Nucleare in ottave sarde

Il no al nucleare in ottave sarde

di Francesco Casula*

La questione delle centrali nucleari in Sardegna sta diventando una telenovela noiosa: la speranza comunque è che non diventi tragica. Tutti si dichiarano contro: i Partiti italiani del centro sinistra come quelli del centro destra. Con il presidente della Regione Cappellacci in prima fila: “nessuna centrale nucleare verrà costruita nell’Isola, se vorranno farlo dovranno passare sul mio corpo”. Contrario da sempre, senza se e senza ma, è il variegato movimento sardista e indipendentista. Ma soprattutto contraria è l’opinione pubblica sarda, a prescindere dalle diverse sensibilità e appartenenze politiche e ideologiche. Ebbene, a fronte di tutto ciò, seraficamente, certo Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. consiglia alla Commissione territorio e ambiente del Senato la Sardegna come zona ideale per l’ubicazione delle quattro centrali, in quanto la più stabile dal punto di vista sismico. E poco sembra interessare al Boschi il fatto che la Sardegna è già autosufficiente dal punto di vista energetico ma soprattutto che di tutto l’Isola ha bisogno, se vuole  valorizzare le sue risorse locali, e l’ambiente in primis, fuorché di centrali nucleari. Ma ecco la risposta in ottave di Michele Podda, ollolaese, docente di professione e poeta in limba per passione:

Fatu fatu mi torran sa cantone/ponner in custa terra nucleare/custu, nara, ue diat andare/chi de nde tenner non bi nd’at resone?/Sole e bentu tenimus e carbone/pro su chi serbit nos at a bastare/da chi semus pagos e poveritos/istamus sanos e puru alligritos/. Apo intesu chi totus in Sardinna/fintzas a como su nono an torradu/si puru l’apan solu lumenadu/nemos cheret atòmicu, lu sinna/in su programa, ch’est iscritu a pinna/Cappellacci e sardistas l’an marcadu/su primu cumandante Berluscone/l’at naradu puru issu, in chistione/. Ma nois, in cust’ ìsula lughente/chi nan chi fit Atlàntide una orta/de ponner nucleare nos importat/tenende terra meda e pagu zente?/Si est pro la mandare in Continente/proite inoghe faghimus iscorta/ de elètricu? No, nois e tantu/ lu lassamus a ater s’impiantu/. Calicunu non s’at a irbortare?/Non creo, ca si cussu nos faghiat/partidos, pessones, chiesisiat/totu paris nos amus a pesare/donzi cosa diemus bortulare/pro nos defènder mih, si cussu fiat!/Tando sì chi nos torran sos sentidos:/non pocos nen locos, ma bene unidos.

*storico

(Pubblicato su Il Sardegna del 24-3-09)

 

 

 

 

Microspie, indipendentisti e non violenza.

di Francesco Casula*

Il Movimento indipendentista e di sinistra A Manca pro s’indipendentzia ha denunciato nei giorni scorsi un’ennesima provocazione poliziesca: un suo esponente, Maurizio Faedda, ha rinvenuto nella sua macchina delle microspie. Era dunque intercettato e controllato. Eppure –ha dichiarato insieme a Cristiano Sabino, dirigente del Movimento e che io conosco come giovane mite e colto- ha sempre operato alla luce del sole, fra l’altro facendo comizi in vari paesi nella recente campagna elettorale in cui era candidato per Unidade Indipendentista. E allora? Allora occorre dire che la criminalizzazione nei confronti degli indipendentisti continua: sulla scia del passato. Solo nel 2006 furono arrestati ben 10 militanti di A manca: e siamo ancora in attesa del processo. Ma ricordo anche la farsa del “complotto separatista” del 1981. Una farsa però con risvolti drammatici per chi, innocente, patì la tragedia immane del carcere. Nel Dicembre 1981 infatti l’inchiesta contro un gruppo di indipendentisti accusati di attentati e banda armata portò ai primi arresti cui ne seguiranno altri nel Dicembre 1982, accusati di aver complottato per commettere alcuni atti terroristici a fini indipendentistici: fra gli arrestati Piliu e alcuni esponenti del PSD’A. Non venne invece eseguito il mandato di cattura contro il cittadino libico A. M. Tabet accusato di aver finanziato i separatisti. Ricordo ancora che in seguito alla elezione di Melis a Presidente della Giunta regionale, De Mita, allora segretario della DC, accusò i Sardisti di “mezzo terrorismo”: Melis replicò con sprezzo, accusando i Servizi segreti di essere all’origine del “complotto separatista”. Sulla opzione indipendentista si può convenire o meno: occorre però tener sempre presente che il diritto all’Autodeterminazione dei popoli è sancito dal Diritto internazionale e da Trattati e Convenzioni. Del resto il diritto alla indipendenza, anche negli anni recenti, è stato abbondantemente praticato: basti pensare ai nuovi Stati nati nell’est europeo negli ultimi 20 anni. In Italia invece si continua a criminalizzare la stessa idea dell’Indipendentismo. Eppure gli indipendentisti sardi si sono sempre ispirati a una pratica politica non violenta e pacifica e considerano il terrorismo un loro nemico perché, disumano e crudele nella sua barbara ferocia, espropria la gente delle decisioni e delle lotte.

*storico

(Pubblicato su Il Sardegna del 31-3-09)


 

Sardegna

Titolo: Dentro la Sardegna. I puntata. Una comunità spinta ai margini
Autore: Lisi Giuseppe
Regia: Lisi Giuseppe
Montaggio: Benedetti Luciano
Musiche: Montinori Bruno
Editore: RAI
Data di registrazione: 1968
Data di trasmissione: 1969
Data di pubblicazione: 2005
Descrizione: Dentro la Sardegna rappresenta un interessante documento, ideato e realizzato da Giuseppe Lisi nel 1968, dove la Sardegna è presentata soprattutto in funzione delle ampie problematiche che hanno caratterizzato la fine degli anni Sessanta. Quello dell’autore è uno sguardo attento e discreto, che non giudica mai i guai e le sofferenze dell’Isola, ma ne propone una panoramica calma e senza pregiudizi. In particolare, la prima parte del filmato è dedicato ad una Sardegna che ancora tenta di risollevarsi dalle atrocità della guerra e riprende il suo lento cammino verso la modernizzazione. Protagonista è il mondo della tradizione, quello dei pastori soprattutto che ancora restano legati a metodologie e lavori del passato.
Note: restauro realizzato con il patrocinio della Regione Autonoma della Sardegna, Assessorato alla Pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport

La Scuola sarda in liquidazione

di Francesco Casula

La scuola torna in piazza: domani, indetto dalla CGIL, ci sarà lo sciopero regionale con una manifestazione a Cagliari. Al centro della contestazione i “tagli”, che sono previsti  per la scuola sarda. A denunciarli impietosamente ma  con precisione, è Peppino Loddo, il battagliero segretario regionale della CGIL-scuola: nel triennio 2009-2012 gli Istituti con meno di 300 alunni perderanno l’Autonomia. In Sardegna ci saranno 80 dirigenti scolastici in meno e con essi diminuirà il personale amministrativo e ausiliario. Se poi dovesse essere applicata rigidamente la legge che prevede come quota stamdard almeno 500 alunni per far viveve indipendente una Istituto, la situazione sarebbe drammatica: in Sardegna infatti ben 225 autonomie scolastiche risultano al di sotto di questa cifra. E dunque potremmo asssistere alla scomparsa di centinaia di Istituti, ridotti a sezioni staccate e persino alla cancellazione fisica di intere scuole, soprettutto nei piccoli centri e la ripresa massiccia del pendolarismo.
Nei mesi scorsi anche gli altri sindacati della Scuola –la CISL come la CSS-  avevano contestato gli ulteriori e brutali tagli che penalizzano gravemente occupazione e diritto allo studio. Si dirà che ormai non è una novità, perché almeno da qualche decennio la scuola sarda –con il pretesto della “razionalizzazione”, sia con Berlinguer che con la Moratti come Ministri della Pubblica Istruzione- è sottoposta alla scure ministeriale romana, tesa a cancellare scuole, ridurre gli organici, accorpare classi e istituti. Con il conseguente impoverimento e peggioramento della didattica e della qualità dell’insegnamento: che vieppiù incrementa l’analfabetismo di ritorno oltre che la mortalità e la dispersione scolastica. Ma oggi la situazione è ancora più grave perché si inserisce in una complessiva crisi sociale ed economica acuita dall’aumento della povertà, la chiusura di intere fabbriche, i licenziamenti di massa e dunque la disoccupazione e il precariato. In tale contesto cancellare la scuola, specie dove costituisce l’unico presidio culturale, è da irresponsabili. Che si “tagli” pure: ma dove ci sono sprechi e privilegi. Ma non si attenti al diritto al sapere e dunque al diritto al futuro di migliaia di giovani sardi. Nelle scuole sarde, segnatamente in quelle dei paesi, da tagliare non c’è più nulla. Da tagliare è rimasto solo il malessere.

*storico
( Pubblicato su Il Sardegna del 16-3-2008)

 

 

 

 

 

Verso un Partito democratico federato?

di Francesco Casula*

Graziano Milia, presidente della provincia di Cagliari ed esponente di spicco del Pd, recentemente ha riproposto la necessità di farne un partito federato: trasformandolo dunque in Pd sardo. Quando in Sardegna il 14 Ottobre scorso fu  formalmente costituito il Partito democratico, questo tema non fu neppure lambito dal dibattito, tutto appiattito com’era, sulle scelte “nazionali”, ma soprattutto sugli organigrammi. Il Pd è dunque nato come partito unitario e sostanzialmente centralista,  come semplice succursale dipendente dal Pd italiano, perdendo così l’occasione storica di dar vita a un partito sardo autonomo e federale. E non c’è dunque da stupirsi se a dirimere le controversie fra le due componenti interne –soriani e antisoriani- sia dovuto intervenire Passoni, un proconsole di Veltroni, che ancora “governa” il Partito. Nella patria storica del Federalismo questa scelta stride sommamente: e Lussu –al cui pensiero molti del Pd dicono di ispirarsi- fremerà sicuramente di rabbia. Ed è per lo meno curioso che a dichiararsi favorevoli a partiti come articolazioni territoriali provviste di ampia autonomia e persino a una struttura federata, basata su partiti regionali o interregionali, che possono differire fra loro persino su alleanze elettorali e formule di governo locali, siano stati sindaci –Cacciari di Venezia, Chiamparino di Torino- e presidenti di regione del Nord, come Dellai che ha sostenuto: “Serve un partito originale, autonomo, territoriale e di centro sinistra federato con il Pd”. Invece in Sardegna il Pd, su questo versante, dorme: la “sveglia” che ha dato Milia è stata dunque oltremodo opportuna, perché finalmente cambi rotta. Altrimenti i discorsi sul federalismo, non sono altro che chiacchiere: mi parrebbe infatti impensabile ipotizzare uno Stato che accentua la sua sagomatura in senso federalista a fronte di partiti che rimangano pervicacemente unitaristi, in cui a decidere sono gli apparati centrali e non i territori.
“Il tempo delle forze politiche centralizzate a livello nazionale è finito…E’ morta l’organizzazione della politica che ha considerato i territori come periferia. Continua a camminare ma non si accorge di essere morta. Bisogna rompere lo schema centro-periferia e ricostruire. Non dal basso che è una genericità ma dall’identità dei territori”: a sostenerlo è stato Bertinotti. Come non dargli ragione?
*storico
( Pubblicato su Il Sardegna del 10-3-2008)

 

Poesie

 

EROE

 

   

Ti senti grande

piccolo delinquente bianco nato sulle rive dell’Hudson

piccolo delinquente nero

partorito sulle rive del grande Mississippi

dove i tuoi avi erano cristi che cantavano spirituals

crocifissi

alla croce dei piantatori di cotone,

grande grande ti senti

dominatore del mondo

davanti

a questi piccoli arabi, il corpo indifeso

sotto bianche lunghissime tuniche.

Quanti i soldi per uccidere e torturare

quanto grande dall’alto ti senti di un carrarmato

dall’alto di un elicottero

dall’alto dei cieli

tu che la morte mandi

e non vedi o ti diverte,

la morte che infliggi alla gente

ingrata e selvaggia

che t’hanno raccontato per toglierti gli scrupoli.

Con la morte la democrazia,

dei petrolieri

della Cola Cola

degli scadenti hamburg aromatizzati

dei costruttori d’armi di pace.

Ti senti immenso,

piccola piattola

che sgambetti tutt’intorno al grande culo

del bianco sbirro del mondo.

Tu non sei dei soldati

che hanno percorso le vie di molte infanzie,

american bombom american bombon,

tu non sei uno degli eroi dei film

che hanno sconfitto i mostri negli incubi

di ragazzini terrorizzati.

Il disprezzo tuo per gli altri

alimenta il fuoco del mio per te

ligio a quello che t’hanno insegnato

e a fare pure quello che ti pare.

A te tutto è permesso

permesso tutto,

insindacabile padrone una volta tanto

come  t’hanno sempre ripetuto

da quando nel ghetto di una metropoli

o in un minuscolo villaggio

sperduto nel grande paese d’America

tu e i tuoi compagni

nei bidoni andavate frugando

tra la merda della ricchezza.

Il nemico come un cane da tenere al guinzaglio,

piccola troia con la sigaretta in bocca

che non meriteresti neppure l’ingiuria,

con il cuore

un camposanto di sgomenta tristezza,

di indignato dolore.

 

Tu ragazzo del Nord

tu ragazzo del Sud,

non siete i giovani passati trionfanti

nelle vie di un’infanzia lontana,

anche i bambini avete ucciso che gridavano

american bombon american bombon,

seppellito avete per sempre la giovinezza

più degli anni, di tutti i lunghi anni

trascorsi in un’inutile attesa.

 

Poesie

Ecco un’altra bella poesia di Franciscu Carlini.

 

 

BALENTI

 

 

T’intendis mannu

dilinquenteddu biancu nasciu in s’óru de s’Hudson

dilinquenteddu nieddu

scendiau in s’óru de su grandu Mississippi

innui is mannus tuus fiant cristus chi cantànt spirituals

crucifissaus

a sa gruxi de is prantadoris de cotoni,

mannu mannu t’intendis

dominadori de su mundu

ananti

de custus arabus, su corpus disamparau

asutta de tùnicas biancas longas a peis.

Cantu dinai po occiri e suppliziai

quanto mannu t’intendis asuba de unu carramau

de s’artaria de unu elicòtteru

de s’artaria de is celus

tui chi sa morti mandas

e no bis o ti spàssiat,

sa morti chi imponis a genti

sconnóscia e malintranniada

chi t’ant contau po ti ndi bogai is dudas.

De sa morti sa democrazìa,

de is petrolleris

de sa Coca Cola

de is amburgus mauccheddus aromataus

de fabbricadoris de armas de paxi.

T’intendis stremenau,

pertixedda

chi scambittas óru-óru de su culu mannu

de su carabineri biancu ’e su mundu.

Tui no ses de is sordaus

chi ant traessau is bias de medas piccinnìas,

american bombon american bombon,

tui no ses unu de is balentis de is pellìculas

chi ant sderrutu is monstrus in is pesadiglias

de piccioccheddus spramaus.

Su menisprezziu po is àterus

pèsat su fogu de su miu po tui

chi fais su chi t’ant imparau

e cussu puru chi ti parit.

A tui totu est permittiu

permittiu totu,

insidigàbili mèri assumancu una borta

comenti t’ant sempri repitiu

de candu in su muntonarxu de una metròpoli

o in d’una biddixedda

spérdia in su grandu paisu de s’America

tui e is cumpangius tuus

andestis forroghendi

sa merda in is bandonis mannus de sa ricchesa.

Su nemigu che cani accappiau a unu loru,

bagassedda a sigaretta in bucca

chi no t’iat a minèsciri mancu s’aggraviu

cun su coru

unu campusantu de tristura spantada,

de dolori airau.

 

Tui piccioccu de su Nord

tui piccioccu de su Sud,

no seis is giovunus passaus triunfantis

in is bias de una piccinnìa attesu,

povinas is pipìus eis occius chi zerriànt

american bombon american bombon,

interrau eis po sempri sa giovunesa

prus de is annus, de totu is annus longus

passaus abettendi de badas.

Nuovo Statuto

E ora il Nuovo Statuto Regionale

di  Francesco Casula

Ora subito il Nuovo Statuto. I sardisti, i federalisti, gli autonomisti più convinti, presenti sia nei Partiti che hanno vinto le elezioni sia in quelli che le hanno perse, prendano l’iniziativa perché in tempi brevi venga istituita l’Assemblea Costituente e dunque sia riscritto il nuovo Statuto. Si potrà obiettare che ben altri sono i problemi drammatici cui il nuovo governo regionale deve porre mano: ad iniziare dalla povertà –di fasce sempre più larghe di sardi- dalla disoccupazione e dal precariato. Certamente. Ma pensiamo davvero che si possano risolvere emergenze di tal fatta senza dotarci di un Nuovo Statuto? Pensiamo davvero che, cambiati i “macchinisti” non occorra cambiare anche la “macchina”, che permetta ai Sardi di imboccare la strada del lavoro e del benessere?

Lo Statuto sardo è vecchio, malandato e cadente. Per la verità ormai da qualche decennio: se non addirittura fin dalla sua genesi. Più simile a un gatto che a un leone lo definì Lussu. E’ un ferrovecchio inservibile e inutilizzabile per far fronte ai nuovi problemi –economici ma non solo- che la globalizzazione ci pone: di qui l’esigenza della sua riscrittura, ex novo. Di qui la necessità improcrastinabile di una nuova Carta de Logu, che ricontratti su basi federaliste il rapporto Sardegna-Stato Italiano e che partendo dall’identità etno-nazionale dei Sardi, ne sancisca il diritto a realizzare l’autogoverno, l’autodecisione, l’autogestione economica e sociale delle proprie risorse e del territorio. Un tale Statuto abbisogna del contributo dell’intera comunità sarda: di qui la necessità dell’Assemblea Costituente. Essa non rappresenta solo uno strumento più democratico per riscrivere la Carta Costituzionale della Sardegna che regoli con un nuovo patto fra i Sardi, i rapporti fra la Sardegna, l’Italia e l’Europa e insieme definisca le prerogative e i poteri di una Comunità sovrana; essa può essere l’occasione per mettere in campo il protagonismo e la partecipazione diretta dei Sardi, per realizzare un grande e profondo movimento di popolo che prenda coscienza della sua Identità e nel contempo sia aperto alle culture d’Europa e del mondo, pronto a competere con le sue produzioni materiali e immateriali, finalmente deciso a costruire un futuro di prosperità e di benessere.

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 17.02.2009)

 

 

 

 

Il Partito dell’astensione alle stelle.

di Francesco Casula

Il 15-16 febbraio, esattamente un terzo dell’elettorato sardo (il 32,5%) non ha votato. Cui occorre aggiungere le migliaia e migliaia di schede bianche.Gli astensionisti rappresentano dunque il più forte partito in Sardegna. Quasi nessuno –sia fra i commentatori che fra gli esponenti politici- ha dato rilievo a questo dato. Pure drammatico e preoccupante, almeno per chi ha a cuore la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte che dovrebbero riguardare tutti. Probabilemte non se ne parla per cattiva coscienza: almeno da parte dei “politici”. Verso cui evidentemente la sfiducia è in costante e progressivo aumento. Non si spiega diversamente il massiccio astensionismo, nonostante il colossale trascinamento al voto –di parenti, famigli, amici- da parte di un immane esercito di candidati, -più di 900- e il tambureggiare costante e ossessivo dei media negli ultimi due mesi. Con l’astensionismo, quote sempre maggiori di opinione pubblica e di cittadini manifestano una reazione di rifiuto e di reiezione della “politica” tout court, vista come “cosa sporca”, “affare per mestieranti”, da cui dunque stare alla larga e da evitare. La responsabilità maggiore è da ricondurre ai Partiti e al sistema politico nel suo complesso che da più di un decennio tende sempre più a “modernizzarsi”, “americanizzandosi”. Un sistema che ricorre cioè a un uso ormai consolidato e vieppiù spregiudicato dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, di tecniche più sofisticate di psicologia di massa, di linguaggio, di controllo dell’informazione. Attraverso tali tecniche, Partiti, uomini politici e programmi vengono “venduti”, prescindendo dai contenuti: quello che conta, che si valorizza – come in tutte le operazioni di marketing – è l’involucro, la confezione, l’immagine.

La politica si svuota così di contenuti e diventa pura e asettica gestione del potere: il conflitto tra i Partiti – più apparente che reale – diventa lotta fra gruppi, spesso trasversali, in concorrenza fra loro per assicurarsi questa gestione. La battaglia politica perciò diventa priva di “telos”, di finalità. E poiché i gruppi politici si battono fra loro avendo come unico scopo la conquista e la gestione del potere, idee politiche, ideologie, programmi e progetti si riducono a pura simulazione: sono effimeri e interscambiabili. Di qui la sfiducia e l’astensionismo, ormai di massa.

(Pubblicato su Il Sardegna del 24-2-2009)

 

 

Il pacco nucleare tradotto in cifre.

di Francesco Casula

Il quotidiano L’Unità, il 28 Febbraio scorso riferisce degli sbeffeggiamenti degli ambientalisti francesi nei confronti degli italiani: il “piazzista” Berlusconi, questa volta, si sarebbe beccato il “bidone” del piazzista d’oltralpe Sarkosy. Ben quattro centrali nucleari di terza generazione, dalla tecnologia superata, costosissime –fra i 20-25 miliardi di euro- che copriranno un misero 4% dei consumi totali di energia e che non daranno i frutti prima del 2020. Ad aver già sperimentato il “pacco” è stata la Finlandia nel 2002: l’unico paese europeo –oltre la Francia- a decidere di costruire un nuovo reattore. Ebbene, nonostante le assicurazioni e le promesse, le strutture non sono sicure, hanno lamentato le autorità di Helsinki, la consegna è slittata dal 2009 al 2012 e i costi sono lievitati del 50%. Nonostante ciò il Governo continua a spargere a piene mani fiducia nelle magnifiche e progressive sorti del nucleare, che sarebbe poco costoso e sicuro. Sottacendo i costi reali: negli Usa -dove non si realizza più un reattore dal 1979 e oggi Obama punta tutto sulle energie rinnovabili- hanno calcolato che una nuova centrale nucleare, operante nel 2010-2015 produrrebbe elettricità al costo di oltre 6 cents di dollaro per kilowattora contro i 5 cents del gas, i 5,34 del carbone, i 5,05 dell’eolico, ritenuto costoso e che però come il solare è rinnovabile all’infinito. Per non parlare dei costi dell’uranio 235, le cui riserve, oltretutto, al ritmo di consumo attuale, sono limitate a qualche altro decennio: fra un quarantennio ci sarà un’enorme scarsità. Dimenticandosi, a proposito della sicurezza, che a tutt’oggi, non esistono soluzioni concrete al problema delle scorie. Ed è un’eredità con un potere radioattivo che non si estinguerà prima di 50.000 anni, nella migliore delle ipotesi. E mentre oggi nel mondo abbiamo 250 mila tonnellate di rifiuti altamente radioattivi, nel 2050 ne avremo un milione. Oggi tutte le scorie sono in attesa di sistemazione definitiva, stoccate in siti temporanei o lasciate sul luogo di produzione. Sia come sia, centrali nucleari i Sardi non ne vogliono: il loro futuro energetico non può che essere rappresentato dalle fonti rinnovabili. Le stesse che in Sardegna –come ha opportunamente sostenuto nei giorni scorsi Soru- faranno sì che l’Isola abbia, entro il 2013, il 40% dell’energia consumata prodotta grazie a loro.

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 3-3-2009)