FEDERALISMO FISCALE E FEDERALISMO COSTITUZIONALE

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di Francesco Casula

 

Aldo Tortorella, una delle teste pensanti del vecchio PCI, qualche anno fa ebbe a denunciare in modo molto netto la bancarotta di una concezione sbagliata della Unità d’Italia sostenendo che: La sinistra non nasce statalista e burocratica ma sfortunatamente lo è diventata.

E’ vero. La sinistra non nasce statalista. Ad iniziare dal Marx più autentico e rivoluzionario che sosteneva che: Un popolo che opprime un altro popolo non può mai essere libero. E a proposito della Questione Irlandese scriveva: La vittoria della classe operaia inglese non può risolvere la questione irlandese, sarà invece la soluzione della questione irlandese a favorire, o, meglio, rendere possibile la vittoria della classe operaia inglese.

A parte queste posizioni teoriche occorre però con altrettanta nettezza affermare che la Sinistra, -segnatamente quella italiana- mentre per quanto attiene all’Autonomia, procederà a zig zag, alternando scelte ferocemente antiautonomistiche a un autonomismo incerto e anemico, abbandonerà invece del tutto il federalismo, -ricordo in particolare quello degli austromarxisti- anzi lo combatterà ferocemente.

Sulla scia di Engels, che nel 1847 aveva sostenuto che Il proletariato può utilizzare soltanto la forma della repubblica una e indivisibile…e non solo ha bisogno dell’accentramento com’è avviato dalla borghesia, ma dovrà addirittura portarlo più avanti”, il leader massimo, Palmiro Togliatti, condannò senza appello il federalismo.

Siamo contro il federalismo -sostenne- riteniamo che l’Italia debba essere politicamente organizzata come stato unitario, con il necessario grado di centralizzazione…un’Italia federalistica sarebbe un paese nel quale risorgerebbero e finirebbero per trionfare tutti gli egoismi e i particolarismi locali e sarebbe ostacolata la soluzione dei problemi nazionali nell’interesse di tutta la collettività. Un’Italia federalistica sarebbe un’Italia nella quale in ogni regione finirebbero per trionfare forme di vita economica e politica arretrate, vecchi gruppi reazionari, vecchie cricche egoistiche, le stesse che hanno fatto sempre la rovina d’Italia.

Insomma tutto il vecchio ciarpame dei sostenitori della statolatria, ovvero della forma napoleonica dello stato, biecamente centralizzato e centralista.

Non è un caso che  quando nell’Assemblea Costituente si discuteva dei problemi riguardanti la struttura dello Stato e le autonomie locali Lussu –con il suo Partito, il PSD’Az- si ritrovò solo nel difendere lo stato federale contro l’unitarismo centralista. Oggi, a 60 anni di distanza, tutti pare che si siano convertiti.

Il centro destra e con esso il Governo, nelle settimane scorse hanno annnunciato pomposamente che c’è ormai l’intesa sul testo stilato da Calderoli: ci sarà ora il passaggio nella Conferenza Stato-Regioni e entro Settembre l’ultimo via del Governo e il varo del ddl che sarà uno dei collegati alla Finanziaria 2009. Il Parlamento quindi lo esaminerà nella sessione di Bilancio e dovrà votarlo entro il 2008.

L’Italia si aggiungerà dunque ai 18 dei 37 stati europei che hanno una struttura federale.Tutto bene allora? Neanche per sogno. Per intanto si è partiti con il piede sbagliato: partendo dal tetto –federalismo fiscale- e non dalle fondamenta –federalismo costituzionale-, non comprendendo che non può esistere un federalismo fiscale senza un federalismo costituzionale. E non ci può essere un prima e un dopo ma un insieme  che ridefinisca la forma stessa dello Stato per far vivere quell’Italia articolata che si vuole.

Sullo stesso federalismo fiscale inoltre c’è molta confusione: è ridotto a mera questione ragionieristica e finanziaria. E non basta ripetere come una giaculatoria che occorre un federalismo fiscale “equo e solidale”. Occorrerà –come Sardi- che –al di là di quanto ci spetta in base alle nostre “entrate”- non solo pretendiamo dallo Stato, per il passato, il “maltolto”, ma rivendichiamo il risarcimento dei costi che tutt’ora la Sardegna “sopporta” e paga per essere stazione di servizio per industrie nere e inquinanti –funzionali ai profitti del Nord- e soprattutto base di servizio per esercitazioni e sperimentazioni militari italiane e di mezzo mondo.

Sul federalismo tout court aspettiamo le proposte: la mia impressione però è che anche su questo fronte le idee siano confuse: a destra e ancor più a sinistra. Che significa infatti che il federalismo non deve mettere in discussione l’indivisibilità e l’unità dello Stato? Quello che occorre per superare lo stato ottocentesco è proprio “rompere” l’unità del potere statuale, procedendo “alla disarticolazione dello Stato nazionale unitario per dar luogo a una forma nuova e diversa di Stato di Stati, in cui per Stati non si intendono più Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno Stato più grande, ma parte e territori di un Stato grande elevati al rango di Stati membri”( Norberto Bobbio, “Introduzione a Silvio Trentin- Federalismo” 1997.)

Al di fuori di questa prospettiva non vi è alcun federalismo ma semplice autonomismo, sia pure rimpolpato, il cui fallimento, almeno in Sardegna, è sotto gli occhi di tutti.

 

(Pubblicato su Liberatzione sarda di Settembre-Ottobre 2008, n.8)

 

Marianna Bussalai

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La Nuova Sardegna                               Venerdi 10 Ottobre 2008

 

«Marianna Bussalai» di Casula
 per Cortes Apertas a Ollolai

 

 

OLLOLAI. Alla sagra “Pasto­res e tenores” che oggi si inau­gura a Ollolai, ritorna anche lo scrittore Francesco “Zizzu” Ca­sula, uno dei tanti che hanno dato lustro alla capitale della Barbagia. Arriva per presenta­re, domani, alle 17, nella sala consiliare, il libro “Marianna Bussalai”, con versione in lim­ba di Giovanna Cottu. II volu­me, edito dall’Alfa Editrice di Quartu, è la monografia sul personaggio oranese che fa parte della collana, “Omines e feminas de gabbale”, che com­prende 15 volumi, su personag­gi sardi illustri, tutti scritti in limba.

Di questi ben 11 sono di Francesco Casula. Cioè quelli riguardanti: Amsicora, Eleono­ra d’Arborea, Sigismondo Ar­quer, Giovanni Maria Angioy, Gramsci, Grazia Deledda, An­tonio Simon Mossa, Giuseppe Dessi, Montanaru, Grazia Dore e, appunto, Marianna Bussalai. Francesco Casula, ol­lolaese doc, dopo circa 40 anni di insegnamento di Storia e Filosofia a Macomer e Sorgono e dopo essersi stabilito definiti­vamente a Cagliari, dove negli ultimi 30 anni ha insegnato Sto­ria e Lettere, si è dedicato alla ricerca storica e letteraria e al­lo studio della lingua e della cultura sarda. È stato anche impegnato politicamente, al­l’interno dei movimenti del sar­dismo autonomista e più batta­gliero, dato che è stato anche segretario regionale del sinda­cato sardista.

La monografia di Marianna Bussalai, può considerarsi vici­nissima alle sue idee di difenso­re e promotore della cultura e della lingua sarda. Infatti la Bussalai, “Signorina Marian­nedda de sos Battor Moros”, co­me veniva chiamata dai com­paesani di Orani, “è una straor­dinaria figura – come la de­scrive lo scrittore Francesco Casina – di femminista, di sar­dista e di antifascista; una poe­tessa, traduttrice e intellettua­le di valore, morta nel 1947, a soli 43 anni». (g.m.s.)

Premi di poesia e lingua sarda.

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di Francesco Casula

 

Il professor Nicola Tanda, già ordinario di Letteratura e Filologia sarda presso l’Università di Sassari, e storico presidente della Giuria del prestigioso “Premio Ozieri”, ha scritto che ”Oggi non è più un azzardo affermare che un contributo fondamentale al rafforzamento della coscienza dell’identità sia venuto soprattutto dalla vera e propria riforma letteraria e civile della società sarda prodotta dai premi letterari in lingua sarda”.E il critico letterario Biagio Marin –presidente della Giuria che nel 1974 assegnò a Benvenuto Lobina il premio nazionale  per la silloge poetica “Terra, Disisperada Terra”, va persino oltre sostenendo, a proposito della funzione della lingua sarda nella poesia, che “Solo la poesia ha la potenza di impedire la sua pur lenta sparizione”

A parte questi giudizi entusiastici è innegabile che i premi letterari siano storicamente in Sardegna uno degli strumenti fondamentali per la trasmissione, la circuitazione, la conservazione e la valorizzazione della Lingua sarda. Essa senza di essi oggi sarebbe stata più povera, meno diffusa e dunque meno conosciuta. In barba a certa intellettualità sarda, impastata di aristocratici pruriti intellettualistici, che guarda con sufficienza e altezzosità la poesia sarda dei Premi. Questi, segnatamente negli ultimi anni, si sono moltiplicati a tal punto che è difficile oramai individuare qualche paese che annualmente non ne promuova almeno uno. Uno dei paesi che da 10 anni bandisce un Concorso letterario è Iglesias, la cui Giuria Sabato scorso ha proclamato i vincitori. Il secondo premio è stato assegnato a Eliseo Spiga, intellettuale e scrittore di vaglia, per la poesia in campidanese “MAURREDHINA”. Eccola: “No prangiast/ maurredhina donosa/po sa malasorti/chi t’ at destinau/a vida penosa/-Ricca fiast,/donosa maurredhina,/isteddu luxenti,/che antiga dama/in sa portantina./-E famosa,/sendi bona e galana,/ca teniast venas de prata/e ogus de ossidiana/- Ma is Reis,/tzurpus e iscumpudius,/ant is prendas tuas/donau a porcus/ innoi benius./ -Cantu porcus/ndi sunti aproillaus/de onnia furca./Fintzas unu Karl Marx,/cruccu de Brenthaus./Cantu ballus/a Palazzu de Bugerru/cun is ballerinas/dae Parigi po/cuai s’inferru./-Minadori./Totu sa vida pigada/po una costedda/scarsa cun bruvura/ingaungiada/ -No prangiast,/maurredhina spollada./ Cun comunidadis/ noas as a bessiri/ mellus apprendada”.

 

(Pubblica su Il Sardegna del 24-10-08)

 

S’omine morit imparande.

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di Francesco Casula

 

S’omine morit imparande. Recita così un famoso e antico adagio sardo. A significare che l’educazione e l’apprendimento non hanno limiti e confini temporali nella vita dell’individuo: inizia con la nascita e termina con la dipartita.

   Per secoli – soprattutto ad iniziare dalla rivoluzione industriale e con l’istituzione della Scuola- l’apprendimento del sapere è stato circoscritto sostanzialmente al periodo scolare, a un’età precisa e limitata dell’esistenza: quella giovanile.

   Oggi, fortunatamente questa visione dell’apprendimento e del sapere è entrata in crisi: la più avveduta pedagogia e didattica si muovono su traiettorie culturali riassunte dallo slogan della “educazione permanente”, precorse e anticipate dal pregnante diciu sardo di cui parlavo all’inizio.

Di qui le campagne di studio rivolte a giovani e meno giovani inseriti già nel circuito lavorativo; di qui le esperienze, in qualche modo paradigmatiche, delle Università della Terza Età.

 Su queste circolano molti luoghi comuni: molti pensano a corsi di recupero rivolti a qualche anziano volenteroso che non ha avuto la fortuna di intraprendere o concludere gli studi: niente di tutto questo.

   Nelle Università della terza età si fa ben altro. Ho presente in modo particolare quella di Sanluri che quest’anno ha raggiunto ben 221 iscritti. Presieduta dalla professoressa Vincenzangela Fenu, che dopo decenni di insegnamento di latino e greco nei licei, con passione affronta questa nuova esperienza, in essa certo si impara l’Inglese e l’Informatica, la Letteratura e la Storia sarda e italiana, il Diritto, la Psicologia e l’Arte. Ma si tengono anche corsi di educazione all’ascolto della musica o sulla ceramica o come confezionare costumi o cestini per il pane. Inoltre si organizzano viaggi e convegni: particolarmente interessante quello sulla Storia della maschera con relativa Mostra. E si affrontano temi come il divorzio e l’aborto, la fecondazione assistita o il piano urbanistico comunale. Ci si incontra certo per “imparare”, ma anche per stare insieme, discutere, socializzare, sconfiggere l’idea – tipica di una società tutta giocata sul produttivismo industrialista – che l’anziano debba solo aspettare, magari in solitudine, la fine della sua esistenza, e non possa invece continuare ad imparare e a vivere  gioiosamente, con gli altri e per gli altri. Sconfiggendo depressione  e angosce.

 

(Pubblicato su Il Sardegna dell’1-11-08)