RICORDANDO NICOLA ZITARA

Nicola Zitara, i nuovi meridionalisti e il colonialismo interno.

 

L’amico Mario Carboni, che ringrazio, m’informa cheIl 1° ottobre 2010 è morto, a Siderno, dopo una lunga malattia, Nicola Zitara, studioso meridionalista e storico. Aveva 83 anni… Negli anni ‘70 il circolo Città campagna con Eliseo Spiga e Antonello Satta collaborarono con la rivista Quaderni del Mezzogiorno e delle Isole iniziando un rapporto politico fra Sardegna e Meridione e in particolare con Zitara e Tassone che ne furono gli animatori… L’opera di Zitara, difficilissima in Calabria e nel Meridione stretti fra il colonialismo italiano e le mafie ha dato però una nuova interpretazione della Questione meridionale che così concepita contrariamente alla vulgata patriottarda filorisorgimentale si colloca con la Questione settentrionale e la Questione sarda fra i nodi da sciogliere in questo Stato italiano in dissoluzione solo con l’auto decisione dei popoli interessati a queste questioni politiche e per la Sardegna con l’indipendenza nazionale”.

Nicola Zitara, ex imprenditore, giornalista militante (scrive sul Gazzattino del Jonio, Quaderni Calabresi, Il Volantino) è autore di numerosissimi saggi sulla Questione meridionale , in particolare dei seguenti libri:

L’Unità d’Italia- nascita di una colonia, Ed. Jaca-Book, Milano, 1971.

Il l Proletariato esterno. Ed. Jaca-Book, Milano 1972

Memorie di quand’ero italiano  (romanzo storico edito dall’Autore)

I nuovi termini della Questione meridionale (coautore con Capecelatro, Carlo, Pugliese, Donolo,Salvati ecc) Savelli editore, Roma 1974

 

 

Nicola Zitara, all’inizio degli anni ’70, con alcuni intellettuali fra cui, Anton Carlo e Carlo Capecelatro che verranno poi chiamati nuovi meridionalisti, iniziò una revisione del “vecchio meridionalismo” e dell’intera “Questione meridionale” così com’era stata concepita e narrata anche dalla sinistra e dal PCI. Furono tacciati brutalmente dall’Unità di essere filoborboni e reazionari. Avevano osato dissacrare quanto tutti avevano divinizzato: il movimento e il processo, considerato progressivo e progressista del Risorgimento; avevano osato mettere in dubbio e contestare le magnifiche sorti e progressive dello Stato unitario, sempre celebrato da chi a destra, a sinistra e a  centro aveva sempre ritenuto che tutto si poteva criticare in Italia ma non l’Italia Unita e i suoi eroi risorgimentali.

Zitara e i nuovi meridionalisti – in modo particolare, ripeto, EdmondoMaria Capecelatro e Antonio Carlo, quest’ultimo fra l’altro per molti anni docente incaricato di diritto del lavoro all’Università di Cagliari – ritengono che il Meridione sia una “colonia interna” dello Stato italiano e che dunque la dialettica sviluppo-sottosviluppo si sia instaurata soprattutto nell’ambito di uno spazio economico unitario – quindi a unità d’Italia compiuta – dominato dalle leggi del capitale.

Si muovono in sintonia con studiosi terzomondisti come V. Baran e Gunter Frank che in una serie di studi sullo sviluppo del capitalismo tendono a porre in rilievo come la dialettica sviluppo-sottosviluppo non si instauri fra due realtà estranee o anche genericamente collegate, ma presuma uno spazio economico unitario in cui lo sviluppo è il rovescio del sottosviluppo che gli è funzionale: in altri termini lo sviluppo di una parte è tutto giocato sul sottosviluppo dell’altra e viceversa.

Così come sosterrà anche Samir Amin, che soprattutto in La teoria dello sganciamento-per uscire dal sistema mondiale,riprende alcune analisi che ha sviluppato nelle opere precedenti sui problemi dello sviluppo/sottosviluppo, centro/periferia, scambio ineguale.

Per Amin il sottosviluppo è l’inverso dello sviluppo: l’uno e l’altro costituiscono le due facce dell’espansione – per natura ineguale – del capitale che induce  e produce benessere, ricchezza, potenza, privilegi in un polo, nel ”centro” e degradazione, miseria e carestie croniche nell’altro polo, nella “periferia”.

Nel sistema capitalistico mondiale infatti i centri sviluppati (i Nord del Pianeta) e le periferie (i Sud) sottosviluppati sono inseparabili: non solo, gli uni sono funzionali agli altri. Ciò a significare che il sottosviluppo non è ritardo ma supersfruttamento. In questo modo Amin contesta la lettura della storia contemporanea vista come possibilità di sviluppo graduale del Sud verso i modelli del Nord, in cui l’accumulazione capitalistica finirà per recuperare il divario.

L’espansione capitalistica mondiale per i Sud del pianeta non comporta solo sottosviluppo ma anche “compradorizzazione” delle società e delle borghesie locali, nonché l’espansione “bianca”. Ovvero distruzione delle culture “extraeuropee”. Vi è anzi un legame strettissimo fra il carattere capitalistico della modernizzazione e l’espansione del dominio culturale europeo.

Di qui il genocidio di interi popoli marginalizzati con l’assimilazione forzata, la deculturazione massiccia, la distruzione di intere etnie e con esse di altrettante lingue culture, modi di vivere originali e specifici.

 

Breve bibliografia

1.      E. M. Capecelatro- A. Carlo, “Contro la Questione Meridionale”, Ed. Savelli, Roma 1972.

2.      V. Baran,  Il surplus economico e la teoria marxiana dello sviluppo, Milano,1966                            

3.  Gunter Frank, “Capitalismo e sottosviluppo in America latina, Torino 1969.

4. Samir Amin , Sulla Transizione,  Ed. Jaca-Book,   Milano, 1973

5. Samir Amin , La teoria dello sganciamento, Ed. Diffusioni, Milano 1986.

 

 

 

Costituita a Flumini l’Associazione culturale ITA MI CONTAS

 

L’Unione Sarda Edizione di venerdì 28 dicembre 2012 – Quartu Sant’Elena

Iniziative

“Itamicontas”  Casula guida l’associazione culturale

Nuovo direttivo per gli amanti dei libri. Si è costituita formalmente l’associazione culturale “Itamicontas”, attiva nell’organizzare diverse iniziative culturali nella biblioteca di Stella di Mare 2. Come presidente è stato scelto Francesco Casula, vicepresidente Paolo Maccioni, segretaria Carla Scano, tesoriere Giuseppe Floris e membri del direttivo Antonio Cogoni, Enrica Boy e Martina Bragoli. Dopo le diverse iniziative organizzate nell’ultimo anno, per il 2013 è in fase di definizione la nuova attività. «Consisterà», spiegano, «nella presentazione di libri, conferenze sulla cultura, la storia e la lingua sarda, brevi corsi introduttivi alla musica e alla pittura, serate musicali, e anche interventi esterni verso comunità assistenziali che sono già state sperimentate nel corso dell’anno, seguendo gli obiettivi di organizzare, creare, promuovere e manifestare attività culturali per ogni fascia d’età». (g. mdn.)

FEMINAS SARDAS DE GABALE: Marianna Bussalai di Orani.

 

 

 

RICORDANDO MARIANNA BUSSALAI

Marianna Bussalai, “Signorina Mariannedda de sos Battor Moros”, così veniva chiamata dagli oranesi, è una straordinaria figura di femminista, di sardista e di antifascista; una poetessa, traduttrice e intellettuale di valore, morta nel 1947, a soli 43 anni.

Autodidatta –frequenta solo fino alla quarta elementare- legge gli autori sardi (Sebastiano Satta, Montanaru, -con cui ha un fitto carteggio epistolare- e Giovanni Maria Angioy, di cui vanta una remota ascendenza); gli italiani (Dante Manzoni , Monti, Pindemonte) ma anche i russi.

Di Montanaru traduce le poesie in italiano; di Dante avrebbe voluto tradurre la Divina Commedia in Limba per poter dare al popolo sardo – scriveva – la possibilità di leggere e comprendere l’opera.

Compone poesie in italiano e in sardo: soprattutto mutettos e terzine. Famose sono rimaste quelle che mettono alla berlina i fascisti, ad iniziare dai ras locali: Farinacci est bragosu/ca l’ana saludau/sos fascista de Orani; Tene’ prus valentia/de su ras de Cremona/su Farinacci nostru.

Il sardismo e l’antifascismo, cui dedicò tutta la sua vita, – ovvero l’amore smisurato per l’Autonomia e per la libertà – li vedeva incarnati meravigliosamente in Lussu, verso cui nutriva ammirazione e persino devozione.

 

IL SARDISMO DI MARIANNA BUSSALAI

“II mio sardismo data da prima che il Partito sardo sorgesse, cioè da quando, sui banchi delle scuole elementari, mi chiedevo umiliata perché nella storia d’Italia non si parlasse mai della Sar­degna.. Giunsi alla conclusione che la Sardegna non era Italia e doveva avere una storia a parte”. (pagina 31)

 

IL SUO ANTIFASCISMO E SARDISMO IN VERSI

Ite bella Nugòro / tottu mudada a frores / in colore ‘e fiama. / Ite bella Nugòro / solu a tie est s’amore / ca ses sa sola mama / Sardigna de su coro/ Saludan’ sos sardistas / chin sa manu in su coro / de sas iras fascistas / si nde ride’ Nugòro.

 E : Viva sos Battor Moros!/ In Issos est s’ispera/ In Issos est s’isettu!/ Viva sos Battor Moros/ Sa Sarda Bandiera/ Comente est in su pettus/ Est puru intro ‘e sos coros.(pagina 34)

 

 

“UNIVERSALISTI” e “PROVINCIALI”

 

In una lettera all’amica Graziella Sechi Giacobbe, scrive:”Mi spieghi perché ci voglia un cuore più capace per militare nel Partito italiano d’azione e un cuore più limitato per mi­litare nel Partito sardo d’Azione. Indubbiamente l’Italia ha una superficie maggiore della Sardegna; ma la vastità e la grettezza dello spirito non si misurano a metri o a chilometri quadrati”. (pagina 36)

 

 

IL SUO RAPPORTO CON LUSSU

Ho bisogno di seguirlo devotamente in qualunque modificazione, in qualunque innovamento dal più ampio e moderno respiro, ma purchè sia nel Partito nostro, nel Partito sardo, come <sardisti> non in un Partito italiano <nazionale>, dove saremmo forse ancora <autonomisti> ma non saremmo più <sardisti> come tu hai ben detto! Perché militare in un Partito <sardo> significava che v’era (oltre alla necessità di riforme autonomiste dell’intero stato italiano) anche una <questione sarda>, di fronte alla Penisola; una passione Sarda, una coscienza Sarda da formare, sia pure per un lontano futuro! (pagina 40)

 

Nota Bene

Le citazioni con le relative pagine sisono contenute nel libro, critto interamente in Lingua sarda: MARIANNA BUSSALAI (de Frantziscu Casula/Zuanna Cottu, Alfa editrice, Quartu Sant’Elena, 2007)

 

 

 

 

 

 

 

Il Vespro di Natale di Sebastiano Satta

VESPRO DI NATALE

 

Incappucciati, foschi, a passo lento,

tre banditi ascendevano la strada

deserta e grigia, tra la selva rada

dei sughereti, sotto il ciel d’argento.

 

Non rumore di mandre o voci,

il vento agitava per l’algida contrada.

Vasto silenzio. In fondo, monte Spada

ridea bianco nel vespro sonnolento.

 

O vespro di Natale! Dentro il core

ai banditi piangea la nostalgia

di te, pur senza udirne le campane:

 

e mesti eran, pensando al buon odore

del porchetto e del vino, e all’allegria

del ceppo, nelle lor case lontane.

 

In questo sonetto, concentrandola in pochi versi, il poeta riesce a cogliere intensamente e a rappresentare una nota paesistica, interiorizzandola però, ovvero traducendola in tema lirico, scevro da ogni indugio illustrativo, ma soprattutto da preoccupazioni edificanti, civili e pedagogiche, ispirate a un socialismo umanitario, che pure abbondano in altre liriche.

 La rappresentazione, sospesa fra la realtà e la fantasia, dei banditi incappucciati e tristi che passano per vie desolate, foschi su sfondi di neve e che incedono con tanta cupa andatura che solo questo cadenzato endecasillabo sa mimare, ricorda la misura espressiva dei piccoli quadretti del Pascoli delle Mirycae.

La forma conclusa del sonetto inoltre, dove per di più l’endecasillabo si smorza nei frequenti enjambements, rende il silenzio carico di tristezza, di dolcezza e di vitalità insieme, di una inestinguibile nostalgia dell’intimità familiare, di un rifugio sereno e festoso, che invade l’animo dei banditi, fragili creature umane anch’essi. In altre liriche mitizzati come belli, feroci e prodi.

Il linguaggio è alto, illustre, gli aggettivi ricercati, aulici (foschi, rada, algida) tanto da rischiare di risultare stereotipati e poco creativi.

Tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna, di Francesco Casula, volume I, Grafica del Parteolla Editore, Dolianova, 2011, Euro 20.

 

Il Natale per Salvatore Cambosu, il grande scrittore sardo di Orotelli

-Il Natale per Cambosu

“[…]Fra i tanti temi cari a Sal­vatore Cambosu quello del Natale è forse tra i più frequentati. Cambosu è stato uno scrittore, ma anche un poeta. Un poeta in prosa fra quei pochi che han­no permeato la narrazione di aneli­ti di trascendenza, di soffi di tene­rezza, di “sorrisi di luna”. Il Natale di Cambosu è tutto concentrato nel­la rimembranza, nel ricordo della sua infanzia, della sua casa e della chiesa di Orotelli, suo paese natale, tanto amato come lo sono per chiunque quei paesi che ti lasciano dentro le radici della memoria. Il poeta-narratore si percepisce in ogni sua riga, ma Cambosu lo era anche quando non scriveva, in quel suo essere timido, povero, amaro e inquieto, visionario dei momenti to­pici della vita e dell’anno. Appunto, il Natale.

In “Miele amaro”, la sua opera più letta, dedica un intero capitolo alle poesie natalizie liete e tristi, col suo vezzo della ricerca sulle tradizioni popolari che fanno di quel libro un’antologia unica dell’anima sar­da. Innamorato com’era della vita semplice del paese, del suo paese, scrive: «Certo, ci vuole proprio un villaggio perché un bambino come Gesù possa nascere ogni anno per la prima volta. In città non c’è una stalla vera con l’asino vero e il bue; non si ode belato, e neppure il gri­do atroce del porco sacrificato, scannato per la ricorrenza. In città è persino tempo perso andar cer­cando una cucina nel cui cuore ne­ro sbocci il fiore rosso della fiamma del ceppo. E infine, con tante luci che vi oscurano le stelle, è troppo pretendere attecchisca la speranza che, alla punta di mezzanotte, i cie­li si spalancheranno e dallo squar­cio s’affaccerà una grotta azzur­ra…».

Salvatore Cambosu ha vissuto sempre il Natale con un misto di dolcezza e di tristezza, riflettendo che la nascita del Bambinello prelu­de alla sua morte, così come -cer­tamente pensava- ogni umano na­scere. Questo risvolto natalizio è av­vertibile nel racconto “Il Natale in Sardegna”. Seguite: «Nei miei ricor­di non c’è posto per un Natale senza neve. Il Bambino nasceva ogni anno, in quella chiesa pisana, intie­pidita dal calore della folla, tra una sparatoria, un abbaiare e uno scam­panio frenetico. Nevicava. Le donne, inginocchiate sul pavimento nudo, cantavano …. Tutto ormai era a po­sto. La stella d’Oriente, che aveva viaggiato per gioco di fili dal porto­ne al tabernacolo, dove c’era il pre­sepe nascosto da una tendina, ades­so era a perpendicolo sulla testa del celebrante. La tendina rimossa, il Bambino sgambettava nudo, e Ma­ria era china sulla culla di paglia.

La felicità poco durava. Di punto in bianco le donne intonavano, in no­me suo, un’altra ninna nanna: il cuore materno, a tanto breve di­stanza dal primo vagito del Bambi­no, già presagiva tra i ceri accesi e il profumo degli incensi, l’ombra della Croce sul nudo Calvario»[…] “

[Gianni Pititu, Nei paesi della Barbagia senza neve non c’è Natale, tra gioia e tristi presagi, “L’Unione sarda” 18 Dicembre 2008, pag.37]. – tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna, volume I, di Francesco Casula, Editore Grafica del Parteolla, Dolianova, 2011, pagine 268-269-

Grazia Deledda entrerà nelle scuole?

SA LIMBA DE GRATZIA DELEDDA

 de Frantziscu Casula

Paret chi Gratzia Deledda potat intrare – e jà fiat ora – in totu sas Iscolas sardas: nessi goi amus legidu in S’Unione sarda de eris 20 de nadale. Duncas tocat a cominzare a nde faeddare e iscriere. Po contu meu inghitzo allegande de sa Limba chi, su Premiu Nobel nugoresu, impreat in sos romanzos.

 

Pro cumprender bene sa limba chi Deledda impreat iscriende tocat de partire dae custa premessa: su sardu non est unu dialetu italianu –comente galu medas bacheos, (macos o tontos?) ma sos prus pro ignorantzia, narant e pessant, puru zente “istudiada”- ma una limba. Nois sardos semus “bilingui” ca  allegamus in su matessi tempus duas limbas, su sardu e s’italianu. Puru sa Deledda fiat bilingue.

Segundu unu de sos prus mannos linguistas sardos, Massimu Pittau, sa povertade in su lessicu italianu de sa Deledda est determinadu da-e unu fatu psichicu: sa timoria de isballiare. Duncas non impreamus mai sos vocabulos: arena, brocca, chicchera, fontana, padella, pigliare, rammentare, tappo, tornare etc. etc. proite pessamus chi siant ateretantos sardismos, cando imbetzes non lu sunt pro nudda, e impreamus solu sinonimos: sabbia, anfora, tazzina, fonte, pentola prendere, ricordare, turacciolo, restituire etc.etc.

Pro curpa de custa timoria – segundu, lu torro a narrer, Pittau – su lessicu de iscritores sardos comente a Gratzia Deledda est impoberidu, mescamente in sos iscritos de sa pitzinnia ca a pustis l’arrichit semper prus. S’atera chistione chi tocat de amentare est chi su prus de sas bortas sa Deledda – ma capitat a medas sardos, peri iscrittores mannos – pessaiat in sardu e traduiat mecanicamente in italianu, mesche “nel parlare dialogico” – est semper Pittau a lu sustenner, ma eo so de accordu cun issu – comente in “Bennidu ses? Accatadu fattu l’as? A Luisi bidu las? Candes gai, andamus !”

Sos iscritos de sa Deledda sunt prenos de custas frasas.

Bi sunt in fines medas e medas faeddos propiu sardos e isceti sardos chi Deledda faghet intrare in sas fainas suas cando si tratat de iscrier subra s’ambiente sardu: pessamus a tanca (terreno di campagna chiuso da un recinto fatto in genere di sassi); socronza(consuocera), impreada meda meda in Elias Portolu; corbula (cesta); bertula (bisaccia); tasca (tascapane); leppa (coltello a serramanico); leonedda (zufolo); cumbessias o muristenes (stanzette tipiche delle chiese di campagna un tempo utilizzate per chi dormiva là per le novene della Madonna o di Santi); domos de janas (tombe rupestri e letteralmente “case delle fate”).

Bi sunt a pustis frasas intreas in sardu comente: frate meu (fratello mio), Santu Franziscu bellu (San Francesco bello), su bellu mannu (il bellissimo, letteralmente :il bello grande), su cusinu mizadu (il borghese con calze), a ti paret (ti sembra?), corfu ‘e mazza a conca (colpo di mazza in testa), ancu non ch’essas prus (che tu non ne esca più: è un’imprecazione).

Pro no narrer de sos lumenes chi sunt truncados in sa sillaba finale cando est “complemento vocativo”, tipicu modu de narrer sardu ma mescamente nugoresu e barbaritzinu: Antò (o Antonio), Colù (o Colomba), Zosè= Zoseppe (o Giuseppe), Zuamprè=Zuampredu (o Giampietro), pride Defrà= pride Defraia (prete Defraia).

Carchi borta Deledda presentat finas frasas italianas istropiadas in sardu e frasas sardas istropiadas in italianu: nois barbaritzinos naramus italianu porcheddinu, un esempru: ”Come ho ammaccato questo cristiano così ammaccherò te (…)”; “ Avete compriso?”.

Pro cuncruire  amento puru chi sa Deledda traduit faeddos sardos o espressiones propiu sardas cando no esistit su currispondente in italianu: Perdonate= perdonae in nugoresu: voce verbale con cui ci si scusa con un accattone quando non gli si può o non gli si vuole fare l’elemosina; botteghiere= buttegheri in nugoresu (invece di bottegaio); male donne= malas feminas in nugoresu (invece di donnacce); maestra di parto= mastra ‘e partu in nugoresu (invece di levatrice); maestro di muri, maestro di legno, maestro di ferro= mastru ‘e muru, mastru ‘e linna, mastru ‘e ferru (invece di muratore, falegname, fabbro).

Toccat però de crarire chi sos sardismos linguisticos de sa Deledda non benint dae s’incapatzidade de impreare bene sa limba italiana ma da-e un’isseberu suo cabosu e cherfidu. S’ifruentza de sa Sardinna e de sa limba sarda in sas operas de sa Deledda non pertocat solu sas formas sintaticas e sos faeddos ma finas – e meda a beru – sos temas, sos costumenes, sas faulas e sas paristorias, sas mazinas, sos proverbios e sos dicios: pro lu narrer in una paraula sola sa tzivilidade sarda intrea.

LA CIVILTA’ NURAGICA di Francesco Casula

 

La civiltà nuragica

 

di FRANCESCO CASULAbiblioteca.PNG

 

La Biblioteca del Quotidiano Repubblica, nel 2005 ha pubblicato e diffuso a migliaia di copie un volume di 800 pagine sulla preistoria nel quale nuraghi e Sardegna non vengono citati, neppure per

errore. Un’occasione mancata per la cultura italiana che pur pretende, – e con quale spocchia –  di dominare sull’Isola. Per contro, uno dei redattori più influenti del quotidiano romano, Sergio Frau, da tempo sostiene, producendo una grande messe di indizi e di prove, che al tempo dei nuraghi la Sardegna altro non era se non Atlantide. La tesi, se verificata fino in fondo, sconvolgerebbe la storia del Mediterraneo così come la conosciamo; anche per questo è avversata con veemenza da accademici, sovrintendenti, geologi e antropologi poco disposti a mettere in discussione se stessi e le certezze su cui hanno fondato carriere e fortune. E’ la stessa veemenza usata nel passato contro il dilettante scopritore di Troia, anch’essa come Atlantide considerata un semplice “mito”. 

 

Se il Quotidiano “La Repubblica” ha compiuto un semplice peccato di omissione, qualcuno ha fatto di peggio: certo Gustavo Jourdan, uomo d‘affari francese, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno in Sardegna, a coltivare gli asfodeli per ottenerne alcool, in “l’Ile de Sardaigne” (1861) parla della Sardegna rimasta ribelle alla legge del progresso, terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi.

 

Mentrel’inglese Donald Harden, archeologo, filologo e storiografo di fama, dopo aver visitato molte contrade della Sardegna, agli inizi del Novecento, tra gli anni ’20 e ‘30, espresse giudizi poco lusinghieri sulla tradizionale cultura del popolo sardo che lo aveva ospitato e in una sua opera “The Fhoenician” parlerà della Sardegna come regione sempre retrograda.

 

Ma tant’è: accecati dall’eurocentrismo, evidentemente costoro dimenticano che quella nuragica è stata la più grande civiltà della storia di tutto il mediterraneo centro-occidentale del secondo millennio avanti Cristo. Con migliaia di nuraghi (8.000 secondo le fonti ufficiali: l’Istituto geografico militare, che però li censisce secondo modalità militari e non archeologiche; 20.000 secondo Sergio Salvi e 25–30.000 secondo altre fonti non ufficiali) costruzioni megalitiche tronco-coniche dalle volte ogivali con scale elicoidali; pozzi sacri, betili mammellari, terrazze pensili, androni ad arco acuto, innumerevoli dolmens e menhir, migliaia di statuette e di navicelle di bronzo. Con un’economia dell’abbondanza: di carne, pesce, frutti naturali. Che produce oro, argento, rame, formaggi, sale, stoffe, vini. Ma anche la musica delle launeddas

 

Quella Sardegna, (per Omero la Scherìa, la terra dei Feaci, abitanti di un’Isola su tutte felice), posta a Occidente nel mezzo del Mediterraneo, aperta al mondo, che combatte, alleata con i Popoli del mare contro i potenti eserciti dei Faraoni e dei re di Atti che tiranneggiano e opprimono i popoli.

 

La Sardegna, l’Isola sacra in fondo al mare di Esiodo, l’Isola dalle vene d’argento (Argyròflebs) di Platone poi Ichnusa Sandalia ecc. oltre che Isola “felice” è infatti Isola libera, indipendente e senza stato. Organizzata in una confederazione di comunità nuragiche mentre altrove dominano monarchi e faraoni, tiranni e oligarchi. E dunque schiavitù. Non a caso le comunità nuragiche costruiscono nuraghi, monumenti alla libertà, all’egualitarismo e all’autonomia; mentre centinaia di migliaia di schiavi, sotto il controllo e la frusta delle guardie, sono costretti a erigere decine di piramidi, vere e proprie tombe di cadaveri di faraoni divinizzati.

 

Per sfuggire alle carestie, alla fame e alla miseria ma anche alle tirannidi e alla schiavitù molti si rifugeranno nell’Isola, che accoglierà esuli e fuggitivi. Venti mila – secondo il linguista sardo Massimo Pittau – scampati alla distruzione della città-stato di Sardeis in Anatolia, da parte degli invasori Hittiti. Altri arriveranno dalla stessa Troia.

 

Finchè i Cartaginesi non invasero la Sardegna, per fare bardana, depredare e dominare l’Isola. Ma con il dominio romano fu ancora peggio. Fu un etnocidio spaventoso. La nostra comunità etnica fu inghiottita dal baratro. Almeno metà della popolazione fu annientata, ammazzata e ridotta in schiavitù. 

 

Chi scampò al massacro fuggì e si rinchiuse nelle montagne, diventando dunque “barbara” e barbaricina, perché rifiutava la civiltà romana: ovvero di arrendersi e sottomettersi. Quattro-cinque mila nuraghi furono distrutti, le loro pietre disperse o usate per fortilizi, strade cloache o teatri; pare persino che abbiano fuso i bronzetti, le preziose statuine, per modellare pugnali e corazze, per chiodare giunti metallici nelle volte dei templi, per corazzare i rostri delle navi da guerra.

 

La lingua nuragica, la primigenia lingua sarda del ceppo basco-caucasico, fu sostanzialmente cancellata: di essa a noi oggi sono pervenuti qualche migliaio di toponimi: nomi di fiumi e di monti, di paesi, di animali e di piante.

 

Le esuberanti creatività e ingegnosità popolari furono represse e strangolate. La gestione comunitaria delle risorse, terre foreste e acque, fu disfatta e sostituita dal latifondo, dalle piantagioni di grano lavorate da schiere di schiavi incatenati, dalle acque privatizzate, dai boschi inceneriti. La Sardegna fu divisa in Romanìa e in Barbarìa. Reclusa entro la cinta confinaria dell’impero romano e isolata dal mondo. E’ da qui che nascono l’isolamento e la divisione dei sardi, non dall’insularità o da una presunta asocialità.

 

A questo flagello i Sardi opposero seicento anni di guerriglie e insurrezioni, rivolte e bardane. La lotta fu epica, anche perché l’intento del nuovo dominatore era quello di operare una trasformazione radicale di struttura “civile e morale”, cosa che non avevano fatto i Cartaginesi. La reazione degli indigeni fu fatta di battaglie aperte e di insidie nascoste, con mezzi chiari e nella clandestinità. La lunga guerra di libertà dei Sardi – è Lilliu a scriverlo –  ebbe fasi di intensa drammaticità ed episodi di grande valore, sebbene sfortunata: le campagne in Gallura e nella Barbagia nel 231, la grande insurrezione nel 215, guidata da Amsicora, la strage di 12.000 iliensi e balari nel 177 e di altri 15.000 nel 176, le ultime resistenze organizzate nel 111 a.c., sono testimonianza di un eroismo sardo senza retorica (sottolineato al contrario dalla retorica dei roghi votivi, delle tabulae pictae, dei trionfi dei vincitori)”.

 

La Sardegna, a dispetto degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico  Meloni. Ma non fu annientata. La resistenza continuò. I sardi riuscirono a rigenerarsi, oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati: sos rennos sardos (i regni sardi). 

 

(Tratto dalla Introduzione di Letteratura e civiltà della Sardegna, Editrice Grafica del Parteolla, Dolianova, 2011, Euro 20)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Zuanne Maria Angioy - Francesco Casula, Giovanna Cottu, Alfa Editrice (2007)

La vita, la storia e le opere di Giovanni Servitzios Bibliograficos Sardos

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L´Autore propone la vita, la storia e le opere di Grazia Deledda, dando spazio soprattutto ai luoghi e ai contesti socio-culturali.

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L´Autore propone la vita, la storia e le opere di Eleonora d´Arborea, dando spazio soprattutto ai luoghi e ai contesti socio-culturali ove si sono svolti gli avvenimenti.

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Antoni Simon Mossa - Francesco Casula, Alfa Editrice (2006)

L´Autore propone la vita, la storia e le opere di Antoni Simon Mossa, dando spazio soprattutto ai luoghi e ai contesti socio-culturali.

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Marianna Bussalai - Francesco Casula, Giovanna Cottu, Alfa Editrice (2007)

Storia di Marianna Bussalai, corrispondente de  ´Il Solco´ e punto di riferimento intellettuale e politico per i ragazzi del gruppo d´animazione antifascista a Orani.

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Sigismondo Arquer - Francesco Casula, Marco Sitzia, Alfa Editrice (2008)
 

Giuseppe Dessì

 

Giuseppe Dessì - Francesco Casula, Veronica Atzei, Alfa Editrice (2008)

L´Autore propone la vita, la storia e le opere di Grazia Deledda, dando spazio soprattutto ai luoghi e ai contesti socio-culturali.

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Montanaru - Francesco Casula, Joyce Mattu, Alfa Editrice (2008)
 

Gratzia Dore

 

Gratzia Dore - Francesco Casula, Alfa Editrice (2008)
 

Uomini e Donne di Sardegna

le controstorie
 

Uomini e Donne di Sardegna - Francesco Casula, Alfa Editrice (2010)
 

La lingua sarda e l´insegnamento a scuola

la legislazione europea, italiana e sarda a tutela delle minoranze linguistiche
 

La lingua sarda e l´insegnamento a scuola - Francesco Casula, Alfa Editrice (2010)
 
Autore/es Francesco Casula
Editore Alfa Editrice
Editzione Quartu Sant´Elena, Freàrgiu 2010
Pàginas 96
Genia Sagìstica
Suportu Pabiru 
Prèsu € 14,00
Presentada Franncesco Casula
Limba de publicatzione italianu
 

 

Antoni Gramsci - Francesco Casula, Matteo Porru, Alfa Editrice (2006)

Maria Angioy.

Pro sas Festas de Nadale donade unu libru in Sardu

       

Pro sas Festas













OminesNuovo.jpgde Nadalealt
Christmas

 

Donade e donadebos unu libru in Limba sarda
Òmines e Fèminas de Gabbale ((Alfa editrice)
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1. Gratzia Deledda de Frantziscu Casula

 2. Emiliu Lussu de Matteu Porru   

3. Leonora d’Arborea de Frantziscu Casula
4. Antoni Gramsci de Frantziscu Casula / Matteu Porru
5. Antoni Simon Mossa de Frantziscu Casula
6. Franziscu Masala de Matteo Porru / Toninu Langiu
7. Zuanne M. Angioy de Frantziscu Casula / Giuanna Cottu
8. Amsicora de Frantziscu Casula / Matteu Porru
9. Marianna Bussalai de Frantziscu Casula / Giuanna Cottu
10. Giuanni B. Tuveri de Gianfranco Contu / Ivo Murgia
11. Sigismondo Arquer de Frantziscu Casula / Marco Sitzia
12. Giuseppe Dessì de Frantziscu Casula / Veronica Atzei
13. Montanaru de Frantziscu Casula / Joyce Mattu
14. Egidio Pilia de Marcello Tuveri / Ivo Murgia
15. Gratzia Dore de Frantziscu Casula

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Òmines e Fèminas de Gabbale
Recensione di Franca Marcialis

Essi de Gabbale o de Cabali, comenti naraus nosu in Campidanu, bolit nai essi dinnius de nodu e de arrespetu. Nosu naraus “est un’òmini de cabali, o est unu de pagu cabali, o non ddu at cabali, non at scaburtu cabali perunu… Essi òmini de cabali bolit nai essi onestu, de caratteri forti, abili, sabiu, dinniu de essi apreziau.

In pagus fueddus, òmini de cabali est unu comenti de s’amigu nostu Franciscu Casula chi at scritu is librus asuba de “òminis e fèminas de gabbale“ imprentaus de Maria Marongiu in sa domu de imprenta Alfa Editrice de Quartu.

Franciscu est un’òmini seriu e in su matessi tempus sempri aligru, de principius sanus, sabiu, frimu in is ideas, de grandu cultura, studiosu de storia e de cultura sarda, scritori e giornalista, sindacalista, professori de scola e maistu de vida sempri prontu a gherrai po difendi is prus debilis e sempri in cumbata po mantenni fidi a is ideas suas. Custas ideas si podint stringi in custus pagus fueddus postus in sa presentada de su libru asuba de Deledda: “Nois cherimus sighire a bivere, cun s’identidade nostra, istorica, culturale e linguistica de populu e de natzione: pro custu toccat chi sa limba sarda siat imparada e connota e duncas foeddada e iscritta”.

Franciscu est unu chi ponit sempri in pratica su chi predicat e propriu po custu issu at iscritu medas librus asuba sa storia, sa lingua e sa cultura sarda e puru custus librus chi presentaus innoi funt stetius aprontaus in s’idea de fai conosci fèminas e òminis de cabali de Sardinnia.

Funt iscritus in sardu, in sa fueddada de Cab’e Susu, ma si cumprendint beni poita si sforzant de arribai a una scritura comuna chi pozat essi cumprendia e umperada de totus. Chini ligit su libru si-nd’abizat iluegu ca est iscritu de un’òmini de scola chi donat atenzioni a su chi si narat e a comenti si scrit. Sa lingua est moderna, arrica comenti de lessicu, struturada sighendu sa sintassi sarda, cun frasis beni tessias e chi si cumprendint in deretura. Is argumentus podint essi ampriaus e permitint de aprontai unidadis de imparu chi accolegant medas materias chi si faint in iscola (istoria, giografia, literadura sarda, nazionali e internazionali, critica literaria).

Is librus si podint umperai beni po sa didatica de su sardu in sa scola: funt iscritus po is giovunus de oi in manera chi issus, conoscendu genti de cabali, pozant conosci sa storia sarda, su chi nosu seus stetius, pozant conosci is arrexinis de sa cultura nosta e dda pozant apreziai de prus.

Franciscu Casula at bofiu apreziat de tres fèminas sardas dinnias de essi connotas e amiradas.

Sa prima est Lionora de Arborea. Lionora (Eleonora D’Arbarea) est una de is fèminas prus stimadas de sa storia italiana de is tempus passaus. Is contus asuba de sa vida sua funt medas, pagus perou is testimoniantzias istoricas. Franciscu si frimat a totu su chi si podit provai cun documentus fenzas de sterri arrescionis in is contisceddus chi benint mandaus de babu a fillu ma chi non si podint provai in manera peruna. Lionora est nascia in su 1340, filla de Marianu IV e coyada cun Brancaleone Doria in su 1376 (a 36 annus) no po amori ma po podi tenni una manu de agiudu contras a is Aragonesus. Apustis mortu (bocciu non si scit de chini) su fradi Ugoni divenit juighissa de Arbarea de su 1383 fintzas a su1404 annu chi s’est morta po mori de sa pesti niedda. Sa juighissa nosta fut contra sa potentzia spanniola chi boliat concuistai in donnia modo sa Sardinnia e iat fatu unas cantus gherras po s’autonomia de totu sa Sardinnia contra s’invasori aragonesu. Mancai non siat arrenescia in cust’idea, sa genti de sa Sardinnia s’arregodat de Issa po sa “Carta de Logu”, una Carta de is Leis , iscrita in lingua sarda e umperada de su 1421 in totu sa Sardinnia. Custa podit essi cunsiderada una de is fromas prus avantzadas de sa scientzia de is leis in su tempu medievali. Franciscu Casula at postu in ispicu sa moderninadi de sa “Carta” e at fatu resaltai comenti n-ci fut atentzioni po su mundu de is fèminas, puru cun ordinamentus chi podint esser cunsideraus “modernus”, (comenti sa libertadi de sa fèmina de acetai o arrefudai sa coya de aconciu). Po donnia mancanzia si tenit in contu sa cundanna giusta. Massayus e pastoris, tandus prus de oi, fuant in cumbata po s’usufrutu de is terras, agatànt in sa carta de logu regulamentus frimus e precisus chi depiant ascurtai amarolla poita sa lei de Lionora fuat pagu druci cun is prepotentis. Comenti de pena po is disatinus sa lei podiat cundannai a morri in su fogu o s’intzurpiamentu o a sa prisonia. Si donàt perou attenzioni po biri chi ci fiat voluntadi de fai su mali. In atrus logus tandus no ci pentzànt nimancu.

Is 198 articulus de sa Carta pertocant totus is aspetus de sa vida de su Stadu: castigamentus po mali mannu, ordinamentos po massayus e pastorìs, po chini poniat fogu, po sa cassa, po cussu chi spetàt a chini trabalàt e sa tutoria de is prus debilis. Po su tempu suu custa lei fiat moderna. Sa Carta de Logu de Lionora est abarrada in vigori in totu sa Sardinnia fintzas a su 1827 candu arribat sa Lei Codice Feliciano.

Franciscu si frimat a longu asuba de is articulus prus prezisus po si fai biri sa modernidadi de sa lei e sa bellesa de sa lingua umperada in sa Carta de Logu; po nai infinis ca propriu in sa Carta nosu podeus agatai unu modulu bonu de lingua chi podit essi umperada finzas e imoi in is ufitzius. Custu libru donat bonus ispuntus po studiai sa lingua sarda scrita, po conosci sa storia sarda candu sa Sardinnia teniat ancora ispera de libertadi. Lionora est arrenescia a cumpriri s’opera incumenzada de su babu Marianu i est istetia “su sovoranu prus mannu chi sa Sardinnia apat tentu”.

Su de dus librus est scritu asuba de Grazia Deledda sa scritrici sarda, unica fèmina in su mundu chi at bintu su premiu Nobel po sa literadura ; cun s’opera sua at onorau sa Sardinnia e nosu sardus.

Franciscu at iscritu custu libru in manera chi nemus si dda scaresciat e su nomini su pozat intrai in is iscolas poita fizas a imoi is librus de scola non dda tenint in carculu.

Grazia Deledda est nascia a Nugoro in su 1871 de Giovanni Antonio e Francesca Cambosu. In familia stetiant beni: su babu, teniat unu diproma de procuradori legali, commerciàt su craboni, fuat unu possidenti de terras.

A edadi de disciasett’annus Gratzia cumenzat a iscriri po sa rivista “Ultima moda” de Roma e de tandu, donnia santa dia parti de su tempus ddu passàt scriendu. Si coyat in su 1900, sighit su pobiddu a Roma e innia est morta in su 1936.

Bandat a iscola finzas a sa cuarta elementari, agoa studiat po contu suu is librus de sa literadura italiana e internazionali e ampriat is conoscentzias gratzias a is contus de is anzianus e a is contus de is cuilis.

Deledda conoscit beni sa cultura popolari, dda cumprendit e in custus ambientis fait movi e bivi is protagonistas de is romanzus suus. In donnia libru non mancat de fueddai de sa Sardinnia, de is fèminas e de sa natura. Franciscu Casula scrit: S’atividade letteraia de Gratzia Deledda andat dae su 1880 a su 1936 e, cun su romanzu autobiograficu de Cosima, publicadu a pustis morta, finas a su 1937. Abratzat 350 novellas in degheoto volumenes, trinta contos, oto faulas, chibanta articolo, una chibantina de poesias e trentachimbe romanzos. At tentu, in prus de su Premiu Nobel, riconoscimentos mannos da parte de medas Istados e pessonazos importantes. In su 1935 sa cara sua est istada istampada in unu francubullu cherfidu dae su guvernu Turcu in una serie filatelica dedicada a sas feminas famadas de totu su mundu. Sa boghe sua est istada sa prima rezistrada in Italia in sa Fonoteca de s’Istadu. Sas operas suas imprentadas a pustis sa morte dae s’editore Mondadori de Milanu, sunt istadas traduidas in sas prus importantes limbas de totu su mundu, finas in tzinesu, indianu e zapponesu, in serbu croatu e peri in africanu. Totu s’opera de Deledda est istada traduida e publicada in russu.”

Sa protagonista de s’arti de Deledda est sempri sa Sardinnia: su populu sardu, s’amori, is prexus, is trumentus e is sentidus de sa genti.

In mesu a sa genti si scerant is fèminas: fèminas de cabali, fèminas balentis, decidias, capassis de calisisiat sacrifiziu, fèminas innamoradas, trumentadas, pecadoras e fortis in is ideas insoru. Is fèminas de is romanzus funt is feminas de sa soziedadi matriarcali sarda.

Is òminis invecis funt sempri debilis e indecidius.

Atra protagonista est sa natura, is animalis de sartu, is padentis is montis, is matas, is fruminis e is arrius.

Grazia Deledda est una fèmina famada , de importanzia e de ispantu. Su libru de Franciscu Casula acrarit su chi de Deledda penzant medas criticus literarius sardus italianus e strangius. Calancunu non dd’arreconoscint sa genialidadi ma is prus apreziant Deledda po sa fantasia ispantosa, po sa richesa de is sentitdus, po s’abilidadi in sa descrizioni de is logus acantu issa est nascia e pesada finzas a giovanedda.

Franciscu Casula si frimat a studiai su limbazu de Deledda po ndi bogai a pillu comenti issa fessat bilingue comenti bilinguis seus totus nosu sardus.

Berus est ca Deledda teniat unu lessicu italianu non meda arricu poita ca penzat in sardu e tradusiat in italianu. S’agatant medas bortas frasis tradusias de su sardu comenti “Cumprendiu dd’as” Capito hai? Funt presentis medas fueddus sardus o frasis italianas istrupiadas in sardu.

Deledda si ndi ponit meri de medas contus de sa tradizioni orali de is biddas. In s’arregorta de novellas popolaris scrit finzas e unu contu de maya chi at arregortu in Nurri intitulau “Is tres fradis” e chi deu puru apu intendiu contai a is becius de bidda candu fui pitica.

Franciscu Casula narat ca Deledda iat cumprendiu s’importanzia de sa cultura popolari (contus, dicius, pregadorias, poesias) poita in sa cultura popolari ddui funt is arrexinis de s’identidadi e de sa sabidoria de unu populu.

Ligendu su libru asuba de Deledda is scientis de scola apreziant custa femina ispantosa e in su matessi tempus si-ndi ponint meri de sa lingua e de sa cultura de su populu sardu chi est totu presenti in is romanzus

Su de tres libru, Franciscu dd’at iscritu po Marianna Bussalai; intremesu is personas nodias de Sardinnia est sa prus pagu connota, tocat a nai perou ca sa vida e is fainas cumprias in sa vida sua funt dinnias de essi apreziadas de totus e su pepari de is giovanus e de is fèminas chi dda podint pigai a modellu.

Franciscu in custu libri ddui ponit totu sa passioni chi su personagiu minescit: in pagu prus de 50 paginas arrenescit a fueddai de sa vida, de sa familia,de su sangunau e de sa domu, de Orani, sa bidda sua, de Marianna Bussalai comenti de scritora e poetessa e de is cuntatus chi teniat cun su poeta Antiogu Casula, s’amighenzia cun Bustianu Satta, cun Mariangela Maccioni, cun Lussu e cun Gonariu Usala.

Ligendu sa vida e is operas de Bussalai, si scerat sa simpatia de Franciscu Casula e si podit cumprendi cali funt is ideas suas asuba de sa politica, de sa sociedadi, de sa cultura e de s’educazioni de is giovunus.

Marianna est nascia in Orani in su 1904, bivit una vida pagu affortunada. Malaida de piciochedda pitica si portat po totu vida is doloris de una malaidia (sa tubercolosi ossea) chi dda trumentat dì e noti. Su corpus est minau de sa malaidia ma issa est forti de menti e de caratiri, giovana, meda abili, libera, feminista, antifascista e sardista, amanti de sa literadura e de sa poesia. Est bregungiosa ma non ddi timit a pigai cuntatu cun is inteletualis prus mannus de Sardinnia e de foras.

Est grand’ amiga de Graziella Giacobbe e de Mariangela Maccioni : impari funt is tre pilastrus de s’ antifascismo sardu. Est sempri bivia a Orani assola cun sa sorri Inniazia; in domu sua pinnigat is antifascistas e ddu su istradat a s’ida de una sociedadi libera e fenza de ditadoris . At curtu medas bortas su perigulu de su presoni e de su cunfinu.

Fuat andada a iscola finzas a s’edadi de 10 annus ma aprofundiat sa cultura po contu su apasciendu sa crosidadi cun milli e milli leturas. Si impenniat in sa vida politica e conoscit e cumprendit is dannus de su fascismu e po cussu cumbatit comenti de antifascista. Est intremesu de is chi fundant in Orani su Partidu Sardu e ndi difendit is principius po totu vida abarrendi frima in is proprias ideas finzas a sa morti. Sa militanzia comenti de antifascista e de sardista dda fait connosci comenti “signorina Mariannedda de sos Battor Moros”

Issa scriiat “Il mio sardismo data da prima che il Partito Sardo sorgesse, cioè da quando sui banchi delle scuole elementari, mi chiedevo umiliata perché nella storia d’Italia non si parlasse mai della Sardegna: giunsi alla conclusione che la Sardegna non era Italia e doveva avere una storia a parte”

Tenit grandu stima po Emiliu Lussu e cun issu teniat corrispondenzia finzas e candu, apusti de s’essi fuiu de Lipari acantu fuat confinau, teniat cuntatu cun issu po mesu de is litras chi Giovanna Bertocchi arriciat e spediat de Francia.

Po cantu essat tentu stima e adorazioni po Lussu, candu Lussu si fuat aggregau cun partidus italianistas (Partito d’Azione), cunzillau de sa pobidda Joyce Lussu, Marianna, mancai a coru afrigiu, si ddi fuat oposta.

Marianna fuat catolica cunvinta però criticat sa Cresia ca non fuat sempri giusta e bona cun totus. Si podit considerai sa maista de is Oranesus poita cun totus est sempri stetia disponibili a donai unu fueddu de cunfortu e a ddus imparai a ligi e a i scriri o a ddis iscriri diretamenti is litras in is momentus de bisongiu. Fuat una bona cunsilera poita arrenesciat a cumprendi is necessidadis de sa genti e nemus teniat segretus po issa.

Sardista cunvinta iat issa e totu ricamau sa bandera de is cuatru morus e dd’iat tenta cuada candu is fascistas de tanti in tanti fiant percuisizionis. Marianna at sempri cubatiu po s’autonomia e po s’indipendenzia de sa Sardinnia, criticàt s’atacamentu morbosu de certa genti a is cosas materialis, penzàt chi tocat a fai sa volontadi de Deus e cicai sempri su prexiu de sa genti. Is benis materialis funt sceti unu mezu e non una finalidadi de sa vida.

Marianna Bussalai est stetia deaderus una maista de vida poita at trasmitiu a is atras fèminas :

 

  • s’orgoliu de essi fèmina e de essi fèminas sardas

 

  • sa forza de podi afrontai is tribulias e is trumentaus de sa vida,

 

  • su coragiu de podi suportai is malaidias,

 

  • s’ingeniu de podi tenni cuntatus cun su mundu abarrendu sempri in d’una bidda

 

  • sa capacidadi de non si depi mai incrubai a sa cultura dominanti

 

  • sa lucididadi de sciri cumprendi su chi acuntessit in su mundu

 

  • sa forza de sciri abarrai frimus in su chi si creit mancai custu non cumbengat

 

  • sa passioni po sa cultura,

 

 

 

Is librus scritus de Franciscu Casula e imprentaus de Alfa Editrice ddus apreziaus poita si podint imparai a essi:

 

  1. fèminas capassas de caminai in is bias de su mundu a conca pesada comenti ant fatu Lionora, Grazia e Marianna
  2. patriotas sardas chi tenint s’obrigu de cumbati po sa cultura, po s’identidadi, po s’autonomia e po sa libertadi.
  3. maistas de iscola chi arrenescint a donai una vida noa a sa scola sarda in manera chi is fillus de oi siant cras “òminis e fèminas de cabali”.

 

Franca Marcialis

 

 

 

Franca Marcialis, di Nurri, docente, studiosa di lingua sarda, scrittrice (per la Casa editrice Della Torre di Cagliari ha pubblicato “Contus”), impegnata sul fronte del bilinguismo e soprattutto della didattica del sardo, commenta, analizza e recensisce i libri Lionora de Arborea, Grazia Deledda e Marianna Bussalai scritti da Francesco Casula e pubblicati dalla Alfa Editrice di Quartu, nella collana “Omines e feminas de gabbale”.

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