La proposta di legge dei consiglieri regionali del PSD’Az

UN INNO PER I SARDI

E CONTRO I BARONES.

di Francesco Casula

I consiglieri regionali del Psd’Az hanno presentato una proposta di legge perché “Su patriota sardu a sos feudatarios” meglio conosciuto come “Procurad’ ‘e moderare, barones, sa tirannia” di Francesco Ignazio Mannu, venga adottato come inno ufficiale ed istituzionale della Sardegna. Esso scrivono i consiglieri sardisti “può e deve diventare, alla pari della bandiera e della lingua sarda, un ulteriore simbolo identificativo, espressivo e conservativo dell’essenza spirituale del Popolo sardo e anche uno strumento per conoscere meglio e approfondire la propria storia, la propria cultura e le proprie radici, così come è il caso di altri popoli d’Europa che hanno ritenuto opportuno dotarsi di inni propri come per esempio Els Segadors adottato dal Parlamento catalano nel ’93 o Eusko Abendaren Ereserkia nei Paesi Baschi”. Si dirà: è ormai datato. Tutt’altro. E’ di una attualità stupefacente. Permangono ancora oggi i Barones prepotenti, i “poveros de sas biddas” che trabagliant “pro mantenner in zittade/Tantos caddos de istalla/A bois lassant sa palla/Issos regoglint su ranu,/ Et pensant sero e manzanu/Solamente a ingrassare. L’Inno è un lungo e complesso carme in sardo logudorese, di 47 ottave in ottonari, – modellato sui gosos –per un totale di 376 versi in cui ripercorre le vicende di un momento cruciale della storia della Sardegna: il periodo del triennio rivoluzionario sardo (1793-96), che la ricerca storica più recente indica come l’alba della Sardegna contemporanea: anni drammatici, di profondissimi sconvolgimenti e di grandi speranze in cui il popolo sardo – oppresso da un intollerabile regime feudale – riuscì a esprimere in modo corale le sue rivendicazioni di autonomia politica e di riforma sociale. L’inno è legato dunque ai momenti più fervidi della rivolta dei vassalli contro i feudatari, quando alla fine del secolo XVIII i Sardi, acquistata coscienza del loro valore contro i Francesi del generale Troguet, vollero spezzare il giogo dei baroni e dei Piemontesi e reclamarono per sé libertà  e giustizia. Esso è dunque imbevuto del diritto naturale della “bona filosofia” illuminista antifeudale. Si tratta di un terribile giambo contro i feudatari, anzi, più che un giambo il suo doveva essere un canto di marcia, una vibrata e ardente requisitoria contro le prepotenze feudali. L’andamento della strofa è concitato e commosso, il contrasto fra l’ozio beato dei feudatari e la vita misera dei vassalli è rappresentata con crudezza: l’inno, anche se raramente viene trasfigurato in una superiore visione poetica, dopo tanta arcadia è una voce schietta, maschia e vigorosa e come tale sarà destinato ad avere una enorme risonanza, tanto da diventare il simbolo stesso della sollevazione contro i baroni e da essere declamata dai vassalli in rivolta a guisa di “Marsigliese sarda”. L’inno –che sotto il profilo linguistico, si articola su due livelli, uno alto e uno popolare – non è sardo solo nella lingua, ma anche nel repertorio concettuale e simbolico che utilizza. Infatti, anche se, come abbiamo visto, rappresenta un esplicito veicolo di cultura democratica d’oltralpe, esso è un primo esempio di discorso altrui divenuto autenticamente discorso sardo.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 31-7-2012

 

 

La proposta di legge dei consiglieri regionali del PSD’Azultima modifica: 2012-07-31T09:20:00+02:00da zicu1
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