CONTRO IL MAGGIORITARIO, PROPORZIONALE PURO

 

LEGGE ELETTORALE

 

VIA LA “PORCATA”

 

PROPORZIONALE

 

E PREFERENZA

 

 

 

DI FRANCESCO CASULA

 

L’attuale legge elettorale, utilizzata nelle elezioni del 2008, contiene tre elementi fortemente antidemocratici. Primo: non ha permesso all’elettore di scegliere i propri rappresentanti. Questi, di fatto, sono “nominati” dagli oligarchi dei Partiti: il cittadino, mancando il  voto di preferenza, deve solo stabilire le quote spettanti ai partiti stessi. Secondo: grazie allo sbarramento (4%) vengono estromesse dal Parlamento forze politiche storiche come i radicali (costretti a intrupparsi nel Pd per continuare a esistere); i Partiti che rappresentano le minoranze etno- linguistiche (fra cui quella sarda); l’intera Sinistra: dai Socialisti a Rifondazione (che pure raggiunge circa due milioni di voti); la Destra (con un milione di voti). Terzo: assegna uno smisurato premio di maggioranza alla coalizione che ha preso più voti. A prescindere dalla percentuale.

 

Come ognuno può avvedersi si tratta di una legge che lede acutamente il principio di rappresentanza, tanto che molti costituzionalisti ritengono che contenga elementi di anticostituzionalità. Una legge di fronte alla quale, quella passata alla storia come “legge truffa”, eccelle per democrazia. De Gasperi nel 1953, per garantire alla DC e ai suoi alleati una maggioranza su una linea centrista, fece approvare in Parlamento –fra le aspre critiche della Sinistra che durante il dibattito fece ricorso anche all’ostruzionismo- una legge che assegnava il 65% dei seggi alla Camera, al partito o al gruppo di partiti apparentati che avessero raggiunto il 50% più 1 dei voti.

 

Ma risulta più democratica persino la legge fascista del 1923, soprannominata “legge Acerbo” dal nome del proponente. La legge fu studiata per consolidare definitivamente il fascismo decapitando le opposizioni parlamentari, e accrescere il potere esecutivo. Essa infatti, con l’adozione del principio maggioritario assegnava due terzi dei seggi alla Camera (cioè 356) alla lista che avesse ottenuto il maggior numero dei voti e il restante terzo, da ripartire su base proporzionale, alle liste rimaste soccombenti.

 

“La porcata” occorre dunque spazzarla via. Ma non con un referendum che resusciti il vecchio sistema uninominale: ugualmente lesivo della rappresentanza. Quello che occorre è un sistema proporzionale, con la preferenza. Senza premi di maggioranza e senza sbarramenti di sorta: una testa, un voto.

 

 

 

Pubblicato su Sardegna quotidiano del 30-8-2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIULIANO AMATO E LA SARDEGNA

 

POLEMICHE ESTIVE

 

AMATO, I SARDI

 

E QUEL TITANIC

 

DEL VELINISMO

 

 

 

di FRANCESCO CASULA

 

Il Dottor Sottile –più noto come Dracula o Topolino-  s’impanca spesso maître à penser su tutto e su tutti: Sardi e Sardegna compresa. Ma non gliene va bene una.

 

Così  l’anno scorso, al Convegno tenutosi a Cagliari per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, affermò: “Qui nella vostra Isola si discute di sovranità da affermare. Per me che sono un giurista costituzionalista fa rabbrividire che la sovranità venga attribuita a una parte del popolo e non all’intera nazione”. I “brividi” amatiani potrebbero essere liquidati semplicemente ricordandogli che la sovranità che i Sardi rivendicano attiene alla Nazione sarda e dunque all’intero popolo sardo. Ma lui, evidentemente, confondendo Stato con Nazione, con una visione tipicamente e biecamente ottocentesca e ormai superata, pensa ai sardi non come popolo specifico e come Nazione autonoma ma come parte indistinta del popolo italiano e della stessa nazione italiota. Ma sarebbe arretrato anche all’interno di queste coordinate culturali e politiche. Amato avrebbe dovuto infatti sapere, che nell’ottica e nella sagomatura dello Stato federalista verso cui si marcia –con la sostanziale condivisione di tutte le parti politiche- la sovranità non è unica né è posta solo negli organi centrali dello Stato ma è divisa fra Stato federale e Stati particolari –o regioni che dir si voglia- e ognuno la esercita di pieno diritto.

 

Mentre al recente Meeting di Rimini Amato ha affermato: “C’è troppa Sardegna nella vita politica italiana”. Poiché anche i gatti sanno che la Sardegna e la Questione sarda, da anni e anni ormai è stata derubricata e cancellata dall’Agenda politica dei Governi e dello Stato italiano, ci hanno spiegato che occorreva interpretare quella frase in senso metaforico: con essa intendeva puntare il dito contro il cosiddetto “velinismo”, gli yacht, Porto Rotondo. Il che aggrava non assolve la sua affermazione. C’è infatti da chiedersi: che c’entra la Sardegna con le veline sculettanti e il turismo di lusso? Con la satrapica opulenza degli esseri che formano la clientela delle tanche edeniche della Costa Smeralda? Che è semplicemente –ha scritto Eliseo Spiga- “un paravento di lusso ripugnante, un salone scintillante del Titanic in affondamento”? Anzi più di un paravento, un monumento rovesciato alle ingiustizie e alle sofferenze di tanti, in Sardegna e non solo?

 

Pubblicato su Sardegna quotidiano del 26-8-2011

 

ABOLIRE I PICCOLI COMUNI?

 

 

 

CONTRO I TAGLI

 

ORA TUTTI UNITI

 

DIFENDIAMO

 

I NOSTRI COMUNI

 

di FRANCESCO CASULA

 

Il proposito governativo di accorpare i piccoli comuni, semplicemente per fare cassa, è insano e perverso. E, per quanto attiene alla Sardegna, sarebbe la premessa del suo annientamento: culturale e identitario, prima ancora che economico-sociale. Se quel proposito passasse, circa un terzo dei paesi sardi ((sono 118 su 377 i comuni con una popolazione inferiore ai 1000 abitanti)) sarebbe a rischio di morienza. E se si desse ascolto al serafico Formigoni, che ha proposto addirittura l’accorpamento dei comuni con meno di 5000 abitanti, in Sardegna ne “sopravviverebbero” 55! Sono infatti ben 322 quelli con una popolazione inferiore ai 5000 abitanti.

 

Per combattere i costi della politica, si afferma.  Ma di quali costi e sprechi stiamo parlando? –si chiede polemicamente Umberto Oppus, colto sindaco di Mandas e combattivo Direttore regionale dell’ANCI Sardegna. A fare i conti si fa presto, dichiara: tagliare i consigli comunali nei paesi con meno di 1000 abitanti, comporterebbe un risparmio di poco più di 1000 euro all’anno. Che, moltiplicato per i 118 centri a rischio, fa circa 120mila euro. Troppo poco per mettere a rischio diritti fondamentali quali la rappresentanza democratica o, ancora peggio, innescare rivalità.

 

Parliamo dunque di un “risparmio” risibile. A fronte degli immani sprechi della politica che si annidano nei milionari rimborsi elettorali ai Partiti –ma un referendum non aveva bocciato il finanziamento ai Partiti?-, nei sontuosi emolumenti ai parlamentari, nelle consulenze strapagate, negli Enti inutili, nelle sponsorizzazioni clientelari. A proposito: a qual fine i 100.000 euro regalati dalla Regione a C. L per il suo meeting a Rimini?

 

I paesi sardi –piccoli o grandi poco importa- sono bastimenti carichi di storia, di riti e tradizioni, di cultura materiale e immateriale; sono un incunabolo dell’identità etno-nazionale, culturale e linguistica dei Sardi; rappresentano molta parte del patrimonio di comunitarismo, solidarismo e ospitalità: valori alti e immarcescibili che hanno caratterizzato la nostra peculiare storia e civiltà. Dovremmo perderli perché alcuni gerarchi romani e milanesi hanno deciso di raschiare qualche migliaia di euro dai nostri Comuni? No, questa volta, non prevalebunt! Ma per questo è necessaria l’unità e la concordia dei Sardi per respingere al mittente la provocatoria decisione.

 

 

 

Pubblicato su Sardegna Quotidiano del 22-8-2011

 

 

 

Abolire le Province o le Regioni?

 

Il COMMENTO

 

La Provincia

 

Può sparire

 

Ma la Regione

 

Non si tocca

 

 

 

di Francesco Casula

 

Dalla discussione sui costi della politica sono emerse posizioni bizzarre. Così il giornalista Vittorio Feltri ha sostenuto che se non fosse possibile sopprimere le Province occorrerebbe eliminare le Regioni. Più o meno sulla stessa linea il presidente della Provincia di Olbia-Tempio che propone il :”taglio sì, ma della Regione e della contestuale istituzione di tre province autonome e della città metropolitana di Cagliari”.

 

Nostalgia dei Savoia e del Fascismo, quando appunto lo Stato accentrato “governava” centralisticamente i territori attraverso le province e i prefetti? O semplici boutades? A mio parere semplicemente sciocchezze sesquipedali. Ciclopiche. ”La regione in Italia è una unità morale, etnica, linguistica e sociale, la più adatta a diventare unità politica… La provincia al contrario non è che una superficiale e forzata costruzione burocratica. La provincia può sparire come è venuta, in un sol giorno, la regione rimane. La terra, il clima, le acque, la posizione geografica, antiche influenze commerciali, rapporti e attitudini particolarmente sviluppati da tempo, contribuiscono a dare a ogni regione una sua economia caratteristica e quindi una vita sociale chiaramente distinta”: così Lussu in un magistrale saggio sul federalismo pubblicato nel lontano 1933 ma ancora oggi attuale.

 

Piuttosto il problema all’ordine del giorno è come fare della regione una “unità politica”, specie nella prospettiva di uno Stato federale. Da questo punto di vista mi pare interessante la posizione di Formigoni, presidente della Lombardia che ha proposto regioni più grandi,con più poteri, attraverso l’accorpamento di alcune di esse, secondo un modello che ricalca il dibattito sui Lander in Germania. Proposta –dicevo- interessante ma non originale: Gramsci ne parlava già agli inizi del secolo scorso. Soprattutto grazie alle sue sollecitazioni infatti il Congresso di Lione (1926) e di Colonia (1931) -che sanciranno nel suo Partito una linea federalistica- parleranno di quattro repubbliche federate: Repubblica del nord, Repubblica del sud, Repubblica sarda e Repubblica siciliana. Con il dissenso di Lussu, che scriverà: Repubblica sarda e repubblica siciliana sta bene, ma il resto? Si può dividere l’Italia continentale nettamente i due sole parti, Nord e Sud? E dove finisce il Nord e incomincia il Sud? Interrogativi non banali.

Pubblicato come editoriale sulla prima pagina di Sardegna quotidiano del 15-8-11

 

 

 

 

 

Abolire le Province o le Regioni?

 

Il COMMENTO

 

La Provincia

 

Può sparire

 

Ma la Regione

 

Non si tocca

 

 

 

di Francesco Casula

 

Dalla discussione sui costi della politica sono emerse posizioni bizzarre. Così il giornalista Vittorio Feltri ha sostenuto che se non fosse possibile sopprimere le Province occorrerebbe eliminare le Regioni. Più o meno sulla stessa linea il presidente della Provincia di Olbia-Tempio che propone il :”taglio sì, ma della Regione e della contestuale istituzione di tre province autonome e della città metropolitana di Cagliari”.

 

Nostalgia dei Savoia e del Fascismo, quando appunto lo Stato accentrato “governava” centralisticamente i territori attraverso le province e i prefetti? O semplici boutades? A mio parere semplicemente sciocchezze sesquipedali. Ciclopiche. ”La regione in Italia è una unità morale, etnica, linguistica e sociale, la più adatta a diventare unità politica… La provincia al contrario non è che una superficiale e forzata costruzione burocratica. La provincia può sparire come è venuta, in un sol giorno, la regione rimane. La terra, il clima, le acque, la posizione geografica, antiche influenze commerciali, rapporti e attitudini particolarmente sviluppati da tempo, contribuiscono a dare a ogni regione una sua economia caratteristica e quindi una vita sociale chiaramente distinta”: così Lussu in un magistrale saggio sul federalismo pubblicato nel lontano 1933 ma ancora oggi attuale.

 

Piuttosto il problema all’ordine del giorno è come fare della regione una “unità politica”, specie nella prospettiva di uno Stato federale. Da questo punto di vista mi pare interessante la posizione di Formigoni, presidente della Lombardia che ha proposto regioni più grandi,con più poteri, attraverso l’accorpamento di alcune di esse, secondo un modello che ricalca il dibattito sui Lander in Germania. Proposta –dicevo- interessante ma non originale: Gramsci ne parlava già agli inizi del secolo scorso. Soprattutto grazie alle sue sollecitazioni infatti il Congresso di Lione (1926) e di Colonia (1931) -che sanciranno nel suo Partito una linea federalistica- parleranno di quattro repubbliche federate: Repubblica del nord, Repubblica del sud, Repubblica sarda e Repubblica siciliana. Con il dissenso di Lussu, che scriverà: Repubblica sarda e repubblica siciliana sta bene, ma il resto? Si può dividere l’Italia continentale nettamente i due sole parti, Nord e Sud? E dove finisce il Nord e incomincia il Sud? Interrogativi non banali.

Pubblicato come editoriale sulla prima pagina di Sardegna quotidiano del 15-8-11

 

 

 

 

 

Il caso di Bruno Bellomonte

 

CARCERI E CAMERE

 

GLI ONOREVOLI

 

GARANTISTI

 

DEL FAI-DA-TE

 

di Francesco Casula

 

Le carceri italiane scoppiano. Con 69 mila internati. Di cui quasi la metà, 30 mila, in attesa di giudizio: una vero e proprio fenomeno forcaiolo e liberticida. Nonostante le permanenti chiacchiere sulla riforma della giustizia: da 20 anni. E sul garantismo. Che pare avere nutriti stuoli di sostenitori, specie fra i parlamentari. Che s’impancano a maestri, del garantismo appunto, spargendolo a piene mani su TV e Giornali. Ma lo rivendicano per pochi: solo per i propri pari. La Camera 92 volte su 100 si è opposta all’arresto di un deputato mentre il Senato addirittura 95 su cento. In nome del garantismo:”prima delle manette bisogna attendere la chiusura dei processi”, hanno sostenuto. Ben detto. E i 30 mila in galera in attesa di giudizio? Non vale per loro, evidentemente. Non sono loro pari. Semplicemente paria. Come Bruno Bellomonte. Sassarese, ex ferroviere, esponente del movimento indipendentista A Manca. Arrestato il 10 Giugno 2009, si trova attualmente nel carcere di Catanzaro. In violazione della Legge 345/75 e del Protocollo d’intesa tra la Regione Sarda e il Ministero della Giustizia del 7/2/2006 sulla territorialità della pena, affinché la detenzione preventiva in un luogo distante dalla residenza della famiglia non divenga una pesante pena aggiuntiva. Tutte le richieste di trasferimento in un carcere sardo sono state negate con la solita e laconica formula: “ragioni di opportunità penitenziaria”. A Bellomonte è stato negato anche il diritto di votare sia alle elezioni a cui era candidato sindaco a Sassari, sia al recente referendum sardo contro il nucleare. E’ accusato di un piano eversivo, che l’accusa ricostruisce sulla base dell’intercettazione di una conversazione fra lui e certo Fallico, sospettato di essere brigatista. La difesa contesta l’attendibilità delle intercettazioni. Bellomonte si è sempre proclamato innocente. A sostenere la sua innocenza ci sono anche i compagni indipendentisti: il 20 Luglio scorso Bustianu Cumpostu di Sardigna Natzione e Cristiano Sabino di A Manca, a Roma, davanti alla corte giudicante, hanno sostenuto che il sindacalista sassarese era impegnato nel 2009 non in un piano eversivo ma nella costruzione di un pacifico controvertice delle Nazioni senza stato, rispetto al G8 della Maddalena. Sia come sia: che si faccia subito il processo e che venga trasferito in Sardegna.

 

 

 

 

 

Pubblicato su Sardegna Quotidiano del 12-8-2011

 

 

 

 

 

Partiti e marketing

 

 


 

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Sardegna Quotidiano 7-agosto 2011

BEL (?) PAESE.

TRA I GERARCHI

DI QUESTA ITALIA

ALL’AMERICANA

di Francesco Casula

Bossi:la guerra in Libia? L’ha voluta Napolitano. Bersani: le accuse a Penati? Fango sul Pd. Berlusconi: i processi contro di me? Li vogliono i giudici comunisti. E via via elencando. C’è da credergli? Adelante, Pedro, con juicio: direbbe Manzoni. Siamo infatti di fronte a un marketing mediatico neppure troppo velato. Siamo davanti a un sistema politico, che da un po’ di tempo tende sempre più a modernizzarsi, “americanizzandosi”. Con il ricorso a un uso più consolidato e più spregiudicato dei nuovi mezzi di comunicazione, di tecniche più sofisticate di psicologia di massa, di linguaggio, di controllo dell’informazione. Attraverso tali tecniche e linguaggi, Partiti, uomini politici, messaggi e programmi vengono “venduti” prescindendo dai contenuti: quello che conta e che si valorizza –come in tutte le operazioni di marketing– è la confezione, l’involucro. Berlusconi  Bersani  Bossi Di Pietro, come Fini Casini e lo stesso Vendola, vengono scelti e votati in quanto immagini rappresentative e simboliche del moderno autoritarismo e del gioco simulato, dietro tecniche di comunicazione, in larga misura mutuate dalla pubblicità. La politica si svuota così di contenuti – restano solo quelli simulati – e diventa pura e asettica gestione del potere: il conflitto tra i Partiti – più apparente che reale – diventa lotta fra gruppi, spesso trasversali, in concorrenza fra loro per assicurarsi questa gestione. La battaglia politica perciò diventa priva di “telos”, di finalità. E poiché i gruppi politici si battono fra loro avendo come unico scopo la conquista e la gestione del potere e l’occupazione di Enti, di qualsivoglia genere – da quelli bancari a quelli culturali – purché rendano in termini di soddisfacimento degli appetiti plurimi dei “clienti” più fidati (e servili), idee politiche, ideologie, programmi e progetti si riducono a pura simulazione: sono effimeri e interscambiabili. Tanto che qualche anno fa i due “poli” di centro-destra e di centro-sinistra si scambiarono reciproche accuse di plagio dei programmi. La politica diventa autonoma dunque non solo dall’etica ma dall’intera società e si riduce a “gioco” simulato e insieme a “mestiere” (ben remunerato) per “professionisti”: non a caso nasce il termine “i politici”. Peraltro, non più scelti e votati dagli elettori ma “nominati” e infeudati dai gerarchi dei Partiti.