A Zuri i grandi della solidarietà.

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di Francesco Casula*

 

Oggi, con partenza alle ore 9.30 migliaia di manifestanti da Soddì, uno dei più piccoli centri dell’Isola, a piedi percorreranno i due Km che portano alla bellissima basilica romanica di Zuri, (frazione di Ghilarza) sul lago Omodeo. Si ritroveranno insieme migliaia di Sardi, rappresentanti dell’emigrazione, dei Sindacati, del Volontariato, di gruppi ecclesiali, di immigrati. Al centro dell’iniziativa le emergenze più drammatiche che vive oggi la Sardegna: la povertà in primis. Ben 300.000 persone –hanno denunciato gli 0rganizzatori- vivono in povertà assoluta. Si tratta soprattutto di pensionati, falcidiati dal caro vita e dall’inflazione vieppiù galoppante. Ma anche di disoccupati –che si avvicinano ormai ai 200.000- di precari, cassintegrati, irregolari. A Zuri ci sarà dunque la Sardegna che non si rassegna e che si ribella e non accetta lo stato delle cose presenti. Che sposa la causa dei dannati della terra, delle evangeliche “pietre scartate dai costruttori”: cui la classe politica, in tutt’altre faccende affaccendata, -beghe di partito, elezioni- non sembra prestare grande attenzione. Alla fine della Manifestazione, a Zuri sarà collocata una targa bilingue –in Sardo e in Italiano- segno anche questa scelta della sensibilità degli organizzatori, che coniugano difesa dei poveri con la valorizzazione della nostra lingua, che soprattutto di quei poveri è espressione e codice primario.

Di contro, a La Maddalena l’anno prossimo si terrà il G8 dei potenti della terra: è stato sostenuto –dal Governo Prodi ieri e da quello di Berlusconi oggi- che il vertice costituirà una grande opportunità economica per la Sardegna, con le decine e decine di milioni stanziati per quell’occasione. Ma, a parte che agli imprenditori sardi andranno le briciole –come hanno denunciato gli stessi- perché non dire che la gran parte dei milioni di euro verranno spesi per la sicurezza delle non meno di 20.000 perso­ne tra delega­zioni, giornalisti, addetti alla lo­gistica etc.? Come nel 2007 a Heiligendamn, dove 92 dei 100 milioni stanziati so­no serviti per allestire “misu­re di prevenzione”?  E perché non ricordare che i gerarchi che decidono –peraltro senza alcuna delega-  su tutti gli abitanti del pianeta, poco sono interessati al problema drammatico dell’acqua, del cibo e dell’aria –come ha detto il segretario della CISL Medde- che attanagliano miliardi di persone?

       *storico

 

 

       (Pubblicato su Il Sardegna del 27-9- 2008)

 

 

 

 

 

 

Il Papa Ratzinger parla in Sardo

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di Francesco Casula*

 

“Mama, fiza e isposa de su Segnore”. A fronte della citazione di questo verso in limba, tratto dal Deus ti salvet Maria, si eleva da parte delle decine di migliaia di Sardi, accorsi ad ascoltare il Papa, l’applauso più intenso, più corale e più convinto dei pur numerosi applausi (ben 28) che hanno accompagnato l’omelia di Benedetto XVI a Bonaria il 7 Settembre scorso a Cagliari.

Evidentemente, sentire un pontefice esprimersi in sardo inorgoglisce e riempie di gioia: in quella citazione l’intero popolo sardo cristiano –e non- presente alla cerimonia, si rispecchia ritrovando e riconoscendo la propria identità. E dunque esplode in un boato ad esprimere consenso e partecipazione: certo ai contenuti espressi da Benedetto XVI, ma anche alla forma, all’essersi in qualche modo “integrato”, riconoscendone e apprezzandone valori e peculiarità, nella cultura e nella lingua locale e popolare. Del resto, non è proprio tipico del cattolicesimo essere nel contempo universale e locale? E non è forse un tradimento l’abbandono o la sottovalutazione -che ha caratterizzato anche la Chiesa– della religiosità popolare e delle sue espressioni nella nostra lingua nativa?

Fortunatamente oggi, pur con limiti e contraddizioni, qualcosa inizia a muoversi . Qualche giorno fa Raimondo Turtas, gesuita e valente storico della Chiesa ricordava quanto sostenuto dal secondo concilio plenario sardo (2001) a proposito dell’importanza e del ruolo della lingua sarda “un singolare strumento di comunicazione della fede per il nostro popolo [perchè] per mezzo suo [è] stato tramandato per generazioni un grande patrimonio di fede e di sapienza cristiana, incarnate nella cultura e nella quotidianità di vita della gente dell’isola. La lingua nostra materna sarda va anche apprezzata e onorata nelle forme di preghiera individuali e collettive”.

Persino l’arcivescovo Mani, che solo qualche mese fa oppose un netto diniego alla celebrazione della Messa in sardo, oggi si dimostra più disponibile, a patto che ci sia –ha affermato- l’autorizzazione della Santa sede e che si approvino i testi in Sardo. Bene: che allora si proceda all’approntamento dei testi e all’ottenimento delle autorizzazioni. Senza ulteriori tentennamenti né ritardi. Non sarà sicuramente difficile trovare traduttori ed esperti, specie a fronte del grande risveglio e interesse per la Lingua sarda avutosi negli ultimi anni.

*storico

 

(Pubblicato su Il Sardegna del  13-9-2008)

 

La vita del carcere in un volume.

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di Francesco Casula*

 

“Figli della società” è il titolo, estremamente significativo, di un libro (edito dalla CUEC) che affronta l’universo carcerario o meglio, come precisa il sottotitolo, che  documenta e riflette su “Carcere, devianza e conflitto sociale”. L’autore Paolo Pisu, consigliere regionale, fin dal titolo anticipa le coordinate culturali su cui si snoderà il saggio: i carcerati non sono un corpo separato o “altro” da noi, ma sono un frutto, un problema, -drammatico- che ieri come oggi, è prodotto della società. Come tale deve essere assunto e risolto. Superando quindi il carcere come “istituzione totale”, chiusa e separata dalla società, attraverso un rapporto con le strutture pubbliche e amministrative, perché diventi problema della collettività. Iniziando a non limitarsi a dare risposte di carattere penale –scrive nella presentazione del libro Giuliano Pisapia, già presidente della Commissione parlamentare per la riforma del codice penale-  a problemi in gran parte meramente sociali. Come si fa del resto –sostiene Pisapia- a non comprendere l’improrogabile necessità di una svolta se solo si considera che chi sconta l’intera pena in un carcere ha un tasso di recidiva del 70% mentre chi usufruisce di pene alternative ha un tasso di recidiva dell’11-12%?   

Il libro –di cui Ettore Cannavera scrive la prefazione- è composto di due parti: la prima che delinea un excursus storico sul sistema penale e carcerario italiano, con particolare riferimento a quello sardo; la seconda che contiene interventi e interviste di operatori ed esperti –segnalo fra tutti Dr. Massidda, Provveditore regionale della Sardegna per il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Padre Morittu e don Giovanni Usai-,  ex carcerati, fra cui Mesina.

Pisu conosce bene il sistema carcerario: da presidente della II Commissione permanente del Consiglio regionale –che si occupa fra l’altro di “diritti civili”- ha potuto visitare quasi tutti gli istituti di pena dell’Isola e dunque il suo lavoro, scevro da pregiudizi, è tanto più documentato e dunque credibile e prezioso, in quanto frutto soprattutto di un’indagine fatta “sul campo”.

“Figli della società” sarà presentato questo pomeriggio a Laconi, il paese natale di Pisu, in  cui per due mandati è stato sindaco. Sarà introdotto da una relazione di Giuseppe Corongiu cui seguiranno gli interventi di Padre Morittu, Mesina e Marco Porcu.

*storico

 

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 20-9-2008)

 

Il treno del federalismo sardo.

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di Francesco Casula*

 

Il treno del federalismo in Italia è partito. Il Governo nei giorni scorsi ha varato infatti il disegno di legge delega sul Federalismo fiscale. Il vagone sardo invece, è fermo. Il rischio reale è che, ancora una volta decida Roma. E che ci venga “concesso” un federalismo octroyè. Dall’alto. Senza il nostro contributo. Eppure, noi Sardi –con Lussu e altri- siamo stati i primi, fin dall’inizio del ‘900, a sostenere il federalismo.

Da decenni si parla di Nuova Autonomia e Nuovo Statuto: fin dagli anni ’70 con la politica contestativa e rivendicazionista di Paolo Dettori. Ma senza alcun costrutto:responsabilità di un Consiglio regionale e una classe politica, litigiosi e neghittosi e, spesso, imbelli e incapaci.

Ma non partiamo comunque da zero. Singoli partiti, gruppi, movimenti hanno elaborato in questi anni proposte interessanti di Nuovo Statuto. Anche recentemente. Mi riferisco in modo particolare alla “Charta de Logu pro sa nazione sarda” prodotta dal Comitato “Firma per la tua Sardegna”. “E’ coscienza generale –scrive Antonello Carboni segretario del Comitato- che i tempi siano maturi per cambiare il debole statuto in una Carta di sovranità che concretizzi il diritto dei sardi all’autodeterminazione così come riconosciuto dai trattati internazionali”. Se invece volessimo ispirarci a una dimensione più internazionale basta dare uno sguardo al Nuovo Statuto catalano che fin dal Preambolo ne anticipa la filosofia:  Cataluña es una nación; Cataluña considera que España es uno Estado plurinacional. Si tratta certo di affermazioni di principio ma subito dopo seguono una serie di implicazioni politiche che caricano di diritti, competenze e potestà la nacion de Cataluña: ad iniziare dalla lingua, il Catalano, che viene considerata in Catalogna lingua ufficiale, di uso normale e da preferire in tutte le amministrazioni pubbliche, nei mass-media, nell’insegnamento e nell’apprendimento. Insieme alla lingua ufficiale dello Stato, lo Spagnolo. Proprio allo Statuto catalano, probabilmente, si è rifatto il Comitato “Firma per la tua Sardegna” nell’art.4 della sua Carta, quando a proposito della Limba scrive “La Lingua propria della Sardegna è il sardo che, in quanto tale è lingua ufficiale nel territorio della Regione Autonoma. Al pari del sardo, l’italiano è lingua ufficiale. Tutti gli abitanti hanno diritto di conoscere e di usare entrambe le lingue”.

*storico

 

(Pubblicato su Il Sardegna dell’11-10- 2008)

 

 

 

 

Tre posizioni intorno alla lingua.

 


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di  Francesco  Casula*

 

Il detto latino “Tertium non datur” non è adatto per descrivere le posizioni che sono in campo in merito al Sardo, che non sono dunque due ma tre: ai favorevoli e ai contrari bisogna infatti aggiungere quelli “chi non narant emmo ma mancu nono de su totu, ma “Ni”. Non sunt feminas ma mancu mascros: sunt viados, pedrumascros.

Questa posizione, nel passato, in molti Convegni e Giornali è stata presentata così: ”Valorizzazione sì, ufficializzazione no”. Con essa sono ancora d’accordo molti intellettuali sardi, un’intera schiera di docenti universitari, soprattutto di sinistra. Secondo loro sa limba, serve solo per parlare e scrivere di “ contos de foghile o peus de burrumballimines” e non invece di questioni che attengono alla “cultura alta”. “Sarebbe assurdo –ha scritto uno di loro- o, nella migliore delle ipotesi, comico, pensare di usare le parlate locali per la matematica, la fisica e la filosofia”.

Al massimo si può insegnare nelle scuole inferiori ma non certo all’Università. Tanto meno può diventare lingua veicolare e “ufficiale”, da utilizzare nei media, nell’insegnamento, nella Pubblica Amministrazione. Anche perché sarebbe “povera” e incapace di esprimere la “modernità”

Una risposta a questi “ballallois” la dà Leibniz – il grande filosofo tedesco- secondo cui non c’è lingua povera che non sia in grado di esprimere tutto.

Ma soprattutto risponde il più grande studioso del bilinguismo a base etnica J. F. Fishman, (In “Istruzione bilingue”, Ed. Minerva Italica, 1972) che così scrive: “Ogni e qualunque lingua è pienamente adeguata a esprimere le attività e gli interessi che i suoi parlanti affrontano. Quando questi cambiano, cambia e cresce anche la lingua. In un periodo relativamente breve, qualsiasi lingua precedentemente usata solo a fini familiari, può essere fornita di ciò che le manca per l’uso nella tecnologia, nell’Amministrazione Pubblica, nell’Istruzione”.

E nei giornali, nelle Radio e TV, aggiungo io. Perché non basta imparare una lingua occorre parlarla, scriverla, ascoltarla. Bene dunque ha fatto Rai Sardegna a dedicare ogni settimana (Lunedì, Mercoledì e Sabato) una trasmissione di 25 minuti al Sardo. Si è iniziato il 29 Settembre con Addisora (di Giovanni Carroni e Cristina Maccioni) e si è proseguito con Bachisio Bandinu. Ogni Sabato si parlerà di Letteratura in limba: da Cantu Biddanoa di Lobina a Sos Laribiancos di Masala.

*storico

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 4-10-2008)

 

 

Quel ferro vecchio di Stato unitario.

 

SARDEGNA ALL’APPUNTAMENTO COL FEDERALISMO

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di Francesco Casula

 

E’ partito il treno del federalismo: il Consiglio dei Ministri il 3 Ottobre ha approvato il disegno di legge sul federalismo fiscale. Esso è frutto del confronto fra il Governo e la Conferenza unificata degli Enti locali (Regioni, Province, Comuni e Comunità montane) ed ha avuto un giudizio positivo “sui principi” da parte delle Regioni che si sono però riservate di verificare l’attuazione delle norme.

Sul testo è giusto fare critiche, proporre emendamenti –come hanno annunnciato Province e Comuni- un dato comunque bisogna riconoscere: è un bene che il processo e il progetto per costruire uno Stato federale sia finalmente partito, avendo il sostanziale avallo di tutte le parti politiche. Ricordo che quando nell’Assemblea Costituente (II sottocommissione) si discuteva dei problemi riguardanti la struttura dello Stato e le autonomie locali, Lussu –con il suo Partito, il PSD’Az- si ritrovò solo nel difendere lo stato federale contro l’unitarismo centralista. Oggi, a 60 anni di distanza, pare che tutti di destra, di centro e di sinistra si siano convertiti. Occorre prenderne atto con favore: lo Stato unitario e centralista infatti, è ormai da considerarsi un ferro vecchio inutilizzabile e inservibile.

Non è un caso che in tutti questi anni passati, prima di arrivare alle decisioni odierne, vi siano stati una pluralità di pronunciamenti in direzione anticentralista: iniziò Miglio –allora teorico della Lega- a sostenere che “solo una repubblica regionale a fortissima autonomia può garantire un sano e regolare sviluppo dell’economia”. Proseguì Napolitano –allora Presidente della Camera: “Occorre riscrivere l’art.117 della Costituzione per una riforma in senso regionalista dello Stato perché mi pare difficile mantenere uno Stato centralista”. E poi ancora Sabino Cassese –già ministro della Funzione Pubblica: “Sono le stesse condizioni della Pubblica amministrazione a imporre un radicale cambiamento in senso regionalistico dello Stato. Bisogna rovesciare la Piramide: dopo la riforma al centro non resterà quasi nulla, solo alcune funzioni importanti come l’ordine pubblico, la politica estera, la difesa. Al centro ci saranno funzioni di supporto, tutto il resto deve essere decentrato”.

Altrettanto non è un caso che 18 dei 37 stati nazionali europei abbiano una struttura federale e altri paesi unitari discutano se imboccare quella strada.

C’è chi sospetta e paventa che il federalismo potrebbe prosciugare i flussi finanziari verso il sud, dando vita a due Italie: una sviluppata, quella del Nord, con servizi efficienti e con opportunità di lavoro e di benessere e l’altra, quella del Sud, più povera e penalizzata.

Ma perché non dire che tale divisione è in atto ed è frutto proprio dello Stato centralista? Ricordando, per esempio che il reddito pro capite dei lombardi è doppio di quello dei calabresi; che il tasso di occupazione della forza lavoro è ormai strutturalmente diversa: se al centro-nord lavora il 65/70% dei cittadini fra i 18 e i 64 anni, al Sud la quota scende al 42/50%; che altrettanto uguali sono le divergenze scolastiche? Ricordo che i risultati dei test “Pisa” sulle conoscenze matematiche indicano che gli studenti del nord-est ottengono un punteggio del 25% superiore rispetto a quelli del sud e che le differenze di istruzione si manifestano fin dai primi anni di vita e si amplificano con il procedere degli studi.

E perché non porsi anche il problema che i trasferimenti finanziari al sud hanno fatto sì che nelle regioni meno avanzate non si sviluppasse l’iniziativa imprenditoriale,  mentre il federalismo potrebbe introdurre una logica di responsabilità e razionalità nella gestione delle risorse pubbliche e a cascata di quelle private?

Caso mai la critica da fare è un’altra: non può esistere un federalismo fiscale senza un federalismo tout court, ovvero senza un federalismo costituzionale. E non ci può essere un prima e un dopo ma un insieme  che ridefinisca la forma stessa dello Stato per far vivere quell’Italia articolata che si vuole. Il problema che abbiamo dunque davanti è procedere speditamente verso la costruzione di uno Stato federale.

C’è da chiedersi a questo punto cosa stia facendo la classe politica sarda per  salvaguardare, all’interno del nuovo Stato federale la “specialità” dell’Isola. Continuerà ad essere neghittosa, litigiosa e imbelle come nel passato oppure, con un colpo di reni, riuscirà a presentarsi unita e concorde per ricontrattare il nuovo rapporto fra Sardegna e Stato Italiano?

 

(Pubblicato sull’Unione Sarda del 16-10-08)