TCS: CONNOSCHERE SA LIMBA

 

 

 
 
Francesco Casula
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TCS: CONNOSCHERE SA LIMBA
Connoschere sa limba est su titulu de unas cantas puntadas (seighi) chi Tele Costa Smeralda at a trasmitere cada lunis (oras 20.30 in su canale 13 de su digitale terrestre) a comintazre dae su 21 de lampadas. Sa trasmissione est ghiada dae su Professore Frantziscu Casula, istoricu e istudiosu de limba e de literadura sarda e cumbidat e proponet seighi pessonargios sardos (iscritores, poetas, cantadores, amantiosos de sa limba sarda, militantes de su moimentu linguisticu) chi chistionant cun su ghiadore subra sa limba sarda de oe e su de tempus benidore e peri subra unos cantos esponentes de balia de sa literadura sarda chi cada ospite at a isseperare: dae Bonaventura Licheri a sa Scomuniga de Predi Antiogu; dae Gratzia Deledda a Montanaru; dae Peppino Mereu a Emiliu Lussu; dae Aquilino Cannas a Cicitu Masala; dae Benvenuto Lobina a Micheli Columbu; dae Antonello Satta e Franciscu Carlini a Zuanne Frantziscu Pintore. Totu sas seighi puntadas sunt sbodicadas in limba sarda. In custa manera a intro de su processu de amparu, cunservatzione e avaloramentu de sa limba etotu, peri sas televisiones – cun s’iscola – ant a podere ispainare sa limba sarda pro la faghere connoschere e impreare cada die, peri a livellu ufitziale e istitutzionale e no sceti a livellu familiare e de foghile. TCS: CONNOSCHERE SA LIMBA Connoschere sa limba è il titolo del ciclo di sedici puntate che Tele Costa Smeralda manderà in onda ogni lunedì (alle ore 20.30 nel canale 13 del digitale terrestre) ad iniziare dal prossimo 21 giugno. La trasmissione condotta dal Prof. Francesco Casula, storico e studioso di lingua e letteratura sarda, propone sedici personaggi sardi (scrittori, romanzieri, poeti, cantadores, amanti della lingua sarda, militanti del movimento linguistico) che dialogheranno con il conduttore sullo status del sardo oggi e sulle sue prospettive future, nonché su alcuni significativi esponenti della letteratura sarda che ogni ospite proporrà: da Bonaventura Licheri e Grazia Deledda a Montanaru; da Peppino Mereu a Emilio Lussu; da Aquilino Cannas a Cicitu Masala; da Benvenuto Lobina a Michele Columbu; da Antonello Satta e Franco Carlini a Gianfranco Pintore. Le sedici puntate si svolgeranno interamente in lingua sarda. In tal modo, all’interno del processo della sua tutela, conservazione e valorizzazione, anche i Media – insieme alla Scuola – potranno assolvere a un preciso ruolo: quello di diffondere e circuitare la lingua sarda per la sua conoscenza e il suo utilizzo quotidiano, anche a livello ufficiale e nelle Istituzioni e non solo a livello familiare.

IL VOLTAGABBANA: Il caso di Marcello de Vito (5stelle ) e due casi letterari..

 
 
 
 di Francesco Casula
La fauna parlamentare italica dei voltagabbana aumenta viepiù: l’ultimo caso, in ordine cronologico, riguarda tal Marcello De Vito, dei 5stelle, che fu primo candidato sindaco per lo stesso Movimento a Roma nel 2013, e attualmente è presidente dell’Assemblea capitolina, (oltre che a processo in primo grado con l’accusa di corruzione). Ha cambiato casacca abbandonando il suo Movimento e passando a Forza Italia, fino a ieri considerata (e forse non a torto) simbolo del male assoluto, della corruzione e della mala politica. Sia ben chiaro: cambiare opinione non solo è legittimo ma anche doveroso. Cosa diversa è quando si cambia casacca per motivi che niente hanno a che spartire con il “pensiero”. Ma sono da ricondurre a mero opportunismo politico e interesse personale (spesso semplicemente economico): a mio parere il più dei casi. Sia ancora ben chiaro: i voltagabbana sono sempre esistiti. Il trasformismo caratterizza tutta la storia italica e viene da lontano: era praticato abbondantemente ai tempi del regno dei tiranni sabaudi di fine Ottocento: specie con Agostino Depretis capo del Governo. Ma è soprattutto nell’ultimo decennio che il bestiario dei voltagabbana si è moltiplicato: Un dato può essere paradigmatico e illuminante e attiene ai parlamentari che nella scorsa legislatura (la XVII) hanno cambiato “casacca”: ovvero sono transitati da un partito a un’altro (o, addirittura, a più partiti). Ecco quanto riferisce Il Sole 24 ore del 26 dicembre 2017: “È stata la legislatura più instabile della storia della Repubblica: in 57 mesi i cambi di casacca sono stati la cifra record di 566. Venti solo nella settimana prima di Natale. Un valzer che – secondo i calcoli di OpenPolis – ha coinvolto 347 parlamentari. Dunque il 35,53% degli eletti ha cambiato casacca almeno una volta. In 57 mesi di legislatura significa una media di 9,58 cambi al mese. Un numero più che raddoppiato rispetto alla XVI legislatura (2008-2013) che aveva contato 4,5 cambi di casacca al mese. Alla Camera dei deputati sono stati registrati 313 cambi di gruppo, con 207 deputati coinvolti, che rappresentano il 32,86% della platea di parlamentari di Montecitorio. A Palazzo Madama sono stati 253 cambi di casacca e 140 senatori transfughi (43,57%). In base all’articolo 67 della Costituzione «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». E dunque può cambiare gruppo. Anche più volte. Il fenomeno è entrato persino nella Letteratura. A metà Ottobre del ’22, dunque meno di due settimane prima della nomina di Mussolini a capo del governo, – è l’autore a riferircelo in Marcia su Roma e dintorni – Lussu ha un colloquio a Roma con l’on. Lissia. Questi sosterrà enfaticamente: ”Se il fascismo trionfa la civiltà del nostro paese rincula di venti secoli”. E ancora: “Abbiamo il dovere di batterci fino all’ultima goccia di sangue. Se non lo faremo sarà l’onta per noi e per i nostri figli”. “Ci salutammo come due combattenti –prosegue Lussu – che si danno appuntamento in trincea. Dopo di che rientrai in Sardegna ed egli rimase a Roma per sistemare degli affari”. “Quale non fu la mia meraviglia nell’apprendere, subito dopo la «Marcia su Roma» che egli faceva parte del Ministero di Mussolini, come sottosegretario alle Finanze”, commenta Lussu. Ma di un politico voltagabbana e incoerente “che proprio non sa rinunciare a un padrone a cui obbedire” parla anche una recente commedia del giornalista e scrittore Pietro Picciau, tradotta in sardo da Ottavio Cogiu ( Il Servo, in Teatro oggi-Commedie e monologhi di Pietro Picciau/Oindì-Cumedias e monologus- Cuaturu operas transladas in lingua sarda de Otaviu Congiu).

Identità e folclore. La lezione di Gramsci

Identità e folclore. La lezione di Gramsci
Di Francesco Casula
La Sardegna è stata fin troppo folclorizzata dagli “stranieri” che si sono affacciati a guardarla e ne hanno subito il fascino, segnando talvolta nei loro taccuini cose inesistenti: a questo riguardo rimando al romanzo Assandira di Giulio Angioni o a Tarquinio Sini, noto soprattutto come pittore e caricaturista dai tratti rapidi ed essenziali (Sassari 1891– Cagliari 1943), che – in un romanzo dal titolo A quel paese… Romanzo moderno (ad imitazione di molti altri) per uso esterno,( Ed. S.E.I. Cagliari 1929) – si diverte ironicamente a rivelare ai non sardi l’immagine di quella che essi ritengono sia la vera Sardegna, quella infestata da terribili banditi pronti a sparare e a uccidere, con indosso il classico costume sardo: con la berretta infilata sulla testa che non ha mai conosciuto le forbici del coiffeur, il sottanino di orbace e le brache bianche…i turisti davanti a questi ceffi, dai barboni arruffatti, passano da una emozione all’altra…chi viene in Sardegna in cerca di emozioni e prova tutto ciò può chiamarsi fortunato, scrive Sini. E questa è la Sardegna che vogliono i turisti, sembra dirci. E quando l’Isola non risponde alle aspettative dei vacanzieri, magari ricchi ed annoiati, la si “maschera” riportandola al passato o a un’immagine che tale si ritiene abbia avuto.
Ecco a questo proposito un passo del romanzo, in cui il maître dell’albergo: dopo una notte insonne, una di quelle notti che portano consiglio, impartisce ordini e contrordini al suo personale.
-Questa siepe di fichi d’india di qua! Quest’altra di là, più su più giù!
Questi asinelli? In ordine sparso: un po’ ovunque. Via fatemi sparire quel camioncino! Al suo posto un carrettino…bravo! Il somaro più rognoso. Adesso incominciamo ad andar bene! Il Nuraghe lassù: sulla collina al centro. Oh benissimo!…E il paesaggio sardo prende subito quel caratteristico aspetto della vera Sardegna, di quella Sardegna che tutti conoscono senza aver mai visto e che soltanto i trucchi del modernismo invadente tentano occultare.
Ma manca ancora qualche cosa: ecco allora che “bisogna far passare qualche numeroso gregge da queste parti…” afferma ancora il maître. “E dopo qualche istante… ecco il colore locale. E anche l’odore …
La Sardegna – signori miei – dopo tanti anni si risveglia e senza lavarsi la faccia si rimette in cammino. Così la vogliono i poeti e i curiosi di là dal mare. Sia fatta la loro volontà!.
E’ questa la conclusione, fra l’ironico e il melanconico e l’amaro, del romanzo di Sini. Siamo nel 1929 ma pare che le cose non siano cambiate granché.
Il tema è stato analizzato anche da Gramsci segnatamente nelle Lettere dal carcere.
Sì, le tradizioni popolari: le canzoni sarde che cantano per le strade i discendenti di Pirisi Pirione di Bolotana … le gare poetiche… le feste di San Costantino di Sedilo e di San Palmerio … le feste di Sant’Isidoro”.
Sai – scrive dal Carcere in una lettera alla mamma il 3 Ottobre 1927 – che queste cose mi hanno sempre interessato molto, perciò scrivimele e non pensare che sono sciocchezze senza cabu nè coa.
In altre opere Gramsci ribadirà che il folclore non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa molto seria. Solo così – fra l’altro – l’insegnamento sarà più efficiente e determinerà realmente una nuova cultura nelle grandi masse popolari, facendo sparire il distacco fra la cultura moderna e la cultura popolare o folclore.
In altre occasioni sottolinea che folclore è ciò che è, e occorrerebbe studiarlo come una concezione del mondo e della vita, riflesso della condizione di vita culturale di un popolo in contrasto con la società ufficiale.
Quello che invece Gramsci critica è il “folclorismo“, ovvero: l’abbandono all’isolamento storico e a una cultura arbitrariamente privata di ogni residua mobilità, che definisce, malattia mortale di una cultura disattenta ai significati progressivi della esperienza popolare e invece esaurita nel rispecchiamento della vita passata,nella celebrazione di quei «valori» che disturbano meno la morale degli strati dirigenti e rendono in questo senso più facili tutte le «operazioni conservatrici e reazionarie», legando vieppiù il folclore «alla cultura della classe dominante » .
In altre lettere – per esempio in quelle del Novembre del 1912 e 26 Marzo del 1913 alla sorella Teresina – chiede notizie su parole in sardo logudorese e campidanese e alla madre – nella lettera del 26 Febbraio del 1927 – si figura di rinnovare una volta libero e tornato al paese il grandissimo pranzo con culurzones e pardulas e zippulas e pippias de zuccuru e figu siccada.
In un’altra lettera del 27 Giugno 1927 le chiede di mandargli la predica di fra Antiogu a su populu de Masullas. E al figlio Delio che parlava russo e italiano e cantava canzoncine in francese avrebbe voluto insegnare a cantare in sardo: lassa su figu, puzzone.
Ma il “Sardo“ di Gramsci non si ferma qui: alle pardulas e ai bimborimbò delle feste paesane, pure importanti. Il suo rientrare insistente nella lingua materna non è un fatto solo sentimentale. Va ben oltre. Voglio ricordare che nei primi mesi di vita studentesca nella Facoltà di Lettere a Torino i suoi interessi si rivolgono in modo particolare agli studi di glottologia, di qui le sue ricerche sulla lingua sarda e il suo proposito di laurearsi, con il suo grande maestro Matteo Bartoli, proprio in glottologia. O basti pensare che si fa scrivere da due bolscevichi della “Sassari“ lo slogan della futura rivoluzione in Sardegna:” Viva sa comune sarda de sos massajos, de sos minadores, de sos pastores, de sos omines de traballu” (“Avanti”, edizione piemontese del 13 Luglio 1919).
Spesso però la Sardegna è stata folclorizzata anche dai residenti, in una sorta di ripiegamento su se stessi, o nella esibizione di una straripante diversità.