Grillo e i suoi “antenati”

6c762281857a0d26c9c547d10e5cfe62.jpgGrillo e i suoi “antenati”

 

di Francesco Casula

 

A proposito di Grillo, editorialisti e politologi hanno evocato una serie di personaggi storici: da Cola di Rienzo a Savonarola, da Masaniello a Giannini. Ora, a parte che le analogie con personaggi che sono vissuti e hanno operato in contesti storici così diversi sono improponibili, a me pare che l’unico tratto che assomigli Grillo ai primi tre sia il piglio tribunizio: mi riferisco al romano Cola di Rienzo che nel 1347 si autonominò tribuno del popolo, esautorando i ceti nobiliari; al frate Savonarola, che Firenze nel 1494 divenne il leader della Repubblica fiorentina, grazie al favore popolare ottenuto con le sue prediche accese e passionali; a Masaniello, pescivendolo napoletano che capeggiò nel 1647  la  rivolta contro il malgoverno degli aristocratici e dei funzionari spagnoli. Non vedo invece alcuna analogia con Giannini, se non il fatto che anche il giornalista romano, fondatore del movimento politico dell’Uomo Qualunque, era anche lui un teatrante. E’ infatti vero che anche Giannini attaccava i partiti, presumendo di rappresentare solo lui i sentimenti dei cittadini, ma è altrettanto vero che tutta la sua la cultura e ispirazione è conservatrice quando non reazionaria, quella di Grillo, si muove sul versante opposto, direi, schematicamente, da no-global. Non può essere un caso che i primi ad aderire al “grillismo” siano stati i movimenti No Tav in Piemonte, il comitato contro la privatizzazione dell’acqua a Napoli, i ragazzi di Locri in Calabria e Lu Puntulgiu, in Sardegna. (Pubblicato il 3-10-07 su Il Sardegna)

I Media, Veltroni e il Veltronismo

0ad04dc91458ac326db355146c0f8e20.jpgIl sindaco di Roma si avvia ad essere incoronato segretario del Partito democratico ma continua ad essere oggetto di giudizi caustici: da sinistra come da destra. Veltroni? Un imbroglio mediatico. Giulietto Chiesa lo liquida così, in modo impietoso e brutale. Non è da meno Tremonti che lo definisce  il Truman show politico, lo spettacolo in cui “tutto è falso”.

 

In tali valutazioni, forse  è presente un sovrappiù di animus, un’acredine che rende il loro giudizio troppo risentito e acceso: il fondo è però sostanzialmente condivisibile. Certo si potrà obiettare che è parziale, riduttivo ed eccessivamente liquidatorio. Difficile comunque non riconoscere scampoli di verità: senza i media infatti Veltroni e il veltronismo non esisterebbero.

 

Finita l’era delle appartenenze ideologiche, espresse dai partiti di massa e dalle grandi organizzazioni sociali, da almeno 20 anni, dopo la caduta del muro di Berlino e della prima repubblica, il distacco dei cittadini dalla politica e dai partiti si è fatta sempre più ampio e palese. Da “fedeli” sono diventati “spettatori”. Di una commedia con pochi attori protagonisti. Prima la rappresentanza si fondava sulla partecipazione e sui partiti. I quali promuovevano il rapporto fra le istituzioni e la società. Selezionavano e legit- timavano la classe dirigente. Oggi tutto ciò si è rovesciato. Al posto dei partiti si sono imposti i gerarchi. Al posto della partecipazione i sondaggi e la comunicazione. Mentre la legittimazione ormai è divenuto un problema di marketing. I partiti non sono scomparsi ma si sono evoluti (o devoluti) in funzione dei leader. Partiti personali. Così la democrazia si è ridisegnata: da confronto fra grandi linee interpretate da grandi organizzazioni a competizione fra persone, fra leader. E fra programmi riassunti in dieci punti, in tre parole, in slogan.

 

Veltroni nuota dentro questa temperie culturale che, seppellendo le vecchie ideologie, ne ha fondato una nuova: quella dello spettacolo e del marketing politico. Con cui, da sindaco di Roma, è riuscito ad avvolgere i problemi della capitale in una coperta visionaria fatta di inaugurazioni, concerti, eventi culturali, aiuti all’Africa e messaggi elettorali pigliatutti, gigantesche operazioni di immagini che costituiscono il succo del veltronismo: basti pensare ai Villaggi della solidarietà, alla individuazione di aree destinate alla costruzione di chiese in periferia, alle visite agli anziani, ai regali ai bambini ammalati, alle cittadinanze conferite a profughi ed esuli, ai fuochi di artificio per il compleanno del papa, al Colosseo illuminato contro la pena di morte, alle foto giganti dei sequestrati in Irak o in Afganistan allestite sulla piazza del Campidoglio, ai  pranzi con i poveri della Caritas, alle presenze alla inaugurazione dei ristoranti per sordomuti, alla dedica a Giovanni Paolo II di una stele alla Stazione Termini nei giorni di maggior attrito sul caso Welby, all’insediamento di un ufficio comunale per la pace in Medio Oriente. Tanto da far scrivere su Libero all’allora segretario radicale Capezzone che prima o poi delle moltitudini si sarebbero recate in pellegrinaggio al Campidoglio per adorare le stimmate del sindaco santo.

 

Con la politica dello “spettacolo” Veltroni coniuga quella dell’inclusione: mette insieme l’ex candidato di Berlusconi alle regionali del Lazio Michelini, e Edo Patriarca, (già portavoce del Comitato Scienza e Vita, voluto dal Cardinal Ruini che promosse l’astensione ai Referendum sulla fecondazione assistita) con il no global Nunzio D’Erme; l’Opus Dei con i missionari comboniani, la Comunità di Sant’Egidio con i protestanti e i buddisti. Presenta il libro della tradizionalista principessa Alessandra Borghese (Sete di Dio) e si fa fotografare nel bel mezzo di danze dal sapore animista con capre e galli votivi in Malawi.

 

Insieme strizza l’occhio a Padoa Schioppa e a Draghi, ricevendo gli elogi di Montezemolo. Mette d’accordo tutti i Ds, compresi Fassino e D’Alema e questi con la Margherita , ad iniziare da Rutelli e Marini. Conquista anche i Sindaci retralcitranti del Nord: da Chiamparino a Cacciari. Getta scompiglio nella stessa Casa della Libertà e piace agli ex DS come Mussi, a Cossutta e allo stesso Bertinotti.

 

Tutto bene, naturalmente. I problemi verranno quando dovrà scegliere con nettezza su questioni dirimenti: sulla Tav e i rigassificatori; sulla guerra e i rapporti con gli Stati Uniti; sui contratti e i conti pubblici; sui Dico e sui moderati e radicali da mettere d’accordo.

 

 

(Mandato all’Unione Sarda ma non ancora pubblicato)

Statutaria

Il Referendum sulla Statutaria:

 

 di Francesco Casula

 

In vista del referendum fissato per il prossimo 21 Ottobre gli oppositori alla Statutaria affilano le armi e si organizzano in Comitati. Il più recente è stato battezzato l’11 Settembre scorso e vede esponenti di un’area politica (che va da Rifondazione ai Sardisti e Indipendentisti) e sindacale (dalla CSS alla CGIL). Dunque non pregiudizialmente contraria a Soru e alla sua Giunta, di cui anzi qualche componente fa parte.

Il No dunque al Referendum attiene al merito della Statutaria, cui si attribuisce lo svuotamento anche di quella blanda forma di autonomia che ha contraddistinto le Istituzioni della Sardegna negli ultimi 60 anni e insieme il depotenziamento delle autonomie locali interne (comuni e province). E nel contempo l’attribuzione ad una figura unica, un novello vicerè, di poteri forti e privi di controllo e bilanciamento da parte della stessa Assemblea regionale: fra l’altro la possibilità di sciogliere il Consiglio regionale a suo piacimento.

Una statutaria –afferma il consigliere regionale sardista Atzeri- tutta intrisa di una “cultura tecnocratica e autoritaria”, che attacca direttamente la partecipazione, il protagonismo e la democrazia di base: basti pensare a questo proposito al fatto che il numero di firme per la sottoscrizione di un referendum passa da dieci a quindicimila, mentre il quorum per garantire la validità non sarà più pari a un terzo degli elettori ma imporrà il 50% più uno dei votanti alle regionali precedenti ((passerà dal 33,3% a circa il 39%).

 

 (pubblicato su Il Sardegna il 15 Settembre 2007)