DINO GIACOBBE: dall’esilio negli Stati Uniti al rientro in Sardegna e alla progressiva “emarginazione”.. B

DINO GIACOBBE:

l’Esilio negli Stati Uniti. La visita di Emilio Lussu e la proposta dell’insurrezione antinazista e antifascista in Sardegna. Il ritorno nell’Isola dopo la guerra. La progressiva emarginazione.

 

-L’esilio negli Stati Uniti

Sul finire del 1938, quando per i Repubblicani spagnoli tutto è perduto e le bandiere franchiste sventolano su tutte le città spagnole, le Brigate internazionali vengono ritirate dal fronte. A gennaio del 1939 la Francia apre i confini alle migliaia  di intellettuali e antifascisti provenienti da tutto il mondo che avevano combattuto in Spagna. Ad attendere Giacobbe c’è il campo di concentramento di Argelès sur Mer, ai piedi dei Pirenei. Il governo francese infatti, precipitosamente riconosce ufficialmente la dittatura spagnola di Francisco Franco.

Ma quando, dopo oltre due mesi di internamento lo stanno trasferendo a un altro, quello di Gurs, salta giù dal treno e riesce a raggiungere Parigi, “dove era più facile mimetizzarsi agli occhi della polizia che lo braccava”, scrive la figlia Simonetta. Che prosegue: “Si rifugiò presso Lussu che lo rifocillò, lo rivestì  di abiti meno compromettenti del poncho che gli era servito durante la guerra spagnola…”27.

Siamo nella tarda primavera del 1939. In tutta l’Europa si parla già di una guerra come di una catastrofe inevitabile. Giacobbe che in Francia non ha lavoro e non può neppure soggiornare, perché gli manca il permesso di soggiorno delle autorità francesi, decide di emigrare oltre atlantico. Contro l’opinione di Lussu e degli altri amici di Giustizia e Libertà, che speravano di riuscire a chiarire la sua posizione presso le autorità francesi. Parte ai primi di settembre, proprio mentre le truppe del Terzo Reich, invadono la Polonia.”Da Bruxelles – ricorda sempre Simonetta – si recherà ad Anversa e di lì, con un lasciapassare fornitogli da compagni anarchici spagnoli, che lo attesterà cittadino cubano, si imbarcherà per gli Stati Uniti, con l’ultima nave che aveva collegato l’Europa in guerra all’America” 28.

Sbarcato a New York, starà negli Stati Uniti fin dopo la fine della Guerra. Anche qui semiclandestino, costretto a lavorare sotto falso nome a Boston, in una fabbrica di pantaloni come stiratore. “Ogni tanto ritorna a New York dove lo scultore oranese Costantino Nivola, arrivato in America per salvare la moglie dalle persecuzioni razziali fasciste, ha un’accogliente studio in un grande palazzo della Quinta Strada, ospite di un curioso mecenate miliardario. Quando Nivola lascierà lo studio Giacobbe ci andrà ad abitare lui e fonderà lì nel 1944 la prima sezione americana del Partito sardo d’azione” 29.

Agli inizi del ‘42 arriva negli Usa Lussu, rimane due settimane a New York dove incontra i maggiori rappresentanti dell’emigrazione politica italiana: da Sforza a Cianca, da Tarchiani a Garosci e Max Ascoli e qualcun altro “fra cui – scrive Lussu – Dino Giacobbe di Nuoro che risiedeva a Boston e che avevo fatto venire espressamente a New York per discutere assieme sui progetti per la Sardegna” 30.

Lo stesso Lussu ricorda ancora  prima di imbarcarmi mi fermai a Boston, per stare ancora un giorno con Dino Giacobbe, il mio amico sardo, che aveva comandato la batteria “Carlo Rosselli” alla Brigata Garibaldi in Spagna e che pur essendo ingegnere, faceva lo stiratore di calzoni in una fabbrica” 31.

 

-L’insurrezione mancata.

Ma quali sono “i progetti per la Sardegna” di cui Lussu va a discutere con Giacobbe e i maggiori rappresentanti dell’emigrazione politica italiana? Si tratta dell’ipotesi “di uno sbarco di commandos in Sardegna, capace di innescare nell’Isola, attraverso la guerriglia di montagna, un focolaio di ribellione nel Paese al regime fascista” 32.

Ecco come Lussu lo descrive nel suo libro Diplomazia clandestina.

“Siccome le risposte ufficiali da Londra chiedevano del tem­po, mi fu proposto di profittarne per fare una corsa a Gibilterra e a Malta, e vedere sul posto le possibilità reali di una collabo­razione militare contro il nazifascismo in Italia, con l’iniziativa in Sardegna, secondo i miei progetti. Io avevo delle idee chiare in proposito, per quanto sempre allo stato d’ipotesi. Attorno al movimento popolare del Partito Sardo d’Azione, creatosi dopo la prima guerra mondiale in Sardegna e che io rappresentavo, s’era creata nell’isola una situazione particolare per cui tutto l’ antifascismo si era polarizzato attorno a me che, per le vicende della guerra civile, ero il solo rappresen­tante isolano che aveva potuto conquistarvi una piena libertà d’azione. I capi del Partito Sardo d’Azione erano in gran parte ufficiali e sottufficiali con una non comune esperienza di guerra formatasi alla Brigata Sassari: erano quindi quasi tutti in grado di diventare comandanti partigiani di organizzazioni popolari locali. Io conoscevo la Sardegna per averla traversata in lungo e in largo in ogni regione. Conoscevo le sue vallate e le sue montagne e tutte le linee principali di comunicazione. Mi sembrava abbastanza facile crearvi formazioni partigiane pog­giate sui complessi montani più rilevanti, ché nell’ isola, pur non essendovi grandi montagne come in Sicilia o nell’ Appennino o nelle Alpi, vi sono sistemi di alte colline che presentano una struttura geologica analoga a quella delle alte montagne. Costituirvi delle organizzazioni partigiane autonome dagli effettivi di una compagnia o di un battaglione non mi appariva impresa temeraria. Mi sembrava che coordinare compagnie e battaglioni per azioni principali in punti d’importanza strategica sarebbe piuttosto semplice. In  questo modo si potevano disturbare permanentemente i reparti tedeschi nei loro centri e nei loro spostamenti. Pensavo che le formazioni partigiane dovessero molestare e danneggiare solo le truppe tedesche, che secondo le mie informazioni erano di due divisioni. Ero convinto che, così facendo, si sarebbero acquistate le simpatie e il favore delle truppe dell’esercito italiano che nell’isola era prevalentemente  formato da sardi. L’aspirazione autonomista era diventata generale  il fascismo ne aveva potuto arrestare lo sviluppo ma non distruggere la vitalità. Un movimento partigiano autonomista avrebbe trovato in tutto l’ antifascismo possibilità unitarie varie, poiché l’autonomia era penetrata nella coscienza popolare e non eralimitata a gruppi d’intellettuali. Con mezzi adeguati, in danari e in armi e in rifornimenti viveri, si potevano creare, a mio parere, gli effettivi partigiani di due divisioni regolari. Armi e viveri avrebbero dovuto essere assicurati con lanci aerei e con sommergibili, e io ne indicavo dettagliatamente i punti appro­priatisulla carta topografica. I reparti partigiani avrebbero potuto assicurarsi il controllo di intiere zone e dominare i passaggi obbligati lungo le principali vie di comunicazione, sempre protetti alle spalle dai gruppi montani. Con pressanti azioni di sorpresa, in punti diversi, si potevano compiere e ripetere episodi di guerriglia generale, sostenuta dal favore popolare. L’azione generale e decisiva, col concentramento di tutte le formazioni partigiane, avrebbe dovuto avvenire solo per appoggiare lo sbarco d’una spedizione alleata, cui avrebbe fatto seguito la presa del potere politico e la formazione nell’isola di un governo provvisorio nazionale che avrebbe parlato a tutta l’Italia. I collegamenti dovevano essere assicurati con collegamenti radio. Io avevo messo tutti questi progetti per iscritto in un memorandum alle autorità britanniche, di cui una copia è ancora in mio possesso, con la cancellatura di nomi e persone, che per prudenza avevo fatto quando, lo consegnai successivamente ad amici sicuri a Londra. Certo erano tutti sogni, semplicemente idee e sogni” 33.

Ma erano veramente “tutti sogni, semplicemente idee e sogni”? Il giudizio – scrive la figlia Simonetta  – è “malinconico e riduttivo”. Forse espresso “in un momento di sconforto”. Tanto che Simonetta cita una lettera dello stesso Lussu al senatore Armando Congiu (del Maggio 1968) in cui scrive:”Se il piano che proponevo al gabinetto di guerra britannico nel 1942 fosse stato accolto – e per poco s’avvicinò molto al successo – certamente io avrei provocato un movimento contadino – operaio popolare base il Psd’az ma legato a tutto il movimento operaio: contro l’occupazione tedesca, il fascismo e la monarchia. Sarebbe stata la proclamazione della Repubblica sarda, con la costituzione nel territorio sardo liberato di un governo nazionale, con obiettivi repubblicano-federalisti contro la dominazione tedesca e fascista nel resto d’Italia” 34.

Lo stesso giudizio esprime sostanzialmente anche Giacobbe, qualche anno dopo, nel 1980 che scrive :”Se Lussu avesse avuto risposte positive alle garanzie che chiedeva agli alleati, i sardi sarebbero apparsi agli occhi del mondo come un Popolo e la Sardegna come una nazione che voleva ritrovare se stessa. Quella iniziativa fallì e io, che mi trovavo in America, mi trovai nell’impossibilità di partecipare alla guerra di liberazione in Italia, questa però non ha avuto il carattere che io e Emilio Lussu, volevamo dare alla insurrezione in Sardegna e ora, credo, che per noi sardi sia l’ora di iniziare una guerra di liberazione dalla Nato” 35 .

 

-Rientro in Sardegna dagli Stati Uniti e progressiva emarginazione.

Quando, dopo 8 anni di esilio nel 1945 rientra e sbarca in Sardegna dagli Stati Uniti, gli vanno incontro il Ministro ai Lavori Pubblici e Lussu: gli propongono di fare l’Alto Commissario in Sardegna per i lavori Pubblici. Non accetterà.

Intanto nel 1948 segue Lussu nella scissione del Partito sardo e con lui  i vecchi compagni come Peppino Obino, Peppino Asquer, il “conte rosso” e una pattuglia di giovani: Anton Francesco Branca, a lungo il “delfino” di Lussu, Armando Zucca, Carlo Sanna, Francesco Milia, Filiberto Farci, e un liceale, allora sedicenne, Gianfranco Contu. Non seguiranno Lussu invece invece la gran parte dei dirigenti sardisti : Bellieni, Pietro Mastino, Titino Melis, Luigi Oggiano, Gonario Pinna, Anselmo Contu Pietro Sotgiu e lo stesso Michele Columbu, il genero di Giacobbe. Che pure era “lussiano” –è lui stesso a scriverlo – dal punto di vista della politica sociale e anche per la simpatia, l’onestà che sentivo dell’uomo, la totale partecipazione alle proprie idee, l’estrema sincerità, ma in disaccordo per quanto atteneva alla politica delle alleanze e di collaborazione con i partiti esterni. Columbu non segue dunque Lussu nella scissione, ma amareggiato e a disagio perciò che era successo, abbandona la Sardegna e si reca a Milano dove insegnerà nelle scuole medie,– con una breve parentesi a Monza – fino al 1964.

Seguirà ancora Lussu quando il cavaliere dei rossomori nel novembre del 1949 confluirà nel PSI. E con Giacobbe anche la moglie che con questo partito si candiderà anche a delle elezioni regionali. Non seguirà invece Lussu nello PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria).

Intanto ritornerà per un breve periodo a Nuoro, alla Provincia. Poi farà piccoli lavori per la cassa per il Mezzogiorno. Vieppiù emarginato e deluso, per un breve periodo, va a Roma, dove farà piccoli lavori. Avrà anche un grave incidente che lo porterà in fin di vita. Rientrato in Sardegna, a Nuoro in un terreno si costruirà una piccola casa  con studio e vive da solo: non vorrà stare dalla figlia Simonetta a Capitana.

Fa, per hobby e piacere, lo speleologo : al Bue Marino di Cala Gonone, studierà la situazione idrogeologica, esplorerà e ricostruirà i camminamenti.

E fa anche l’archeologo. E da ispettore onorario alle antichità della provincia di Nuoro, scoprirà fra Bono e Benetutti La Tomba del Labirinto, attribuita alla cultura di san Michele, (seconda metà del terzo millennio-inizio del secondo millennio), che descriverà in modo minuzioso. Si tratta dell’unico labirinto presente in Sardegna. Giacobbe il 4 luglio del 1958 segnala la prima volta la scoperta alla Sovrintendenza alle Antichità di Sassari. La farà conoscere a Lilliu che però preso dai Nuraghi – mi dice Simonetta – non gli darà molta importanza. Gli farà invece conoscere una professoressa che in seguito intesterà a sé la scoperta che era invece di Dino. Ma fa anche molte altre scoperte archeologiche.

Continuerà a interessarsi di politica, ma ormai non si riconosce più nei Partiti e nelle loro idee dominanti. “L’11 novembre 1973 a Macomer viene celebrato con due anni di ritardo il cinquantennio del più famoso Congresso dei Combattenti (8 agosto 1920). Parteciperà anche Giacobbe. Sono presenti il presidente del Consiglio regionale Felicetto Contu, lo storico Girolamo Sotgiu, Paolo Pili e altre personalità 36.

Il 16 maggio 1982 nei locali della Biblioteca Satta di Nuoro si dà vita al Movimento politico di Sardinna e Libertade che vedrà leader Angelo Caria. Vi Parteciperà Dino Giacobbe e Fabrizio De André. In quell’occasione ho avuto modo di parlargli, sia pure per pochi minuti: ho avuto l’impressione di trovarmi davanti a un gigante, non solo fisico: pur incurvato per l’età, ma soprattutto morale. Di trovarmi davanti a un vecchio cavaliere ed eroe romantico, un apostolo, un idealista. Forse anche a un “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento quando affermava che l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli. Come Dino Giacobbe.

Morirà in ospedale a Cagliari nel 1984.

 

 

Note bibliografiche

19. Antonio Roich, Storia di un capo tribù, Grafica Mediterranea. Bolotana, 2000, pagina 157.

20. Ibidem, pagina 157.

21. Manlio Brigaglia, opera citata.

22. Diplomazia clandestina, ora in Alba rossa di Joyce ed Emilio Lussu, Ed. Transeuropa, Bologna, 1991, pagina 227.

23. L’antifascismo in Sardegna a cura di Manlio Brigaglia, Francesco Manconi, Antonello Mattone e Guido Melis, Della Torre editore, Cagliari 1986, pagina 26.

24. Diplomazia clandestina, opera citata, pagina 212.

25. Antonio Roich, Storia di un capo tribù, opera citata, pagina 169.

26. Ibidem, pagina 174.

DINO GIACOBBE: IL DIRIGENTE SARDISTA, IL COMBATTENTE ANTIFASCISTA.

DINO GIACOBBE:

 IL DELEGATO DEI COMBATTENTI, IL DIRIGENTE SARDISTA, L’ANTIFASCISTA.

 

Giacobbe delegato dei Combattenti e dirigente del PSD’Az. L’ipotesi di fare della Sardegna “un centro di resistenza armata al fascismo”.

Nel 1919 si congeda e rientra in Sardegna. Riprende gli studi e si laurea in Ingegneria civile all’Università di Roma l’11 dicembre 1921. In realtà aveva continuato gli studi anche sotto le armi. Scrive in una lettera del 1917 dal fronte: “Ho con me una discreta biblioteca: poeti italiani e latini ( D’annunzio, Pascoli, Carducci, Ovidio Virgilio) e testi scolastici di ingegneria (Castelnuovo, Analisi algebrica, Calcolo integrale e infinitesimale, Pascal).

Nel maggio del 1922 è nominato ingegnere del Comune di Nuoro. Il primo novembre del 1924 prende servizio alla Provincia di Cagliari. Intanto insieme a Emilio Lussu e Bellieni e altri fonda nel 1921 il Partito sardo. Nel sesto congresso dei combattenti (28 ottobre 1922) viene eletto delegato regionale.

Il Congresso dei Combattenti prima (il 28) e quello del Partito sardo poi (1l 29) si svolgono mentre la politica italiana è sconvolta dalla Marcia su Roma. Sarà proprio Giacobbe a ricostruire in una Lettera spedita a Gaetano Salvemini da Cagliari il 2 settembre 1926 quello che succederà a Nuoro il 28 ottobre, chiuso il Congresso dei Combattenti. Lo ricorda Salvatore Cubeddu in Sardisti21.

Ecco la sintesi: i dirigenti sardisti si riuniscono in casa dell’On. Pietro Mastino. Sono presenti Lussu, Mastino, Bellieni, Sale, Putzolu, Pili, Puggioni, Oggiano, Giacobbe , Adami, Manca e A. Senes.

Alcuni di loro ritengono che la Monarchia si accorderà col Fascismo eliminando tutte le libertà. In questo caso occorrerà iniziare subito “entro poche ore, un’azione di sorpresa contro i principali presidi militari dell’Isola” per fare della Sardegna “Un centro di resistenza per tutta l’Italia”.

Altri invece pensano che sia possibile agire solo se si verifichino almeno una di queste condizioni:”che resista il popolo, con successo in buone parti d’Italia; che resista l’esercito”.

Insomma: alcuni vogliono agire, qualunque cosa succeda: anche perché in quel frangente non era difficile radunare i Combattenti, per personaggi come Lussu e lo stesso Giacobbe che ne era il rappresentante.

Altri invece solo a determinate condizioni. Ma non viene elaborato un piano preciso. Non si farà niente.

 Allorchè scrive a Salvemini quattro anni dopo i fatti ricorda Cubeddu Dino Giacobbe è totalmente consapevole che il PSD’A di cui egli stesso era uno dei massimi dirigenti, aveva perso una storica occasione”.

 

-Giacobbe leader e combattente antifascista

 Il 31 dicembre del 1922 Giacobbe, viene ricevuto, in quanto delegato regionale dei combattenti – insieme a Luigi Oggiano, direttore del PSD’Az, a Raffaele Angius, delegato provinciale di Cagliari e a Rodolfo Prunas, delegato provinciale di Sassari – da Mussolini a palazzo Chigi. “Non accettiamo nessun accordo scriverà Giacobbe e la nostra linea di condotta è segnata definitivamente nei confronti del fascismo 22. E’ lo stesso netto diniego che Giacobbe aveva opposto, sempre nel mese di Dicembre a Asclepia Gandolfo, colonnello, divenuto poi generale e comandante di corpo d’armata, inviato come prefetto a Cagliari da Mussolini. Giacobbe – che aveva conosciuto Asclepia al fronte – fu tra i primi e principali suoi interlocutori.

E inizia così l’antifascismo militante di Giacobbe. Ecco come ce lo racconta : “Il 24 maggio del 1923 ho un incidente nel Corso di Nuoro con Giovannico Ballero. Più tardi nella sezione Combattenti ho un secondo incidente col capitano dei CC Meloni. Una decina di giorni dopo alcuni fascisti (Porcherino e Patata) vengono bastonati e io sono arrestato sotto l’accusa di complotto. Nel mese di settembre si fa il processo e sono condannato per tre mesi di carcere per oltraggio all’arma. Per l’incidente della sezione dei Combattenti sono deferito al Consiglio di Disciplina della Divisione e radiato dai ruoli degli Ufficiali” 23.

Nell’estate del 1924 lascia il posto di ingegnere del Comune di Nuoro. Nel novembre assume servizio all’Ufficio tecnico della provincia di Cagliari. Ma deve lasciarlo due anni dopo (novembre del ’26) dopo l’arresto che subisce in occasione della manifestazione fascista per l’attentato Zamboni. Nel gennaio del 1930 presta servizio all’Ufficio tecnico della provincia di Nuoro: ma è costretto a lasciarlo quando due anni dopo il prefetto si rifiuta di approvare la sua nomina per concorso.

Giacobbe sarà arrestato più volte. Ogni volta – mi ha riferito la figlia Simonetta – che arrivava un gerarca a Nuoro. In genere da fuori, ad iniziare dai Coinu e i Cualbu di Fonni.

A Nuoro capitò una volta che arrivano nella sezione sardista i fascisti: Giacobbe stende lo stendardo dei Quattro Mori e dice loro: andatevene o vi sparo. Più volte viene alle mani con i gerarchi nuoresi.

Nel maggio del 1937, Graziella Sechi, la moglie, e l’insegnante Mariangela Maccioni Marchi, vengono arrestate per aver espresso solidarietà e simpatia nei confronti di un giovane di Orgosolo, Giovanni Dettori, soprannominato Bande Nere, ammazzato mentre combatteva in Spagna contro i franchisti.

Graziella Sechi nell’interrogatorio in questura afferma ”E’ vero che in quella lettera manifesto simpatia verso Giovanni Dettori, morto combattendo fra i Rossi in Spagna. Io nutro simpatia verso tutti coloro che combattono per la propria fede. Mi dichiaro antifascista perché il fascismo non è un regime di libertà…”. Graziella resterà in carcere per 26 giorni, Angela per 39. Entrambe saranno poi diffidate e Angela sarà espulsa dall’insegnamento, nonostante dovesse mantenere e assistere la madre cieca. Sarà l’unica fra tutti gli insegnanti sardi contro cui il regime abbia adottato una misura così drastica: forse per la necessità di dare un esempio al combattivo ambiente dell’antifascismo nuorese, forse anche per colpire il prestigio che la Maccioni esercitava su molte amiche barbaricine, fra cui la sardista Marianna Bussalai, di Orani, che nonostante fosse più volte inquisita e perseguitata dalla milizia fascista, continuava a esaltare il Sardismo e la bandiera dei Quattro Mori e a mettere in ridicolo i gerarchetti fascisti locali con i suoi mutetos in Sardo:”Ite bella Nugòro/tottu mudada a frores/in colore ‘e fiama./ Ite bella Nugòro / solu a tie est s’amore/ ca ses sa sola mama / Sardigna de su coro. Viva sos Battor Moros/ in issos est s’ispèra / in issos est s’isettu. /Viva sos Battor Moros/ sa sarda bandera/ comente est in su pettus/est puru intro ‘e sos coros./Saludan’ sos sardistas /chin sa manu in su coro/ de sas iras fascistas / si nde ride’ Nugòro” 24.

Non contenti degli arresti e delle persecuzioni contro le due antifasciste nuoresi, il giornale della federazione fascista nuorese “Nuoro Littoria” scrive un articolo ingiurioso in cui arriva a chiamarle “due passionarie lesbiche”. Dino Giacobbe sfida a duello l’autore dell’articolo, il federale fascista Mario Canio e questo per tutta risposta lo fa arrestare. “Accetterà il duello più tardi – scrive Manlio Brigaglia – ma il prefetto proporrà che venga arrestato anche lui perché il duello è proibito dalla legge” 25.

Giacobbe sperimenta così la violenza degli attacchi sui giornali dopo il carcere e l’emarginazione economica e sociale: privato del suo impiego pubblico, ottenuto per concorso, il fascismo gli rendeva difficile anche l’esercizio della libera professione di ingegnere. A ciò si aggiungeva l’assillante sorveglianza fascista, che rendeva impossibile ogni gesto che non fosse di resistenza passiva. «La nostra capacità di sopportazione si è esaurita»., scriveva Dino in un suo diario. «ne concludo che con i mezzi legali l’Italia non potrà più scrollarsi la dittatura fascista: chi ne ha la forza deve andare a combattere il fascismo dove questo dà battaglia. Perciò in questo momento in Spagna».

Di lì a poco – scrive la figlia Simonetta –, il 2 settembre del ’37, Dino lascia clandestinamente l’Italia, raggiunge la Francia, governata in quel momento dal Fronte Popolare, col proposito di proseguire per la Spagna dove la guerra civile si era trasformata in uno spaventoso confronto internazionale fra nazifascismo e democrazia.

Anche Graziella, che era sulla stessa linea politica e l’aveva espressa apertamente nell’interrogatorio che aveva subito in carcere, ben volentieri avrebbe seguito il marito se non avesse avuto quattro bambini da proteggere” 26.

21. Salvatore Cubeddu, Sardisti, volume I, Edes, Collana della Fondazione Sardinia,  Sassari 1993, pagine 550551 .

22. Nelle sue «Memorie», opera citata.

23. Ibidem.

24. Frantziscu Casula, Zuanna Cottu, Marianna Bussalai, Alfa Editrice, Quartu, 2007, pagina 34.

25. Manlio Brigaglia, Il Messaggero sardo, Marzo 1986.

Dino Giacobbe

DINO GIACOBBE:

 IL COMBATTENTE PLURIDECORATO E INTERVENTISTA NELLA PRIMA GUERRA CHE DIVENIA PACIFISTA RIVOLUZIONARIO.

-La famiglia

Felice Angelo Armando Giacobbe, noto Dino, nasce a Dorgali  il 14 gennaio 1896, da padre genovese Giacomo Fortunato, agente delle imposte e da madre sarda, Simonetta Sechi Marras di una ricca famiglia di Bosa. Era il quinto di una schiera di 12 figli, quattro dei quali morirono bambini. E una sorellina di 3 anni, Rina, morirà ali inizi del 1917 quando sia Dino che il fratello maggiore Ottorino, si trovavano sotto le armi. Lo stesso anno in cui nacque Dino, il padre fu trasferito a Cagliari, dove rimase due anni. Da Cagliari fu trasferito a Isili (dove frequenta la 1° elementare) e nel 1902 la famiglia si trasferisce a Sassari dove fa tutte le scuole dalla 2° elementare fino alla licenza liceale che consegue nell’ottobre del 1914. Con una brevissima parentisi a Venezia. Ecco come la descrive Giacobbe :“Nel 1911 zio Silvio, fratello di mia mamma, mi aveva chiamato presso di sé a Venezia. Quell’anno facevo la Quinta ginnasiale. Mi iscrissi al Marco Foscarini, dove insegnavano Zenoni e Faifofer, famosi il primo per la Sintassi latina, il secondo per l’Algebra. Ma non vi durai più di un paio di settimane perché non ci volle più che tanto per esasperare con il mio carattere di selvaggio zio Silvio, costringerlo a picchiarmi e deciderlo a rimandarmi sen’altro in famiglia” 1.

Il padre viene definito dalla figlia di Dino, Simonetta, un «socialista nascosto» . E così risulta anche da delle carte inedite in cui Dino Giacobbe scrive a proposito dell’arrivo del padre a Dorgali:”Non c’è bisogno di dire che «sos prinzipales», mentre fin dal suo arrivo costà lo colmarono di cortesie e di queste non furono mai avari durante tutta la sua permanenza ivi, quando si resero conto che non potevano fare di lui uno strumento ligio ai loro interessi e pronto eventualmente a fare per essi qualche piccola scorrettezza, incominciarono a sussurrarsi l’un l’altro in un orecchio che «il sig. Giacobbe era un socialista». La loro sola maniera di qualificare uno che non era con loro….qualcuno si fece un dovere di soffiarla anche sull’orecchio di qualche suo superiore…”. Tanto ch tale nomea “lo accompagnò per tutta la vita e fu sicuramente la causa del fallimento della sua cerriera (effettivamente da allora in poi, per 30 anni, fino al congedo non ebbe mai più nessuna promozione” 2.

Il nonno di Ovada (Alessandria), artista e scultore è un patriota risorgimentale che lascia il Piemonte per motivi politici e si stabilisce a Genova dove lavorerà per il Cimitero monumentale di Staglieno e per molte piazze della città ligure.

 

-Gli studi

Compie – dicevamo – gli studi liceali a Sassari dove fra gli altri conoscerà Mario Berlinguer, Camillo Bellieni, Attilio Deffenu, Francesco Fancello e Mario Delitala: personaggi illustri che faranno la storia della Sardegna e che per Giacobbe, fin da allora erano “dei giovani intensamente politicizzati: da un socialismo marxista non troppo spinto a un nazionalismo acceso” 3. Anche Giacobbe comincia a fare politica  – è lui stesso a scriverlo – “Fin da ragazzo…erano gli anni in cui Giovanni Pascoli, il nostro grande amore letterario di allora, scriveva la grande proletaria si è mossa, e l’altro nostro grande amore letterario, D’Annunzio, nel suo unico clamoroso esperimento parlamentare, abbandonava il posto di estrema destra per andare all’estrema sinistra urlando: Lascio l’ombra per il sole…o qualcosa di simile” 4.

Nell’ottobre del 1914 consegue la licenza liceale e a Novembre inizia l’Università, nella Facoltà di Ingegneria, a Roma. Ma fin da Agosto presenta la domanda per arruolarsi.

 

-L’arruolamento

Pur letterariamente pascoliano e affascinato da D’Annunzio, non solo scrittore e poeta ma anche politico, in realtà le motivazioni profonde che spingono Giacobbe a sostenere la guerra prima e ad arruolarsi come volontario poi, non sono quelle dannunziane e futuriste bensì quelle stesse di Lussu: “Nell’estate del 1914, poche settimane dopo lo scoppio della grande guerra – scriverà – fui uno dei seguaci di Gaetano Salvemini e di Cesare Battisti nella campagna perché l’Italia rompesse l’alleanza con la Germania e l’Austria-Ungheria e intervenisse nel conflitto a fianco dell’Intesa” 5.

Presenta la domanda di arruolamento per un corso di allievi piloti aviatori che avrebbe dovuto iniziare il 1° settembre fin dall’agosto del 1914. E’ però respinto alla visita medica per insufficienza del perimetro toracico (cm.78). Nel dicembre del 1914 ripresenta la domanda di arruolamento, ma questa volta nell’Arma di artiglieria da campagna, per il Corso di allievi ufficiali che inizierà il 1° gennaio 1915. Sarà a Foligno una decina di giorni e poi sarà trasferito a Roma, alla caserma del Macao. Il 1° luglio del 1915 è nominato sottotenente di complemento.

 

-Motivazioni

E’ lui stesso – come abbiamo già detto  – a spiegarci che condivide e partecipa alla guerra, come volontario, in quanto seguace di Salvemini e Battisti e non di Mussolini o Bottai. Egli fin dalle prime lettere che scrive dal fronte manifesta un forte entusiasmo per la sua nuova avventura.

 -Lettera al fratello Ottorino non datata, probabilmente del maggio 1915:”Le notizie che mi dai su l’entusiasmo con cui a Sassari si aspetta la guerra servono a provarmi ancora meglio il patriottismo dei sardi e la concorde volontà dell’Italia per questa bella guerra…Andrò alla guerra pronto a morire senza rimpianti” 6 .  

-Lettera del 26 settembre 1915, ancora a Ottorino:”In due parole potresti chiudere tutto il mondo dello spirito, tutta l’attività del mio pensiero, l’oggetto delle mie speranze, la causa delle mie gioie, la meta di tutte le mie aspirazioni, il centro di tutti i miei sentimenti, l’opera a cui dedico tutte le mie energie morali e fisiche. Che occupa e riempie tutta la mia vita: la guerra, la vittoria 7.

Sbaglia comunque chi pensasse a slanci propriamente bellicisti. Si tratta – scrive lo storico sardo Gian Giacomo Ortu – “di un gesto tutto morale e intellettuale. Alla cui base sta un patriottismo avvertito come dovere fondamentale dell’uomo, nella più pura eredità mazziniana…Insomma il patriottismo di Giacobbe è un patriottismo civile, democratico, generoso che dobbiamo collocare nell’ambito di un’adesione risorgimentale irredentista ma non imperialista, alla guerra contro gli austro-germanici” 8 .

 Ma anche rispetto all’interventismo democratico e tardo-risorgimentale – cito ancora Ortu –  c’è in Giacobbe qualcosa di diverso: e cioè una vena di radicalismo allo stesso tempo borghese e popolare che si va originalmente combinando con affluenze anarchiche e futuriste. Il contagio futurista è ben evidente nelle’espressione delle prime sensazioni di guerra quando un’emozionalità giovanile ed estetizzante non è stata ancora spenta dalla carnalità sanguinolenta della morte di massa” 9 .

Ecco cosa scrive alla madre «Da gli avamposti» il 5 settembre 1915 “Cara mamma. Ieri ho avuto finalmente il battesimo di fuoco. Per più di un’ora è stato un muggire cupo di artiglierie, un sibilo, uno zufolo, un zirlio di proiettili nell’aria, un allegro scoppiare di granate tutt’intorno. Una, cadendo a tre metri di distanza da dove mi trovavo io, proiettò tutt’intorno dei sassi e della terra che arrivarono fino a me senza farmi alcun male, un’altra cadde dieci metri dietro…”10.

E alla sorella Amelia da «Terra redenta» il 20 novembre  del 1915:”Nelle trincee a dieci metri dal nemico, negli osservatori avanzati, sotto il fuoco rabbioso dei cannoncini da montagna, fra il tac-tac-tac delle mitragliatrici, il fracasso lacerante delle bombe a mano, il fischio delle pallottole, il ronzare dei «mosconi», il rumore delle Dum-Dum e quello acuto delle pallottole esplosive…”11.

 

-L’Autoritratto faustiano di un giovanissimo Giacobbe: 

Il 28 Maggio 1915 – quindi giovanissimo, ha appena 19 anni – scrive al fratello Ottorino:”La vita ha ancora dato ragione ai giovani agli audaci ai ribelli, rinnegando i vecchi benpensanti, gli uomini d’ordine perché la vita è giovinezza audacia ribellione e corriamo laddove l’Italia conquista ora non pochi chilometri di terra e poche migliaia di sudditi, ma la sua vera Vita, la sua giovinezza” 12.  Ancor più esaustivo è il quadro che Giacobbe – come ricorda il nipote Tomas Harder – traccerà su alcuni fogli non datati ma con molta probabilità scrit­ti proprio in quell’ estate del 1914. Un autoritratto “d’ansiosa autocritica e di ricerca di sé, che nonostante la disarmante e quasi ingenua assolutezza che è propria di quell’età, forse può ancora servirci come una chiave di lettura anche della sua complicata personalità di adulto” 13.

Eccolo:”Desidero l’avventura e la lotta (come fatti dello spirito); ambisco al comando, la superiorità, la potenza; mi piace l’’audacia spavalda, la for­za baldanzosa e prepotente che con la generosità dei fini dimostra costan­temente la sua nobiltà e intellettualità. ..Ho un’istintiva, violenta tendenza all’ascesa, al mio perfeziona­mento morale e intellettuale. Riconosco ciò nella passione che ho avuto fin da bambino per la solitudine in cui rifletto sui miei atti e li approvo e disapprovo sorto il punto di vista morale (mai per le conseguenze piacevo­li o spiacevoli che potranno aver avuto mai mi son rimproverato un atto già considerato morale, che mi abbia portato o i più grandi dolori o i più grandi perigli. Le conseguenze degli atti da me fatti nella libera funzione della mia volontà sono sempre accolte da me con serena fermezza, siano esse triste o liete: sono per me necessarie e volute)  Sono eminentemente cerebrale: miro ai problemi universali e alle soluzioni assolute, Nella vita pratica, trasportando queste mie tendenze, concepisco la vita secondo forme organiche e la mia attività inquadrata in questa unità dei molteplici. Anche se mi penso asceta devo pensarmi ancora comeuomo che vive nel silenzio per il raggiungi mento di fini universali: la scienza, l’arte, la verità, con conseguente benefizio e piacere comune…Non saprei scrivere un ordine delle cose che amo: posso dire però che di  massima esse procedono dall’universale al particolare. Fanno eccezione l’­amore per la mia patria (Italia), per la mia terra (Sardegna) e per la mia ,famiglia; fra queste tre l’ordine mi è impossibile stabilirlo perché ciascuna di esse esercita sul mio animo una forza uguale, cioè la massima: perciò le amo tutte e tre assieme e di uguale amore. Con tutto ciò non sento l’a1bagia della nascita, né sono malato di regionalismo o nazionalismo in quanto queste due cose possono significare una imparzialità di giudizio: voglio il  loro bene, ma come realizzazione di un principio universale di giustizia” 14.

Come possiamo vedere Giacobbe è tutto impregnato di quella cultura attivistica e sovversiva, quasi faustiana, che caratterizza il primissimo Novecento e che possiamo ritrovare in riviste come la «Voce» di Papini e Prezzolini o nella «Lacerba» di Soffici e Papini.

 

-Ferito e decorato tre volte. Ma diventa un pacifista rivoluzionario.

Il 22 ottobre 1915 in un attacco al “Dente del Groviglio” è ferito alla mano destra e all’orecchio sinistro, viene ricoverato all’Ospedale da campo di Palmanova, ma dopo cinque giorni vuole tornare in linea. Per il volontario intervento accanto alla Fanteria gli fu conferita la medaglia d’argento al valore militare.

Il 26 giugno del 1916 è intossicato dai gas lanciati dai nemici e ferito da pallottola shrapnell alla regione temporale sinistra.

Il 3 agosto 1916 si incendia la polveriera presso il comando di reggimento e Giacobbe partecipa al salvataggio di qualche soldato che rimane fra le macerie: per questo episodio gli fu conferita una medaglia di bronzo al valore militare con la seguente motivazione:”Durante le succedentesi esplosioni di una polveriera incendiata, con lunga fatica e grave pericolo, cooperava al salvataggio di due soldati rimasti sepolti sotto le  macerie della polveriera stessa. San Martino del Carso, 7 agosto 1916 15.

Il 14 agosto viene ferito di striscio, alla testa, da una pallottola.

Ecco come Giacobbe stesso ci racconta delle sue ferite e delle medaglie (una d’argento e due di bronzo) :”Fui ferito tre volte, ebbi tre medaglie al V. M . L’ultima mi fu data pochi mesi prima della fine della guerra con una motivazione che mi dipinge come un ufficiale di solide qualità. Ma ero già un rivoluzionario al 100%: forse è proprio per questo che ero un buon ufficiale. Il 24 ottobre 1918 solennizzai l’ora fatale dell’armistizio dando fuoco a una catasta di casse vuote di munizioni che avevo sparato negli ultimi giorni della guerra. Mancò poco che non buttassi sul fuoco gli stessi cannoni. Il falò fu visto tutt’intorno per un raggio di 40 chilometri. Da tutte le parti mi arrivavano telefonate di Comandi Superiori allarmatissimi. Io rispondevo imperturbato: un incendio accidentale! Non ci sono pericoli. Fra poco si spegnerà da solo. Ma la ragione vera dell’incendio era quella che avevo dato ai soldati miei: è  vero o non è vero che ci dicono che questa guerra è l’ultima guerra della storia, quella guerra che deve porre fine a tutte le guerre? Se questo è vero, tutto questo materiale non serve più a nulla, e la cosa migliore che possiamo fare è bruciarlo.

Questa spiegazione non tardò ad arrivare alle orecchie dei Comandi Superiori. Si parlò subito di un clamoroso processo al Tribunale Militare contro di me, una multa che non mi sarebbe bastata tutta la vita a pagarla, di una retrocessione e chi più ne ha più ne metta. Non se ne fece nulla. Le mie tre medaglie al V M. mi salvarono. Ma rimase ben fermo che la mia carriera nell’esercito italiano era finita. Potevo anche campare cent’anni manon avrei mai aggiunto un’altra stelletta alle mie due stellette di te­tenente di complemento. Senza escludere che non venisse presto un’altra occasione per togliermi anche quelle.

E quell’ occasione non si fece attendere molto, difatti. Nel 1925 esse mi furono tolte e fui restituito al grado di soldato semplice … perché avevo affermatoche ero … repubblicano” 16.

Le medaglie – insieme a molte croci al valore militare gli saranno restituite dopo il 1945.

 

-Ma quando diventa un pacifista rivoluzionario?

E’ difficile stabilirlo. Secondo la figlia Simonetta dopo alcuni mesi. Non abbiamo documentazione sicura che accerti la resipiscenza del suo interventismo: certo è che gli orrori della guerra gli faranno cambiare radicalmente idea sul valore salvifico delle armi. Infatti anche sugli irredentisti più convinti, gli orrori e l’inu­tilità della guerra di trincea, insieme al contrasto tra i loro ideali e la realtà del sistema militare, con i comandanti in fuga nella rotta di Caporetto –  come ricorda la rappresentazione lussiana nella «Difesa di Roma»  producevano un effetto fortemente deludente. La legittimità della gestione politica e della causa per la quale questa sosteneva di combattere, non erano più tanto evidenti. Ecco cosa scrive Giacobbe il 16 gennaio 1916 in una delle sue note introspettive mentre sul fronte carsico senza mai risparmiarsi stava dando il meglio di sé.

“Vidi in essa (la guerra) un aspetto del dolore cosmico. Non è l’odio, non è la cupidigia, non è la sete di sangue che anima i combattenti, come l’assassino. È una forma di necessità ineluttabile, un aspetto spaventoso deldestino: il dolore, che è l’essenza e l’aroma della vita. La guerra, come l’omicidio, è una forma di suicidio, e tutti sono responsabili. Arrivato a questo il mio pensiero si rivolge in un tragico orrore. Nessuno è responsa­bile! Il colpevole è come la vittima! tutti e due sottostanno a una fatalità e è più forte di loro. Odio e amore, passioni e ideali, niente esiste: sono maschera di un destino che ricopre le sue vittime. Ma nient’altro che maschera: sotto non è che dolore” 17.

O cosa scrive  il 26 aprile del 1916 da Bosco Cappuccio, in una lunga lettera alla sorella Amelia che non verrà spedita:”Questa guerra deve dimostrare come non sia più possibile né lecito decidere con le armi le questioni fra i popoli:deve mostrare tutta l’ingiustizia di una guerra e tutte le infamie del sistema militaristico” 18.

Ecco altri stralci della Lettera:”…Ho letto in uno scrittore che nella stretta finale della lotta, mentre gli avversari si dibattono a terra nel supremo sforzo di sopraffarsi, i respiri si confondono, gli occhi si rispecchiano negli occhi e i volti si atteggiano a una stessa fisionomia; e, per uscire di metafora, i due nemici acquistano gli stessi ideali e le volontà si accordano.

Ciò mi ha fatto pensare.

Forse che il grande sogno pangermanico d’una Mitteleuropa estendentesi dai confini della Francia ai confini dell’India, dal Mare del Nord e dal Mar Baltico all’Oceano Indiano e al Golfo Persico, questa immensa conglomerazione di barbarie decadenti e risorgenti, questo im­pero fondato su la forza e su la schiavitù militarista è per confondersi con la libera Europa dei banditori dell’ultima guerra, la libera e civile Europa combattente nel nome della libertà, della giustizia, dell’umanità, la libera e civile Europa che vuol lavorare ed innalzarsi nella via dell’ideale o con la truce e rancorosa Europa degli uomini politici di Inghilterra e di Russia e delle caste militari di Francia e di Russia, l’Europa delle gelosie commer­ciali e degli spiriti di rivincita, pavida e stizzosa?

Perché la nostra lega e quindi la nostra guerra ha due volti: il primo quello che le diedero i propagandisti: tutti gli uomini liberi e illuminati, l’animo puro fisso in un sereno ideale, l’altro, quello che nel loro oscuro lavorio e nelle loro segrete speranze le hanno dato gli uomini politici e le caste militari; pur senza mai confessarlo.

Io non mi illudo: una Francia, una Russia e una Inghilterra pienamente vincitrici sarebbero militariste quanto la Germania e l’Austria per­chéquella sarebbe la vittoria non dei pacifici e civili popoli Francese e Russoe Inglese ma di ciò che in questi popoli vi è ancora di barbaro e di decadente: una vittoria delle caste militari e politiche.

…Una vittoria militare, che del resto sembra ormai impossibile per uno qualunque dei contendenti, sarebbe il peggior modo di terminare la guerra…questa guerra deve dimostrare come non sia più possibile né lecito decidere con le armi le questioni fra i popoli: deve mostrare tutta l’ingiustizia di una guerra e tutte le infamie del sistema militarista.

Se questa coscienza è matura il giorno della libertà e della fratellanza dovrebbe essere vicino” 19.

Scrive ancora lo storico Ortu, “Questa lettera  rappresenta un documento davvero sorprendente per la consapevolezza che il ventenne Giacobbe mostra della terribile congiuntura che devasta l’Europa…Con l’immagine dei nemici avvinghiati che lottano per assimilarsi, quest’espressione stupenda, segnala l’irrompere nella coscienza di Giacobbe di quel fondo di umanitarismo anarchico ed eroico che continuerà sempre a fermentare in lui ispirando ad esempio quella linea di pensiero avversa alle plutocrazie occidentali altrettanto che alle autocrazie mitteleuropee e pan germaniche, nella seconda come nella prima guerra mondiale, che gli procurerà qualche incomprensione negli ambienti dell’antifascismo occidentalista” 20.

 

Note bibliografiche

1. Nelle sue «Memorie»– inedite – scritte a Parigi nel 1939.

2. In carte inedite titolate «Cronache Familiari».

3. Dino Giacobbe, Tra due guerre, a cura di Maria e Simonetta Giacobbe, Cuec, Cagliari 1999, pagina 11.

4. ibidem pagina 11.

5. Ibidem pagina 11.

6. Ibidem pagina 9.

7. Ibidem, pagina 104.

8. Gian Giacomo Ortu,  La Nuova Sardegna 4-1-2000.

9. Ibidem.

10. Dino Giacobbe, Tra due guerre, opera citata, pagina 102.

11. Ibidem, pagine 116-117.

12. Ibidem, pagina 96.

13. Ibidem, pagina 12.

14. Ibidem, pagine 12-13.

15. Ibidem, pagina 70.

16. Nelle sue «Note autobiografiche», scritte nel 1981. 

17. Dino Giacobbe, Tra due guerre, opera citata, pagina 17.

18. Ibidem, pagina 138.

19. Ibidem, pagine 137-138.

20. Gian Giacomo Ortu,  La Nuova Sardegna, opera citata.

Ratifica della Carta europea delle lingue minoritarie: i consiglieri regionali sardi contro il Governo italiano.

E IL CONSIGLIO

SI RISVEGLIA

CONTRO MONTI

di Francesco Casula

Ja fit ora. Il Consiglio regionale, con un colpo di reni e un moto di orgoglio ritrova l’unità e all’unanimità approva un ordine del giorno indirizzato al Parlamento per garantire adeguati livelli di tutela della lingua sarda in sede di ratifica della Carta europea delle lingue minoritarie. Se infatti passasse  il disegno di Legge governativo (n. 5118/XVI) attualmente in discussione in Parlamento, la Lingua sarda sarebbe decapitata. In esso infatti mentre si privilegia livelli di protezione alta per alcune lingue sostanzialmente protette da altri Trattati internazionali (Tedesco, Sloveno, Francese, Ladino) si sceglie invece livelli di protezione bassa per le altre lingue riconosciute dalla legge 482/99, tra le quali quella sarda, che è la più numerosa di tutto il territorio italiano, con oltre un milione di parlanti accertati e delimitati secondo le procedure dell’art. 3 della legge suddetta. In particolare la protezione della lingua sarda risulta largamente insufficiente nei paragrafi relativi all’istruzione scolastica, ai Media, alla giustizia amministrativa e penale. Di fatto, per quanto afferisce all’insegnamento, specie per le scuole superiori, sarebbe confermato il quadro normativo della legge 482/99 che non sblocca la situazione per la Sardegna in quanto le competenze restano statali e la Regione non può intervenire se non con norme di sostegno alla libera volontà delle Autonomie scolastiche per cui la Lingua sarda resterebbe sulla soglia della scuola, ma non entrerebbe come lingua normale di studio o veicolare. Ancor peggiore sarebbe la situazione per l’insegnamento tecnico-professionale e per il settore universitario, in cui la lingua sarda è esclusa del tutto. Fin’ora, i parlamentari sardi, nella discussione del testo governativo nelle varie Commissioni, hanno brillato per il loro mutismo, eccezion fatta per Palomba (IDV) e, recentemente, per Mereu (UDC). Si muove invece il Sindacato, con Mario Medde (CISL) che dopo aver attaccato Monti per il “centralismo autoritario statale che cerca sistematicamente di ridurre gli spazi dell’autonomia speciale della Sardegna” , sostiene che “qualora la mozione del Consiglio regionale dovesse restare inascoltata, la Regione sia pronta a coordinare iniziative a tutti i livelli istituzionali, per Il riconoscimento pieno, effettivo e integrale di minoranza linguistica”.

Pubblicato su SARDEGNA Quotidiano del 4-8-2012

 

 

BbUGGERRU, 9 agosto, ore 21.30, nel Museo presentazione di Letteratura e civiltà della Sardegna di Francesco Casula

Giovedi 9 agosto alle ore 21.30 nel Museo di BUGGERRU

Lo scrittore e poeta bilingue FRANCO CARLINI

presenterà

LETTERATURA E CIVILTA’ DELLA SARDEGNA

di Francesco Casula, (Edizioni Grafica del Parteolla, pagine 275, Euro 20)

Sarà presente l’Autore.

Il volume dedica più del 50% delle pagine a Autori che scrivono in Lingua sarda e ai corrispettivi testi :dai primi documenti in volgare sardo ai Condaghes, dalla Carta De Logu di Eleonora d’Arborea a Antonio Cano, da Gerolamo Araolla e Antonio Maria da Esterzili a Matteo Garipa, da Sa scomunica de Predi Antiogu arrettori de Masuddas a Efisio Pintor Sirigu, da Francesco Ignazio Mannu a Diego Mele e Peppino Mereu fino a Antioco Casula (Montanaru) e Pedru Mura.

Fra gli Autori che scrivono in Lingua italiana sono presenti Giambattista Tuveri, Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Grazia Deledda, Sebastiano Satta, Salvatore Cambosu, Antonio Pigliaru, Giuseppe Fiori, Giuseppe Dessì e Salvatore Satta. Vi è anche un Autore bilingue Michelangelo Pira (che ci ha lasciato testi in Sardo e in Italiano) e uno quadrilingue, Sigismondo Arquer, che ha scritto in Sardo, Latino, Castigliano e Catalano.

Il secondo volume dovrebbe uscire, sempre per le Edizioni Grafica del Parteolla in autunno, con Autori che arriveranno fino ai nostri giorni.

FRANCO CARLINI

Poeta e scrittore bilingue, nel 1980 vince il prestigioso Premio “Ozieri” con la poesia Terra luazza per la sezione “Emigrati”.

Nel 1989 esordisce con una raccolta di poesie bilingui Biddaloca (Paesestolto), un’ironica silloge destinata ai bambini delle scuole, come suggerirebbe il sottotitolo Poesias po pipius: in realtà si tratta di una dolce dolente memoria dell’antico fanciullo contadino che vede il mondo dell’infanzia inghiottito dalla nuova cultura industriale. Seguirà nel 1991 un’altra silloge di poesie bilingui (sardo-campidanese e italiano) con il titolo di Murupintu (Murale) con cui – scrive Giovanni Mameli nella prefazione –Carlini costruisce una commedia umana,ricca di personaggi disegnati con un gusto tra l’ironico e il fiabesco, non senza una sotterranea simpatia nei confronti di molti che appartengono a un mondo e parlano una lingua minacciati da più parti. A ciò bisogna aggiungere una forte componente ludica, il piacere per il gioco formale che si manifesta in parecchi testi.

 Nel 2004 pubblica la terza silloge poetica, Sa luna ingiusta (La luna bagnata) con la prefazione entusiasta dell’antropologo e scrittore Giulio Angioni che scrive: Si tratta di testi sapienti per linguaggio e per struttura, di una molto profonda levità, di un’essenzialità frutto di molto lavoro…che hanno le movenze del tipo della filastrocca, della ninna-nanna, del proverbio, dell’iterazione, del nonsense”.

Le tre raccolte ottengono lusinghieri consensi di pubblico e di critica (il primo libro è stato ristampato dopo solo due anni), ne sono testimonianza anche i pubblici riconoscimenti e i premi: fra gli altri una medaglia d’oro da parte del Comune di Villacidro. Nel 2001 pubblica una raccolta di Racconti, S’Omini chi bendiat su tempus (L’uomo che vendeva il tempo) con traduzione in italiano (con il quale vince  il Premio “Città di Selargius” 2003) e  il romanzo Basilisa (con cui vince nel 2002 il Premio “Grazia Deledda” per la sezione in lingua sarda).

Opera tra romanzo e biografia, ambientato a Roma fra il 1943 e 1944, ai tempi dell’invasione tedesca, Basilisa racconta un’esperienza realmente vissuta attraverso gli occhi di un bambino che non poteva non rimanere segnato dalla paura, dalla guerra e dalla fame e anche da quanto di più atroce ha visto in quegli sconvolgenti giorni dell’invasione nazista.

Nel 2004 pubblica Su conillu beffianu (Il coniglio beffardo), ovvero contus e contixeddus po pipius, (racconti e raccontini per bambini) e  non solo, con la prefazione di Francesco Casula che mette in rilievo il linguaggio spassoso e carico di deflagrazioni umoristiche e dalle grandi capacità allusive, impregnato di immagini ardite, di metafore, di parabole, di simboli e di proverbi, quella scrittura e quel linguaggio che ha saputo mutuare – sia pure con grande originalità dalla cultura tradizionale sarda e dalla oralità.

Nel 2005 pubblica un volume di favole, Marxani Ghiani e ateras faulas (Volpe Ghiani e altre favole) sempre in lingua sarda.

In lingua italiana pubblica per le Edizioni Quaderni del Pavone: L’Asino d’argento (2002), un poemetto scherzoso scritto a quattro mani con Efisio Cadoni e delle brevi raccolte di poesie: Lo zoo (2006), Dialogo a una voce, (2007) e Parole contate (2010). Nello stesso anno pubblica Raimondo Fresia, Il teatro, Biografia e analisi delle opere. L’ultima sua opera Sa domu de s’orcu in lingua campidanese con la traduzione in italiano, contiene 30 Contus, in gran parte frutto di una ricerca sul campo.  

 

FRANCESCO CASULA

Ollolaese, studi liceali dai Gesuiti a Torino, laureato all’università di Roma in Storia e Filosofia, per circa 40 anni insegna nei Licei e negli Istituti superiori.

Impegnato politicamente e sindacalmente –fra l’altro è stato segretario generale della Confederazione sindacale sarda (CSS)-; giornalista pubblicista, è stato direttore responsabile de Il Solco, il giornale del PSD’Az, che fu già di EmilioLussu; di Tempus de Sardinnia, il mensile bilingue della CSS e di tante altre riviste.

Attualmente scrive, come opinionista,  su SARDEGNA Quotidiano

Studioso di storia, lingua e cultura sarda, su questi temi tiene Conferenze e Corsi di formazione e di aggiornamento nelle Scuole per studenti e docenti, e nelle Università della Terza Età.

Eletto dal Consiglio Regionale della Sardegna nel Gennaio 2000, è stato per 5 anni membro dell’Osservatorio Regionale della Lingua e della Cultura sarda.

Fa parte di molte Giurie di Premi letterari di poesia sarda, fra cui di quello più antico e prestigioso, il Premio “Ozieri”.

 

Fra le sue pubblicazioni :

Due saggi storici, Statuto sardo e dintorni Ed. Artigianarte, Cagliari 2001 e Storia dell’autonomia in Sardegna (coautore Gianfranco Contu), Ed. Grafica del Parteolla, Dolianova 2009, oltre a numerosi saggi sul Federalismo, l’Identità, la Questione sarda, la Lingua sarda, apparsi in riviste (sarde e italiane) oltre che in volumi scritti a più mani.

 

Scrive inoltre di critica letteraria: da pochi mesi è nelle librerie La poesia satirica in Sardegna (Della Torre editrice, Cagliari 2010)) di cui ha scritto la parte riguardante La poesia satirica in campidanese.

 

Per l’Alfa Editrice, in Lingua sarda, ha scritto invece 11 monografie su Gratzia Deledda,2006; Leonora d’Arborea,2006; Antoni Gramsci (con Matteo Porru)                2006; Antoni Simon Mossa, 2006; Amsicora (con Amos Cardia) 2007); Zuanne Maria Angioy (con Zuanna Cottu) 2007;  Marianna Bussalai (con Zuanna Cottu) 2007; Sigismondo Arquer (con Marco Sitzia) 2008; Giuseppe Dessì (con Veronica Atzei) 2008; Montanaru (con Joyce Mattu) 2008; Gratzia Dore (2008).

Sempre per l’Alfa Editrice ha scritto la versione in Sardo di quattro raccolte di novelle e favole: “Pupillu, Menduledda e su Dindu GLU’ GLU’” (2003), Contos de sabidoria mediterranea” ,(2004), Paristorias a supra de sos logos de sa Sardinna (2004), Paristorias a supra de sos nuraghes”( 2004).

 

Le sue ultime opere, prima della Letteratura e civiltè della Sardegna, volume I,  sono La Lingua sarda e l’insegnamento a scuola (Alfa editrice, Quartu, 2010) e Uomini e donne di Sardegna (Alfa Editrice, Quartu, 2010).