare disordini in Sardegna per staccare la Sardegna dallo Stato).

Nel passo citato è messa in risalto una precisa e autentica ambientazione sarda, che pur nella sobrietà riesce a fissare con efficacia luoghi, costumi e personaggi, sia dal punto di vista fisico che psicologico: il vecchio Anania, unu chi petzi su connotu aìat fatu saviu (uno fatto saggio solo dalle usanze); Mintonia (Maria Antonia), una giovane militante nazionalista sarda che studia a Cagliari: cun sos pilos nieddos, longos finas a palas…sa manu nervosa…su tucru longu e benas inchietas (I capelli neri, lunghi fino alle spalle…una mano nervosa…il lungo collo e vene stizzite). Che quando ride cunsas lavras longas e prenas…scopre duas filas de prendas biancas (colle labbra lunghe e piene…due file di perle bianche). Ma sos ogros, issos non fint riende e ant iscoviadu, prus de sas allegas, s’astiu chi sa pitzoca teniat in corpus (Ma gli occhi non sorrisero, mostrando anzi, più delle parole, un astio che la ragazza aveva in corpo).

Astio contro chi viene da Roma per fare le indagini: issos falant che gurturzos petzi cando intendent fragu de petza pudinde. Sighint s’arrastu de sa morte mala in antis chi b’apat arrastu…( loro scendono come avvoltoi solo quando sentono tanfo di carne marcia. Seguono il sentore della mala morte ancor prima che ci sia l’odore…).

Come si sarà capitoNuraiè un romanzo scritto in Sardo: con esso Pintore prosegue l’esperienza e la sperimentazione linguistica intrapresa con Manzela e Su Zogu.

Un Sardo che l’autore ben conosce e padroneggia, curvandolo e piegandolo a suo piacimento, con sicurezza anche quando affronta temi che riguardano “sa modernidade(la modernità) : come aveva del resto fatto in particolare anche con Su Zogu, parlando direbellias telematicas, (ribellioni telematiche), cavos otticos (cavi ottici),carculadores (computer), enerzia atomica (energia nucleare).

La Lingua che viene “sperimentata” risulta insieme ricca e sobria, concisa ed espressiva. C’è inoltre da sottolineare che sulla sua scrittura, – secca ed essenziale, quasi scarnificata, con la narrazione che procede per sintesi serrate e condensate, senza eccessive divagazioni – ha sicuramente influito il suo mestiere di giornalista della carta stampata nonché i suoi telegiornali e servizi televisivi in genere, in lingua sarda.

E ciò comunque non vuol dire che il suo linguaggio sia sbrigativo e tanto meno trasandato. Anzi: Pintore infattial lessico come alla tessitura del discorso narrativo – un racconto lungo in discontinuità con i Contos” tradizionali in sardo – dedica cura, attenzione e studio.

FLASH DI STORIA-CIVILTA’

-I libri di narrativa in lingua sarda.

Antoni Arca (in Benidores, Literatura, limba e mercadu culturale in Sardigna, Condaghes editore, Cagliari 2008) ha censito i libri di narrativa in lingua sarda pubblicati in meno di 30 anni.

Nei primi dieci anni (1980-1989) le pubblicazioni sono state 22, fra cui 11 romanzi.

Il primo a rompere il ghiaccio della incomunicabilità fra la lingua sarda e il romanzo (quella con il racconto, soprattutto orale non c’è mai stata) è Larentu Pusceddu con S’àrvore de sos tzinesos. Il libro scatenò, quando uscì nel 1982, una lunga querelle letteraria che ebbe per alcuni il merito e per altri la colpa di portare alla ribalta la questione della lingua sarda.

Tra i romanzi pubblicati nel decennio 1980-1989, oltre a quelli già ricordati in questa Letteratura (Sos Sinnos di Michelangelo Pira;Mànnigos de memoria di Antonio Cossu; Po cantu Biddanoa di Benvenuto Lobina; S’Istoria, Condaghe in limba sarda di Frantziscu Masala e su Zogu di Zuanne Frantziscu Pintore, da menzionare sono Su traballu est balore (1984) di Francesca Cambosu; Alivertu (1986) di Mario Puddu e Sas gamas de istelai (1988) di Albino Pau (ripubblicati ambedue nel 2004 da Condaghes editore).

Nei secondi dieci anni (1990-1999) le pubblicazioni sono più che raddoppiate: dalle 22 del primo decennio passano a 57.

Da ricordare –fra gli altri – i seguenti romanzi: Su contu de Piricu di Mario Sanna (1990); Mastru Taras (1991) diLarentu Pusceddu; Su Zuighe in cambales ((1992) di Gigi Sanna; i romanzi in gallurese: Di stenciu a manu mancina (1993) di Giancarlo Tusceri e Lu bastimentu di li sogni di sciumma (1997) di Giuseppe Tirotto e Sciuliai Umbras (1999) di Ignazio Lecca, in campidanese.

Fra i “Contos-racconti”, di particolare interesse Nadale (1990) di Diego Corraine; Sa memoria e i sos contos (1991) di Giulio Albergoni; Contos de s’antigu casteddu (1994) di Salvatore Patatu; Contos de bidda mia (1995 di Salvator Angelo Spanu; Contus (1998) di Franca Marcialis; Is contus de nonna Severina-contus de forredda (1999) di Maria Assunta Cappai.

Nei terzi dieci anni (2000-2007) le opere narrative in sardo sono ben 107. Si casi otanta titulos in binti annos, nos sunt partos cosa manna – scrive Antoni Arca – prus de chentu in nemmancu in sete annos, ite sunt? Fatzile: sa proa de l’acabbare de nàrrere chi sa narrativa in sardu galu no esistit. Una narrativa in sardu b’est, e como toccat a l’istudiare, sena pensare de àere giai in butzaca su modellu pro l’ispertare, ca, comente amus cunsideradu dae su 1980 a su 1999, in sardu sunt istados iscritos contos e romanzos chi tocant onni genere e onni edade, cun resurtados de onni manera, dae òperas feas a òperas bellas, passende pro unu livellu medianu de bona legibilidade (Se quasi 80 titoli in 20 anni ci sono sembrati una gran cosa – scrive Antonio Arca – più di 100 in meno di sette anni, che cosa sono? Chiaro: la dimostrazione che occorre smetterla di dire che una narrativa in Lingua sarda non esiste ancora. Una narrativa in sardo c’è e ora occorre studiarla, senza pensare di avere in tasca un modello da interpretare, perché, come abbiamo analizzato per il periodo 1980-1999, in sardo sono stati scritti racconti e romanzi che attengono a ogni genere e a ogni età, con risultati diversi: con opere mediocri ma anche belle, e dunque complessivamente con un livello medio di buona qualità).

Tra i 107 titoli, a parte quelli già ricordati in questa Letteratura (di Benvenuto Lobina, Francesco Masala, Franciscu Carlini, Zuanne Frantziscu Pintore, Michelangelo Pira, Paola Alcioni e Antonimaria Pala) sono molti quelli degni di menzione (e solo lo spazio limitato impedisce di ricordarli tutti) fra gli altri, i romanzi:

-Carrela ‘e puttu,Presones de lussu (2000), S’Iscola de Mara (2002), Pissighende su tempus benidore. S’istoria fantastica de sa Sardigna in su XXI seculu -2001-2100 (2003) e Chenabraghetta (2005) di Nino Fadda;

-S’Isula de is canis. De s’arreumi a sa democrazia intre sa beccia e sa noa economia (2000), Contus de fundamentu. De candu sa luxi fudi scura, a candu su scuriu es luxenti (2003), Arega-pon-pon. Tempus de pintadera (2007) di Francu Pilloni;

Una frabigga di sogni (2001) di Gian Paolo Bazzoni; Corte soliana (2001) di Marina Danese; Su belu de sa bonaura (2001) e Dona Mallena (2007) di Larentu Puxeddu; L’umbra de lu soli (2001) e Comenti óru di nèuli…(2002) di Giuseppe Tirotto; Su deus isculzu (2002) di Pitzente Mura; Is cundannaus de su sàrtidu (2003) di Sandro Chiappori; Su cuadorzu (2003) e Sa gianna tancada (2005) di Nanni Falconi; S’arte e sos laribiancos.Lìttera a Tziu Frantziscu (2003) di Bustianu Murgia; Sa sedda de sa passalitorta (2004) di Gonario Carta Brocca; Nania. Sa pitzinna chi benit dae su nuraghe (2004) di Maria Lucia Fancello; Meledda (2005) di Mariangela Dui; S’àrvule de sos sardos (2005) di Micheli Ladu; Antonandria (2006) di Paulu Pillonca; Sos de Parte “Tzier” (2007) di Costantina Frau.

Fra gli autori di “Contos e faulas-racconti e favole” di rilievo sono: S’arrisu de s’Arenada (2000) di Matteo Porru; Deu sciu unu contu (2000) di Ettore Sanna e Maria Bonaria Lai; A bassi veri (2001) e Raighinas (2003) di Nino Fois; Contus e contixeddus (2002) di Ugo Dessy; Contos e cantilenas (2002) di Maria Teresa Pinna Catte, Maria Lucia Fancello, Silavana Comez; Contos de Foghile (2003) di Francesco Enna; Contixeddus Cuatesus (2003) e S’anima de Cuattu. Is arregodus e sa lingua (2006) di Giusi Ghironi e Mariano Staffa; Contos e faulas (2003) diMario Puddu, Matteo Porru, Teresa Scintu, Giovanna Elies, Pinuccio Canu; Sos contos de Torpenet.Cuncursu de literadura sarda in su Web (2004) di AA. VV.; Apedala dimòniu! (2004) di Amos Cardia; Memorias de Marianu (2004) di Giuseppe Puxeddu; Contus antigos (2005) di Josto Murgia; Ite timende chi so (2005) di Antonietta Zoroddu; Conti pa Pitzinni (2006) di Fabritziu Dettori; Sa paristòria de Bachis (2006),di Francesco Cheratzu.

L’elenco potrebbe continuare: per intanto con le opere narrative pubblicate dal 2007 fino ad oggi, che sono moltissime. Ricordo A ballu tango di Antoni Arca, Su calarighe di Stefania Saba, pubblicati da Condaghes che, insieme a Papiros di Nuoro, Domus de janas di Cagliari, Grafica del Parteolla di Dolianova e Alfa di Quartu, è l’editore specializzato nelle pubblicazioni in sardo e in gallurese.

L’Alfa editrice – fra l’altro – negli ultimi anni ha pubblicato nella variante campidanese e logudorese ma anche in Limba sarda comuna (LSC), due collane, rivolte in modo particolare al mondo della scuola: S’Iscola (15 volumi di Contos e paristorias) e Omines e feminas de gabbale (15 monografie su personaggi sardi illustri: Gratzia Deledda, Emiliu Lussu, Leonora d’Arborea, Antoni Gramsci, Antoni Simon Mossa, Frantziscu Masala, Zuanne Maria Angioy, Amsicora, Marianna Bussalai, Giuanni Battista Tuveri, Sigismondo Arquer, Giuseppe Dessì, Montanaru, Egidio Pilia, Gratzia Dore).

-Sa limba sarda comuna

Dopo l’incerto procedere, fra molte incomprensioni e non pochi pregiudizi, che accompagnò una prima proposta di standardizzazione della lingua, dal 2006 la Regione si è dotata di Sa limba sarda comuna,uno standard linguistico per i documenti in uscita dall’Amministrazione e di riferimento per le decine di varietà del sardo. Si tratta non di un cocktail di varianti ma di una lingua effettivamente parlata nel centro dell’Isola, qualcosa che sta al sardo come il lucchese stava all’italiano nascente.

La Limba Sarda Comuna (LSC) è stata adottata sperimentalmente dalla Regione Autonoma della Sardegna con Delibera di Giunta Regionale n. 16/14 del 18 aprile 2006 (Limba Sarda Comuna. Adozione delle norme di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita dell’Amministrazione regionale) come lingua ufficiale per gli atti e i documenti emessi dalla Regione Sardegna (fermo restando che ai sensi dell’art. 8 della Legge 482/99 ha valore legale il solo testo redatto il lingua italiana), dando facoltà ai cittadini di scrivere all’Ente nella propria varietà e istituendo lo sportello linguistico regionale Ufitziu de sa limba sarda.

Anche gli avversari della LSC le riconoscono grandi meriti. Ecco cosa scrivono: ”Per la prima volta nella storia della Regione Autonoma Sarda essa si dota di norme per la lingua scritta. Ciò vuol dire che:
– La Sardegna ha una lingua (che non è un dialetto dell’italiano): già questo è un fatto che persino a molti sardi suonerà come una grande novità, se pensiamo alla scarsa considerazione che il sardo ha in molti ambienti geografici e sociali.

Questa lingua:

– è ufficiale (poiché è deliberata dalla Giunta): quindi non è un mezzo di espressione per soli poeti, scrittori o estimatori, ma può esprimere anche gli atti della politica e ha un’importanza sociale e non solo letteraria;

– vuole rappresentare una “lingua bandiera”, uno strumento per far crescere in tutti i sardi il sentimento dell’identità: è una maniera forte per sottolineare il binomio fra lingua e identità, che non può essere rotto ma che oggi s’è fatto molto debole, perché il bombardamento culturale (“la lingua italiana è meglio del dialetto sardo”) è riuscito quasi del tutto a lasciarci solo un’identità mista, incerta e quasi a rompere il filo che ci lega alla storia della nostra terra e alla nostra gente;

– vuole seminare il terreno per una rappresentanza regionale nel Parlamento europeo come espressione di lingua minoritaria: questo ci darebbe il diritto di avere un eurodeputato sardo senza doverlo disputare con la Sicilia, perdendolo sempre per motivi demografici;

– vuole essere sperimentale, dunque potrà essere ampliata, corretta e arricchita con gli aggiustamenti più opportuni: pensiamo che questo sia positivo soprattutto per quelli che non saranno contenti e non si sentiranno rappresentati pienamente dalla variante scelta dalla commissione, giacché gli darà modo di intervenire con proposte di modifiche e miglioramenti;

– non vuole eliminare le varianti linguistiche parlate e scritte nel territorio sardo, anzi si pone al loro fianco nel compito che la regione si assume di difenderle, valorizzarle e diffonderle: questo punto è buono in generale, come dichiarazione di impegno, nonostante non si dica in che modo la regione lo metterà in pratica nella realtà;

A queste considerazioni di valore senza dubbio positivo, che sono dichiarate nella stessa delibera, ci pare di poterne aggiungere altre due che ci sembrano di non poco conto:

– potrebbe riavvicinare all’uso del sardo l’Amministrazione Pubblica: ciò sarebbe positivo nel senso che gli impiegati e i funzionari pubblici che spesso usano l’oscurità della lingua burocratica per ritagliarsi la loro quota di potere (grande o piccola che sia a seconda dell’importanza che hanno nella gerarchia), riprendendo a utilizzare il sardo potrebbero riavvicinarsi alla popolazione, soprattutto alle fasce deboli dei vecchi e dei poco acculturati, aiutandoli a sentirsi più considerati e tutelati;

– potrebbe avvicinare al sardo le generazioni di giovani che non hanno mai conosciuto la lingua, sia perché sono figli di continentali che non parlano il sardo, sia perché sono figli di sardi che hanno preferito non insegnargliela per qualsivoglia ragione”.

[Documento degli studenti sulla lingua standard-Limba sarda comunna, deliberata dalla Giunta regionale, Università degli studi di Cagliari, Corso di laurea in Scienze della formazione primaria-Master Universitario di II livello in “Approcci interdisciplinari alla didattica del sardo”, Cagliari 12-Giugno-2006, pagine 22-23].

Lettura [testo tratto da Morte de unu Presidente di Zuanne Frantziscu Pintore, Ed. Condaghes, Cagliari 2007, pagine 7-8]

” […] Est abarradu s’urtimu a tancare sa domo, in su guturinu chi finas a note fata est istada corte de istentu e de tzarra pro trampare s’ora. Che a sos ateros seros, s’urtimu puru aiat bufadu pagu, tzarrende e ascurtande, chirchende de non fàghere rùghere mai s’arresonu, pro no lassare s’àidu abertu a sas allegas de su dispatzu: “Be’, no at a èssere ora de recruire?”. Ma s’àidu, in fines, s’est serradu sa note puru e tando at chircadu abidentemente non s’imbriaghera, ma cussa gasta de intontimentu chi amàniat su cristianu a su sonnu. Su sonnu, mancari gasi, si l’at dèpidu gherrare, sèdidu in su letu, leghende sas ùrtimas pàginas de su cartulàriu chi cussas dies e notes aiat prenadu, sos ogros currende in fatu de paràulas isseberadas cun cùidu e sa mente bullugiada, firma in sos pessamentos de semper. S’ùrtima ora chi aiat intesu toghende est istada sa de sas bator.

Mala a poderare, custa malancolia cumintzada paris chi, cun su portale, aiat tancadu duas chidas de cumpangia. Podiat mòvere paris cun sos àteros o pònnere cun issos s’addòviu in caminu a si bufare unu tzichete, su chi, bae e chirca, fiant faghende in s’ora sos cumpàngios, in antis de leare cada unu su caminu de domo. Su beru est chi non podiat fàghere a mancu de cuddu bullùgiu de su sàmbene, anneosu e belle gasi gradèssidu, chi fiat a grabu de nche iscantzellare mamentos de anneu e de fàghere largos sos de alligria.

Istene Demaias s’est istentadu in su gùturu intunigadu a biancu, mirende sos bator frores rujos e grogos crèschidos intro de muru e froridos cudda istade, caente che fogu, chi dae unas dies pariat imberta, tragiada dae su bentu de susu, fritu e possente, chi aiat carradu nues nigheddas. At giradu sos ogros a fùrriu, disigende chi dae sas bentanas e dae sas giannas tancadas esserent essidos sinnos de presèntzias. Sàgamu sàgamu est andadu a su cabu de sa carrera, abistende su puntu a susu chi deviat piligare Nurai, comprende pro si lu leare in fatu. A manu manca, in sa pratzita, pitzinneddos fiant gioghende, inghiriados dae isbùfidos de pùere pesados dae su bentu. At ghetadu unos passos cara a giosso e s’est sèdidu pessamentosu in s’istrada longa de granidu, ghetende un’ograda a sa gianna mèscrina de ferru de su magasineddu de Boelle Asprone. In cue fiant agabados in glòria su prus de cussos seros, chirchende de cumprèndere cussa istòria maladita de Annesa e a bellu a bellu lassinende sos arresonos cara a cosas prus pagu tristas” […].

Traduzione

Fu l’ultimo a chiuder casa, nel viottolo che fino a notte tarda era stato corte di veglia e di chiacchiere per ammazzare il tempo. Come le altre sere, anche quell’ultima aveva bevuto poco, discorrendo e ascoltando, cercando di non far mai cadere il discorso, per non lasciare una breccia aperta a parole di congedo: “Bene, non sarà ora di ritirarci?”. Ma il varco, alla fine, si aprì anche quella notte e cercò allora con impegno non la sbronza, ma quella sorta di intontimento che predispone un cristiano al sonno. Il sonno, però, se lo dovette faticare, seduto a letto, leggendo le ultime pagine del quaderno che aveva riempito quelle notti e giornate, gli occhi che scorrevano le parole cercate con impegno e la mente smarrita, fissa sui pensieri di sempre. L’ultima ora che sentì rintoccare fu quella delle quattro.

Brutta da resistere, questa malinconia cominciata non appena che il portone si era chiuso alle spalle due settimane di compagnia. Avrebbe potuto partire con gli altri o dar loro appuntamento per strada per bere insieme un goccio, ciò che, forse, gli amici stavano facendo in quel momento, prima di prendere, ciascuno, la strada di casa. La verità era che non poteva fare a meno di quel turbamento, molesto eppure gradevole, che era capace di cancellare ricordi di noia e di ingigantire i momenti di allegria.

Istene Demaias si fermò nel viottolo imbiancato, guardando i quattro fiori rossi e gialli cresciuti dentro il muro e fioriti quell’estate, calda come fuoco, che da qualche giorno sembrava dileguata, trascinata via dal maestrale, freddo e impetuoso, che aveva spinto nuvole nere. Si guardò intorno, struggendo dal desiderio che dalle finestre e dalle porte chiuse arrivassero segni di una qualche presenza. A passo lento andò all’inizio della strada, guardando la discesa che avrebbe preso Nurai, venendo a prenderlo. A sinistra, nella piazzetta, ragazzini giocavano, avvolti da sbuffi di polvere sollevati dal vento. Fece qualche passo nella discesa e si sedette, pensieroso, sul lungo sedile di granito, lanciando uno sguardo alla porta blu di ferro della cantina di Boelle Apsrone. Là dentro erano finite in gloria tante sere, cercando di venire a capo di quella maledetta storia di Annesa e poco a poco facendo scivolare i pensieri in cose meno tristi.

COMPRENDERE E VALUTARE:

Altre attività didattiche per lo studente

Approfondimenti

-Approfondisci, argomentando con le tue riflessioni, il tema della “standardizzazione” e “unificazione” della lingua sarda.

-Esprimi le tue opinioni in merito all’uso della lingua sarda nella scrittura di un romanzo, che affronta “la modernità”.

Confronti

Confronta qualche romanzo “noir” di Pintore con altri romanzi gialli di autori sardi – ma scritti in Italiano – che conosci ed esprimi le tue valutazioni anche in relazione al diverso clima di suspence che possono aver suscitato in te.

Ricerche (anche a mezzo Internet)

Servendoti anche di Internet registra e censisci gli autori che hanno scritto romanzi in lingua sarda negli ultimi 30 anni.

Bibliografia essenziale

Opere dell’Autore

Sardigna ruja, Ed. Sa nae, Nuoro 1981.

Manzela, Ed. Castello, Cagliari 1984.

Sardegna sconosciuta, Ed. Rizzoli, Milano 1986.

Su zogu, Ed. Papiros, Nuoro 1989.

-La sovrana e la cameriera, Ed. Insula.

La Caccia, Ed. Zonza, Cagliari 2000.

Nurai, Ed. Papiros, Nuoro 2002.

Morte de unu Presidente, Ed. Condaghes, Cagliari 2007.

Sa losa de Osana, Ed. Condaghes, Cagliari, 2009.

Il grande inganno, Ed. Condaghes, Cagliari, 2011.

Opere sull’Autore

-Salvatore Tola, La letteratura in lingua sarda, Testi, autori, vicende, Ed. Cuec, Cagliari 2006.

-Giuseppe Marci, In presenza di tutte le lingue del mondo- Letteratura sarda, Ed. Cuec Cagliari 2005.

-G-      -Giuseppe Marci, Narrativa sarda del Novecento – Immagini e sentimento dell’identità,

Ed. Cuec, Cagliari 1991.

 

   *Tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna, di Francesco Casula, volume II, pagine      234-245, Edizioni Grafica del Parteolla, Dolianova, 2013, Euro 20.

 

Amentende a Giuanne Frantziscu Pintore

GIANFRANCO PINTORE 

Il giornalista, saggista e scrittore bilingue e identitario (1939-2012)

Gianfranco Pintore nasce ad Irgoli (Nuoro) il 31 agosto 1939. Nel 1951 lascia la Sardegna. A Firenze frequenta il ginnasio, il liceo classico e si iscrive all’Università. Ha in testa un’idea: la laurea non serve per il mestiere di giornalista che vuol fare e fa gli esami che gli interessano: in Architettura con Ludovico Quaroni, in Scienze politiche con Giovanni Spadolini, di Giurisprudenza. Intanto, a partire dal 1962 fa il “volontario di cronaca” nella redazione fiorentina di “L’Unità” e nel 1965 è chiamato alla redazione centrale a Roma, per la quale lavora prima nella sezione cronaca e quindi in quella degli esteri. È inviato speciale e per un certo periodo corrispondente da Varsavia. Dopo le sue dimissioni da ”L’Unità” in seguito all’invasione della Cecoslovacchia, lavora nel settimanale “Mondo Nuovo e quindi, a Milano, nel settimanale “Abc come inviato e infine come redattore capo.

Nel 1973 stipula con la casa editrice Mazzotta di Milano un contratto per la redazione di un saggio che l’anno successivo è pubblicato con il titolo “Sardegna: regione o colonia?”. È lo studio del rapporto conflittuale fra la comunità di Orgosolo e lo Stato, giocato fra storia, tradizione orale, testimonianze, ed è anche la ricerca di quanto Orgosolo rappresentasse lo spirito dell’intera Sardegna, di quanto in altre parole la Sardegna potesse sentirsi rappresentata dal sentimento comunitario del paese, altrimenti e altrove descritto come “il paese dei banditi”.

All’uscita del libro decide di restare in Sardegna, come corrispondente di “L’Espresso” di Eugenio Scalfari prima e successivamente di “Tempo illustrato” di Lino Jannuzzi. Lavora anche per “La Nuova Sardegna” di cui fa l’inviato e conduce una serie di campagne di stampa. Quella per il bilinguismo e quella per la Zona franca gli costerà il licenziamento in tronco per richiesta esplicita di un dirigente di partito decisamente contrario e all’uno e all’altra. Dirige a Nuoro la prima, e per ora unica, radio libera bilingue, “Radiu Supramonte” e fonda a San Sperate il mensile “Sa Sardigna”, anch’esso bilingue.

Nel 1981 esce il suo romanzo in italiano Sardigna ruja, storia della contrastata industrializzazione forzata delle Terre interne della Sardegna che ha come effetto il sorgere di una banda guerrigliera che dà il nome al romanzo. A questo fa seguito, nel 1984, Manzela, romanzo in italiano sugli effetti che il conflitto fra codice italiano e legge consuetudinaria ha sulla vita di un giovane intellettuale e della sua compagna, Manzela (Mariangela).

Dalla seconda metà degli anni Ottanta alla prima metà del decennio successivo a Cagliari dirige il periodico del Partito sardo d’azione “Il Solco”. Nel frattempo, nel 1986, pubblica con Rizzoli Sardegna sconosciuta, un viaggio in cento tappe all’interno della civiltà dei sardi per raccontare a turisti curiosi l’altra faccia, quella più intima e insolita, di un’isola prevalentemente visitata per le sue spiagge (una seconda edizione, riveduta e corretta, è pubblicata, sempre da Rizzoli, nel 2001).

Nel 1989 il suo romanzo Su Zogu ottiene il premio Casteddu de sa Fae di letteratura in lingua sarda : in un futuro non molto lontano, in una Sardegna divisa tra Coste e Terre interne, un gruppo di giovani si ribella alla dittatura paternalistica imposta al centro dell’isola. Nel 2000, con il titolo La caccia, ne esce la traduzione in italiano.

Nel 1996, pubblica il saggio sul federalismo La sovrana e la cameriera, titolo evocativo del rapporto esistente fra l’autogoverno pieno che avrebbe dovuto realizzare i diritti storici della Sardegna in quanto nazione e l’autonomia storicamente realizzatasi in Sardegna.Tornato a Nuoro, dirige l’emittente bilingue “TeleSardegna”, per la quale cura anche il primo telegiornale in sardo, Telediariu, e fa l’editorialista per il quotidiano “L’Unione sarda”.

Nel 2002, pubblica il romanzo in sardo “Nurai”. Nel 2006, insieme a Natalino Piras e a Giulio Angioni, pubblica il volume Lula. Nel 2007 scrive un altro romanzo in lingua sarda Morte de unu Presidente, un noir che prende le mosse dall’assassinio del Presidente della Regione sarda. Sembra un omicidio a sfondo sentimentale ed è ben altro. Nel 2009 pubblica un altro romanzo in lingua sarda Sa losa de Osana (La stele di Osana).

Nel 2011 scrive il suo ultimo romanzo, Il grande inganno, in italiano.

Muore a Orosei il 24 settembre 2012, dopo una lunga malattia.

 

Presentazione del testo [passo tratto dal romanzo Nurai, Ed. Papiros, Nuoro 2002, pagine 12-15) ]

 

Con il romanzo Nurai, una storia di spie e omicidi, ambientata nella Sardegna degli ultimi anni, Pintore continua la sua esperienza di autore di romanzi gialli dopo Sardigna Ruja – in cui uscendo dai canoni tradizionali del folklore, analizza e approfondisce i codici di comportamento di un popolo –  ma soprattutto dopo Manzela – in cui l’autore ha voluto mostrare il contrasto fra le due leggi, quella italiana e quella sarda, e il travaglio esistenziale che ne deriva –  e in parte anche dopo Su Zogu, anche se questo è più ascrivibile al romanzo fantascientifico.

Una storia quella di Nurai  – nella quale Pintore riesce a trovare una mediazione stilistica fra il saggio e il romanzo – molto intritzida (complessa, intricata) e avvincente, con decine di morti, di feriti, di incidenti, di bombe. Così intritzida che solo nell’ultima parte del romanzo s’isboligat totu su misteriu (si chiarisce, si dipana, tutto il mistero) tanto da far dire all’Autore che la vicenda est comente cuddos contos de Shakespeare chi agabant cun sa morte de totu sos pessonarzos  (è come i racconti di Shakespeare che terminano con la morte di tutti i personaggi). Con intrecci che hanno inizio, si interrompono, si spezzano. Con personaggi –poliziotti maschi e femmine, carabinieri, bandititi e ladri, giornalisti e generali, giovani e belle ragazze, militanti nazionalisti e persino un deputato autonomista e un primo Ministro italiano – che si cercano, si fuggono, si perdono e si ritrovano, in una inesauribile girandola di avventure e di intrighi.

      Pintore in Nurai almanacca, racconta e rappresenta la Sardegna reale, con i suoi drammatici problemi. nuovi e antichi, in cui allo specifico locale e identitario si sovrappone la ”modernità”, arrivata dall’esterno: Sas bases militares e Maschinganna (Le basi militari e “Maschinganna”: un poligono militare segreto); su traficu burdellosu e sena ordine e sas trumbas de sas veturas, impressadas e nevroticas, chimente in Zordania o Maroco (il traffico chiassoso e disordinato e i clacson delle auto frettolose e nevrotiche come in Giordania o Marocco); sas fileras de machinas longas cantu sa carrela (le file delle macchine lunghe come un’intera strada); sos palatos inieddados dae su gas de sas machinas (i palazzi anneriti dall’inquinamento dei gas delle auto); sas duas turres de sa fabrica de Otana chi ghetant lughes tabachinas e fumu biancu contra a sas nues (le due ciminiere della fabbrica di Ottana che mandano luci color tabacco e fumi bianche verso le nuvole); sas iscritas mannas in sos mureddos e in sas rocas contra a unu Parcu (le scritte cubitali nei muri e nelle rocce contro un Parco).

 

 

NURAI E MINTONIA

[…] Nurài aìat ascurtadu sena si tremer, pigadu dae sas paraulas de tiu Valurta. Non cumprendiat ite bi pitzigaiat su contu cun sos fatos chi l’interessaiant, ma cudd’òmine l’aìat incantadu. Seidu in su tupeddu de fèrula acurtzu a sa tziminera pintada de ruju, sas palas semper tèteras sena unu mamentu de istrachitùdine, Naniu1 Valurta depiat esser unu chi petzi su connotu aìat fatu saviu.”Mi diat agradare a li pregontare si at ascurtadu mai unu telediariu” at atinadu Nurài. Sa televisione fit alluta dae cando fit intradu a cudda coghina e fit gasi bassa chi azomài mancu nd’essiat sonu. Ghetende una mirada pagu cuidada, at bidu sa locudora moende sas lavras e deretu a pustis sas imàzines de una tzitade. L’at reconnota deretu s’arvorada de Sarajevo. E un’òmine, chi a sos tempos aìat intervistadu unu bene de bias, pesende sas manos in artu e riende. “Tando bi l’at fata a bincher torra, tiu Isetbegovic” at murmutadu. In sa domo pariat non b’aeret àtera zente in prus de sos tres òmines. Ma — l’aìat imparadu àteras bias bisitende Orgovèi2  — in medas domos sa televisione abarraiat semper alluta. Comente chi esseret unu servitziu dèpidu a s’istranzu: tocaiat a isse leare su pessu de artiare s’audiu e de si pompiare su chi l’agradaiat o de la dassare comente fit e istoriare paris cun sos meres de domo.

“Bisse'”3 at mutidu tiu Naniu. E comente chi esseret isetende cussa boghe, dae palas de sa zanna est intrada una fèmina in beste niedda, sos pilos cuados dae unu mucadore tabachinu bene presu chi li faghiat cuadru a sa cara lisa de una de binti annos, mancari nd’aeret tentu nessi duas bias.

“Ue’, Boe’4. Inoghe sezis?” at naradu issa a Boelle e l’at porridu sa manu a Nurài. “E s’istranzu, sanieddu sezis?”

“Gheta·lis a biber” at ordinadu su betzu. E deretu una zòvana est intrada cun una safata in manos chi b’aìat tres tzìcheras e una tziculatera nuscosa de cafè essinde.

“Ue'” at saludadu. “E tando, nant chi ses unu zornalista. Ello, mortos a sas bistas b’at?” at naradu, acurtziende·li sa safata cun sa tzìchera prena. Su tonu fit de brulla, sas paraulas fint zustas zustas sas chi cheriat narrer.

“Si no nd’ischis tue chi ses de sa bidda” l’at torradu isse, cun su matessi tonu de brulla.

S’est posta a rier e sas lavras longas e prenas si sunt abertas iscuguzende duas filas de prendas biancas. Ma sos ogros, issos non fint riende e ant iscoviadu, prus de sas allegas, s’astiu chi sa pitzoca teniat in corpus. Boelle puru si nd’est sapidu: “Minto’5, est s’istranzu meu, Nurài” l’at fatu a murru tostu, comente pro lordinare a la segare in curtzu. Sa chi tiu Naniu aìat mutidu Bissenta, at bogadu tres tzichetes e un’ampulla de abardente dae unu rebustu lùghidu che bidru e est essida saludende: “Istentade·bos”.

“Boe’, no as a esser su primu nen s’ùrtimu chi trampant, custos” l’at torradu Mintònia, issa puru a murru postu. “Ite lis interessat a issos? Benint a inoghe cun sa conca prena de ideas belle cuncordadas in antis de moer e a sa furca su beru si s’atrivit de cuntrastare sos prezudìtzios issoro.” Sas paraulas nche l’essiant arrajoladas sena mancu fagher mustra, como, de esser allegas de brulla. Sos pilos nieddos, longos finas a palas, mòidos cun sa manu nervosa, ant mustradu su tugru longu e benas inchietas. “E pessas chi benint pro contare in bonu sos problemas de bidda? Nono, issos falant che gurturzos petzi cando intendent fragu de petza pudende. Sighint s’arrastu de sa morte mala in antis chi b’apat arrastu…”

“Minto’, Mintònia ti naras, beru?” at naradu Nurài, agatende unu badu in cussu riu de allegas. “So de acordu cun tegus, meda prus de su chi podes pessare.”

“Ca tue ti pessas diferente dae sos àteros, marranu.”

“S’incapas so diferente o si podet dare lu pesso ebia. Ma, pro ite non l’averguas tue etotu? Non bi cheret mancu meda: bastat de lu legher su chi iscrio. Tando as a cumprender si sos gatos sunt totu murros ca los pòmpias a de note o si est a beru chi tenent totus su pannu murru. Salude” at naradu Nurài acurtziende a lavras sa tassighedda chi sa zòvana l’aìat prenadu de abardente.

“E bida” l’at torradu Naniu. “Mintònia est istudiende in Casteddu”6 at sighidu cun s’àera de li bogare còntigas a sa fiza.

“Nade, tiu Nani’, e it’est chi est capitadu in Gorthene?7 Tres annos como, mi paret chi azis naradu” at pregontadu Nurài.

“Una mortina est capitada. Unu burdellu mannu: tres mortos b’at àpidu sa die. Si sunt isparados a pare zustìtzia e bandidos nant chi fint: tres òmines nche los ant regortos in fustes birdes.”

“Su chi ant contadu zustìtzia e zornalistas” fit narende Mintònia cando est intrada un’àtera fèmina […].

 

  Note

1. Naniu: in Italiano Anania

2. Orgovei: nome di pura fantasia, che risponde, più che a un preciso paese sardo, a un “luogo dello spirito”, a una metafora. Per indicare che non solo Orgosolo – come il lettore di primo acchito potrebbe pensare – ma molti paesi sardi del Nuorese avrebbero potuto essere teatro delle vicende narrate.

3. Bissè: diminutivo del sardo Bissente, in italiano Vincenza.

4. Boè: diminutivo del sardo Boelle, in italiano Raffaele.

5. Mintò: diminutivo del sardo Mintonia, in italiano Maria Antonia.

6. Mintonia est istudiende in Casteddu (Mintonia sta studiando a Cagliari) dice il padre a Nurai, per significare che ormai la ragazza è fuori dall’ambiente del paese –no est de sos nostros, non è dei nostri insomma –   e per questo parla in quel modo. 

7. Gorthene: precisa località ubicata a Osposidda, dove avvenne uno scontro armato fra polizia e banditi con l’uccisione di tre persone.

 

 

Traduzione

Nurài aveva ascoltato in silenzio, affascinato dalle parole del vecchio Valurta. Non capiva che cosa c’entrasse il suo racconto con i fatti che a lui interessavano, ma quell’uomo l’aveva ammaliato. Seduto su un panchetto di ferula, accanto al caminetto verniciato di rosso, le spalle sempre impettite senza un cenno di stanchezza, Naniu Valurta era certo di quelli che solo la conoscenza delle usanze aveva fatto saggio.

“Mi piacerebbe chiedergli se ha mai dato ascolto a un telegiornale” pensò Nurài.

Il televisore era acceso da quando era entrato in quella cucina e il tono era così basso che quasi non ne usciva suono. Dandogli uno sguardo distratto, ha visto il movimento delle labbra della lettrice e subito dopo le immagini di una città. Riconobbe subito un viale di Serajevo. E vide un uomo, che in altri tempi aveva intervistato molte volte, levare le mani in alto e sorridere. “Dunque ce l’hai fatta a vincere ancora, vecchio Isetbegovic” , sussurrò.

In casa sembrava non ci fosse altra gente, oltre a loro tre. Ma – aveva imparato nelle altre occasioni in cui aveva visitato Orgovèi – in molte case il televisore rimaneva sempre acceso. Quasi fosse un servizio dovuto all’ospite: spettava a lui decidere di sollevare l’audio e di guardare ciò che più gli interessava o di lasciarlo così com’era e discorrere con i padroni di casa.

“Bissè” chiamò zio Naniu. E come se stesse aspettando quel richiamo, da dietro la porta entrò una donna vestita di nero, i capelli nascosti da un fazzoletto marrone ben legato che incorniciava un volto liscio di una ventenne, anche se certo avesse almeno il doppio di quegli anni.

“Uè, Boè. Qui siete?” disse a Boelle, porgendo la mano a Nurài. “E il forestiero, in salute siete?”

“Versate da bere agli ospiti” ordinò il vecchio. E subito una ragazza entrò con un vassoio in mano su cui erano tre tazzine e una caffettiera odorosa di caffè gorgogliante.

“Uè” salutò. “E dunque pare che sei un giornalista. Cos’è? morti in vista ci sono?” disse, avvicinandogli il vassoio con una tazzina piena. Il tono era scherzoso, le parole erano giusto giusto quelle che voleva dire.

“Se non lo sai tu che sei di qui” rispose lui, con lo stesso tono allegro.

Scoppiò a ridere e le labbra lunghe e piene si aprirono scoprendo due file di perle bianche. Ma gli occhi non sorrisero, mostrando anzi, più delle parole, un astio che la ragazza aveva in corpo. Anche Boelle se ne accorse: “Mintò, è mio ospite, Nurài” fece a muso duro, come per intimarle di farla finita. La donna che zio Naniu aveva chiamato Bissenta portò tre bicchierini e una bottiglia di acquavite tolta da un mobile di fòrmica luccicante e uscì salutando: “Trattenetevi”. “Boè, non sei il primo né sarai l’ultimo che imbrogliano, questi” rispose Mintònia, anche lei a muso duro. “Che cosa interessa a loro? Vengono qui con la testa piena di idee ben confezionate prima di partire e vada al diavolo la verità se osa contrastare i loro pregiudizi”. Le parole le uscivano furenti senza più far finta di essere frasi scherzose. I capelli neri, lunghi fino alle spalle, mossi da una mano nervosa, mostrarono il lungo collo e vene stizzite. “Pensi davvero che vengano qui per raccontare con interesse i problemi del paese? No, loro scendono come avvoltoi solo quando sentono tanfo di carne marcia. Seguono il sentore della mala morte ancor prima che ci sia l’odore…”

 “Mintò, Mintònia ti chiami, vero?” disse Nurài, trovando un guado in quel torrente di parole. “Sono d’accordo con te, molto più di quanto tu possa pensare.”

“Chiaro, perché tu ti credi diverso dagli altri.”

“Forse sono diverso e forse lo penso solamente. Ma perché non verifichi tu stessa? Non ci vuole molto: basta leggere quel che scrivo. Allora capirai se i gatti sono tutti scuri perché li guardi di notte o se davvero tutti hanno il pelo scuro. Salute” disse Nurài avvicinando alle labbra il bicchierino che la ragazza aveva riempito di acquavite.

“E vita” rispose Naniu. “Mintònia sta studiando a Cagliari” continuò con l’aria di trovare una qualche scusante alla figlia. “Ditemi, tiu Nanì, cos’è che è capitato davvero a Gorthene? Tre anni fa, mi pare che abbiate detto” chiese Nurài.

“Una strage è successa. Una gran confusione: ci sono stati tre morti, il giorno. Si sono sparati polizia e banditi, a quel che hanno detto: tre uomini, li hanno trasportati su barelle di rami verdi.”

“Questo è quello che hanno raccontato polizia e giornalisti” stava dicendo Mintònia, quando nella stanza è entrata un’altra donna.

 

Giudizio critico

Per Francesco Casula Nessuna sintesi può dare anche una sola pallida idea di Nurai: tanti e tali sono infatti le figure e i personaggi, gli episodi e le descrizioni paesaggistiche e ambientali di cui il romanzo di Gian Franco Pintore è tramato. E che si intrecciano con riflessioni personali – sul ruolo e sulla deontologia professionale del giornalista, per esempio – digressioni ragionanti, excursus etno-antropologici, immagini e metafore mutuate dalla vita rustica, soprattutto barbaricina che l’autore ben conosce e, direttamente.

Sempre Casula, a proposito della lingua sarda utilizzata scrive che “Vi è in Nurai, più che nei suoi precedenti romanzi in Lingua sarda, un suo personale, ampio e corposo tentativo di censimento, di scavo, di esplorazione, di ricerca, di studio e di sperimentazione di un progetto di Limba, unificata, standardizzata e sovraordinata, una sorta di Koinè linguistica e ortografica”.

[Francesco Casula, Nurai: una paristoria meda intritzida de Gianfranco Pintore, Sardinna, rivista quadrimestrale bilingue di politica, cultura, economia, anno I, numero II, Nadale 2002, Alfa editrice, Quartu, pagine 89-91].

Scrive invece Giuseppe Marci, riferendosi a Pintore autore dei primi tre romanzi, Sardigna Ruja, Manzela e Su Zogu: ”Gianfranco Pintore insieme rappresenta la continuità della tradizione narrativa sarda e un punto di rottura significativo. Scrittore a tesi, animato da una forte carica ideologica, non di rado pronto a sacrificare le esigenze dell’arte in nome del principio che intende affermare, sembra essere un diretto erede di quegli autori ottocenteschi che miravano attraverso i loro romanzi, alla proposta di una immagine nuova e positiva della Sardegna. […].

Ma d’altra parte egli è anche un innovatore che lavora sullo strumento linguistico, rinunciando nelle prime due opere, al conforto della lingua letteraria, per imboccare l’aspro sentiero dell’italiano regionale sardo e riprodurre le forme del parlato quotidiano e nell’ultima optando risolutamente per l’impiego del sardo”.

[Giuseppe Marci, Gianfranco Pintore: continuità e rinnovamento nella letteratura sarda, La Grotta della vipera, rivista trimestrale di cultura, anno sedicesimo, nn.50-51, 1990].

 

 

ANALIZZARE

Il romanzo si intride della stessa cronaca, si nutre di dati e vicende politiche e pubbliche attuali o comunque recenti, in modo particolare del cosiddetto complotto separatista di qualche decennio fa, ovvero de sa rebellia autonomista contra su Guvernude su grustiu de zente – a su chi s’ischiat in Romachi zughiat in conca de pesare burdellu in Sardinna pro che istacare sa Sardinna dae s’Istadu (del complotto autonomista contro il Governo…di un gruppo di persone – così almeno si sapeva a Roma – che aveva in mente di creare disordini in Sardegna per staccare la Sardegna dallo Stato).

Nel passo citato è messa in risalto una precisa e autentica ambientazione sarda, che pur nella sobrietà riesce a fissare con efficacia luoghi, costumi e personaggi, sia dal punto di vista fisico che psicologico: il vecchio Anania, unu chi petzi su connotu aìat fatu saviu (uno fatto saggio solo dalle usanze); Mintonia (Maria Antonia), una giovane militante nazionalista sarda che studia a Cagliari: cun sos pilos nieddos, longos finas a palas…sa manu nervosa…su tucru longu e benas inchietas (I capelli neri, lunghi fino alle spalle…una mano nervosa…il lungo collo e vene stizzite). Che quando ride cun sas lavras longas e prenas…scopre duas filas de prendas biancas (colle labbra lunghe e piene…due file di perle bianche). Ma sos ogros, issos non fint riende e ant iscoviadu, prus de sas allegas, s’astiu chi sa pitzoca teniat in corpus (Ma gli occhi non sorrisero, mostrando anzi, più delle parole, un astio che la ragazza aveva in corpo).

Astio contro chi viene da Roma per fare le indagini: issos falant che gurturzos petzi cando intendent fragu de petza pudinde. Sighint s’arrastu de sa morte mala in antis chi b’apat arrastu…( loro scendono come avvoltoi solo quando sentono tanfo di carne marcia. Seguono il sentore della mala morte ancor prima che ci sia l’odore…).

Come si sarà capito Nurai è un romanzo scritto in Sardo: con esso Pintore prosegue l’esperienza e la sperimentazione linguistica intrapresa con Manzela e Su Zogu.

 Un Sardo che l’autore ben conosce e padroneggia, curvandolo e piegandolo a suo piacimento, con sicurezza anche quando affronta temi che riguardano “sa modernidade (la modernità) : come aveva del resto fatto in particolare anche con Su Zogu, parlando di rebellias telematicas, (ribellioni telematiche), cavos otticos (cavi ottici),carculadores (computer), enerzia atomica (energia nucleare).

 La Lingua che viene “sperimentata” risulta insieme ricca e sobria, concisa ed espressiva. C’è inoltre da sottolineare che sulla sua scrittura, – secca ed essenziale, quasi scarnificata, con la narrazione che procede per sintesi serrate e condensate, senza eccessive divagazioni – ha sicuramente  influito il suo mestiere di giornalista della carta stampata nonché i suoi telegiornali e servizi televisivi in genere, in lingua sarda.

E ciò comunque non vuol dire che il suo linguaggio sia sbrigativo e tanto meno trasandato. Anzi: Pintore infatti al lessico come alla tessitura del discorso narrativo  – un racconto lungo in discontinuità con i Contos” tradizionali in sardo – dedica cura, attenzione e studio.

 

 

FLASH DI STORIA-CIVILTA’

 

-I libri di narrativa in lingua sarda.

Antoni Arca (in Benidores, Literatura, limba e mercadu culturale in Sardigna, Condaghes editore, Cagliari 2008) ha censito i libri di narrativa in lingua sarda pubblicati in meno di 30 anni.

Nei primi dieci anni (1980-1989) le pubblicazioni sono state 22, fra cui 11 romanzi.  

Il primo a rompere il ghiaccio della incomunicabilità fra la lingua sarda e il romanzo (quella con il racconto, soprattutto orale non c’è mai stata) è Larentu Pusceddu con S’àrvore de sos tzinesos. Il libro scatenò, quando uscì nel 1982, una lunga querelle letteraria che ebbe per alcuni il merito e per altri la colpa di portare alla ribalta la questione della lingua sarda.

Tra i romanzi pubblicati nel decennio 1980-1989, oltre a quelli già ricordati in questa Letteratura (Sos Sinnos di Michelangelo Pira; Mànnigos de memoria di Antonio Cossu; Po cantu Biddanoa  di Benvenuto Lobina; S’Istoria, Condaghe in limba sarda di Frantziscu Masala e su Zogu di Zuanne Frantziscu Pintore, da menzionare sono Su traballu est balore (1984) di Francesca Cambosu; Alivertu (1986) di Mario Puddu e Sas gamas de istelai (1988) di Albino Pau (ripubblicati ambedue nel 2004 da Condaghes editore).

Nei secondi dieci anni (1990-1999) le pubblicazioni sono più che raddoppiate: dalle 22 del primo decennio passano a 57.

Da ricordare –fra gli altri – i seguenti romanzi: Su contu de Piricu di Mario Sanna (1990); Mastru Taras (1991) di Larentu Pusceddu; Su Zuighe in cambales ((1992) di Gigi Sanna;  i romanzi in gallurese: Di stenciu a manu mancina (1993) di Giancarlo Tusceri e Lu bastimentu di li sogni di sciumma (1997) di Giuseppe Tirotto e Sciuliai Umbras (1999) di Ignazio Lecca, in campidanese.

Fra i “Contos-racconti”, di particolare interesse Nadale (1990) di Diego Corraine; Sa memoria e i sos contos (1991) di Giulio Albergoni; Contos de s’antigu casteddu (1994) di Salvatore Patatu; Contos de bidda mia (1995 di Salvator Angelo Spanu; Contus (1998) di Franca Marcialis; Is contus de nonna Severina-contus de forredda (1999) di Maria Assunta Cappai.

Nei terzi dieci anni (2000-2007) le opere narrative in sardo sono ben 107. Si casi otanta titulos in binti annos, nos sunt partos cosa manna –  scrive Antoni Arca – prus de chentu in nemmancu in sete annos, ite sunt? Fatzile: sa proa de l’acabbare de nàrrere chi sa narrativa in sardu galu no esistit. Una narrativa in sardu b’est, e como toccat a l’istudiare, sena pensare de àere giai in butzaca su modellu pro l’ispertare, ca, comente amus cunsideradu dae su 1980 a su 1999, in sardu sunt istados iscritos contos e romanzos chi tocant onni genere e onni edade, cun resurtados de onni manera, dae òperas feas  a òperas bellas, passende pro unu livellu medianu de bona legibilidade (Se quasi 80 titoli in 20 anni ci sono sembrati una gran cosa – scrive Antonio Arca – più di 100 in meno di sette anni, che cosa sono? Chiaro: la dimostrazione che occorre smetterla di dire che una narrativa in Lingua sarda non esiste ancora. Una narrativa in sardo c’è e ora occorre studiarla, senza pensare di avere in tasca un modello da interpretare, perché, come abbiamo analizzato per il periodo 1980-1999, in sardo sono stati scritti racconti e romanzi che attengono a ogni genere e a ogni età, con risultati diversi: con opere mediocri ma anche belle, e dunque complessivamente con un livello medio di buona qualità).

Tra i 107 titoli, a parte quelli già ricordati in questa Letteratura (di Benvenuto Lobina, Francesco Masala, Franciscu Carlini, Zuanne Frantziscu Pintore, Michelangelo Pira, Paola Alcioni e Antonimaria Pala) sono molti quelli degni di menzione (e solo lo spazio limitato impedisce di ricordarli tutti) fra gli altri, i romanzi:

-Carrela ‘e puttu,  Presones de lussu (2000), S’Iscola de Mara (2002), Pissighende su tempus benidore. S’istoria fantastica de sa Sardigna in su XXI seculu -2001-2100 (2003) e Chenabraghetta (2005) di Nino Fadda;

-S’Isula de is canis. De s’arreumi a sa democrazia intre sa beccia e sa noa economia (2000), Contus de fundamentu. De candu sa luxi fudi scura, a candu su scuriu es luxenti (2003), Arega-pon-pon. Tempus de pintadera (2007) di Francu Pilloni;

Una frabigga di sogni (2001) di Gian Paolo Bazzoni; Corte soliana (2001) di Marina Danese; Su belu de sa bonaura (2001) e Dona Mallena (2007) di Larentu Puxeddu;  L’umbra de lu soli (2001) e Comenti óru di nèuli…(2002) di Giuseppe Tirotto; Su deus isculzu (2002) di Pitzente Mura; Is cundannaus de su sàrtidu (2003) di Sandro Chiappori; Su cuadorzu (2003) e Sa gianna tancada (2005) di Nanni Falconi; S’arte e sos laribiancos.Lìttera a Tziu Frantziscu (2003) di Bustianu Murgia; Sa sedda de sa passalitorta (2004) di Gonario Carta Brocca; Nania. Sa pitzinna chi benit dae su nuraghe (2004) di Maria Lucia Fancello; Meledda (2005) di Mariangela Dui; S’àrvule de sos sardos (2005) di Micheli Ladu; Antonandria (2006) di Paulu Pillonca; Sos de Parte “Tzier” (2007) di Costantina Frau.

Fra gli autori di “Contos e faulas-racconti e favole” di rilievo sono: S’arrisu de s’Arenada (2000) di Matteo Porru; Deu sciu unu contu (2000) di Ettore Sanna e Maria Bonaria Lai; A bassi veri (2001) e Raighinas (2003) di Nino Fois; Contus e contixeddus (2002) di Ugo Dessy; Contos e cantilenas (2002) di Maria Teresa Pinna Catte, Maria Lucia Fancello, Silavana Comez; Contos de Foghile (2003) di Francesco Enna; Contixeddus Cuatesus (2003) e S’anima de Cuattu. Is arregodus e sa lingua (2006) di Giusi Ghironi e Mariano Staffa; Contos e faulas (2003) di  Mario Puddu, Matteo  Porru, Teresa Scintu, Giovanna  Elies, Pinuccio Canu; Sos contos de Torpenet.Cuncursu de literadura sarda in su Web  (2004) di AA. VV.; Apedala dimòniu! (2004) di Amos Cardia; Memorias de Marianu (2004) di Giuseppe Puxeddu; Contus antigos (2005) di Josto Murgia; Ite timende chi so (2005) di Antonietta Zoroddu; Conti pa Pitzinni (2006) di Fabritziu Dettori; Sa paristòria de Bachis (2006),di Francesco Cheratzu.

L’elenco potrebbe continuare: per intanto con le opere narrative pubblicate dal 2007 fino ad oggi, che sono moltissime. Ricordo A ballu tango di Antoni Arca, Su calarighe di Stefania Saba, pubblicati da Condaghes che, insieme a Papiros di Nuoro, Domus de janas di Cagliari, Grafica del Parteolla di Dolianova e Alfa di Quartu, è l’editore specializzato nelle pubblicazioni in sardo e in gallurese.

L’Alfa editrice – fra l’altro –  negli ultimi anni ha pubblicato nella variante campidanese e logudorese ma anche in Limba sarda comuna (LSC), due collane, rivolte in modo particolare al mondo della scuola: S’Iscola (15 volumi di Contos e paristorias) e Omines e feminas de gabbale (15 monografie su personaggi sardi illustri:  Gratzia Deledda, Emiliu Lussu, Leonora d’Arborea, Antoni Gramsci, Antoni Simon Mossa, Frantziscu Masala, Zuanne Maria Angioy, Amsicora, Marianna Bussalai, Giuanni Battista Tuveri, Sigismondo Arquer, Giuseppe Dessì, Montanaru, Egidio Pilia, Gratzia Dore).

 

-Sa limba sarda comuna

Dopo l’incerto procedere, fra molte incomprensioni e non pochi pregiudizi, che accompagnò una prima proposta di standardizzazione della lingua, dal 2006 la Regione si è dotata di Sa limba sarda comuna,uno standard linguistico per i documenti in uscita dall’Amministrazione e di riferimento per le decine di varietà del sardo. Si tratta non di un cocktail di varianti ma di una lingua effettivamente parlata nel centro dell’Isola, qualcosa che sta al sardo come il lucchese stava all’italiano nascente.

La Limba Sarda Comuna (LSC) è stata adottata sperimentalmente dalla Regione Autonoma della Sardegna con Delibera di Giunta Regionale n. 16/14 del 18 aprile 2006 (Limba Sarda Comuna. Adozione delle norme di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita dell’Amministrazione regionale) come lingua ufficiale per gli atti e i documenti emessi dalla Regione Sardegna (fermo restando che ai sensi dell’art. 8 della Legge 482/99 ha valore legale il solo testo redatto il lingua italiana), dando facoltà ai cittadini di scrivere all’Ente nella propria varietà e istituendo lo sportello linguistico regionale Ufitziu de sa limba sarda.

Anche gli avversari della LSC le riconoscono grandi meriti. Ecco cosa scrivono: ”Per la prima volta nella storia della Regione Autonoma Sarda essa si dota di norme per la lingua scritta. Ciò vuol dire che:
– La Sardegna ha una lingua (che non è un dialetto dell’italiano): già questo è un fatto che persino a molti sardi suonerà come una grande novità, se pensiamo alla scarsa considerazione che il sardo ha in molti ambienti geografici e sociali.

Questa lingua:

– è ufficiale (poiché è deliberata dalla Giunta): quindi non è un mezzo di espressione per soli poeti, scrittori o estimatori, ma può esprimere anche gli atti della politica e ha un’importanza sociale e non solo letteraria;

– vuole rappresentare una “lingua bandiera”, uno strumento per far crescere in tutti i sardi il sentimento dell’identità: è una maniera forte per sottolineare il binomio fra lingua e identità, che non può essere rotto ma che oggi s’è fatto molto debole, perché il bombardamento culturale (“la lingua italiana è meglio del dialetto sardo”) è riuscito quasi del tutto a lasciarci solo un’identità mista, incerta e quasi a rompere il filo che ci lega alla storia della nostra terra e alla nostra gente;

– vuole seminare il terreno per una rappresentanza regionale nel Parlamento europeo come espressione di lingua minoritaria: questo ci darebbe il diritto di avere un eurodeputato sardo senza doverlo disputare con la Sicilia, perdendolo sempre per motivi demografici;

– vuole essere sperimentale, dunque potrà essere ampliata, corretta e arricchita con gli aggiustamenti più opportuni: pensiamo che questo sia positivo soprattutto per quelli che non saranno contenti e non si sentiranno rappresentati pienamente dalla variante scelta dalla commissione, giacché gli darà modo di intervenire con proposte di modifiche e miglioramenti;

  non vuole eliminare le varianti linguistiche parlate e scritte nel territorio sardo, anzi si pone al loro fianco nel compito che la regione si assume di difenderle, valorizzarle e diffonderle: questo punto è buono in generale, come dichiarazione di impegno, nonostante non si dica in che modo la regione lo metterà in pratica nella realtà;

A queste considerazioni di valore senza dubbio positivo, che sono dichiarate nella stessa delibera, ci pare di poterne aggiungere altre due che ci sembrano di non poco conto:

– potrebbe riavvicinare all’uso del sardo l’Amministrazione Pubblica: ciò sarebbe positivo nel senso che gli impiegati e i funzionari pubblici che spesso usano l’oscurità della lingua burocratica per ritagliarsi la loro quota di potere (grande o piccola che sia a seconda dell’importanza che hanno nella gerarchia), riprendendo a utilizzare il sardo potrebbero riavvicinarsi alla popolazione, soprattutto alle fasce deboli dei vecchi e dei poco acculturati, aiutandoli a sentirsi più considerati e tutelati;

– potrebbe avvicinare al sardo le generazioni di giovani che non hanno mai conosciuto la lingua, sia perché sono figli di continentali che non parlano il sardo, sia perché sono figli di sardi che hanno preferito non insegnargliela per qualsivoglia ragione”.

[Documento degli studenti sulla lingua standard-Limba sarda comunna, deliberata dalla Giunta regionale, Università degli studi di Cagliari, Corso di laurea in Scienze della formazione primaria-Master Universitario di II livello in “Approcci interdisciplinari alla didattica del sardo”, Cagliari 12-Giugno-2006, pagine 22-23].

 

 

Lettura [testo tratto da Morte de unu Presidente di Zuanne Frantziscu Pintore, Ed. Condaghes, Cagliari 2007, pagine 7-8]

 

” […] Est abarradu s’urtimu a tancare sa domo, in su guturinu chi finas a note fata est istada corte de istentu e de tzarra pro trampare s’ora. Che a sos ateros seros, s’urtimu puru aiat bufadu pagu, tzarrende e ascurtande, chirchende de non fàghere rùghere mai s’arresonu, pro no lassare s’àidu abertu a sas allegas de su dispatzu: “Be’, no at a èssere ora de recruire?”. Ma s’àidu, in fines, s’est serradu sa note puru e tando at chircadu abidentemente non s’imbriaghera, ma cussa gasta de intontimentu chi amàniat su cristianu a su sonnu. Su sonnu, mancari gasi, si l’at dèpidu gherrare, sèdidu in su letu, leghende sas ùrtimas pàginas de su cartulàriu chi cussas dies e notes aiat prenadu, sos ogros currende in fatu de paràulas isseberadas cun cùidu e sa mente bullugiada, firma in sos pessamentos de semper. S’ùrtima ora chi aiat intesu toghende est istada sa de sas bator.

Mala a poderare, custa malancolia cumintzada paris chi, cun su portale, aiat tancadu duas chidas de cumpangia. Podiat mòvere paris cun sos àteros o pònnere cun issos s’addòviu in caminu a si bufare unu tzichete, su chi, bae e chirca, fiant faghende in s’ora sos cumpàngios, in antis de leare cada unu su caminu de domo. Su beru est chi non podiat fàghere a mancu de cuddu bullùgiu de su sàmbene, anneosu e belle gasi gradèssidu, chi fiat a grabu de nche iscantzellare mamentos de anneu e de fàghere largos sos de alligria.

Istene Demaias s’est istentadu in su gùturu intunigadu a biancu, mirende sos bator frores rujos e grogos crèschidos intro de muru e froridos cudda istade, caente che fogu, chi dae unas dies pariat imberta, tragiada dae su bentu de susu, fritu e possente, chi aiat carradu nues nigheddas. At giradu sos ogros a fùrriu, disigende chi dae sas bentanas e dae sas giannas tancadas esserent essidos sinnos de presèntzias. Sàgamu sàgamu est andadu a su cabu de sa carrera, abistende su puntu a susu chi deviat piligare Nurai, comprende pro si lu leare in fatu. A manu manca, in sa pratzita, pitzinneddos fiant gioghende, inghiriados dae isbùfidos de pùere pesados dae su bentu. At ghetadu unos passos cara a giosso e s’est sèdidu pessamentosu in s’istrada longa de granidu, ghetende un’ograda a sa gianna mèscrina de ferru de su magasineddu de Boelle Asprone. In cue fiant agabados in glòria su prus de cussos seros, chirchende de cumprèndere cussa istòria maladita de Annesa e a bellu a bellu lassinende sos arresonos cara a cosas prus pagu tristas” […].

 

Traduzione

Fu l’ultimo a chiuder casa, nel viottolo che fino a notte tarda era stato corte di veglia e di chiacchiere per ammazzare il tempo. Come le altre sere, anche quell’ultima aveva bevuto poco, discorrendo e ascoltando, cercando di non far mai cadere il discorso, per non lasciare una breccia aperta a parole di congedo: “Bene, non sarà ora di ritirarci?”. Ma il varco, alla fine, si aprì anche quella notte e cercò allora con impegno non la sbronza, ma quella sorta di intontimento che predispone un cristiano al sonno. Il sonno, però, se lo dovette faticare, seduto a letto, leggendo le ultime pagine del quaderno che aveva riempito quelle notti e giornate, gli occhi che scorrevano le parole cercate con impegno e la mente smarrita, fissa sui pensieri di sempre. L’ultima ora che sentì rintoccare fu quella delle quattro.

Brutta da resistere, questa malinconia cominciata non appena che il portone si era chiuso alle spalle due settimane di compagnia. Avrebbe potuto partire con gli altri o dar loro appuntamento per strada per bere insieme un goccio, ciò che, forse, gli amici stavano facendo in quel momento, prima di prendere, ciascuno, la strada di casa. La verità era che non poteva fare a meno di quel turbamento, molesto eppure gradevole, che era capace di cancellare ricordi di noia e di ingigantire i momenti di allegria.

Istene Demaias si fermò nel viottolo imbiancato, guardando i quattro fiori rossi e gialli cresciuti dentro il muro e fioriti quell’estate, calda come fuoco, che da qualche giorno sembrava dileguata, trascinata via dal maestrale, freddo e impetuoso, che aveva spinto nuvole nere. Si guardò intorno, struggendo dal desiderio che dalle finestre e dalle porte chiuse arrivassero segni di una qualche presenza. A passo lento andò all’inizio della strada, guardando la discesa che avrebbe preso Nurai, venendo a prenderlo. A sinistra, nella piazzetta, ragazzini giocavano, avvolti da sbuffi di polvere sollevati dal vento. Fece qualche passo nella discesa e si sedette, pensieroso, sul lungo sedile di granito, lanciando uno sguardo alla porta blu di ferro della cantina di Boelle  Apsrone. Là dentro  erano finite in gloria tante sere, cercando di venire a capo di quella maledetta storia di Annesa e poco a poco facendo scivolare i pensieri in cose meno tristi.

 

 

COMPRENDERE E VALUTARE:

Altre attività didattiche per lo studente

Approfondimenti

-Approfondisci, argomentando con le tue riflessioni, il tema della “standardizzazione” e “unificazione” della lingua sarda.

-Esprimi le tue opinioni in merito all’uso della lingua sarda nella scrittura di un romanzo, che affronta “la modernità”.

 

Confronti

Confronta qualche romanzo “noir” di Pintore con altri romanzi gialli di autori sardi – ma scritti in Italiano – che conosci ed esprimi le tue valutazioni anche in relazione al diverso clima di suspence che possono aver suscitato in te.

 

Ricerche (anche a mezzo Internet)

Servendoti anche di Internet registra e censisci gli autori che hanno scritto romanzi in lingua sarda negli ultimi 30 anni.

 

Bibliografia essenziale

Opere dell’Autore

Sardigna ruja, Ed. Sa nae, Nuoro 1981.

Manzela, Ed. Castello,  Cagliari 1984.

Sardegna sconosciuta, Ed. Rizzoli, Milano 1986.

Su zogu, Ed. Papiros, Nuoro 1989.

 -La sovrana e la cameriera, Ed. Insula.

La Caccia, Ed. Zonza, Cagliari 2000.

Nurai, Ed. Papiros, Nuoro 2002.

Morte de unu Presidente, Ed. Condaghes, Cagliari 2007.

Sa losa de Osana, Ed. Condaghes, Cagliari, 2009.

Il grande inganno, Ed. Condaghes, Cagliari, 2011.

 

 

Opere sull’Autore

-Salvatore Tola, La letteratura in lingua sarda, Testi, autori, vicende, Ed. Cuec, Cagliari 2006.

-Giuseppe Marci, In presenza di tutte le lingue del mondo- Letteratura sarda, Ed. Cuec Cagliari 2005.

-G-          -Giuseppe Marci, Narrativa sarda del Novecento – Immagini e sentimento dell’identità,

 Ed. Cuec, Cagliari 1991.

 

   

 

 

 

I SARDI POCOS LOCOS Y MAL UNIDOS?

 

Noto che intellettuali insospettabili e avveduti continuano a ripetere il becero e trito luogo comune sui Sardi pocos, locos y mal unidos, attribuito a Carlo V, ma mai verificato in alcun documento o altra fonte storica.

Del resto l’imperatore poco doveva conoscere la Sardegna se non dai dispacci “interessati” dei vice re: solo due volte la visitò direttamente. Nel 1535 quando durante la spedizione contro Tunisi e i Barbareschi sbarcò a Cagliari trattenendosi alcune ore e nell’ottobre del 1541, nella seconda spedizione, questa volta contro Algeri, il più attivo nido dei Barbareschi. In questo caso la flotta imperiale sostò in Sardegna: ma non – come ebbe a sostenere Carlo V – per visitare Alghero, dove passò la notte del 7, bensì per esserne abbondantemente approvvigionato, a spese della popolazione della città catalana e dell’intero sassarese.

 Ma tant’è: tale luogo comune – a prescindere da Carlo V – è stato interiorizzato da molti sardi, con effetti devastanti, specie a livello psicologico e culturale  (vergogna di sé, complessi di inferiorità, poca autostima, voglia di autocommiserazione e di lamentazione) ma con riverberi in plurime dimensioni: tra cui quella socio-economica.

I Sardi certo sono pocos,: e questo di per sé non è necessariamente un fattore negativo. Ma non locos: ovvero stolti, stolidi e men che meno imbecilli.

Certo le esuberanti creatività e ingegnosità popolari dei Sardi furono represse e strangolate dal genocidio e dal dominio romano. Ma la Sardegna, a dispetto degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico  Meloni. E non fu annientata. La resistenza continuò. I Sardi riuscirono a rigenerarsi, oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati: sos rennos sardos (i regni sardi). 

Certo con catalani, spagnoli e piemontesi furono di nuovo dominati e repressi: ma dopo secoli di rassegnazione, a fine Settecento furono di nuovo capaci ai alzare la schiena e di ribellarsi dando vita a quella rivoluzione antifeudale, popolare e nazionale che porrà la base della Sardegna moderna.

Certo, si è tentato in ogni modo di scardinare e annientare lo spirito comunitario, la solidarietà popolare, quella pluralità di reti sociali e di relazione che avevano caratterizzato da sempre le Comunità sarde con variegati sistemi e costumi solidaristici e di forte unità: basti pensare a s’ajudu torrau o a sa ponidura: costumanza che colpirà persino un viaggiatore e visitatore come La Marmora che [in Viaggio in Sardegna di Alberto Della Marmora, Gianni Trois editore, Cagliari 1955, Prima Parte, Libro primo, capitolo VII., pagine 207-209] scriverà:”. Fra le usanze dei campagnuoli della Sardegna, alcune sono de­gne di nota e sembrano risalire all’antichità più remota : citeremo le seguenti.

Ponidura o paradura.  Quando un pastore ha subito qualche perdita e vuol rifare il suo gregge, l’usanza gli dà facoltà di fare quel che si dice la ponidura o paradura. Egli compie nel suo villag­gio, e magari in quelli vicini, una vera questua. Ogni pastore gli dà almeno una bestia giovane, in modo che il danneggiato mette subito insieme un gregge d’un certo valore, senza contrarre alcun obbligo, all’infuori di quello di rendere lo stesso servizio a chi poi lo reclamasse da lui…”

Così le identità etnico-linguistiche, le specialità territoriali e ambientali, le peculiarità tradizionali, pur operanti in condizioni oggettive di marginalità economica sociale e geopolitica permangono. I Sardi infatti, nonostante le tormentate vicende storiche costellate di invasioni, dominazioni e spoliazioni, hanno avuto la capacità di metabolizzare gli influssi esterni producendo una cultura viva e articolata che ha poche similitudini nel resto del mediterraneo. Basti pensare al patrimonio tecnico-artistico, alla cultura materiale e artigianale, alla tradizione etnico-musicale connessa alla costruzione degli strumenti, alla complessa e stratificata realtà dei centri storici e delle sagre, agli studi sulla realtà etno-linguistica, alla straordinaria valenza mondiale del patrimonio archeologico e dei beni culturali, all’arte: da quella dei bronzetti a quella dei retabli medievali; dagli affreschi delle chiese ai murales, sparsi in circa duecento paesi; dalla pittura alla scultura moderna.

Ma soprattutto basti pensare alla Lingua, spia dell’Identità e substrato della civiltà sarda. Entrambe non totem immobili (sarebbero state così destinate a una sorte di elementi museali e residuali) ma anzi estremamente dinamiche.

La poesia, la letteratura, l’arte, la musica, pur conservando infatti le loro radici in una tradizione millenaria, non hanno mai cessato di evolversi, aprirsi e contaminarsi, a confronto con le culture altre. Soprattutto questo avviene nei tempi della modernità, a significare che la cultura sarda non è mummificata.

Anche il diritto consuetudinario – padre e figlio di quel monumento della civiltà giuridica che è la Carta de Logu – si è trasformato nel tempo, anche se la sua applicazione concreta (per esempio il cosiddetto “Codice barbaricino”) è da un lato costretta alla clandestinità e dall’altro a una restrizione alla società del “noi pastori”. Solo la crescita e l’affermarsi di studiosi, sardi non tanto per anagrafe quanto per autonomia dall’accademia autoreferente, ha fatto sì che gli elementi fondanti la cultura e la civiltà sarda passassero dall’enfasi identitaria alla fondatezza scientifica.

Alla straordinaria ricchezza culturale sono tuttavia spesso mancati, almeno fin’ora, i mezzi per una crescita e prosperità materiale adeguata. Oggi, dopo il sostanziale fallimento dell’ipotesi di industrializzazione petrolchimica, si punta molto sull’ambiente e sul turismo, settore quest’ultimo sicuramente molto promettente, purché si integri con gli altri settori produttivi, ad iniziare da quelli tradizionali come l’agricoltura, la pastorizia e l’artigianato. La struttura economica sarda infatti è sempre stata fortemente caratterizzata dalla pastorizia, che oggi però con i suoi quattro milioni di pecore, sottoposta com’è a processi di ridimensionamento dalle politiche dell’Unione europea, rischia una drammatica crisi.

 

 

Papa: Cagliari, su facebook appello per celebrare messa in Sardo

 

Cagliari, 20 set. – (Adnkronos) – Anche ‘su Comitadu pro sa limba sarda’ festeggia l’arrivo del Papa nella cattolicissima Sardegna con una iniziativa che conferma il suo impegno per la lingua sarda, oltre che nelle scuole e nella pubblica amministrazione, anche nella liturgia della Chiesa sarda ad iniziare dalla richiesta di celebrare la messa in sardo. E’ stato creato in facebook il gruppo “Sa missa in sardu”, oltre al gruppo “Su comitadu pro sa limba sarda”, che sta catalizzando l’attenzione degli internauti, per sollecitare la Chiesa sarda, come gia’ accade in Catalogna, Irlanda, Malta, Slovenia e in altri paesi con la loro lingua madre, la messa venga celebrata in lingua sarda.

E’ un sollecito alla Chiesa isolana e all’attenzione del Santo Padre che viene concretizzato con un giorno di digiuno, domenica 22 settembre, promosso dal coordinatore de Su comitadu pro sa limba sarda Mario Carboni e seguito da tanti altri che hanno aderito, come lo scrittore Francesco Casula, il professore Gianluigi Stochino, e il dirigente Antoni Marchi Soru e tanti altri sostenitori dell’uso della lingua sarda che hanno aderito a questa silenziosa forma di sollecitazione.

“Pregare nella lingua materna come atto normale e convinto a favore di un popolo che aspetta da troppo tempo un diritto in ogni manifestazione della propria vita sia civile che religiosa”, spiega Mario Carboni, presidente de su Comitadu por sa limba sarda all’Adnkronos. “Non si tratta di una protesta ma di una iniziativa a sostegno di papa Francesco – conclude Carboni – e alla sua nuova maniera di affrontare i problemi nella speranza che voglia interessarsi alla lingua sarda con decisione come atto di liberazione di un popolo cattolicissimo da secoli e secoli”.