2 Giugno: Aboliamo la parata militaresca. E anche la festa italiota-patriottarda.

SE LA CENERE

E’ ANCORA VIVA

SOTTO LE BRACE

di Francesco Casula

Due giugno: abolite la parata. La proposta, lanciata su Twitter da Vendola, leader di Sel, è stata subito accolta, oltre che, massicciamente, dalla comunità del Web, dalla Lega Nord e dall’Idv che con Di Pietro ha giustamente sostenuto: «Follia sperperare tanti soldi per la parata del 2 giugno. Opportuno utilizzare quei fondi per fini sociali e di solidarietà». Sulla stessa linea molte associazioni cattoliche, ad iniziare da Pax Christi che con don Sacco scrive: «Per Patria intendiamo una somma di interessi e di confini da difendere armi in pugno o una comunità che deve farsi carico specialmente di chi soffre, piange, ha perso tutto? ». Di contro, seraficamente, il presidente Napolitano, risponde che la parata si farà ma sarà sobria: ovvero, come preciserà il Ministero della Difesa – retto da un generale! – che costerà solo 2,9 milioni di euro contro i 4,4 milioni spesi per le celebrazioni dello scorso anno. Ma questi sono i dati ufficiali. Secondo il parlamentare Antonio Borghesi infatti i costi sarebbero ben più alti: fra i 10 e 15 milioni di euro. Sia come sia, sarebbe un vero e proprio insulto, una beffa indecorosa nei confronti delle vittime del terremoto e del loro dolore. Nel sostenere la necessità della parata  e della “Festa”, Napolitano ritiene che con essa «la Repubblica deve dare conferma della sua vitalità, forza democratica e fermezza». Ma di cosa parla? Ma non si avvede che l’Italia è un paese al collasso? Avviato inesorabilmente al tramonto? Con le sue istituzioni a pezzi? Con i Partiti a credibilità vicino allo zero? Con una corruzione immane che colpisce politici, amministratori e banchieri, imprenditoria e sport? Di grazia, ma cosa vogliono festeggiare? Le magnifiche e progressive sorti della repubblica, una e indivisibile, in quanto a occupazione e lavoro, reddito, servizi e sicurezza, specie nel Meridione? Possibile che non abbiano imparato niente dalle proteste, dai fermenti, dai sussulti e dissensi popolari, soprattutto giovanili, che si sono espressi nelle Piazze, nel referendum antinucleare, nelle elezioni amministrative che hanno espresso con chiarezza e nettezza una condanna dei vecchi partiti, del Governo e di istituzioni non solo lontane dai bisogni della gente, ma estranee ed ostili? Possibile che non capiscano che molte brace, potenzialmente incendiarie, covano ancora sotto la cenere?

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 31-5-2012

Cappellacci scrive a Monti una lettera in Lingua sarda

 

UN ISOLA SOVRANA

COL BILINGUISMO

DEL SUO PRESIDENTE

di Francesco Casula

Scrive Michelangelo Pira in «La Rivolta dell’oggetto». “Il Vicerè non aveva alcun obbligo di essere bilingue; alla traduzione dei suoi ordini potevano provvedere intellettuali bilingui suoi dipendenti. Il presidente della Regione (per dire le istituzioni e organizzazioni politiche sarde autonomiste) ha 1’obbligo di essere compiutamente bilingue: il suo compito non è quello di trasmettere ordini di una sovranità esterna bensì quello di farsi estensione di una sovranità interna partecipando alla costruzione di questa. Egli deve capire quel che si vuol fare della Sardegna da parte dei poteri esterni all’Isola, ma anche e soprattutto deve capire quel che la Sardegna vuol fare di se stessa e dei suoi rapporti con i suoi interlocutori esterni. E la volontà interna si forma e si individua sia parlando in sardo, sia parlando in italiano”. Non so se Cappellacci abbia mai letto questo passo del grande antropologo sardo: comunque la diffida e la messa in mora al Governo Monti sulla vertenza entrate inviata al Presidente del Consiglio in due lingue, italiana e sarda, si muove dentro l’orizzonte politico e culturale auspicato da Pira. E’ una scelta importante e significativa che va nella direzione giusta: a condizione però che seguano atti politici conseguenti. Ad iniziare dalla costruzione della “sovranità interna”. Anche su questo versante occorre dire che qualcosa, dopo decenni di inerzia, finalmente si muove. Come  l’approvazione nel Consiglio regionale, da parte di un variegato arco di forze politiche,  dell’ordine del giorno sardista in merito all’avvio di “una sessione speciale di lavori aperta ai rappresentanti della società sarda, per la verifica dei rapporti di lealtà istituzionale, sociale e civile con lo Stato, che dovrebbero essere a fondamento della presenza e della permanenza della Regione Sardegna nella Repubblica italiana”. Se il progetto sovranista, proposto soprattutto da Paolo Maninchedda ma fatto proprio anche da forze politiche come Sinistra, Ecologia e Libertà, andasse avanti, potremmo finalmente inaugurare in Sardegna un nuovo corso: mettendoci alle spalle decenni di subalternità politica e culturale per imboccare con decisione la strada della rottura della dipendenza e della sovranità. Grazie anche alleanze e convergenze politiche che partano dai progetti e dai programmi e non dagli schieramenti .

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 29-5-2012

 

 

 

L’Anas contro la lingua sarda:la vicenda di Posada

I NOMI DEI PAESI E IL CANTONIERE CHE SE NE FREGA.

di Francesco Casula

Un capo cantoniere dell’Anas intima al sindaco di Posada (Nu) Roberto Tola, di rimuovere il cartello stradale con la scritta “Pasada”, (come si chiama il paese in lingua sarda) posizionato all’ingresso del paese della Baronia, sulla statale 125 Orientale sarda, in quanto “non a norma”. Giustamente il sindaco sardista si oppone. La vicenda è comunque stupefacente. Un burocrate dell’Anas, ente statale ipercentralista, diventato zelante e occhiuto, ha tempo e voglia di controllare cartelloni a suo dire, fuori norma, quando dovrebbe invece indirizzare il suo zelo e impiegare il suo tempo in ben altre direzioni: al controllo, per esempio, dei cantieri lumaca, sempre aperti e mai chiusi: è paradigmatico ed esemplare il caso della 131 con lavori iniziati da decenni e decenni. Ora si può ammettere che un dipendente dell’Anas non conosca il valore e il significato altamente identitario, civile e culturale, della toponomastica in lingua sarda: con i nomi dei paesi, delle località, delle strade, delle piazze, dei fiumi, dei monti ecc. noi riusciamo a entrare in contatto con la nostra storia, la nostra civiltà, la nostra lingua, appunto. Una cosa però dal dipendente, ma soprattutto da chi gli ha dato l’incarico e l’ordine di rimuovere il cartellone “proibito”  ovvero dall’Anas, occorre pretendere: il rispetto delle leggi. Ad iniziare dalla normativa europea, da quella statale (la 482), da quella regionale (la 26). E dallo stesso codice della strada che (nell’art.37, comma 2-bis)  prevede l’utilizzo “nei segnali di localizzazione territoriale del confine del comune, lingue regionali o idiomi locali presenti nella zona di riferimento, in aggiunta alla denominazione nella lingua italiana”. Commenta a questo proposito nel suo blog Gianfranco Pintore, giornalista di lungo corso e scrittore di gran vaglia: “Sarebbe interessante sapere come possa venire in mente a qualcuno di sbattersene con una sola levata di genio della Carta dell’Onu, di quella europea delle lingue di minoranza, della Costituzione italiana, della legge dello stato di tutela delle lingue minoritarie, di quella della Sardegna sullo stesso tema. E, soprattutto, del buon senso. Tollera, il buontempone, che i cartelli con i nomi dei paesi sardi siano ridotti a indicazione di pizzerie. C’è qualcuno che gli ha dato la dritta o è tutto frutto della sua intelligenza?

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 23-5-2012

 

 

Presentazione libro di Francesco Casula a Sindia

 

 

 

Sabato 26 maggio ore 18.00

A Sindia presso la “Corte Pischedda” in Via Garibaldi

presentazione del libro

 “Letteratura e civiltà della Sardegna”

I volume, Edizioni Grafica del Parteolla, Euro 20

di Francesco Casula

 

 

Il volume dedica più del 50% delle pagine a Autori che scrivono in Lingua sarda e ai corrispettivi testi :dai primi documenti in volgare sardo ai  Condaghes, dalla Carta De Logu di Eleonora dArboreaa Antonio Cano, da Gerolamo Araolla e Antonio Maria da Esterzili a Matteo Garipa, da Sa scomunica de Predi Antiogu arrettori de Masuddas a Efisio Pintor Sirigu, da Francesco Ignazio Mannu a Diego Mele e Peppino Mereu ( cui sono state dedicate molte pagine e la foto nella copertina), fino a Antioco Casula (Montanaru) e Pedru Mura.

Fra gli Autori che scrivono in Lingua italiana sono presenti Giambattista Tuveri, Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Grazia Deledda, Sebastiano Satta, Salvatore Cambosu, Antonio Pigliaru, Giuseppe Fiori, Giuseppe Dessì e Salvatore Satta.

Vi è anche un Autore bilingue Michelangelo Pira (che ci ha lasciato testi in Sardo e in Italiano) e uno quadrilingue, Sigismondo Arquer, che ha scritto in Sardo, Latino, Castigliano e Catalano.

Il secondo volume dovrebbe uscire, sempre per le Edizioni Grafica del Parteolla a giugno prossimo, con Autori che arriveranno fino ai nostri giorni.

 

 

Cos’è l’Identità

Una casa aperta che ogni giorno diventa più ricca: si chiama Identità.

di Francesco Casula                            

Da un sondaggio curato dall’Università di Cagliari e da quella di Edimburgo e finanziato dalla Regione sarda circa l’atteggiamento dei Sardi nei confronti della propria identità, dell’Autonomia, delle Istituzioni regionali e del rapporto fra Sardegna, Ue e Italia, emergono umori e giudizi estremamente interessanti: ad iniziare da quello sulla Identità: concepita in modo dinamico e variabile, non immobile e chiusa. Ovvero ferma e ossificata nel passato. Una identità dunque che cammina nella materialità corposa delle vicende e dei processi reali in cui si contamina, e si costruisce-ricostruisce: fatta, di somme e di accumuli e non di sottrazioni successive. L’identità che occorre difendere e rivendicare e far crescere dunque non è quella primigenia o “autentica”: anche perché l’autoctono puro non esiste. Gli uomini – come le piante – hanno certo “radici”, ma insieme viaggiano, cambiano, sono ibridi, multipli, figli di molte generazioni e di molte culture e di infiniti incontri: influenzati dal sangue e dalla storia tanto quanto dal loro libero mutare, abitare, imparare. Non esistono quindi identità blindate.  L’Identità che esiste è invece lo specchio fedele di stratificazioni culturali secolari su un potente sostrato indigeno che fa da coagulo. Ma non si esprime in un isolato e fermo recupero e cernita di semplici memorie e tradizioni. In genere –ha sostenuto il filosofo Searle – noi pensiamo alla memoria e dunque all’identità che su questa basiamo, come a un magazzino di frasi e immagini. Dobbiamo invece pensare alla memoria e dunque all’identità come a un meccanismo che genera atti contemporanei, inclusi pensieri e azioni, certo basati anche sulle esperienze del passato, ma nei termini accrescitivi di un confronto nel tempo perché è in quel confronto, in quello scambio intersoggettivo che trova la ragione la capacità di conservare ma anche di progettare e di accogliere e di proporre, di ricevere e di dare. Ciascuno è figlio della propria terra ma anche figlio del mondo intero. Occorre partire dal “luogo della differenza” per riconoscerci e appartenerci e insieme da quel luogo, dal valore della diversità segnata da una storia dissonante e da arresti anche drammatici ma carica di significati millenari: ripartire, muovere per disegnare nel presente la nostra storia futura. Essa non è dunque mai definitiva o cristallizzata:  ma è da rielaborare continuamente. Un’identità è qualcosa che dà e riceve. L’identità insomma è una casa aperta, che si ingrandisce e si arricchisce ogni giorno. E non è un dato rassicurante e permanente  ma è quella che diventa fatto nuovo, che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro, il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza. L’identità dunque si vive, nel segno della contaminazione, della creolizzazione e dell’appartenenza. Ma soprattutto: l’identità è quella che si trasforma in questione operativa: che diventa progetto e l’appartenenza diventa storia, caricandosi di vita, suscitando conflitti, impegnandosi con le lotte a trasformare il presente e costruire il futuro.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 19-5-2002

 

 

Recensione di “Letteratura e civiltè della Sardegna”

Una bella recensione di Pietro Picciau (Unione Sarda del 10-3-2012)) su “LETTERATURA E CIVILTA’ DELLA SARDEGNA”, di Francesco Casula, Edizioni Grafica del Parteolla, pagine 275, Euro 20.

 

L’introduzione di “Letteratura e civiltà della Sarde­gna” (Edizioni Grafica del Parteolla) pone un sugge­stivo quesito preliminare:

«È esistita una Letteratura e una Civiltà sarda? ». L’autore Fran­cesco Casula (nato a Ollolai. per circa 40 anni docente nei licei e e negli Istitu­ti superiori, dirigente sindacale. stu­dioso di storia e lingua sarda. scritto­re e giornalista) al ‘termine di un do­cumentato e approfondito ragiona­mento – un viaggio storico e letterario utile per chiunque, a cominciare’ dagli studenti – sostiene di sì. L’importan­te. avverte. è che la «produzione letteraria esprima una specifica e partico­lare sensibilità locale», Quindi una let­teratura sarda esiste se. «come ogni letteratura. ha i tratti universali della qualità estetica e se. in più è specifica, non tanto per questioni grammatica- ” li, quanto per una questione di Iden­tità». E proprio l’Identità sarda l’ele­mento che avvicina gli autori inseriti dall’autore nel primo volume di “Let­teratura e Civiltà della Sardegna”.

Casula propone un itinerario stori­co-letterario che parte dalla nascita della lingua sarda e dai primi docu­menti per proseguire con la trattazio­ne di autori (di ciascuno presenta la biografia, un brano, un giudizio criti­co e una sezione per l’attività didatti­ca) che formano le fondamenta della nostra letteratura: Antonio Cano, Sigi­smondo Arquer, Girolamo Araolla, Giovanni Matteo Garipa e Fra Antonio .Iaria da Esterzili durante il dominio catalano-aragonese e spagnolo; Efisio Pintor Sirigu, Francesco Ignazio Man­nu, Diego Mele, Peppino Mereu e l’autore sconosciuto di Sa scomuniga de Predi Antiogu nel Settecento-Ottocen­to; Giambattista Tuveri, Antonio Gramsci e Emilio Lussu per un «nuo­vo stato e un nuovo ordine sociale».  Tra i romanzieri del 1900-2000 sonò, stati scelti Grazia Deledda, Salvatore Satta e Giuseppe Dessì. Per racconta­re il banditismo e la società del males­sere, i codici barbarìcìni e i suoi anlistì, Casula ha indicato Antonio Piglia­ru, Michelangelo Pira e Giuseppe Fio­ri. Sebastiano Satta è lautore in lingua italiana inserito nel capitolo sulla letteratura identitaria del 1900-2000; mentre tra gli autori in lingua sarda fgurano.Antioco Casula (Montanaru), Pedru Mura e Salvatore Cambosu.

La domanda iniziale sullesistenza della letteratura e di una civiltà sarda è intrigante sia per la risposta che ne danno gli autori citati, sia per quanto lo stesso Casula sostiene per confuta­re laffermazione: «Cè cm lo nega». E linizio avvincente del viaggio (crìtìco, storico, letterario) in compagnia del­lautore. Alcuni,avverte Casula, «dubi­tano perfino che la Sardegna abbia avuto una storia tout court. Emilio Lussu ha scritto che noi non abbiamo avuto una storia. La nostra storia è quella di Roma, di Aragona, ecc. Lo , storico francese Le Roy Ladurie ha sostenuto che la Sardegna giace fu un angolo morto della storia. Francesco Masala, il nostro pgrande poeta et­nico, parla di storia dei vinti perché i vinti non hanno storìa. Fernand Brau­del, il grande storico francese; diretto­re della rivista Annales che rivoluzio­nerà lastoriografia, alludendo ad acuni popoli mediterranei, forse anche all’Isola. ammette che la loro storia sta, nel non averne e non si discosta mol­to da questa linea raccontando che viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano ne1 Liba­no e la preistoria in Sardegna».

Pietro Pìcciau

 

 

 

Riscrivere il nuovo Statuto

E ora subito l’Assemblea Costituente

di Francesco Casula

Nel Referendum del 6 maggio scorso i Sardi si sono pronunciati con nettezza a favore dell’Assemblea Costituente per la riscrittura dello Statuto. Ora occorre passare subito all’indizione della elezione, a suffragio universale, dei Costituenti. A sollecitarla sono le forze politiche e sociali, ad iniziare dai sostenitori da sempre della Costituente: dalla CISL, con il segretario regionale Mario Medde, al Partito sardo con il segretario nazionale Giovanni Colli e il dirigente sassarese Michele Pinna. Scrive Medde:”Nella drammatica crisi dell’Isola, mentre si accentuano divisioni e contrapposizioni, solo l’Assemblea Costituente può consentire una ricomposizione all’insegna di un nuovo progetto di rilancio della Sardegna e delle stesse istituzioni. E’ con il coinvolgimento dei Sardi che sarà possibile  non solo riscrivere lo Statuto speciale della Sardegna e il nuovo patto costituzionale con lo Stato, ma anche dare vita, dopo le scelte che il referendum ha fatto sulle province, a un nuovo modello di rappresentanza istituzionale”. Mentre Pinna entra nel merito dei contenuti del nuovo Statuto affermando che “E’ lì in quello Statuto che i Sardi dovranno riscrivere il loro destino. E’ lì, in quella Carta, che i Sardi dovranno riscrivere il loro sistema tributario, il loro sistema di sviluppo economico, il loro sistema culturale, la lingua che vorranno usare liberamente nella vita privata come nella vita pubblica. E’ in quella Carta che i Sardi dovranno riscrivere il loro sistema dei trasporti per sottrarsi ai monopoli che impediscono loro di raggiungere liberamente e a basso costo la terraferma. E’ in quella Carta che i Sardi dovranno riscrivere le modalità con cui vorranno stare in Italia in Europa e nel mondo”. Difficile non convenire. Con l’attuale Statuto infatti i Sardi potranno amministrare solo la propria dipendenza e subalternità, economica e culturale. Di qui l’esigenza, non più procrastinabile, per non sprecare anche l’attuale legislatura regionale, del rifacimento di un nuovo Statuto, come vera e propria Carta costituzionale dell’Isola. Certo, la Casta politica – specie quella più gattopardesca, che fa finta di cambiare tutto per non cambiare niente – ancora una volta, può continuare a fare le orecchie da mercante e passare sopra la volontà popolare. Ma deve stare attenta: può essere travolta definitivamente.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 14-5-2012

 

 

GRILLO E I GRILLINI

Cinque stelle

Un boom vero

Di gente seria.

di Francesco Casula

Gli esponenti del Movimento Cinque stelle irrompono  nella vita politica italiana. Con il botto. Con un vero e proprio boom. E poco interessa se Napolitano non lo abbia visto. O meglio, sentito. Evidentemente preferisce ascoltare solo le fanfare tricolori, con tutta la retorica patriottarda italiota. Un boom che fa del Movimento di Grillo il terzo partito italiano. Pur nato da pochi anni infatti, i suoi esponenti entrano massicciamente nei Consigli comunali, ottengono un sindaco, in alcune grandi città del Nord hanno percentuali sopra il 15%, a Parma  sono in lizza per il ballottaggio. A proposito di Grillo è stato evocato Giannini e il suo Movimento dell’Uomo qualunque: in verità fra il teorico del “Qualunquismo” post-bellico e il comico genovese  non vi è alcuna analogia, se non il fatto che anche il giornalista romano, era un teatrante. E’ infatti vero che anche Giannini attaccava i partiti, presumendo di rappresentare solo lui i sentimenti dei cittadini, ma è altrettanto vero che tutta la sua cultura e  ispirazione è conservatrice quando non reazionaria, quella di Grillo, si muove sul versante opposto, direi, schematicamente, da no-global. Non può essere un caso che i primi ad aderire al “grillismo” siano stati movimenti come i No Tav in Piemonte, il comitato contro la privatizzazione dell’acqua a Napoli, i ragazzi di Locri in Calabria e Lu Puntulgiu, in Sardegna. Ma poi, basta sentirli i consiglieri comunali di Cinque stelle per rendersi conto della distanza abissale che li separa dal movimento di Giannini: sono giovani (la media oscilla fra i 25 e 40 anni), in genere laureati, comunque preparati e informati, conoscono la Rete e i nuovi sistemi di comunicazione. Sono impegnati nel Volontariato, hanno un fortissimo senso civico e legalitario. I loro programmi sono incentrati sull’ambientalismo sociale, sulla trasparenza e contro la corruzione ma soprattutto sulla partecipazione e il coinvolgimento della popolazione nella gestione della cosa pubblica. Parlano con garbo e avvedutezza, non si tratta di pappagalli e di cloni di Grillo, ma di giovani consapevoli e informati che, fuori e contro i Partiti, vogliono seriamente offrire un contributo per la risoluzione dei problemi amministrativi e non porre le basi per un loro cursus honorum politico: come invece fanno molti, troppi giovani dei Partiti tradizionali,

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 10-5-2012

Italiano? No, grazie:SARDO! Autonomia? No, grazie:SOVRANITA’

L’INDIPENDENZA E’ L’ASPIRAZIONE DI TANTI SARDI.

di Francesco Casula  

I sostenitori dell’«Italianità» della Sardegna e dei Sardi hanno di che riflettere: Il 27% si sente sardo e non italiano; il 38% più sardo che italiano; il 31% tanto l’uno che l’altro e solo il 3% più italiano che sardo e l’1% esclusivamente italiano. Emerge da un sondaggio. (pubblicato nei giorni scorsi da un Quotidiano sardo) curato dall’Università di Cagliari e da quella di Edimburgo e finanziato dalla Regione sarda, circa l’atteggiamento dei Sardi nei confronti della propria identità, dell’Autonomia, delle Istituzioni regionali e del rapporto fra Sardegna, Ue e Italia. Ancor più sorprendenti – ma solo per chi, come i politici, che hanno perso ormai qualsiasi rapporto con la realtà – sono le risposte delle persone interpellate in merito a come vorrebbero la Sardegna: il 10% vorrebbe che l’Isola fosse indipendente sia dall’Italia, sia dalla Ue; il 30% indipendente dall’Italia ma entro la Unione europea; il 48% vorrebbe che la Sardegna continuasse a far parte dell’Italia ma con un Parlamento e uno status di sovranità. Per l’11% la Sardegna dovrebbe avere un Parlamento ma non sovranità e l’1% non dovrebbe avere alcun Parlamento, bastando la appartenenza all’Italia. Un bel colpo ai quei maîtres à penser e intellettuali sardi da sempre fusionisti e italo centristi,  cui viene l’orticaria al solo sentire la parola sovranità e indipendenza. Devono rassegnarsi: 150 anni (per limitarci al periodo post-unitario) di politiche italiane assimilatrici e omologatrici, a livello culturale e linguistico, ma non solo, non sono riuscite a “snazionalizzare” i Sardi. In cui rimane vivo – e il sondaggio ne è una testimonianza preziosa – quello che Lilliu chiamava “umore esistenziale”: ovvero l’aspirazione all’autogoverno e all’indipendenza, il senso profondo dell’identità. l’attaccamento alle radici e alle tradizioni non nel senso di voler fermare il movimento della vita e della loro storia, ma di sprigionarlo il movimento, attivandolo dinamicamente dalle catene imposte dal dominio esterno. Si dirà che si tratta di un semplice sondaggio: è vero. Ma esprime comunque con nettezza gli umori e i sentimenti dei Sardi. Anzi: i malumori e i risentimenti. Che Partiti e classi dirigenti nel suo complesso – narcotizzati da un’ inveterata cultura centralistica – non riescono più a intercettare e capire e tanto meno a offrire loro soluzioni.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 6-5-2012

SARDIGNA NATZIONE sui referendum del 6 maggio: 8 sì e 2 no.

VIA LE PREBENDE COSI’ LA CASTA PERDE I PRIVILEGI.

di Francesco Casula

I Referendum cui siamo chiamati a pronunciarci il 6 maggio sono inficiati da due gravi limiti, il primo: sono troppi. E ciò rischia da una parte l’inflazione  –e dunque la disaffezione degli elettori– dall’altra non permette una informazione adeguata nel merito degli stessi. In secondo luogo, visto che a sostenerli vi sono Partiti presenti in Consiglio regionale (e addirittura in maggioranza!), non si capisce perché non abbiano presentato proposte in quella sede. Molti partiti invece stanno zitti: convinti che l’unico strumento per farli fallire –non permettendo dunque che si raggiunga il quorum– è il silenzio e la non informazione. Chi, con coraggio si espone, al di fuori di ogni calcolo elettoralistico è Sardigna Natzione, che con il suo segretario Bustianu Cumpostu, si esprime con chiarezza su tutti i 10 referendum, per sostenerne alcuni (i 5 per l’abolizione delle province, quello sulla Costituente, la riduzione dell’appannaggio ai consiglieri e assessori regionali e l’abolizione dei consigli di amministrazione di Enti Strumentali e Agenzie RAS). Su questo in particolare Cumpostu lancia i suoi sberleffi contro i Partiti italiani e l’intera classe politica. “Voteremo sì –scrive Cumpostu – per abolire i Caddos de Istalla trombati e rampanti. I consigli di Amministrazione sono le stalle nelle quali i partiti ed i sindacati italiani mettono a riposo i cavalli trombati ed allevano i futuri onorevoleddos, sono i serbatoi di galoppini che vengono aperti in occasione di campagne elettorali per entrare nelle famiglie con promesse e minacce clientelari ed estorcere il voto a favore dei loro padrini. Votando sì togliamo loro sa proenda e senza proenda sos caddos non current, ne sos runtzinos ne sos puddericos”. Sostiene invece l’annullamento della scheda per quanto attiene alle elezioni Primarie per eleggere il Presidente della Regione. E un no deciso al decimo quesito: la riduzione a 50 del numero dei Consiglieri Regionali. Interessante la motivazione: no all’autocastrazione democratica, che senza eliminare i “privilegi” riserverebbe il consiglio regionale ai 50 nominati dalle sacrestie di partito ed eliminerebbe i fastidiosi “peones”, specialmente quelli futuri che potrebbero essere, addirittura, di area indipendentista e non facili da omologare. I privilegi della casta si eliminano solo in un modo: riducendo le prebende.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 3-5-2011