Firmaimaisì! E arrazza de brigungia! Arrazza ‘e onori! Sardus, genti de onori! E it’ant a nai de nosus, de totus ! Chi nc’eus bogau s’istrangiu po amori ‘e libertadi ? Nossi, po amori de s’arroba! Lassai stai totu! Non toccheis nudda! Non ddi faeus nudda de sa merda de is istrangius! Chi ddi sa pappint a Torinu cun saludi! A nosus interessat a essi meris in domu nostra! Libertadi, traballu, autonomia!”. Nella divertente e brillante finzione letteraria e teatrale, in “Sa dì de s’acciappa” (Dramma storico in due tempi e sette quadri, edito da Condaghes), Piero Marcialis fa dire così a Francesco Leccis, -beccaio, protagonista della rivolta cagliaritana contro i Piemontesi– rivolgendosi ai popolani che, infuriati volevano assaltare i carri, zeppi di ogni ben di dio, per sottrarre ai dominatori in fuga “s’arroba” che volevano portarsi a Torino. Ed è questo -a mio parere– il significato profondo, storico e simbolico, della cacciata dei Piemontesi da Cagliari il 28 Aprile 1794 : i Sardi, dopo secoli di rassegnazione, di abitudine a curvare la schiena, di acquiescenza e di obbedienza, hanno un moto di orgoglio e con un colpo di reni reagiscono e si ribellano in nome dell’autonomia, per “essi meris in domu nostra”. Per ricordare quell’evento storico la Regione sarda con la legge n.44 del 14 Settembre 1993 ha istituito Sa Die de sa Sardigna, la “Giornata del popolo sardo”, ma io preferisco chiamarla “Festa nazionale dei Sardi”. Ebbene Sa Die, quest’anno, è stata sostanzialmente dimenticata dalle Istituzioni. A ricordarla ci hanno invece pensato l’insieme di associazioni (sindacali, ecclesiali, del Volontariato) aderenti alla Carta di Zuri, organizzando per il 28 Aprile una Manifestazione a Cagliari con un corteo che partendo da Viale Sant’Ignazio –davanti alla mensa dei poveri- si recherà al Consiglio regionale. Nel presentare l’iniziativa, opportunamente il leader della CISL Mario Medde, ha sostenuto che “è inutile ricordare il fatto storico come sa Die se non lo proiettiamo sui problemi del presente”. Che sono guarda caso quelli stessi evocati da Marcialis in “Sa dì de s’acciappa”: il lavoro, l’autonomia, la libertà. Cui occorre aggiungere, il problema della povertà, oggi in aumento e vieppiù drammatico. Per contrastare la quale i Sindacati chiederanno alla Regione risposte concrete e più efficaci di quelle messe in campo fin’ora. (Francesco Casula, storico)
Archivio mensile:aprile 2010
Il Manifesto di Massimo Fini
IL MANIFESTO ANTIGLOBALIZZAZIONE
Pubblichiamo il Manifesto (detto Manifesto dell’antimodernità)
di Massimo Fini, giornalista, saggista ma soprattutto intellettuale libero e di valore.
Leggetelo: troverete spunti interessanti anche per noi Sardi, o comunque per chi vuole per la nostra Isola uno “sviluppo” diverso da quello che storicamente ci hanno imposto (anche grazie classe dirigente sarda, subalterna quando complice -o addirittura ascara- nei confronti del colonialismo).
- No alla globalizzazione né di uomini né di capitali né delle merci né dei diritti
- No al capitalismo e al marxismo, due facce della stessa medaglia, l’industrialismo
- No alla mistica del lavoro, di derivazione tanto capitalista che marxista
- No alla democrazia rappresentativaNo alle oligarchie politiche ed economicheSì alla autodeterminazione dei popoli
- Sì alle piccole patrie
- Sì al ritorno graduale, limitato e ragionato, a forme di autoproduzione e autoconsumo
- Sì alla democrazia diretta in ambiti limitati e controllabili
- Sì al diritto dei popoli di filarsi da sé la propria storia, senza “pelose” supervisioni umanitarie
- Sì alla disobbedienza civile globale. Se dall’alto non si riconosce più l’intangibilità della sovranità degli stati, allora è un diritto di ciascuno di non riconoscersi più in uno stato.
La poesia satirica in Sardegna
La poesia satirica in Sardegna
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L’attualità della Carta de Logu
Il diritto di Eleonora e le donne
Il 14 Aprile scorso ricorreva il 618° anniversario della promulgazione della Carta de Logu. Chissà se qualche docente 1’ha ricordato agli studenti sardi. Sarebbe stata una occasione per far conoscere quel “monumento” alla cultura e alla lingua sarda, prima ancora che al diritto civile e penale. che rappresentò quella vera e propria Costituzione della “nacion sardesca”, emanata da Eleonora d’Arborea nel 1392. Scritta in sardo-arborense è sicuramente il Codice legislativo più importante di tutto il medioevo sardo e non solo. Il re spagnolo Alfonso il Magnanimo –che ormai domina sulla Sardegna- l’apprezzerà a tal punto da estenderla nel 1421 a tutta l’Isola, in cui rimarrà in vigore per più di 400 anni, fino al 1827 quando sarà sostituita dal Codice Feliciano. Federigo Scoplis un magistrato piemontese autore della “Storia della Legislazione italiana” considerata da molti studiosi la prima significativa opera di sintesi sulla storia del diritto in Italia, scrive a proposito della Carta de Logu: “Sullo scorcio del secolo XIV si vide in una regione dell’Isola di Sardegna promulgarsi una legge che per la sapienza di molti precetti, che vi si racchiudono, ottenne non solamente di essere estesa a tutto il regno, ma ebbe di più il vanto di essere tenuta per segno di un perfezionamento sociale, del quale erano allora ancora lontane le più vaste contrade del continente italiano […]. La Carta de Logu contiene molte e particolari disposizioni, le quali a dire di un dotto giureconsulto sardo che la prese a illustrare, pressoché tutte convengono ai costumi dei Sardi dei nostri tempi”. Fra i tanti articoli interessanti voglio ricordare il XXI°, in cui si prevedono le pene contro chi violenta una donna sposata o una qualsiasi donna promessa sposa o una vergine. L’interesse del capitolo è dato soprattutto dalla pena prevista per chi violenta una donna nubile: sia condannato –si ordina- a pagare duecento lire e sia tenuta a sposarla ma solo “se piace alla donna” e dunque se lei è consenziente. Si tratta come ognuno può notare di una posizione che potremmo definire di un “femminismo ante litteram”, espressione non a caso di un legislatore donna. Ma non basta: nel caso che lei non sia consenziente, l’uomo violentatore è tenuto a farla accasare munendola di una dote secondo la condizione sociale della donna violentata e il rango dell’uomo violentatore. (Francesco Casula, storico)
Da Il Giornale di Sardegna del 20/04/2010
Sulla riforma dello Stato unitario e centralista
Federalismo e presidenzialismo?
di Francesco Casula
Ritorna la telenovela delle Grandi Riforme: una sceneggiata, soprattutto per quanto attiene alle riforme costituzionali, che dura oramai da decenni. Dagli anni Ottanta con Craxi, alla Bicamerale con D’Alema, fino ad oggi. Infatti, a parte la devolution voluta da Bossi e bocciata dal referendum popolare, quasi niente si è fatto: almeno nella direzione del federalismo costituzionale. Nonostante che fin dagli inizi degli anni Novanta sembrava che ci fosse l’accordo, fra aree politiche diverse, per una riforma dello Stato. Penso a Gianfranco Miglio –già teorico della Lega Nord- secondo cui “Solo una repubblica regionale a fortissima autonomia, può garantire un sano e regolare sviluppo dell’economia”. O a Sabino Cassese –già ministro della Funzione Pubblica- che scriveva: ”Sono le stesse condizioni attuali della Pubblica Amministrazione a imporre un radicale cambiamento in senso regionalistico dello Stato. Bisogna rovesciare la piramide: dopo la riforma, al centro non resterà quasi nulla, solo alcune funzioni importanti come l’ordine pubblico, la politica estera, la difesa. Al centro ci saranno funzioni di supporto, tutto il resto deve essere decentrato”. Ma penso anche a Occhetto, che parlava di “costruzione di un stato regionale di ispirazione federale”; o a Tortorella che denunciava in modo netto, la bancarotta di una concezione sbagliata dell’Unità d’Italia, sostenendo che “la Sinistra non nasce statalista e burocratica ma sfortunatamente lo è diventata”. Oggi pare che la telenovela sia giunta all’ultima puntata. Nutro comunque il sospetto che il cammino della riforma non sarà lineare. E noto che l’intera questione è fasciata da ambiguità ciclopiche. Per intanto: come si può pensare di realizzare il federalismo coniugandolo con il Presidenzialismo e con l’unità nazionale? Si tratta di un vero e proprio ossimoro. Lo stato federalista esclude lo stato unitario. Anzi: è il suo esatto contrario. Il federalismo implica la rottura e la disarticolazione dello stato unitario “nazionale”, per dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui “per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri”: l’intera frase virgolettata è tratta da “Federalismo” di Norberto Bobbio, “Introduzione a Silvio Trentin”.
*storico
(Pubblicato su Il Sardegna del 14-4-10)
I grandi poeti in lingua sarda
Espunta dalla storia la Sardegna
martedì, 06 aprile 2010
La beffa del museo dei Fenici
Se qualcuno si prendesse la briga di analizzare dei testi di storia – specie quelli scolastici – scoprirebbe che della Sardegna non c’è traccia. Della Sardegna dei Sardi, intendo. Certo, si parla dei Fenici e Cartaginesi che la colonizzano; dei Romani e dei Bizantini che la dominano; degli Spagnoli e dei Piemontesi che fanno incetta delle sue risorse, riducendola a una provincia periferica e marginale. Ma la Sardegna nuragica? Cancellata. La Biblioteca del Quotidiano “La Repubblica” nel 2005 ha pubblicato e diffuso a migliaia di copie un volume di 800 pagine sulla preistoria nel quale nuraghi e Sardegna non vengono citati, neppure per errore. E i 4 regni giudicali che governano la Sardegna per circa 400 anni (quello arborense addirittura 600)? Scomparsi. Espunti. Sacrificati sull’altare della Xenomania e dell’eurocentrismo. Da cui – ma è solo un esempio – è accecato certo Gustavo Jourdan, uomo d’affari francese, che, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno in Sardegna, a coltivare gli asfodeli per ottenerne alcool, in “l’Ile de Sardaigne” (1861) parla della Sardegna “rimasta ribelle alla legge del progresso, terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi”. O l’inglese Donald Harden, archeologo, filologo e storiografo di fama, che dopo aver visitato molte contrade della Sardegna, agli inizi del Novecento, tra gli anni ’20 e ’30, espresse giudizi poco lusinghieri sulla tradizionale cultura del popolo sardo che lo aveva ospitato. Ma la Xenomania è dura a morire. È di questi giorni la notizia che nascerà in Sardegna il “Parco dei Fenici”. Il progetto sarebbe già stato finanziato con una prima tranche di 800 mila euro dal Ministero dei beni culturali e coinvolgerebbe non solo la Provincia di Oristano ma anche quella del Medio campidano. Bene. Ma cosa c’entrano i Fenici con Nuraghe Losa, Paulilatino e il compendio archeologico di Santa Cristina, Fordongianus e Laconi: tutte località e siti che dovrebbero essere comprese nel progetto, “Phoenix”? Bisognerebbe rilanciare le sottoscrizioni su Facebook per “Su mare de Aristanis no est fenitzu”, ha scritto un firmatario, non servirà forse a far cambiare idea a chi è deciso a svendere la nostra storia, ma almeno facciamoci sentire. (Francesco Casula, Storico)
Da “Il Sardegna” del 06/04/2010
Ecco chi è il burocrate romano che rifiutò il film di Columbu
Adesso conosciamo Blandini, (il nemico della Lingua sarda), e i suoi compari.
Nell’ormai lontano 2005 (Agosto) scrivevo, sempre su Il Sardegna, due articoli a proposito del mancato finanziamento del Film “Su re” di Giovanni Columbu.
Eccoli qui di seguito:
Il Primo
Bocciato il cinema sardo perché parla in limba!
di Francesco Casula
Il Ministero per i Beni e le attività culturali rifiuta di finanziare “Su re”, film di Giovanni Columbu, ollolaese e regista di vaglia. Motivazione? Usa “il dialetto sardo”!
Chi riteneva che lo Stato Italiano si fosse convertito al plurilinguismo, dopo l’approvazione della Legge 482 del 1999, che riconosce la Lingua sarda fra le minoranze linguistiche presenti nella Repubblica italiana, deve ricredersi.
Con questa incredibile decisione, lo Stato e il Governo per esso, tornano a “su connotu”. Ai tempi bui del passato che pensavamo sepolti per sempre. Al 1955 quando la Commissione Medici introduce l’esplicito divieto per i maestri di rivolgersi agli scolari in dialetto. A quando una nota riservata del Ministero della Pubblica Istruzione –regnante Malfatti– del 13-2-1976 sollecita Presidi e Direttori Didattici a “controllare eventuali attività didattiche-culturali riguardanti l’introduzione della Lingua sarda nelle scuole”. O a quando una nota riservata dello stesso anno del 23-Gennaio, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva addirittura invitato i capi d’Istituto a “schedare“ gli insegnanti che parlassero in Sardo o di sardo.
O ancora: a quando Giovanni Spadolini, da Presidente del Consiglio, nel 1981 respinse una proposta di Legge del Consiglio regionale sardo sul Bilinguismo perché avrebbe attentato “all’Unità nazionale” minacciando l’integrità dello Stato! In sintonia con il generale Alfonso Lamarmora che il 30-11-1864, da presidente del Consiglio dei Ministri, vanterà rispetto all’Austria, la superiorità dell’Italia in quanto questa <è una, ha un’unica religione, un’unica lingua, una patria sola> affermando in tal modo un principio che sarà fatto proprio da Mussolini e dal Fascismo.
La gravità della decisione sta soprattutto nella motivazione: ”Utilizza il dialetto sardo”. Mi chiedo: come fa un Ministero per i Beni e le Attività culturali a ripetere ancora simili sesquipedali sciocchezze, etichettando la Lingua sarda come “dialetto”? In quali testi di filologia romanza ha pescato tale perla?
Ma se pur anche fosse, come dimenticare che nei dialetti e vernacoli italiani più disparati, sono stati prodotti film di valore assoluto? Uno per tutti: il Vangelo secondo San Matteo, in friulano, di Pier Paolo Pasolini?
Ma tant’è: al Ministro Urbani, in tutt’altre faccende affaccendato –almeno a dire di Sgarbi- tutto ciò può essere sfuggito. E’ comunque una vergogna. Che si dimetta!
Il Secondo
Lo zdanovismo dei commissari ministeriali dei Beni culturali.
di Francesco Casula
Le motivazioni con cui il Presidente della Commissione ministeriale dei Beni culturali cerca di giustificare la bocciatura del film di Giovanni Columbu “Su re” sono gravi e preoccupanti. Oltrechè risibili. Frutto di un luogo comune riconducibile a semplice ignoranza. E comunque non ammissibile in membri di una Commissione di tale livello. Che dovrebbe essere popolata da intellettuali, critici cinematografici, registi, linguisti e storici di valore e non da semplici guitti.
Afferma dunque il serafico Presidente, tal Gaetano Blandini: non abbiamo operato alcuna discriminazione linguistica, tanto è vero che abbiamo approvato il progetto del film di Salvatore Mereu “Sonetaula”, in cui pure viene utilizzata la Lingua sarda. Ma, ecco la non discriminazione: nel caso di Mereu il Sardo era in bocca al pastorello-protagonista del film –tratto dall’omonimo bel romanzo di Peppino Fiori- invece in “Su re” viene usata –che orrore! – per parlare di Gesù Cristo!
Insomma va bene il sardo se si tratta della storia di un pastore ma non quella di Gesù. Che evidentemente si sentirebbe degradato con un “dialetto” di tal fatta!
La commissione con tali motivazioni semplicemente aggiunge a sé ignominia e disdoro. Ai Sardi un’offesa e un’ingiustizia intollerabile. Altrettanto alla cultura sarda in specie, ma anche alla cultura tout court.
A fronte di tale motivazione mi sono infatti chiesto come si sarebbe comportata simile Commissione nei confronti di tante opere scritte –ma è solo un esempio- in una pluralità di “dialetti” greci antichi. Ho pensato all’Eolico, all’Ionico, al Dorico, all’Attico, le quattro varianti del Greco prima dell’Unificazione della Grecia con Filippo II nel IV secolo prima di Cristo, che impose come lingua ufficiale e “di stato” l’Attico, ovvero la lingua di Atene.
Ebbene se il criterio fosse stato quello della Commissione, sarebbero stati “bocciati” Omero e Archiloco, Tirteo e Anacreonte: che scrivono in Ionico; Pindaro, Alcmane e Simonide: che poetano in Dorico; Tucidide, Demostene, Lisia, Eschine: che utilizzano l’Attico. E qui mi fermo: perché vi sono anche gli scrittori greci che utilizzano una decina di sottovarianti tra cui l’arcadico, il cipriota, il miceneo, l’acheo, l’elide, il panfilio ecc.
Avessimo avuto la Commissione di Blandini a decidere il valore estetico di un’opera in base a una concezione gerarchica delle lingue, probabilmente saremmo stati privati dei più grandi capolavori della storia.
Non vorrei dunque che i Torquemada ministeriali italioti, gareggiassero, in quanto a bieca e occhiuta attività censoria, in difesa dell’ortodossia linguistica, non solo con gli inquisitori medievali ma con personaggi sinistri come Zdanov e Suslov. Anche loro giustificavano le “epurazioni” in nome dell’ortodossia: dottrinale, ideologica, politica, letteraria ed estetica!
Perché ritorniamo oggi su quella bocciatura?
Perché abbiamo conosciuto il signor Blandini e il suo modus operandi. Ne ha parlato il settimanale L’Espresso (n.9, anno LVI, 4 Marzo 2010, pag.52) in un servizio giornalistico di Gianfrancesco Turano, dal titolo significativo: Primo Piano/L’Italia del malaffare. Qui si vendono il Colosseo. Una Spa dello Stato ha per anni sfruttato i tesori d’arte. Operava con criteri privati affidati allo stesso clan di potere. Che ha potuto gestire fondi miliardari.
Ma ecco la parte specifica dell’articolo che riguarda Blandini:
“(…) E’ il momento in cui si cementa l’amicizia fra l’emergente Blandini, cresciuto alla scuola andreottiana di Carmelo Rocca e Balducci che ha moglie produttrice cinematografica (Rosanna Thau con Erreti insieme alla moglie di Diego Anemone) e un figlio, Lorenzo, attore. Nel 2007, la commissione per il finanziamento pubblico presieduta da Blandini assegna un contributo di 1,8 milioni di Euro a “Last minute Marocco”. Nel film, coprodotto dalla moglie di Balducci assieme a Maria Grazia Cucinotta e il marito Giulio Violati, recita Lorenzo Balducci, L’incasso è di poco superiore ai 400.000 euro (…).
E’ il sistema messo in piedi da Blandini. Il sistema di favori magari piccoli, come quelli familiari per i quali telefonava Balducci. I debiti rimasti, quelli no non sono tanto piccoli (…)”
Balducci e Anemone –si sarà capito- sono protagonisti dello scandalo della Protezione civile. E sono attualmente in carcere, assieme ai compagni di merenda Fabio De Santis e Mauro Della Giovampaola.
Grande amico di Balducci è appunto il “nostro” Blandini. Che elargiva, munificamente, quasi 2 milioni di euro al film –fallimentare- della moglie di Balducci e di Anemone, ma quando si tratta di finanziare un film in lingua sarda –quello di Columbu- richiede requisiti, qualità ma soprattutto garanzie su “piano finanziario, quello di lavorazione grafica, l’ipotesi di cast tecnico-artistico, il curriculum vitae della società produttrice, le ipotesi di distribuzione” . Chiede garanzie e e….lingua italiana!
Ma avrà chiesto tutte queste qualità e garanzie alla moglie di Balducci e Anemone, produttori di una film che incassèrà circa un quinto del finanziamento concessogli?
E’ l’Italia puzzolente, quella che avanza, l’Italia colma solo ormai di escrementi. Sarà opportuno che la Sardegna si allontani, prima che sia troppo tardi!
P.S.
In occasione dell’uscita dei miei due articoli, in un blog, certo Godot-NEWS, (già il titolo xenomane è sintomo di provincialismo bieco e di antisardismo) mi si riempie e di improperi (“Francesco Casula ayatollah della lingua e delle cause (sarde) perse”) e via via insultando. Di converso difende Blandini “Il Direttore generale per il Cinema al Ministero”: perdinci che carica!!!
Chissà se oggi si sarà ricreduto il nostro, ascaro e un po’ ignorantello: parla di miei “sproloqui” a proposito dell’Attico, evidentemente l’ha confuso con l’ultimo piano di qualche palazzo, essendo certamente digiuno di Greco. Ma a quanto pare anche di italiano e latino e non solo di Lingua sarda. Ma qui mi fermo, ligio all’apoftegma di Dante: Non ti curar di lor/ma guarda e passa, perché non è il caso di polemizzare con il niente, o peggio, con sos canes de isterzu che leccano i piatti dei padroni, soprattutto se forestieri.