Articolo sull’Unione sarda: Limba esclusa al Festival di Gavoi

Limba sfrattata dal festival: A Gavoi esclusa la lingua sarda. Anche l’ottavo Festival di Gavoi, che inizierà il 30 giugno, sarà senza Limba: parlerà tulle le lingue del mondo ma non quella sarda. Così come nei sette precedenti è stata rigorosamente esclusa la letteratura in sardo. Ed è spiegabile solo dentro un’ottica biecamente italocentrica ed esterofila.
Vanno bene infatti le star della letteratura spagnola (come Alicia Giménez-Bartlett, scrittrice di romanzi polizieschi o Ildefonso Falcones autore, fra l’altro, di La cattedrale del mare ) o tedesca come il pluripremiato Uwe Timm. Vanno anche bene gli scrittori italiani e quelli sardi in lingua italiana: peraltro, sempre i soliti noti. Ma perché escludere la letteratura in limba? Perché ha prodotto poco? Ma, anche dato e non concesso che la lingua sarda abbia prodotto poco, si poteva pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato, imbrigliato e impastoiato potesse correre e correre velocemente? E non dice niente a Fois e agli organizzatori del festival di Gavoi la produzione in sardo degli ultimi trent’anni ma segnatamente dell’ultimo decennio? Nei primi dieci anni (1980-1989) le pubblicazioni sono state 22, fra cui 11 romanzi; nei secondi dieci anni (1990-1999) le pubblicazioni sono più che raddoppiate: da 22 passano a 57; nei terzi dieci anni (2000-2007) le opere narrative in sardo sono ben 107. E sono solo quelle censite. Molte delle quali di gran vaglia. Certo, la lingua sarda deve crescere. Ma sta crescendo: ha soltanto bisogno che le vengano riconosciuti i suoi diritti, che le venga riconosciuto il suo “status” di lingua, e dunque le opportunità concrete per potersi esprimere, oralmente e per iscritto, come avviene per la lingua italiana. E per poter essere conosciuta e apprezzata; il festival di Gavoi poteva essere una formidabile occasione in tal senso. Fois l’ha brutalmente censurata.
Francesco Casula

Da L’Unione Sarda del 25/06/2011

FOIS CENSURA LA LINGUA SARDA

Al Festival di Gavoi non si parla SARDO, di Francesco Casula

Anche l’ottavo Festival di Gavoi, che inizierà il 30 Giugno prossimo, sarà senza Limba: parlerà tulle le lingue del mondo ma non quella sarda. Così come nei sette precedenti infatti è stata rigorosamente esclusa la letteratura in Sardo. Ed è spiegabile solo dentro una ottica biecamente italocentrica ed esterofila. Vanno bene infatti le star della letteratura spagnola (come Alicia Giménez-Bartlett scrittrice di romanzi polizieschi o Ildefonso Falcones autore, fra l’altro, di La cattedrale del mare) o della letteratura tedesca come il pluripremiato Uwe Timm.

Vanno anche bene gli scrittori italiani e quelli sardi in lingua italiana: peraltro, sempre i soliti noti. Ma perché escludere la letteratura in limba? Perché ha prodotto poco? Ma anche dato e non concesso che la lingua sarda abbia prodotto poco, si poteva pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato imbrigliato e impastoiato potesse correre e correre velocemente? E non dice niente a Fois e agli organizzatori del festival di Gavoi la produzione in sardo degli ultimi trent’anni ma segnatamente degli ultimi dieci? Eccola:nei primi dieci anni (1980-1989) le pubblicazioni sono state 22, fra cui 11 romanzi; nei secondi dieci anni (1990-1999) le pubblicazioni sono più che raddoppiate: dalle 22 del primo decennio passano a 57; nei terzi dieci anni (2000-2007) le opere narrative in sardo sono ben 107. E parlo solo di quelle censite. Molte delle quali di gran vaglia. Certo, la lingua sarda, deve crescere. Ma sta crescendo: ha soltanto bisogno che le vengano riconosciuti i suoi diritti, che le venga riconosciuto il suo “status” di lingua, e dunque le opportunità concrete per potersi esprimere, oralmente e per iscritto, come avviene per la lingua italiana. E per poter essere conosciuta e apprezzata: il festival di Gavoi poteva essere una formidabile occasione in tal senso. E’ stata brutalmente censurata. Perché?

Probabilmente perchè Fois e gli altri organizzatori del festival non credono a una produzione letteraria in limba che esprima una specifica e particolare sensibilità locale, ovvero “una appartenenza totale alla cultura sarda, separata e distinta da quella italiana” diversa dunque e “irrimediabilmente altra”, come autorevolmente è stato scritto. E dunque non credono ad Autori che –ha sostenuto il compianto Antonello Satta- “sappiano andare per il mondo con pistoccu in bertula, perché proprio in questo andare per il mondo, mostrano le stimmate dei sardi e, quale che sia lo scenario delle loro opere, vedono la vita alla sarda”. Dimenticandosi, fra l’altro, che a riconoscere una Letteratura in limba è persino “uno straniero”: un viaggiatore francese dell’800, il barone e deputato Eugene Roissard De Bellet che dopo un viaggio nell’Isola, in La Sardaigne à vol d’oiseau nel 1882 scriverà :”Si è diffusa una letteratura sarda, esattamente come è avvenuto in Francia del provenzale, che si è conservato con una propria tradizione linguistica

Bene. Marcello Fois e gli altri sodali sono liberi di pensarla così. Ma almeno dovrebbero sapere e convenire che l’idea di una letteratura italiana che comprenda esclusivamente le opere scritte in italiano può considerarsi ormai tramontata. Il concetto stesso di letteratura italiana si è dilatato sino a comprendere l’insieme delle opere scritte in tutto il territorio dello Stato italiano, indipendentemente dal codice linguistico utilizzato. Pertanto le letterature “regionali”, un tempo considerate minori, sono diventate le diverse componenti di un quadro “nazionale” più vasto. Ciò che sostanzialmente deve essere riconsiderato è il rapporto fra il “centro” e le “periferie”, dal momento che – come scrive in Geografia e storia della letteratura italiana, Carlo Dionisetti, il principale teorico di questi studi,- “la storia della marginalità reca un contributo essenziale alla storia totale in costruzione, perché si manda lo storico, senza tregua, dal centro alla periferia e dalla periferia al centro”. In tal modo, finalmente i fenomeni letterari possono essere considerati per il loro valore artistico, estetico, storico e culturale e non in base a un sistema linguistico. Oltretutto la furia italiota, italocentrica e cosmopolita gioca brutti scherzi: le star letterarie straniere vanno bene, ma escludere gli scrittori sardi in limba è segno di becero provincialismo non di apertura al mondo.

Ma del resto, non sono forse stati scienziati come Einstein e scrittori come Honorè de Balzac e Tolstoi –per non parlare dei nostri Giuseppe Dessì e Cicitu Masala- ad affermare “Descrivi il tuo paese e sarai universale”? Francesco Casula

Articolo sul 602° Anniversario di Sa Battalla de Sanluri

 

In occasione del 602° Anniversario de Sa Battalla di Sanluri, sul numero di Giugno 2011 del Mensile Eventi in Sardegna è uscito il seguente articolo di Francesco Casula

 

 

 

SA BATALLA DI SANLURI DEL 30 GIUGNO 1409

 

di Francesco Casula

 

Il 30 Giugno prossimo ricorre il 602° anniversario de Sa Batalla  di Sanluri: forse la data più infausta dell’intera storia della Sardegna. Insieme al 238 a.C. che segnò l’inizio dell’occupazione e del brutale dominio romano; al 1297, quando il papa Bonifacio VII, con la Bolla Licentia invadendi, infeudò del regno di Sardegna e Corsica, appositamente e arbitrariamente inventato, Giacomo II d’Aragona, invitandolo di fatto a invadere e occupare militarmente le Isole, cosa che puntualmente avverrà, almeno  per la Sardegna; al  1820, quando furono emanati gli Editti delle Chiudende, che pose fine al millenario uso comunitario delle terre da parte di tutto il popolo, usurpate dai nuovi proprietari, in un ciclonico turbinio di inaudite illegalità, sopraffazioni e violenze; al 1847, quando con la Fusione perfetta, la Sardegna fu privata del suo Parlamento.

 

Il 30 giugno 1409 infatti presso di Sanluri, si scontrarono l’esercito siculo-catalano-aragonese, guidato da Martino il giovane, Re di Sicilia e Infante di Aragona, contro l’esercito sardo giudicale, al comando Guglielmo III visconte di Narbona, ultimo giudice-re del Giudicato d’Arborea, che fu battuto e disfatto in quella atroce battaglia. Finiva così la sovranità e l’indipendenza nazionale della Sardegna che,  dopo cruente battaglie i Sardi-Arborensi, prima con Mariano IV e poi con la figlia Eleonora, erano riusciti ad affermare, prevalendo sui Catalano-Aragonesi e dunque riuscendo di fatto a ottenere il controllo su tutto il territorio sardo e coronando in tal modo il sogno, di unificare l’intera nazione sarda.

 

Il regno d’Arborea infatti dal 1392 al 1409 comprenderà l’intera Isola, eccezion fatta per Castel di Cagliari e a quello di Alghero: Isola governata e gestita sulla base di quella moderna e avanzata Costituzione che fu la Carta de Logu, che promulgata dalla stessa regina Eleonora, rimase in vigore per ben 435 anni, fino al 1827, quando entrò in vigore il Codice feliciano.

 

Ma ritorniamo alla battaglia di Sanluri: lo scontro finale cominciò all’alba di Domenica 30 Giugno del 1409 (al alva de Domingo del mes de Junio: scrive e documenta negli Anales della Corona d’Aragona lo storico aragonese Geronimo Zurita); quando l’esercito siculo-catalano-aragonese, lasciato l’accampamento cominciò ad avanzare ordinatamente (con horden) fino a un miglio a sud est di Sanluri (Sent Luri).

 

Davanti stava Pietro Torrelles (en la avanguardia Pedro de Torrellas), il capitano generale,  con mille militi e quattromila soldati (con mil hombres de armas, y quatro mil soldados) mentre il re Martino il Giovane, più indietro guidava la cavalleria e il resto formava la retroguardia. Cui si contrapponeva, sbucando improvvisamente da dietro un poggio, appena a Oriente di Sanluri e chiamato ancora oggi Bruncu de sa Batalla,  l’esercito giudicale comandato dal re arborense Guglielmo di Narbona-Bas con i fanti e i cavalieri (con toda la gente de cavallo, y de pie) nascosti dietro una collina.Quanto durò esattamente la battaglia non ci è dato di sapere, Geronimo Zurita parla genericamente di “por buen espacio”. Certamente fu dura e accanita. E, purtroppo, perdente per i Sardi. La tattica degli Aragonesi infatti, il cui esercito assunse una formazione a cuneo, sfondò il fronte delle forze sardo-arborensi che investite al centro, fu diviso in due tronconi. La parte sinistra si divise a sua volta in due parti: la prima ripiegò a Sanluri dove trovò rifugio nel borgo fortificato e nel castello di Eleonora; le mura però non resistettero all’assalto e le forze aragonesi irruppero massacrando a fil di spada gran parte della popolazione civile, senza distinzione di sesso e di età, mentre 300 donne furono fatte prigioniere. La seconda parte, guidata dal re  Guglielmo III, visconte di Narbona si rifugiò nel castello di Monreale, a poche miglia di distanza, senza che gli Aragonesi riuscissero a inseguirli. Così: “el Vizconde con los que escaparon huiendo de la batalla, al castillo de Monreal” si salvò.

 

Morirono invece sul campo ben cinquemila Sardi (y murieron en el campo hasta cinco mil) mentre quattromila furono catturati: sempre secondo i dati di fonte storica aragonese e dunque da prendere prudentemente, cum grano salis. Di contro solo pochissimi nobili iberici persero la vita ((Murieron en esta batalla de la
Parte del Rey muy pocos, y los mas senalados fueron, el vizconde de Orta, don Pedro Galceran de Pinos, y mossen Ivan de Vilacausa).
Le fonti aragonesi non riportano alcun dato sui soldati semplici: evidentemente contano poco o, niente.

 

La località, una collinetta subito dopo il bivio “Villa Santa” guardando verso Furtei,

 

dove avvenne una vera e propria strage conserva ancora oggi, in lingua sarda, un nome sinistro e tristo: Su occidroxiu. Ovvero il mattatoio: dove insieme a migliaia di sardi fu “macellata”  non solo la sovranità e l’indipendenza nazionale della Sardegna ma la stessa libertà dei Sardi.

 

Ci sarebbe, a fronte di tutto ciò, da chiedersi cosa ci sia da “celebrare” in occasione della ricorrenza del 30 Giugno prossimo, segnatamente a Sanluri, come da anni avviene. Da celebrare niente. Molto invece da rievocare per conoscere la nostra storia: nelle sconfitte e nelle vittorie. Per conoscere il nostro passato, per troppo tempo sepolto, nascosto e rimosso: dissotterrandolo. Perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro, il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza e della smemoratezza.

 

Proite unu populu chi non connoschet s’istoria propia, su tempus colau, non tenet ne oje nen cras.

 

 

 

Articolo in lingua sarda sulla Carta de Logu pubblicato su “LACANAS”

 

Nel numero 49, anno IX, Aprile 2011 di LACANAS, Rivista bilingue delle Identità, fondata e diretta da Paolo Pillonca è stato pubblicato l’articolo che segue

 

 

 

Parti prima

 

Sa Carta De Logu

 

de Frantziscu Casula

 

Sa Carta De Logu* cuntenit unu Proemiu e chentunoantotto (198) capitulos : sos primos chentutrintaduos (132) formant su Coditze tzivile e penale, sos ateros sessantases (66) su Coditze rurale emanadu dae su babbu de Eleonora, Marianu quartu.

 

Promulgada dae Leonora- madona Elionor pro sos Aragonesos- chi propiu a pustis sa promulgatzione ant cumintzadu a jamare sa Sardigna <nacion sardesca> e sa Carta <de sa republica sardisca> e duncas fiat espressione de sa Sardigna intrea ma mescamente fiat una vera e propia Carta costitutzionale natzionale.

 

Iscritta in limba sarda arborense (ma sa variante est diversa a segundu de sas editziones) in sas intentziones de Leonora serbit ad ciò qui sos bonos e puros et innocentes pothant viviri et istari inter issos reos ad seguridadi.

 

Comintzat cun unu proemiu – Sa Carta de Logu, sa quali cun grandissimu provvidimentu fudi fatta peri sa bona memoria de juygi Mariani padri nostru, in qua direttu juyghi de Arbarèe, non essendo corretta per ispaciu de seighi annos passados, como per multas variedadis de tempus bisognando de necessidadi corrigerla e emendari…ordinamus… sinnu e providimentu erata fata ter issa bona memoria de Juigui Mariani passados…ordinamus …e sighit cun parigas lees de derettu criminale (o penale) e a pustis allegat de ordinamentos de fueros e de maleficios, de fogu, de chertos e nuntas (liti e citazioni), de silvas, de corgios (cuoiame), de salarios, de vingios, de lavoris e de ortos (vigne, cereali e orti), de cummonis, (soccida) de maxellos, de terminis e ingiurias .

 

Sa Carta de Marianu IV duncas dae seighi annos non fiat istada corrigida e non rispondiat a sos bisongios de sos tempos novos. Toccaiat duncas de l’ammodernare in base a sas conditziones de su Judicadu: mescamente toccaiat de arremazare sas dispositziones pro mantenner s’ordine pubblicu a s’ispissu buliadu, crescher sa produtzione e sa ricchesa de su Rennu, galentire s’isviluppu de sa proprietade privada  pittica, amparare e defendere sa faina de chie traballaiat sa terra e de sos pastores: ”pro conservari sa Justicia et in bonu, pacificu e  tranquillu istadu dessu pobulu dessu rennu nostru predittu et dessas ecclesias, raxonis ecclesiasticas, e dessos lieros, e bonos hominis, et pobulu tottu dessaditta  terra nostra e dessu rennu de Arbarèe”…”

 

Mescamente toccaiat de definire sas curpas e de pretzisare sas responsabilidades de sas pessonas istabilinde s’entidade de sas penas chi ant a esser aumentadas a cara de cussas chi aiat detzididu su babbu e puru su frade  Ugone proite fiant aumentadas sas neches, comente in sa Carta etotu Lionora narat :”mutacioni dessos tempos qui sunt istados seguidos poscha et issa condicioni dessos hominis qui est istadu dae tando innoguj multum permutada e plus pro qui ciaschedunu est plus inqujnevilj a su malu faguijr qui non assu boni operarj dessa republica sardischa”.

 

Sas dispositziones sunt propriu pretzisas mescamente subra a sas cresuras de sos terrinos, su traballu in sas bingias, in sos ortos e in sos terrinos seminados.

 

Duncas sunt meda seberas sas penas contra a chie sderrinat sas cresuras (capp.41-43); contra a su mere de su bestiamene chi intret in su campu anzenu e nde isperdet s’incungia (cap.95); contra a chie brusiet sas istulas a in antis de s’otto de capidanni (cap.45) cun s’arriscu de ispartinare su fogu in sos campos curtibados. Est importante meda sa dispositzione chi cuntzedit in propriedade su terrinu a chie l’at tentu e traballadu pro chimbanta, baranta o trint’annos a segundu chi issu siat de su fiscu, de sa Cresia o privadu, si su proprietariu de in antis non at rivindicadu in s’intere sos derettos suos (cap.67)

 

   Pro sas malafattias prus mannas si decretat sa cundenna a morte (cun s’impiccu, su degogliu e sa brusiadura) e non est possibile a si ponner de accordu paghende dinare (e pro dinari neunu non campit) e cun su riscattu chi aiat prevididu su frade Ugone: “in casu qui alcunu homini ochirit homine, pagando liras milli siat campatu e non nde siat mortu”.

 

Pro fagher carchi esempiu su mortore est cundennadu a su degogliu: volemus e ordinamus chi si alcuna persona ochiret homini et est indi confessa in su judiciu over convinta segundu chi s’ordini dessa ragioni cumandat siat illi segada sa testa in su logu dessa Justicia per modu ch’indi morgiat. E pro dinari alcunu non campit” (cap.3) ma si si trattat de legittima difesa “no ‘ndi siat mortu e pena alcuna no ‘ndi apat”.

 

Sufogupostuasasdomosestdegumadu cun sa brusiadura (cap.46). Sa Carta in prus imbolat sa cundenna a morte pro sas malafattias contra sa seguresa de s’Istadu: pro cumprender custa pena est netzessariu de cussiderare chi Leonora a in antis tenet galu sa morte de su frade Ugone e sas traitorias a favore de sos Aragonesos. Su fartosu “de lesa maestà” est liau a sa coa de unu cuaddu, trazadu in sas carrelas de Aristanis e impiccadu (cap.2): “Item ordinamus chi si alicuna persona trattarit over consentirit causa alcuna pro sa quali Nos perderemus honori, terra over castellu de cussos chi hamus hoe o de cussos chi acquistaremus dae como innantis deppiat esser istrasinada a coha de cavallu per tota sa terra nostra de Aristanis e posca infini assa furcha  e innie si infurchet ch’indi morgiat…”.

 

Sa matessi morte est previdida pro chie attentat contra sa familia judicale (cap.1): “ Ordinamus chi si alcuna persona trattarit e consentirit chi Nos over  alcunu figiu nostru over donna nostra o figios nostros o donna issoru, esseremus offesidos over fagherit offender over consentirit chi esseremus offesidos deppiat esser posta supra unu carru e  attanaggiada per totu sa terra nostra de Aristanis e posca si deppiat dughiri attanaggiandolla infini assa furca e innie s’infurchit ch’indi  morgiat…”

 

Sos istropios sunt punidos cun sa pena “del taglione” (cap.9)” si ‘ndi perdirit membru cussu simigianti membru perdat…” ma s’istropiu podiat esser cunvertidu cun una pena in dinare ma fiat meda ma meda manna.

 

 

 

*. Comente versione de Carta de Logu amus leadu cussa chi at curadu e publicadu Frantziscu Cesare Casula chi si mutit: La Carta de Logu del regno d’Arborea, traduzione libera e commento storico, ed. Consiglio nazionale delle Ricerche, Cagliari 1994

 

Il Premio letterario “Adolescenza degli adolescenti” a Ollolai.I Vincitori

 

Ollolai, a una sassarese il premio letterario

 

la Nuova15 giugno 2011 — pagina 48 sezione: Spettacolo

 


OLLOLAI. Si è concluso il primo concorso letterario premio «L’adolescenza degli adolescenti», promosso dall’associazione culturale Divergenze di Ollolai. L’iniziativa, avviata qualche anno fa, era rivolta a ragazzi compresi fra i 14 e i 20 anni, che dopo aver partecipato a un bando di concorso, hanno presentato i loro racconti brevi e inediti scritti in lingua sarda e italiana. Sabato sera si è svolta la cerimonia di premiazione in una gremita sala Parrocchiale.
«Il nostro ruolo è stato quello di essere testimoni dei pensieri dei ragazzi, che hanno saputo esprimersi liberamente», così ha detto Stefano Nieddu, rappresentante dell’associazione «Divergenze», organizzatrice dell’evento presieduta da Antonello Guiso.
Alla premiazione è intervenuto anche l’assessore comunale alla cultura, Francesco Barone, che in questa occasione ha sottolineato l’importanza di tutte le iniziative culturali, evidenziando in primis la scrittura come strumento che sostiene l’importanza dei giovani.
A dare il via alle premiazioni è stato il presidente della giuria, Francesco Casula. Con una “speciale menzione” è stata premiata Sara Scattu, di Barisardo, con il suo elaborato «Miryam», ed Eleonora Soro, originaria di Ollollai, con «La vendetta». Al terzo posto (con un premio di cento euro) Alessio Garau, di Carbonia, con «24 luglio 1851», seconda classificata (alla quale è andato invece un premio di duecento euro) Stefania Apeddu di Alghero con «Siamo ragazzi, abbiamo una vita davanti», e prima classificata (aggiudicandosi la somma di tremila euro) la sassarese Maria Luisa Mura, con «Il tempo». Per ogni racconto premiato è stata letta una relazione, frutto delle valutazioni della giuria. Francesco Casula, docente e presidente della giuria, è stato il portavoce degli altri giurati: Tonino Bussu e Gian Carlo Bruschi, docenti, Francesca Mastio e Pier Gavino Sedda, rappresentanti dell’Associazione «Isola delle Storie», Maria Franca Arbau, rappresentante dell’associazione «Divergenze», Antonio Uselli, colonnello della Guardia di Finanza, e gli assenti Natalino Piras e Michele Ladu, scrittori.
Un altro premio è stato assegnato da Francesca Lostia alla maestra Caterina Soro. «E’ stata una giornata fantastica – ha commentato l’associazione – durante la quale ci siamo sentiti appagati dal calore e dalla partecipazione della gente».
Giovanni Maria Sedda

 

 

 

 

 

150° annos e prus…

 

 

LA CONFEDERAZIONE SINDACALE SARDA NON ADERISCE
ALLE CELEBRAZIONI DEI 150 ANNI DELL’UNITA’ D’ITALIA
scarica lettera al Presidente Lombardo

lettera_presidente_lombardo.pdf

150° annos e prus…de italianizatzione linguistica e culturale
a fortza de sa natzione sarda
di Francesco Casula

leggi articolo

 Francesco.pdf

Pro cale unidade – versus de Mario Pudhu

Viva l’Italia! E viva s’unidade
De sos Italianos totugantos
E it’e gloriare apent e bantos
In sa bona fortuna e menzus paghe!

Ma ite amus de afestare nois Sardos
In sa Furca ue semus impicados
E pro sa fune de sa dipendhéntzia?!

Custu est machine, est delincuéntzia.
Sa brindhatzina de sos imbriagos!
Imbóligu ingannile de bastardos.

Sardigna, ispicadindhe! E pesa unida!
Ispibilla sa mente e fortza faghe
In su caminu de sa libbertade
Pro chi apes tue puru digna vida!

Premio letterario a Ollolai l’11 Giugno

 

Prima Edizione

CONCORSO LETTERARIO

-DIVERGENZE-

Premio

“L’adolescenza degli adolescenti”

 

Il giorno 11 Giugno 2011 alle ore 17.30 a Ollolai ci sarà la premiazione dei vincitori del Concorso, “L’adolescenza degli adolescenti”.

 

Durante la premiazione l’Associazione culturale Divergenze intende istituire un premio per una persona di Ollolai che con la sua arte/professione, impegno e passione ha contribuito a rendere Ollolai un paese migliore.

 

Dopo l’introduzione del Presidente dell’Associazione, Antonello Guiso e i saluti dell’Assessore alla cultura del comune di Ollolai Francesco Barone, il Presidente della Giuria del Premio Francesco Casula, a nome di tutti i giurati (Francesca Mastio e Pier Gavino Sedda, Gian Carlo Bruschi, Antonio Uselli, Maria Franca Arbau, Natalino Piras, Antonio Bassu e Michele Ladu) proclamerà i giovani vincitori e leggerà le motivazioni.

 

 

 

Lezione di storia sarda: 60 anni di Statuto speciale

 

Venerdi 3 Giugno (ore 17-18.30) Francesco Casula terrà l’ultima lezione di Storia della Sardegna all’Università della Terza Età di San Gavino. Si svolgerà nella Biblioteca comunale cittadina (Via Leonardo 1, davanti all’ingresso del parco comunale).

 

 

 

Ecco la sintesi  della relazione

 

 

 

60 anni di Statuto speciale

 

 

 

di Francesco Casula

 

   In un clima di restaurazione e di conservazione, già depotenziato, debole e limitato – più simile a un gatto che a un leone, secondo la colorita espressione di Lussu – nasce nell’ormai lontano 1948 lo Statuto sardo. In questi cinquant’anni e più ha subito un processo di progressivo svuotamento e di compressione sia dall’esterno, cioè da parte dello Stato centrale, sia dall’interno, ovvero da parte delle forze politiche dirigenti sarde, che non sanno usare e, spesso, non vogliono utilizzare, gli stessi strumenti, possibilità e spazi che l’autonomia regionale offriva. Basti pensare a questo proposito alla vicenda delle norme di attuazione, che non vengono emanate, o vengono emanate in modo eccezionalmente riduttivo, o che non vengono comunque quasi mai poste in atto, per constatare come le forze politiche sarde abbiano svilito la stessa limitata autonomia, statutariamente riconosciuta.

 

   Non solo. Nato come Statuto speciale, oggi risulta dotato di meno poteri delle regioni a Statuto ordinario costituite nel ’70 e di fatto rappresenta oramai un ostacolo alla realizzazione di una vera Autonomia, o peggio: serve solo come copertura alla gestione centralistica della Regione da parte dello Stato, di cui non ha scalfito per niente il centralismo. Paradossalmente lo ha perfino favorito, consentendo ai Sardi solo il succursalismo e l’amministrazione della propria dipendenza. La Regione sarda di fatto, in questi 50 anni di storia, ha operato come mera struttura di decentramento e di articolazione burocratica dello Stato e come centro di raccordo e di mediazione fra gli interessi dei  gruppi di potere locali e la rapina neocolonialista, soprattutto del Nord.

 

   Da tempo perciò possiamo ormai considerare consumato il suo fallimento storico, contestuale a quello della Rinascita: come da tempo si è consumata la scissione fra movimento popolare, opinione pubblica e Istituto autonomistico. Che dal senso comune della gente è considerato una controparte, una realtà ostile ed estranea ai Sardi.

 

   Sono falliti miseramente anche i tentativi di un suo rilancio e rianimazione, prima attraverso la cosiddetta politica contestativa e rivendicazionistica della Regione nei confronti dello Stato degli anni ’70 e, recentemente, attraverso una Commissione nominata ad hoc dal Consiglio Regionale, chiamata pomposamente “Commissione speciale per l’Autonomia” che ha partorito un documento mostriciattolo, tale da non meritare neppure la discussione in Aula da parte del Consiglio.

 

   Oggi è giunto il momento in Sardegna di imboccare decisamente la strada del rifacimento dello Statuto Sardo, una nuova Carta de Logu, una vera e propria Carta Costituzionale di Sovranità per la Sardegna, che ricontratti su basi federaliste il rapporto Sardegna- Stato Italiano e che partendo dall’identità etno- nazionale dei Sardi ne sancisca il diritto a realizzare l’Autogoverno, l’autodecisione, l’autogestione economica e sociale delle proprie risorse e del territorio, il diritto a usare e valorizzare la propria lingua e cultura, a gestire la scuola, i trasporti, il credito, le finanze e l’ordine pubblico, la possibilità di controllare i grandi mezzi di comunicazione di massa e dell’informazione, di fronte alla quale oggi la Regione è totalmente disarmata e niente può fare perché essi rispondano a criteri di uso democratico e socialmente utile. Il potere infine, in settori fondamentali quali la difesa e i rapporti internazionali, di esprimere parere vincolante in merito a tutte le iniziative che tocchino gli interessi vitali della Sardegna.

 

Porre in questi termini la questione della Nazione sarda, non significa a mio parere, pensare alla creazione di un nuovo Stato, separato, che rifiuti superiori livelli, anche istituzionali di integrazione e di interdipendenza, necessari oggi per affrontare i problemi socio- economici, a dimensione continentale e mondiale, connessi:

 

·        alla diffusione delle nuove tecnologie e alla globalizzazione dell’economia e dei mercati;

 

·        al crescente grado di interdipendenza e di integrazione raggiunto dall’economia dei singoli paesi e delle singole aree e regioni;

 

·        al carattere europeo e internazionale assunto dai flussi e dallo scambio di materie prime, di prodotti manufatti, di tecnologie e di capitali;

 

·        all’importanza soverchiante che in tali condizioni acquistano le economie su scala e le imprese che non producono solo per il mercato locale ma per mercati più ampi e lontani.

 

Il problema della Nazione sarda si pone invece oggi, in termini moderni e non ottocenteschi, come protesta contro lo Stato ufficiale unitario, accentrato, centralista e oppressore e dunque come lotta per il suo superamento, per il suo deperimento e per l’affermazione e la creazione di uno Stato plurinazionale e plurietnico che riconosca le nazioni minori e le etnie presenti al suo interno. In questa prospettiva, non angustamente indipendentista, si può oggi risolvere la “Questione nazionale sarda”: non distaccando l’Isola dallo Stato italiano, in cui storicamente è ormai incorporata, ma con l’ottenimento di tutti i poteri che le permettano l’autodecisione e l’autogoverno: tali poteri deve prevedere il nuovo Statuto sardo federale e non di Autonomia, sia pure nuova o rinnovata e rimpolpata. E non si tratta evidentemente di diversità linguistiche o di una diversa modellistica giuridico- istituzionale.

 

   La visione autonomistica dello Stato infatti, è ancora tutta dentro l’ottica dello Stato unitario e centralista – così come in buona sostanza è ancora disegnato dalla Costituzione repubblicana, anche dopo la “Riforma federalista” –  che al massimo può dislocare territorialmente spezzoni di potere nella “periferia” o, più semplicemente può prevedere il decentramento amministrativo e concedere deleghe parziali alla Regione, che comunque in questo modo continua ad esercitare una funzione di “scarico”, continua ad essere utilizzata come un terminale di politiche sostanzialmente decise e gestite dal potere centrale; che vede il rapporto Stato- Sardegna in termini asimettrici, di pura e semplice dipendenza, che prefigura da un lato l’accettazione di uno Stato coinvolgente e ancora totalizzante – nonostante qualche timido tentativo di “dimagrimento” – dall’altro la concessione di uno spazio di gestione amministrativa e politica del tutto ininfluente. Insomma, uno scambio ineguale, che pone la Regione in uno stato di marcata inferiorità.

 

   Il Federalismo si muove in una logica diversa e per molti versi opposta. Non si tratta di dislocare parziali e limitati poteri dal “centro” alla “periferia”, dallo Stato Italiano alla Nazione sarda, poteri che rimarrebbero comunque articolazioni dello Stato centrale; si tratta invece di procedere “alla disarticolazione dello Stato nazionale unitario per dar luogo a una forma nuova e diversa di Stato di Stati, in cui per Stati non si intendono più Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno Stato più grande, ma parte e territori di un Stato grande elevati al rango di Stati membri” (Bobbio. Introduzione a Silvio Trentin, Federalismo, 1997).

 

In questa visione federalista il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, di un unico potere e soggetto singolare per far capo a più soggetti e poteri plurali. In questa visione la Regione cessa di essere la rappresentanza in sede regionale e periferica dell’Amministrazione statale per diventare l’Ente esponenziale della Comunità sarda.

 

   C’è da chiedersi se dentro questa visione federalista abbia ancora senso la “Specialità”, se non rappresenti un limite verso la “normalità” o peggio un ghetto. Io ritengo di no: pur all’interno di uno Stato federale la Sardegna come e più che nel’48 ha tutte le ragioni per rivendicare uno Statuto di “sovranità speciale”: motivi economici ( basti pensare a tutti gli handicap e le diseconomie legate alla sua insularità) ma soprattutto etno-culturali: perché peculiare è la sua storia, atipica e dissonante rispetto alla coeva storia dell’Italia e dell’Europa; specifiche e particolari sono la sua cultura, le sue tradizioni ma segnatamente la sua lingua, che forti poteri e robuste prerogative statutarie speciali, appunto, devono poter difendere e valorizzare. Soprattutto a fronte degli attacchi provenienti da una sorta di “pensiero unico” che vorrebbe omologare tutto, annullando progressivamente differenze culturali, specificità etniche, peculiarità linguistiche, ibernando nella bara della tecnica, del calcolo economico, della mercificazione, della globalizzazione, la nostra Identità di Sardi, attraverso la reductio di tutto ad unum:” Un’idea. Una legge. Un’umanità indistinta. Una coscienza frollata. Una natura atterrita. Un paesaggio spianato. Una luce fredda” (Eliseo Spiga, Capezzoli di pietra).

 

    Mi avvio alle conclusioni, non prima però di accennare, almeno per sommi capi, a un problema che in Sardegna sta crescendo: l’Assemblea Costituente. Inizialmente proposta esclusivamente dall’area nazionalitaria  e sardista, ha in questi anni fatto proseliti sempre più numerosi e qualificati, tanto che oggi il Partito trasversale della Costituente è ormai maggioritario e comprende forze politiche di tutti gli schieramenti, intere organizzazioni sindacali ( la CISL e la CSS), pezzi importanti del mondo della cultura e delle professioni.

 

   Alla base dei sostenitori dell’Assemblea Costituente vi è certo la consapevolezza, visti i reiterati fallimenti, dell’impotenza e dell’incapacità del Consiglio regionale  di riscrivere lo Statuto. Ma se pur anche fosse in grado, con le stantie e consunte procedure e riti e mediazioni sempre al ribasso, quale Statuto potrebbe produrre, chiuso com’è nell’invalicabile palazzo di Via Roma, che “enfatizza e ribadisce superbamente la separazione fra la piazza e lo stato, fra i dannati della terra e gli addetti ai lavori, con una Regione che si è fatta stato e l’autonomia  si estenua nei tempi morti della burocrazia e nei  giochi simulati dei vassalli che chiedono a Roma gli inutili riti dell’investitura”? (Elisa Nivola, Pedagogia e politica nella <Questione Sarda>).

 

   Ma vi è soprattutto altro. L’Assemblea Costituente infatti non è solo un modo migliore e più democratico per riscrivere la Nuova Carta Costituzionale della Sardegna che regoli con un nuovo patto fra i Sardi, i rapporti fra la Sardegna, l’Italia e l’Europa e insieme definisca e sancisca  le prerogative e i poteri di una Comunità moderna, orgogliosa, sovrana; essa può essere l’occasione per mettere in campo il protagonismo e la partecipazione diretta dei Sardi, per realizzare un grande e profondo movimento di popolo che prenda coscienza della sua Identità e nel contempo sia aperto alle culture d’Europa e del mondo, pronto a competere con le sue produzioni materiali e immateriali, finalmente deciso a costruire un futuro di prosperità e di benessere, lasciandosi alle spalle lamentazioni, piagnistei e complessi di inferiorità.