La discriminazione bipartisa


La discriminazione bipartisan

di Francesco Casula

L’Italia è storicamente un paese di emigrati: fra il 1871 e il 1951 l’hanno lasciata definitivamente circa 7 milioni di persone di cui 4 milioni e 500 mila, cioè il 64% proveniente dalle regioni meridionali. La Sardegna sarà coinvolta in una vera e propria emigrazione biblica con un totale di più di 700 mila emigrati dal 1958 al 2002. Soprattutto nel periodo compreso fra il 1955 e il 1971 quando il numero degli espatri sarà pari a 400.982, risultato ottenuto sommando l’emigrazione in Italia (307.759) a quella nei paesi esteri (93.223). Questi dati drammatici pare che siano stati rimossi completamente dalla recente politica governativa sugli immigrati e sugli stranieri: non si spiega diversamente la politica persecutoria contro di loro. Ma evidentemente la recisione della memoria storica gioca brutti scherzi. Così prima si impone agli immigrati una tassa sul permesso di soggiorno –una vera e propria gabella che una società opulenta impone a chi cerca solo di sopravvivere con il proprio lavoro- poi si invitano i medici a fare la spia e a denunciare i clandestini,  infine si “legittimano” i cittadini che si organizzano in associazioni paramilitari. Il settimanale “Famiglia Cristiana” ha scritto che “si è varcato il limite che distingue il rigore della legge dall’accanimento persecutorio” e  di “un’Italia che precipita verso il baratro di leggi razziali”. Si può anche concedere che il giudizio sia eccessivamente carico di “animus”: certo è, però, che ci troviamo di fronte a una serie di discriminazioni inaccettabili e ripugnanti, con grottesche norme che –pur in gran parte inattuabili- diffonderanno il terrore in chi già vive nell’angoscia e nell’esclusione e potrebbero favorire una vera e propria deriva razzista. Se il Governo è l’attore principale di tali discriminazioni, anche l’opposizione ha le sue gravi e molteplici responsabilità: non possiamo infatti dimenticare lo strepito bipartisan che nei mesi scorsi ha visto mettere alla gogna chi è già privo di diritti, escluso e marginale: prima i lavavetri poi i mendicanti e gli ambulanti. Anche da parte di sindaci e amministratori del Partito democratico. Gli è che occorre liquidare l’equazione insicurezza e criminalità=immigrazione, altrimenti saremo costretti a contorcerci senza fine nella paura. Dimenticandoci che gli Italiani e segnatamente noi Sardi siamo stati un popolo di emigrati.

(Pubblicato su Il Sardegna del 14-2-09)

La politica dimentica “sa limba”

La politica dimentica “sa limba”

di Francesco Casula

Tutta la partita che attiene alla lingua e alla cultura sarda sembra essere stata cancellata  dall’agenda elettorale di Partiti e coalizioni. Evidentemente pensano che sia secondaria rispetto ad altri problemi. Non capendo invece che essa ha corpose ricadute anche a livello economico e occupazionale: basti pensare ai posti di lavoro che si potrebbero creare con l’insegnamento della cultura e della lingua sarda in tutti i tipi di scuola. A questo proposito l’unico cenno è presente nel decimo punto, dei quattordici presentati dal PSD’AZ al PDL per l’alleanza elettorale: si parla di insegnamento della cultura e della lingua sarda nelle elementari. Una posizione in contraddizione con la stessa proposta di legge sardista al Consiglio regionale del 21 Febbraio 2006, art.6, che proponeva “l’istituzione delle cattedre di lingua e cultura sarda, con relativi programmi didattici e dunque l’insegnamento delle stesse nelle scuole di ogni ordine e grado della Sardegna”.

Non si capisce il perché dell’insegnamento del sardo nelle sole elementari, quando la stessa Legge statale sulle Minoranze linguistiche, la 482 del 1999, prevede l’insegnamento della Lingua sarda e l’utilizzo della stessa come lingua veicolare, anche nelle Scuole medie. Invece di fare passi avanti, ritorniamo indietro!

Una posizione arretrata che mi ricorda tanto uno storico sassarese che ha scritto “Sono d’accordo con certe forme moderate di bilinguismo, ma la lezione universitaria in sardo la trovo controproducente e ridicola. Oggi non avrebbe alcun senso utilizzare il Sardo come linguaggio scientifico, giacchè esso nelle sue due grandi varianti, campidanese e logudorese, è una lingua di fatto rurale, che ha assimilato solo indirettamente i termini più propriamente legati alla vita e alla cultura cittadina”. Come se la lingua sarda fosse adatta per parlare di contos de forredda, ma non di cultura “alta”. Non capendo che:”Ogni e qualunque lingua è pienamente adeguata a esprimere le attività e gli interessi che i suoi parlanti affrontano. Quando questi cambiano, cambia e cresce anche la lingua. In un periodo relativamente breve, qualsiasi lingua precedentemente usata solo a fini familiari, può essere fornita di ciò che le manca per l’uso nella tecnologia, nell’Amministrazione Pubblica, nell’Istruzione”: a sostenerlo è il più grande studioso del Bilinguismo a base etnica, J. A. Fishman.

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 10-2-09)

 

Permesso di soggiorno

 

Tassa sui permessi di soggiorno e tassa sul macinato”.

di Francesco Casula

La tassa agli emigrati sui permessi di soggiorno ha suscitato un vasto dissenso politico e sociale. L’opposizione più dura è però venuta dalla Conferenza episcopale italiana con un giudizio severissimo sulla tassa, definita :”inaccettabile balzello che rivela un’aberrante criminalizzazione del fenomeno migratorio”. Perché di questo in realtà si tratta: una brutale criminalizzazione degli immigrati regolari, con una tassa che ha puro valore propagandistico. E’ infatti poco plausibile che abbia altri risvolti e obiettivi. Per intanto sarà inefficace: probabilmente i costi saranno superiori ai reali incassi. In secondo luogo, almeno per quanto attiene alle badanti, verosimilmente sarà pagata dagli più dagli “assistiti”, ovvero dagli italiani, che dagli immigrati.

Ma quello che maggiormente colpisce e indigna di questa tassa è la “regressività”: si colpiscono i meno tutelati, i più poveri, i più deboli, sia socialmente e culturalmente che economicamente. Casomai ci si sarebbe dovuto aspettare una tassa “progressiva”: sulla base del reddito, della rendita, della proprietà.

La tassa proposta dal Ministro Maroni mi ha evocato un’altra famigerata e storica imposta “regressiva”: la tassa sul “Macinato”. Già nota ai contadini meridionale durante il dominio borbonico, l’imposta fu abolita dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia. Ma ben presto fu rimessa in vigore su iniziativa del Ministro delle Finanze Quintino Sella, che anziché applicare un’equa tassazione sulla proprietà terriera –alla quale la borghesia era contraria- si decise di colpire, con una tassa indiretta, ovvero sui consumi, i “dannati della terra”di allora: le plebi meridionali, grandi consumatrici di pane. Senza tema di evasioni, -perché l’imposta veniva calcolata mediante un contatore applicato ai mulini, che registrava la quantità di grano macinato- l’imposta potè procurare, un centinaio di milioni all’anno, cifra nell’800, significativa. L’applicazione dell’imposta provocò diffuse rivolte, che in poche settimane causarono ben 250 morti.

E’ probabile, che quand’anche, sciaguratamente, la tassa sugli immigrati fosse applicata, non assisteremo a rivolte: certo è che rischierebbe di spingere alla clandestinità ulteriori quote di immigrati: quando il nostro interesse dovrebbe essere il contrario. Ma tant’è, la furia propagandistica e ideologica spesso fa velo allo stesso buon senso.

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 24-1-09)