Archivio mensile:dicembre 2023
I pragmatici. I realisti.
I pragmatici. I realisti.
Di Francesco Casula
Li conosco tali soggetti. E sono molti. Spuntano come funghi soprattutto in occasione delle elezioni. E di fatis, millos mih!
Sono molti di quelli che volevano cambiare il mondo ma sono riusciti solo a cambiare se stessi. Adeguandosi allo stato delle cose presenti.
Sono molti di quelli che nel ’68 volevano fare la rivoluzione: spaccando tutto. In realtà sono riusciti solo a spaccare qualche vetrina.
Sono molti di quella generazione che sono passati da essere gramscianamente intellettuali “organici”, a organici solo a Ministeri e Enti inutili. E a Partiti, ugualmente inutili. Spesso anzi, dannosi.
Un’intera generazione di giovanotti che, una volta cresciuti, si sono sdraiati nei salotti del Potere: nel Parlamento e nella Banche; nei Giornaloni e nelle TV (di Stato o private poco importa). Negli Enti di qualsivoglia tipo e genere purché remunerativi in termini finanziari e di prestigio. E di potere.
Diventati pragmatici e realisti: amanti del quieto vivere, dello status quo intendo. Diventati pavidi. Ignavi: se vogliamo scomodare il Poeta fiorentino.
Diventati sostenitori del “Quieta non movere et mota quietare”. Con il pretesto che cambiare non si può, visti i rapporti di forza, visto il contesto.
Diventati sostenitori del compromesso: se si vuole entrare nelle istituzioni. Se si vuole governare. Contare. Gestire.
Non capendo che si governerà e si gestirà la miseria: la miseria del presente.
Sento ripetere anche da parte di molti giovani – invecchiati precocemente – che questo non è il tempo della testimonianza, degli ideali, delle utopie, dei sogni: bisogna essere realisti, pragmatici: ecco l’ossessivo mantra.
Bene: a questo gregge normalizzato e narcotizzato, con pervicacia oppongo – pur convinto e consapevole che si tratta di una vox clamans in deserto – una traiettoria esistenziale prima ancora che culturale e politica, opposta, radicalmente “altra” e antagonista. Reverde.
Voglio continuare a coltivare sogni idealità utopie. Seguendo il compianto Antonello Satta, gran giornalista e valente intellettuale sardo di Gavoi secondo cui “Chi nella vita non coltiva qualche utopia, è meglio che si dimetta”. Dalla vita ovviamente.
Voglio persino continuare a essere “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento, George Bernard Shaw, quando affermava che “l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli”.
Basta dunque con l’adeguarsi. Ma basta anche con il ripiegamento interiore, indotto dalla crisi e dalla sconfitta. E basta con il vittimismo intimista, con la lamentazione sterile e generica, con l’attesa passiva in cui ci si consuma a inghiottire il pianto, perché il passato è visto solo come gravame e il futuro come negatività spettrale.
No est gai.Mudare si podet. Bastat a lu cherrere.
FESTE POPOLARI/ FESTE RELIGIOSE/ RUOLO DELLA CHIESA: Il capodanno.
FESTE POPOLARI/FESTE RELIGIOSE/ RUOLO DELLA CHIESA:
Il capodanno.
di Francesco Casula
L’intelligenza e la flessibilità della Chiesa cattolica è stata, storicamente, nel sopprimere ma nello stesso tempo nel recuperare e mediare quel senso di segno magico-pagano e profano, quell’universo mitico di estrazione folclorico-rurale, proveniente da antichissime abitudini precristiane, mai completamente sradicate, nell’ambito sacro del Cristianesimo e delle sue feste.
Tanto che oggi non esistono non solo Feste popolari ma scadenze liturgiche importanti che non presentino innesti di tipo pagano-profano, che la Chiesa comunque renderà compatibili con la simbologia cristiana, riplasmandoli: dal Natale alla Pasqua, dalla Quaresima alla Festa dei morti, dalla festa di San Giovanni a quella di Sant’Efisio o di San Francesco a Lula. Un’ampia gamma di soluzioni sincretistiche punteggerà in modo discreto ma persistente lo sviluppo dell’intero anno liturgico, per non parlare della loro presenza nel ciclo esistenziale di ciascun individuo: dalla culla alla bara.
Iniziamo dal Natale. Con l’avvento del Cristianesimo gli antichi culti del solstizio invernale furono soppressi ma insieme recuperati riadattati cristianizzati: nel mondo cristiano di oggi infatti il momento di transizione segnato dal solstizio d’inverno coincide con le feste di natale e poi capodanno, Sant’Antonio ecc.
A proposito del capodanno, la chiesa dopo aver combattuto a lungo la festa di capodanno come festa solo laica e profana, ma soprattutto a forti caratteri precristiani l’ha inserita nel calendario cristiano, attribuendogli specifici significati religiosi.
Così il 31 dicembre con un Te Deum di ringraziamento, per i benefici ricevuti, celebra l’anno che si conclude, mentre il primo gennaio invoca il Veni Creator Spiritus perché illumini la Comunità nel corso del nuovo anno.0
IL NATALE NELLA CULTURA E NELLA TRADIZIONE SARDA
L’ UNITÀ D’ITALIA? Contronatura
L’UNITA’ D’ITALIA? Contronatura.
di Francesco Casula
Scrive Francesco Abate nel suo ultimo bel romanzo*: ”Il maestrale è un vento metodico, soffia secondo sequenze dispari e mai pari. In genere, nel Sud dell’Isola, può imperversare per uno, tre o cinque giorni. Di rado si spinge a far sentire il suo freddo e possente respiro per una settimana di fila. Secondo gli esperti, da che si aveva memoria, solo nel 1861 si accanì con violenza su Cagliari, iniziando domenica 17 marzo e decidendo di farla finita addirittura nove giorni dopo. Sembrava volesse sradicare la città dalle fondamenta. Il fenomeno fu letto come un segnale di indisposizione della natura nei confronti delle scelte umane: il giorno prima sabato 16 marzo, infatti, dopo sei secoli il Regno di Sardegna era morto per fare spazio a quello d’Italia”.
Si dirà che si tratta di un romanzo. Certo. E se ormai a fare gli storici e gli storiografici seri, fossero rimasti solo i romanzieri, essendo gli storici di professione impegnati a mistificare la storia? Rendendola rassicurante e oleografica e, dunque falsa?
E come spiegare che anche molti intellettuali federalisti italiani sostengano, come Francesco Abate, che l’unità d’Italia sia stata “contronatura”?
Scrive Francesco Ferrara, siciliano di Palermo: “ La grande utopia del secolo è questa delle fusioni: nulla di più agevole che congiungere e assimilare in belle frasi scappate nel calore di una improvvisazione politica….ma nulla di più puerile che l’illudersi sull’effetto reale delle belle frasi. Nella natura materiale non si combinano che molecole affini. Nella natura umana, se vi ha mezzo di combinare due popoli, è quello di non sforzarne le specialità”.
E a proposito dei sardi e della Sardegna scrive: “La Sardegna è una specialità alla quale ciò che di più pernicioso può farsi è il volerla costringere ad una assimilazione completa di forme, contrastate a ogni passo dalla natura. Il Piemonte nella sua condizione di possessore di un’isola, può dirsi già fortunato dell’avere incontrato nel buon senso dei Sardi una docilità, anzi una vogliosità di fusione, che non è molto agevole rinvenire nell’indole dell’isolano; ma non ci illudiamo perciò: una nota di gratitudine, uno slancio di patriottismo non bastano a mutare il suolo, il clima, il carattere, i bisogni, le attitudini individuali e produttive, il dialetto, le conseguenze di un lungo passato”.
*Francesco Abate, Il mistero della tonnara, Einaudi, 2023, pagina 287.L
LA STATUA DEL TIRANNO
OSPITONE. CHI ERA COSTUI?
OSPITONE. CHI ERA COSTUI?
di Francesco Casula
Conosciamo Ospitone da un unico documento storico: la lettera (vedi Documenti) del papa Gregorio Magno del maggio 594, a lui indirizzata, in cui è definito ”dux Barbaricinorum”. In essa il Pontefice, a lui unico seguace di Cristo in quel popolo di pagani, chiede di cooperare alla conversione delle popolazioni barbaricine che ancora “vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre”. Non si hanno notizie di un’eventuale risposta di Ospitone né sappiamo se lo stesso si sia impegnato nell’opera di conversione dei suoi sudditi. Una cosa è però certa: la lettera del grande papa serve a illuminare la precedente storia della Sardegna: la presenza nell’Isola alla fine del 500 di un “dux barbaricinorun” mette in discussione infatti numerose categorie storiografiche della storia ufficiale. Ad iniziare dalla visione di una Sardegna conquistata, vinta e dominata, dai Cartaginesi prima e dai Romani e Bizantini poi. In questo luogo comune inciampa persino il grande storico tedesco Theodor Mommsen che in Storia di Roma antica parla di una “Sardegna vinta e dominata per sempre” dopo la sconfitta di Amsicora nel 215 a. C. da parte del console romano Tito Manlio Torquato. Se così fosse, perché continuano incessanti le rivolte dei Sardi, soprattutto barbaricini, per secoli, con i massicci interventi militari romani?
Se fosse stata “vinta e dominata per sempre” che significato avrebbe nel 594 la presenza e coesistenza in Sardegna di un “dux barbaricinorum”, Ospitone appunto e di un dux bizantino, Zabarda, di stanza a Forum Traiani (Fordongianus), che proprio in quel momento tentava di concludere la pace con i Barbaricini? Evidentemente la parte interna della Sardegna, pur vinta, aveva comunque conservato, fin dal dominio romano, una sua indipendenza o comunque una sua autonomia, politica ma anche economica e sociale e persino culturale, nonostante l’imposizione della lingua latina che prenderà il posto della vecchia lingua nuragica.
E non si tratta di una parte interna circoscritta e limitata alle civitates barbariae intorno al Gennargentu: ma ben più vasta e con precise caratteristiche politiche, sociali ed economiche. Ecco in proposito l’autorevole opinione del più grande storico medievista sardo, Francesco Cesare Casula:”…Dalle parole del pontefice si evince che, al di là del limes fra Roméa e Barbària le popolazioni avevano un proprio sovrano o duca e che quindi erano statualmente conformate almeno in ducato autonomo se non addirittura in regno sovrano. Infine si ricava che malgrado fosse trascorso tanto tempo, le genti montane continuavano ad “adorare” le pietre, cioè i betili, permanendo nell’antica religione della civiltà nuragica. Purtroppo non sappiamo da quando esisteva questo stato indigeno e quanti anni ancora durò dopo Ospitone né dove fosse esattamente collocato.
Noi personalmente riteniamo che fosse esteso quanto la Barbària romana, segnalato al centro ovest dall’opposto presidio di Fordongianus e dal castello difensivo bizantino di Medusa, presso Samugheo; a sud dal confine religioso fra la cristianissima Suelli, piena di Chiese e di simboli paleocristiani e la pagana Goni, nel basso Flumendosa, con le schiere di suggestive pietre fitte campestri”(* ).
Un territorio immenso, probabilmente metà Sardegna era dunque sotto il governo di Ospitone.
* Francesco Cesare Casula, Dizionario storico sardo, Carlo delfino Editore, Sassari, 2003, pagina 1132.OSPITONE. CHI ERA COSTUI?
di Francesco Casula
Conosciamo Ospitone da un unico documento storico: la lettera (vedi Documenti) del papa Gregorio Magno del maggio 594, a lui indirizzata, in cui è definito ”dux Barbaricinorum”. In essa il Pontefice, a lui unico seguace di Cristo in quel popolo di pagani, chiede di cooperare alla conversione delle popolazioni barbaricine che ancora “vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre”. Non si hanno notizie di un’eventuale risposta di Ospitone né sappiamo se lo stesso si sia impegnato nell’opera di conversione dei suoi sudditi. Una cosa è però certa: la lettera del grande papa serve a illuminare la precedente storia della Sardegna: la presenza nell’Isola alla fine del 500 di un “dux barbaricinorun” mette in discussione infatti numerose categorie storiografiche della storia ufficiale. Ad iniziare dalla visione di una Sardegna conquistata, vinta e dominata, dai Cartaginesi prima e dai Romani e Bizantini poi. In questo luogo comune inciampa persino il grande storico tedesco Theodor Mommsen che in Storia di Roma antica parla di una “Sardegna vinta e dominata per sempre” dopo la sconfitta di Amsicora nel 215 a. C. da parte del console romano Tito Manlio Torquato. Se così fosse, perché continuano incessanti le rivolte dei Sardi, soprattutto barbaricini, per secoli, con i massicci interventi militari romani?
Se fosse stata “vinta e dominata per sempre” che significato avrebbe nel 594 la presenza e coesistenza in Sardegna di un “dux barbaricinorum”, Ospitone appunto e di un dux bizantino, Zabarda, di stanza a Forum Traiani (Fordongianus), che proprio in quel momento tentava di concludere la pace con i Barbaricini? Evidentemente la parte interna della Sardegna, pur vinta, aveva comunque conservato, fin dal dominio romano, una sua indipendenza o comunque una sua autonomia, politica ma anche economica e sociale e persino culturale, nonostante l’imposizione della lingua latina che prenderà il posto della vecchia lingua nuragica.
E non si tratta di una parte interna circoscritta e limitata alle civitates barbariae intorno al Gennargentu: ma ben più vasta e con precise caratteristiche politiche, sociali ed economiche. Ecco in proposito l’autorevole opinione del più grande storico medievista sardo, Francesco Cesare Casula:”…Dalle parole del pontefice si evince che, al di là del limes fra Roméa e Barbària le popolazioni avevano un proprio sovrano o duca e che quindi erano statualmente conformate almeno in ducato autonomo se non addirittura in regno sovrano. Infine si ricava che malgrado fosse trascorso tanto tempo, le genti montane continuavano ad “adorare” le pietre, cioè i betili, permanendo nell’antica religione della civiltà nuragica. Purtroppo non sappiamo da quando esisteva questo stato indigeno e quanti anni ancora durò dopo Ospitone né dove fosse esattamente collocato.
Noi personalmente riteniamo che fosse esteso quanto la Barbària romana, segnalato al centro ovest dall’opposto presidio di Fordongianus e dal castello difensivo bizantino di Medusa, presso Samugheo; a sud dal confine religioso fra la cristianissima Suelli, piena di Chiese e di simboli paleocristiani e la pagana Goni, nel basso Flumendosa, con le schiere di suggestive pietre fitte campestri”(* ).
Un territorio immenso, probabilmente metà Sardegna era dunque sotto il governo di Ospitone.
* Francesco Cesare Casula, Dizionario storico sardo, Carlo delfino Editore, Sassari, 2003, pagina 1132.