La giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro

Foto

di Valeria Casula

 

Il 28 aprile ricorre la giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro, istituita dall’’Organizzazione Internazionale del Lavoro per promuovere la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali a livello globale.

Spesso le dimensioni del fenomeno infortunistico in Italia sono note solo agli addetti ai lavori, vale a dire a chi come me si occupa nelle organizzazioni di Ambiente, Salute e Sicurezza, eppure il fenomeno è assolutamente rilevante e investe tutte le aziende.

Dal 1951 al 2015 le vittime sul lavoro in Italia sono state superiori alle vittime civili italiane della seconda guerra mondiale (oltre 160.000 a fronte di 153.147 vittime civili del secondo conflitto mondiale) e gli infortuni oltre 70 milioni.

Ora, è pur vero che la seconda guerra mondiale è durata 6 anni a non 64, tuttavia il rapporto di 1 a 10 risulta comunque abnorme.

L’andamento infortunistico mostra una forte contrazione passando da oltre 4000 indicenti mortali l’anno negli anni ’60 a circa 1000 attuali (compresi quelli in itinere), grazie non solo all’evoluzione delle misure tecniche (macchinari e attrezzature intrinsecamente più sicuri), ma anche alle misure gestionali (modalità operative e processi, formazione, informazione e addestramento su corretto utilizzo di materiali e attrezzature e processi, sorveglianza sanitaria, …).

Occorre tuttavia uno sforzo continuo e maggiore per abbattere lo zoccolo duro degli infortuni, perché non è accettabile che si continui a morire, ammalarsi o farsi male di lavoro.

Tralascio il lavoro nero, ignominia di un paese civile, la cui incidenza infortuni e malattie professionali, benché sfugga in parte alle statistiche, è estremamente elevata, non solo perché coinvolge i settori a più elevato rischio “intrinseco”  (es. edilizia, agricoltura) ma soprattutto perché tale rischio non è mitigato attraverso le misure tecniche e gestionali sopra citate.

Mi riferisco ad aziende degne di questo nome, aziende che utilizzano attrezzature a norma, che formano, informano, addestrano e sottopongono a sorveglianza sanitaria i propri lavoratori, insomma aziende che ottemperano alla normativa vigente in materia antinfortunistica; ebbene, anche tali aziende hanno difficoltà a contrarre ulteriormente il fenomeno infortunistico.

Tali difficoltà sono dovute ad un orientamento culturale sia manageriale che diffuso a vari livelli delle organizzazioni che vede la sicurezza confliggere con gli obiettivi economici e operativi d’impresa e individuali, unita ad un certo “fatalismo” secondo cui l’infortunio è inevitabile.

Da un lato infatti ci sono le aziende (per fortuna non tutte!) che considerano la sicurezza come un mero costo, che non hanno ancora capito nel 21esimo secolo che non è solo un dovere etico e morale salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ma è anche un dovere economico verso l’azienda stessa e verso la collettività, visto che l’INAIL stima che il costo complessivo di infortuni e malattie professionali nel nostro paese ammonta a quasi 50 miliardi di euro (oltre il 2% del PIL, a carico sia delle aziende che della collettività) e che le spese in sicurezza hanno un ritorno economico per le aziende pari al doppio del capitale investito.

Dall’altro c’è la cultura diffusa che “se tanto ti deve capitare ti capita e non puoi farci niente”, che “si sa che nel nostro lavoro ogni tanto ci si fa male”, che “sì, lo so che dovrei agganciare l’imbragatura ma sono di fretta, tanto scendo subito e sto attento”, che “noi dobbiamo pensare a far andare avanti il business, e non abbiamo tempo da perdere con queste cose”, che “lascia stare, non stare a segnalare che quel dispositivo fa uno strano rumore, tanto non sarà niente di ché”.

Inutile dire che davanti a comportamenti e affermazioni di questo tipo tutti noi, a prescindere dal ruolo che ricopriamo in un’organizzazione, abbiamo non solo il diritto, ma anche e soprattutto il dovere di intervenire e/o segnalare.

Questa cultura è il principale nemico da sconfiggere per abbattere gli infortuni, non solo sul lavoro ma in tutti gli ambiti della nostra esistenza. Basti pensare a tutti i comportamenti insicuri frutto di questa cultura che spesso o talvolta adottiamo in auto, quando per fretta o per “assuefazione” al pericolo superiamo i limiti di velocità, usiamo il telefonino alla guida o pur di non sentire le lamentele del pargolo diciamo “e va bene puoi slacciarti la cintura, tanto siamo quasi arrivati!”, ma anche quando non indossiamo il casco sulle piste di scii, in bicicletta o addirittura in moto.

Qualsiasi infortunio produce effetti non solo sulla persona che lo subisce ma su tantissime persone che lo circondano, la compagna/il compagno, i figli, i genitori, gli amici, i colleghi. Se poi si tratta di un infortunio grave l’effetto è devastante e compromette l’esistenza stessa oltreché dell’infortunato anche dei propri cari che dovranno prestare assistenza e comunque modificare abitudini e consuetudini.

In questa giornata vorrei ribadire con rinnovata determinazione che LA SFORTUNA NON ESISTE, che tutte le aziende che si sono impegnate seriamente su questo fronte hanno drasticamente ridotto il fenomeno infortunistico finanche a dimezzarlo in pochi anni, a dimostrazione che attraverso una cultura della sicurezza che sui traduce in comportamenti e ambienti sicuri GLI INCIDENTI SUL LAVORO POSSONO ESSERE EVITATI!

Referendum trivelle. Perché andare a votare e votare sì

Referendum trivelle. Perché andare a votare e votare sì

CAGLIARI – Perché prorogare la durata delle concessioni per la coltivazione di idrocarburi non sia a priori né giusto né sbagliato, perché andrò a votare, perché voterò sì e perché votare non basta.

Si tratta del quesito referendario più complesso che mi sia trovata ad affrontare e del tema su cui è stato maggiormente difficile raccogliere informazioni serie che potessero orientare una decisione.

Se ne parla tanto ma al di là degli slogan ho trovato poche risposte alle mie domande. Ringrazio tuttavia la rete in cui, spesso nei commenti dei commenti di un post, ho trovato qualche indicazione, qualche fonte che mi ha consentito di prendere una decisione.

Ma veniamo ai vari punti:

Perché prorogare la durata delle concessioni per la coltivazione di idrocarburi non sia a priori né giusto né sbagliato ovvero, qual è la durata corretta di un titolo minerario?

Su questo punto la risposta è solo una: dipende. Dipende dal bilancio fra costi e benefici sociali marginali che tale attività genera nella sua “vita residua”. I benefici sociali sono quelli di più immediata percezione, ovvero l’impatto occupazionale diretto, indiretto e indotto associato a quell’attività, il patrimonio di conoscenze e competenze che genera l’attività economica, le royalty corrisposte. I costi sociali sono rappresentati dalla riduzione di valore del bene ambientale su cui insiste l’attività. Tale valore ha due componenti principali: il valore di utilizzo (use value) e il valore di non-utilizzo (non-use value)

La riduzione del valore di utilizzo include sia il valore generato da attività inibite dall’attività estrattiva (tipicamente per le attività offshore pesca e turismo) non solo durante la vita utile del giacimento ma sino a completo ripristino delle condizioni ambientali precedenti (direct use value), sia la riduzione di valore relativo al buon funzionamento dell’ecosistema marino e costiero e alla sopravvivenza degli organismi in esso presente anche se privi di valore economico (indirect use value), sia infine la riduzione di potenziali utilizzi futuri del bene ambientale (Option value).

Il valore di non-utilizzo (valore culturale, religioso, estetico, di esistenza) che riguardano sostanzialmente il valore intrinseco del bene a prescindere dal suo utilizzo. Questa ultima componente di valore è stata considerata per la prima volta nella quantificazione del danno ambientale dell’incidente di Exxon Valdez del 1989.

Tali valutazioni, per le quali esistono metodologie consolidate da diversi decenni e che traducono i diversi valori in valori monetari al fine di renderli comparabili, sono quelle che dovrebbero guidare le scelte del decisore pubblico e del potere legislativo di un paese civile, temo invece che le scelte del legislatore siano guidate da valutazioni di altra natura.

Perché andrò a votare

Andrò a votare non tanto e non solo perché lo ritengo un dovere civico, ma anche e soprattutto per riportare in cima all’agenda dei decisori pubblici il tema energetico in questo paese. Un’alta percentuale di votanti, quale che sia il loro voto, dà un messaggio chiaro e univoco: occorre affrontare la questione energetica, occorre avere una visione che traguardi 20-30 anni in questo paese, occorre darsi una missione degli obiettivi e, finalmente, un piano energetico nazionale di lungo periodo.

A Parigi lo scorso dicembre l’Italia, insieme ad altri 186 paesi si è impegnata a fornire il suo contributo per il mantenimento dell’innalzamento termico complessivo massimo entro i 2°C con l’obiettivo di rimanere entro 1,5°.

Per assicurare questo risultato occorre eliminare quasi tutte le emissioni di gas serra e compensare quelle non eliminabili con iniziative che li assorbano. Si stima che per contenere l’innalzamento entro 1,5°C la riduzione di CO2 (uno dei principali gas serra) debbano arrivare a zero nel periodo  2045-2060. Il 2045 non mi sembra poi tanto lontano, cosa aspettiamo a definire come ci si arriva?

Perché voterò sì

Voterò sì perché in assenza di spiegazioni e stime sulla durata della vita residua dei giacimenti in questione me le sono date da sola.

Dall’analisi dell’andamento della produzione di idrocarburi nelle piattaforme relative alle concessioni entro le 12 miglia si evince che questa si sia fortemente ridotta negli ultimi 10-15 anni,  sino a scendere al di sotto del 30% della produzione massima per le concessioni non scadute, del 10% per quelle scadute per le quali è già stata richiesta proroga e del 20% per quanto riguarda la produzione di olio.

Insomma sembrerebbe che si tratta di giacimenti già sostanzialmente a fine vita. Ma allora che senso ha la modifica legislativa della legge di stabilità che prevede che “I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento”?  Chi e come decide che il giacimento possa considerarsi esaurito? E’ sufficiente estrarre una goccia o sono definiti altri criteri?

Da un’analisi di Greenpeace su dati MISE risulta che delle 88 piattaforme operanti entro le 12 miglia

-35 non sono di fatto in funzione (6 “non operative”, 28 “non eroganti”, 1 di supporto a piattaforme “non eroganti” 

-29 considerate “eroganti” producono sotto la franchigia che esenta i petrolieri dal pagamento delle royalties   

Allora un governo serio anziché procrastinare la fase di dismissione di ciò che non serve più, dovrebbe definire le modalità gestione del decommissioning off shore (smantellamento? Riutilizzo ad es. per eolico offshore? Altro?). Si tratta di attività onerose che le compagnie petrolifere non hanno nessun interesse ad anticipare mentre hanno forti interessi a prorogare.

Perché votare non basta

Votare non basta perché, come stigmatizzano i detrattori del referendum, recarsi al seggio con il Suv non fa che sottolineare le nostre contraddizioni.

Perché anche se lasciamo l’auto nel garage e andiamo a votare in bicicletta dobbiamo essere consapevoli che quell’auto ha già emesso circa la metà delle sostanze tossiche associate al suo intero ciclo di vita nel momento stesso in cui l’abbiamo acquistata, nella fase di produzione.

Perché anche se stiamo attenti a non far scorrere acqua in eccesso quando riempiamo la moka, dobbiamo sapere che per la tazzina di caffè che poi beviamo sono stati comunque utilizzati 140 litri di acqua.

Perché quando indossiamo i jeans dobbiamo sapere che la loro impronta idrica non è tanto legata ai lavaggi in lavatrice ma soprattutto alla loro produzione (11.000 litri di acqua), allora è forse meglio comprarne un paio in meno e tenere la vecchia lavatrice. 

Perché se cambiamo le lampadine per contribuire alla riduzione di gas serra e poi portiamo a tavola 1 kg di carne di manzo dobbiamo essere consapevoli del fatto che: stiamo producendo 26 kg di CO2 equivalente (contro 1,7 kg prodotti da 1 kg di legumi), consumando oltre 19.000 litri di acqua (contro i 2.700 necessari per 1 kg di legumi) e impegnando 127 m2 di territorio (contro 18 m2 utilizzati da 1 kg di legumi).

Perché la fonte energetica più pulita che ci sia è il risparmio energetico non solo e non tanto nei consumi diretti (quelli indicati nelle nostre bollette) ma anche e soprattutto dei beni che acquistiamo.

In sintesi perché dopo aver votato occorre ripensare profondamente il nostro modello di sviluppo e i nostri consumi. 

Io sono dotata di auto, bevo caffè al mattino anziché il più eco-compatibile the, posseggo diversi paia di jeans e sono onnivora. Spero però che grazie a questa consapevolezza, maturata anche a seguito dei nuovi approfondimenti che ho svolto in occasione di questo referendum, le mie abitudini cambino, e cambino radicalmente, perché è un mio dovere, oltre che un mio desiderio, lasciare in eredità a mio figlio Antonio un mondo se non migliore, almeno equivalente a quello che ho ereditato io!

Valeria Casula (ingegnere ambientale)

Le poesie dell’ollolaese Maddalena Frau

All’Università della Terza Età di Quartu mercoledì 20 aprile prossimo (ore 16, Aula Magna Viale Colombo 169/d), nel Corso di lingua e letteratura sarda, parlerò della figura e della poesia di Maddalena Frau.tramas-de-seda---maddalena-frau

Maddalena Frau è nata a Ollolai (NU) il 30 aprile 1945 e vive a Sanluri (CA). Insegnante elementare dal 1967 al 2006 nella provincia di Cagliari, ha iniziato a scrivere versi in lingua sarda (sia nella variante logudorese che campidanese) circa una quarantina di anni fa e ha arricchito le sue conoscenze linguistiche attraverso corsi di aggiornamento professionale e da autodidatta.
Si è sempre adoperata nella scuola con lo scopo di promuovere, salvaguardare e valorizzare la lingua, la letteratura e la cultura sarda, insegnandola.
Nel 2002 ha pubblicato una parte della sua produzione poetica nella silloge Lugore de luna (Luce lunare). In cui “canta” i ricordi, i giochi dell’infanzia e gli affetti; in cui nello smagato e tenero ricordo dell’infanzia, arcana e felice, si affolla un mondo di figure vive e fraterne, che la poetessa canta e vagheggia in modo commosso ma mai svenevole.
Ma Maddalena Frau canta anche la fede e la dimensione religiosa, particolarmente sentita e vissuta dalla poetessa, che illumina, vivifica e aiuta l’esistenza.
E dedica anche alcune poesie a Sos males de su mundu (I mali del mondo): tra cui i sequestri, l’AIDS, la droga, l’emarginazione degli anziani e l’inquinamento della civiltà (o inciviltà?) industriale, con la terra che non produce più fiori perché sono abbaidos cun venenu (innaffiati con veleno).
Nel 2006 ha pubblicato Sas meravillas de Don Bosco, un’altra silloge poetica: un vero e proprio poema sacro e poema epico sul fondatore dei Salesiani. Scrive a questo proposito Renzo Cau, in una magistrale analisi critica della silloge: “Se è vero che Sas Meravillas non può essere definita una biografia e per la selezione dei fatti irradianti l’ispantu (la meraviglia) e per la conseguante operazione di sintesi a cui è sottoposto il materiale biografico, non si può negare che il genere cui più si avvicina sia quello epico. Il racconto in versi infatti è tipico del poema. Anche i gosos (composizioni religiose e poetiche popolari antiche) rientrano nel genere epico, sebbene abbiano uno sviluppo embrionale. E M. Frau a questi si ispira, dando però alla composizione ben più ampio respiro”.
Nel 2011 ha pubblicato Tramas de seda,  un libro di poesie e filastrocche, ninna-nanne, duru-duru e scioglilingua, modellate in strutture giocose, scherzose, onomatopeiche e iterative, che hanno proprio le movenze del tipo della filastrocca, della canzone, dell’indovinello, del non sense di matrice popolare ma che l’Autrice sottopone a un trattamento e a una rielaborazione personale e originale.
Sta per pubblicare con Edizioni Grafica del Parteolla la sua quarta Silloge poetica intitolata Undas.
Molte poesie contenute in Tramas de seda vengono cantate con successo dalla cantante sarda folk Silvia Sanna, (accompagnata da Antonello Pulina e da Marino Melis alla chitarra e da Antonio Pirastru all’organetto).
Stessa sorte era toccata ad alcune poesie della silloge Lugore de luna, cantate da Silvia Sanna ma anche da un gruppo musicale milanese, “Contrabbandieri di Conchiglie”, ricalcando sonorità particolari simili a quelle di De Andrè e di Rino Gaetano.
Il fatto che le poesie di Maddalena Frau vengano musicate e cantate non deve stupire: nei suoi versi che sembra carezzare e coccolare, mostra infatti una naturale attitudine al canto, alla canzone, soprattutto popolare. Tanto che, nelle liriche più belle e suggestive, quando la poesia si flette più agevolmente, riesce a creare sinfonismi e fonie, onomatopee e cromatismi, ritmi e assonanze, attraverso una tessitura metrica lineare e abilmente alleggerita con invenzioni di movimenti e scatti musicali che consentono all’Autrice di giocare a suo piacimento con la materia, che tratta e canta, costruendovi pregevoli architetture linguistiche e musicali.
In questi ultimi anni ha iniziato a partecipare a vari concorsi di poesia sarda, ricevendo significativi  premi e riconoscimenti: fra gli altri ha vinto il primo premio a Ploaghe (SS), nel Concorso di poesia satirica “Larentu Ilieschi” 2010, con la poesia S’Aipoddu.
Ma ecco alcune sue belle e significative poesie,.

 

S’AIPODDU

Efisineddu andat in sa strada
cun s’origa attaccada a s’Aipoddu
e, a cropus de gambas e de coddu
fueddat cun sa musica Repada.

In sa busciacca de su cratzoneddu
ci ficchit su lettori musicanti;
de musica moderna deliranti
si ndi prenat su coru e su xrobeddu.

A cratzonis calaus a mesugonna,
a cufiedda cun su lecca-lecca
ndi bogat su macchini ‘e discoteca
cun Paf Daddi, Beionse, Madonna…

Baddendu Roch En Rollu iscadenau,
e Tecno e Fanchi sbanda-sbanda
si callincunu ddi fait domanda
non bidi e no intendit: stontonau!

Cun s’Aipodu fintzas in sa scola:
Tu-tum! Tu-tum! Su filu chiassosu,
su discenti modernu gioiosu
de letzioni fait sa cassola.

Si corcat e si pesat Efisinu
Cun s’origa attaccada a s’Aipoddu
Pappat e dormit a corpus de coddu,
a sartius in domu e in camminu.

Su babbu allirgu, tziu Piriccu Soddu
Cun sa mammai totu affainada
Impari si dda faint sa repada
A sartieddus e corpus de soddu…
Cun s’origa attaccada a s’Aipoddu.

 

 

 

UMBRAS ISMENTIGADAS

Palas a sole umbrande
in terra a coda lada
tzias iscrariande
sutta sa contonada

Donni borta ‘e die
cuntentas, puntuales
si sediant inie
sas bighinas negales.
 
Tiravant sa corria
a mossos e a ungrèddas
sa vida consumìa
umbrande in sas mureddas.
 
Prenavant sos cherrìgos
corves e coinzòlos
de brullas, de antigos
contos amorazòlos…

Curriat sa livria
apetigande tottu
pistande s’iscrarìa
in su tempus connotu.

Cussas manos nodosas
tottu pinnicronadàs
nde torrvant grabòsas
bellas innadigàdas.

Nde faghiant trumentu
cussas manos nieddas!
Ite divertimentu
pro sas criaturèddas!

Sas novas de sa bidda
contavant a ispàntu…
Su fragu de s’armidda
punghiat cada tantu.

Sa roba meriande
su pastore dormiu
tzias iscrariande
in beranu e istìu.

Bolavant sos puzònes
supra de s’iscrarìa
pintàda a pibìones
de seda colorìa.

Sas corves a trintzèra
poniant in su carru…
E Basili cun Pera
pipande a zigarru.

Nde faghiant camminu
a piccu de sudore…
e pro carchi sisinu
pro ozu e pro laore.

–E corves! E cherrigos!
naravat cudda tzia
in sos tempos antigos
foras de bidda mia.

Corves e canistèddas
comporavat s’istranzu
Sutta sas murighèddas
naschiat su balanzu.

Cussa manos nodosas
tottu l’as appo amadas,
galànas e grabosas…
Umbras ismentigadas.

Però sa Musa mia
Mi ghirat cun su bentu
Da boghe e cudda tzia…
Umbras de Gennargentu.

–E corves! E cherrigos!… –
Mi cantat donni die
–E corves e cherrìgos!
A comporare benìe!… –

 

FORA ISCORIA NUCLEARE

Fora iscoria nucleare
de venenu colorida!
Fora, atesu, mai in sa vida
muntonarzos de nuscare!
Sa Sardinna a la sarvare
est mutinde totu unida!

Est s’iscoria nucleare
de su mundu àliga fea.
Fora de sa terra mea
si la depent interrare
o, si nono, apicare
a su tzugu a vida intrea.

Cussos macos e tinzosos,
chene anima nen coro,
si l’abbratzent su tesoro,
che lingotos pretziosos,
sos bidones putzinosos
a pudire in dom’issoro!

Zai chi totu ant impestau
distruinde sa Natura,
sa moderna butadura
si la tenzant a costau,
a tzimentu fravigau
in sa domo a s’ intradura.

Cherent fagher de Sardinna
muntonarzu natzionale…
regalande unu mortale
crancu ’e vida prus indinna
a sa nostra terra dinna
de bellesa e de gabbale.

No lis bastat su chi ant fatu
in cuddu tempus colau!?
Brusiau e isbuscau…
Cantu dannu e disacatu
pigandeche su recatu
de su populu isfrutau! ….

Totu no-che sunt leande
su terrinu e sa salude…
sa betzesa e  zobentude…
A zogu nos sunt pigande.
Pesae totus cantande
a difender sa salude!

E sos amministradores
no atzètent cosa gai!
In Sardinna mai mai!…
Solu matas e fiores
e profumos e colores
in sa terra de mannai!…

A sas Istitutziones
de Guvernu Italianu
lis pedimus una manu
de rispetu a sas pessones
de sas generatziones
de su populu isolanu.

A sos sardos un’apellu
cun corazu cherzo dare:
fortemente a refudare
de nos ponner a tropellu
che a bestias de masellu
prontos a no-che papare.

Fortes, cun coro galanu,
iscritores, zornalistas,
cun poetas e artistas
ischidae a su manzanu…
A s’ingannu rufianu
aberìe sas pibiristas!

Si nde peset su Nuraghe
cun Zigante ’e Monte ’e Prama,
de Sardinna antiga fama,
narande:-Cherimus paghe!
Rezistrae in su condaghe:
“Fora iscoria dae Mama!

Fora, atesu sos bidones
de cuss’aliga de morte!
Fora de sa nostra corte
fragos de perditziones!
Fora iscorias e cannones,
e de imbentos de morte!”-

Sardos, amigos, cantade
disterrados cun amore
pro difender cun ardore
cudda sarda dinnidade,
de Sardinna identidade,
de cultura e de valore!

Fora, atesu fuliade
sas iscorias de dolore!
Sa Sardinna est de mirare!
Non si vendet pro dinare!!!
Sa Sardinna est de mirare!
Fora iscoria nucleare!

 

 

S’ISTRESSE

Una tzia de chent’annos
si la cantat tesse-tesse:
-Oje minores e mannos
nachi ant totus s’istresse…
Ih, a casta ’e maledia!
No nd’aio intesu mai
dae cando so naschìa
maledia mala gai!

A chie curret in presse,
semper a molinadura,
nachi li pigat s’istresse
e no si nd’agatat cura.
It’errore! Oi! Ai!
Mai Deus cherzat mai!

Eh!…Toccat a andare abellu
e cun pasu cada tantu
ca si nono su cantzellu
s’aperit de campusantu.
Sa vida est una chimera:
una drittu, una a imbesse,
ma cun fide e  preghiera,
no imbucat cuss’istresse…

Sa moderna maledia
si sich’intrat, arguai!
Ih! Pro more ’e Deus sia(t)!
In tottube che sunt gai!…
Innoghe e in Continente
cantu tribulat sa zente!
E… toccat  a cumpadesse
ca  tenent totus s’istresse !-