Libro di Cau

Al cortese visitatore del mio blog che chiede dove possa acquistare il libro di Renzo Cau, procurerò al più presto l’informazione che richiede.

Francesco Casula

Proposte per rilanciare la lingua sarda

Ritorna su comitadu pro sa limba.

di Francesco Casula*

Uno stuolo numeroso di intellettuali apre la campagna autunnale a favore della lingua sarda ricostituendo Su Comitadu pro sa limba. Presidente è Giovanni Lilliu, lo stesso che (insieme ai compianti Francesco Masala, Antonello Satta, Elisa Nivola oltre che Eliseo Spiga, Gianfranco Contu e altri), nel  1977 elaborò la proposta di legge di iniziativa popolare per il bilinguismo, su cui furono raccolte 13.849 firme regolamentari. Da allora sul fronte della lingua sarda molte cose sono cambiate: è stata emanata dalla Regione la legge n.26 1997 riguardante la “Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna” e una legge statale la n.482 del 1999, recante “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche” fra cui quella sarda. Ma il bilinguismo perfetto, ovvero la parificazione non solo giuridica ma anche pratica del sardo con l’italiano è ancora lontano. Anzi, negli ultimi anni, pare in panne: anche perchè sia da parte della Regione che dello Stato i finanziamenti per la valorizzazione e l’incentivazione de sa limba, -ad iniziare dalla scuola- sono stati brutalmente diminuiti, per  non dire quasi azzerati. Nasce da questa situazione la rinascita del Comitato di cui fanno parte intellettuali, linguisti, scrittori, giornalisti, poeti: cito per tutti Gianfranco Pintore, Paolo Pillonca, Paola Alcioni, Roberto Bolognesi. Fra le prime iniziative intraprese dal Comitato una lettera a Cappellacci cui si richiede “di riconoscere fin dal Piano regionale di sviluppo la potenzialità che la lingua sarda, e con essa la cultura della Sardegna, hanno di favorire la crescita economica e sociale dell’Isola. Esistono in Europa esempi di tali potenzialità, se favorite da una politica linguistica in sé e non destinata a fare da contorno culturale ad azioni di politica economica. Si tratta, di seguire, adattandoli alla nostra realtà e ai tempi di ristrettezze di risorse, gli esempi della Catalogna, del Paese basco, della Galizia, per citare i più evidenti. Perciò, su Comitadu pro sa limba propone che il Piano di sviluppo regionale riconosca la lingua sarda e la cultura dei sardi come motore di sviluppo economico e come tale lo inglobi. È un riconoscimento questo che va, naturalmente, onorato da quegli incentivi di cui il programma elettorale parla e che potranno successivamente quantificati nella prossima Legge finanziaria”.

*storico

(Pubblicato su Il Sardegna del 28-09-09)

La rivolta dei precari

Tagli alla scuola: Una scelta sbagliata.

di Francesco Casula*

“Tagliare nel mondo della scuola è una specie di suicidio collettivo”, ha sostenuto Franceschini. Che ha ricordato gli otto miliardi di tagli in tre anni con i 132.000 posti di lavoro in meno. E’ difficile non convenire: anche perché i dati oggettivi parlano chiaro. E si sa, come i latini ci hanno insegnato: “De evidentibus non est disputandum”. Da discutere invece ci sarebbe e molto, in merito alla credibilità del candidato alla segreteria del Pd, e dunque del suo partito, che più di dieci anni fa, attraverso i progenitori, ha inaugurato la politica dei tagli: con la Iervolino prima e Berlinguer poi. Certo si dirà che fu poca cosa in confronto con quelli attuali ben più rovinosi e forsennati; rimane comunque il dato nefasto dell’avvio di quel processo perverso, mirante a saccheggiare la scuola, dequalificandola e impoverendola. Perché una cosa deve essere chiara, la politica della Gelmini colpisce certo l’occupazione (in Sardegna avremo 2448 posti di lavoro in meno di cui 1839 docenti) ma attenta –non solo alla qualità dell’istruzione con le classi numerose, la riduzione delle attività integrative, la girandola dei docenti per la soppressione di intere classi- ma allo stesso diritto all’istruzione, alla formazione e al sapere dei giovani sardi, segnatamente di quelli appartenenti alle classi più deboli e dei paesi più piccoli. In cui ritorneranno in auge le pluriclassi degli anni ’50 e riprenderà il pendolarismo, esasperante fin dalle scuole medie. La rivolta dei precari –che spesso hanno alle spalle anni e persino decenni di insegnamento e sono forniti di titoli e specializzazioni- è dunque sacrosanta. E a poco serve, se non come misero palliativo, l’intervento “assistenziale” del Governo nei loro confronti, che riguarda comunque solo chi l’anno scorso ha avuto la nomina annuale. Come è del tutto insufficiente l’accordo Gelmini-Baire anche, eventualmente, rivisto. E’ urgente invece una soluzione strutturale e definitiva: la loro stabilizzazione. Impossibile però all’interno del quadro normativo italiano. Di qui l’esigenza di fuoruscirne presto. Per gestire noi, autonomamente, come Sardegna, non solo tutta la partita riguardante gli organici, ma l’intero pianeta dell’istruzione e della formazione. Ma i precari, insieme all’intero mondo della scuola e non solo, avranno il coraggio di porre all’ordine del giorno tale prospettiva?

 

*storico

(Pubblicato il 26-9-09 su Il Sardegna)

Appuntamenti

APPUNTAMENTI

-Domenica alle ore 17 a Elmas,

All’interno della manifestazione “Festa dei Lettori 2009

IL CIRCOLO DEI LETTORI EQUILIBRIELMAS E

L’ASSOCIAZIONE DI CULTURA CINEMATOGRAFICA L’ALAMBICCO

Incontro sulla “Letteratura sarda” con gli scrittori Francesco Casula e Gianfranco Pintore

-Venerdi 2 ottobre a Solarussa

Ore 17. Incontro dibattito su Bilinguismo con Franziscu Casula Mario Puddu, , Oreste Pili e Tore Cubeddu.

Ore 20: aperitivo letterario in tzilleri – Francesco Casula storico e studioso di Lingua e letteratura sarda, presenta due suoi libri dedicati a Gramsci e Antonio Simon Mossa della Collana “Omines e feminas de gabbale” pubblicati dalla Casa editrice Alfa di Quartu.

Venerdi 9 Ottobre a Gavoi ore 17

Francesco Casula e Tonino Bussu presentano le Opere di Antonello Satta, curate da Alberto Contu e pubblicate da Condaghes

Ottana

Il fallimento di Ottana

La “petrolizzazione dell’Isola”

di Francesco Casula*

La fermata degli impianti della Equipolymers di Ottana e la cessazione della produzione il 18 settembre prossimo, rischia di preludere alla sua definitiva chiusura. Essa segnerebbe e certificherebbe, anche simbolicamente, la fine ingloriosa di una ipotesi di sviluppo dell’intera Sardegna, tutta giocata sulla petrolizzazione dell’Isola e sulla grande industria per poli, privata ma soprattutto di stato. E sta a indicare il fallimento storico della cosiddetta Rinascita e dell’Autonomia che, tradendo le aspirazioni e le speranze del popolo sardo, si sono rovesciate nella realtà del sottosviluppo e nella involuzione ai limiti della tolleranza. Con essa si chiude un intero ciclo, più che quarantennale, fatto di promesse ma anche di illusioni programmatorie e petrolchimiche, che ha lasciato in Sardegna, un cimitero di ruderi industriali ma soprattutto disoccupazione,  malessere e inquinamento. Quell’ipotesi di sviluppo –mi riferisco segnatamente all’industria di Ottana-  che doveva creare stipendi sicuri, produzione, reddito e benessere per tutti. Trasformando anche dal punto di vista antropologico e culturale il pastore barbaricino mastrucato e che parla in Sardo, in operario con la tuta e che parla la lingua dei “signori” e della città: l’Italiano. I risultati sono stati altri. Quell’ipotesi di fuoruscita della Sardegna dalla dipendenza e dall’arretratezza, incentrata essenzialmente nell’industria di base, ovvero nelle prime lavorazioni del petrolio, non ha creato né occupazione, né benessere, né ricchezza. Questo perché si trattava di industrie ad alta intensità di capitale (si è arrivati a un miliardo di lire per posto di lavoro e siamo prima dell’euro!) e a poca intensità di mano d’opera, senza alcun rapporto e collegamento con il territorio e le risorse locali. Che dunque non crea sviluppo endogeno e autocentrato. Ma c’è di più: questa industria ha attentato alla cultura e all’identità etno-nazionale dei sardi, magari con il pretesto di combattere il banditismo; ha sconvolto gli equilibri e le vocazioni naturali produttive dell’Isola; ha devastato e depauperato il territorio; ha degradato e inquinato l’ambiente.  Dopo tali disastri ,Stato e privati fuggono: issos si pigant su ranu e a nois lassant sa palla. O peggio: gli escrementi. Come e più che nel  passato remoto. Che almeno siano obbligati a bonificare i territori lordati!

*storico

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 15-9-09)

Meglio Amsicora di Lamarmora.

di Francesco Casula*

L’ipotesi avanzata da Doddore Meloni di ribattezzare “Punta Lamarmora” con “Punta Amsicora” non è andata giù ai discendenti del generale. Secondo uno di loro, Rodolfo Mori Ubaldini degli Alberti, il nome della vetta più alta dell’Isola non si tocca: tanti e tali sono i meriti del progenitore. Ma è proprio così? Più di uno storico avanza almeno dubbi e riserve. Certo, è difficile negare a Alberto Ferrero della Marmora, scrittore, geografo e militare, che visiterà la Sardegna, la prima volta nel 1819 e in seguito vi soggiornerà più volte, la capacità di studioso che consegna alla cultura sarda molti scritti: come “Itinerarie de l’île de Sardaigne” (1860) ma soprattutto quei monumenti che sono i quattro volumi di “Voyage en Sardaigne, ou description statitique, phisique e politique de cette ile, avec des recherches sus ses produtions naturelles et ses antiquités” (1826). I due scritti, entrambi in francese, diedero un profondo contributo alla conoscenza della Sardegna da parte dell’Europa colta di allora. Soprattutto il Voyage sarà utilizzato come un vero e proprio manuale sull’Isola, da parte di viaggiatori e studiosi. Ciò detto, la sua figura non è proprio immacolata: a sostenerlo è –fra gli altri- Giovanni Lilliu che dopo aver riconosciuto allo studioso onestà, lealtà e rettitudine nel lavoro, categorie che applicò anche nella vita” scrive che “per forza della storia e per la suggestione del potere non seppe resistere alla tentazione di oscurare i suoi giovanili ideali “rivoluzionari” con atti di reazione e repressione di cui soprattutto i Sardi soffrirono”. Più severo è Eliseo Spiga che nell’ultimo suo saggio “La sardità come utopia” (Cuec editrice) scrive: “giunse

ai primi del 1849 come commissario straordinario per pacificare l’Isola, scossa dai continui tumulti esplosi dalle gravissime condizioni economiche e anche da rinnovati sentimenti repubblicani filofrancesi. Conservatore e militaresco, il generale si dedicò alla pacificazione, affrontando il dissenso e la protesta con la repressione più brutale e la violazione sistematica delle meschine libertà statutarie, per lui lo stato d’assedio divenne sistema di governo, inaugurando la pratica della dittatura militare, che poco più di dieci anni dopo diventerà usuale, durante la guerra di conquista del Mezzogiorno da parte della monarchia italiana”. E allora? Meglio Amsicora.

 

*storico

Il Sardegna dell’8-9-09) (Pubblicato su

 

Gabbie salariali

Bossi, le gabbie salariali e i dialetti

di Francesco Casula*

Sbaglia chi derubricasse tutte le sortite di Bossi come folclore ferragostano o come boutade dal puro sapore provocatorio. Certo, tra le sue proposte ve ne sono alcune che devono essere respinte in toto e senza riserve, altre invece occorrerà valutarle con attenzione. Tra le prime penso a tutta la partita riguardante la immigrazione, gestita con criteri e metodi inumani e che talvolta lambiscono il razzismo. O penso alle proposte sulle gabbie salariali. Rispetto a queste ultime il problema all’ordine del giorno non è il ritorno a un passato insopportabilmente discriminatorio ma l’aumento dei salari per tutti i lavoratori, in modo particolare per quelli del Meridione e della Sardegna, che risultano essere di fatto mediamente inferiori a quelli del Nord di ben 22 punti. Tra le proposte invece che occorrerà prendere in seria considerazione, perché giuste e opportune, sono invece quelle riguardanti i dialetti e la storia locale. Certo la Lega pone il problema in modo sbagliato: vorrebbe utilizzare l’esame di dialetto come grimaldello antimeridionale, come filtro selettivo e come sbarramento contro i docenti del Sud.  Pone comunque un’istanza giusta. E i critici che si sono scagliati violentemente contro l’insegnamento dei dialetti e della storia locale, se non altro si muovono ancora dentro un orizzonte didattico vecchio e arretrato, persino più arretrato dei principi educativi che oggi informano gli stessi programmi scolastici che raccomandano di portare l’attenzione degli alunni “sull’uomo e la società umana nel tempo e nello spazio, nel passato e nel presente, nella dimensione civile, culturale, economica, sociale, politica e religiosa… per creare interesse intorno all’ambiente di vita del bambino, per accrescere in lui il senso di appartenenza alla comunità e alla propria terra”. Ciò significa -per quanto attiene per esempio alla nostra lingua materna, il Sardo- partire da essa per pervenire all’uso delle altre lingue, senza drammatiche lacerazioni con la coscienza etnica del contesto culturale vissuto, in un continuo e armonico arricchimento della mente e dell’intelletto, per aprire nuovi e più ampi orizzonti alla formazione e all’istruzione. Negando la lingua materna, -e dunque i valori alti di cui si alimenta- si esercita grave e ingiustificata violenza sui bambini, nuocendo al loro sviluppo e al loro equilibrio psichico.

*storico

(Pubblicato su Il Sardegna dell’1-9-09)