Un’articulu in limba sarda subra sa netzessidade de imparare e faeddare su Sardu

Bilinguismu in familia, in iscola e foras.

di Francesco Casula

Finas a una barantina de annos faghet sa Limba sarda s’imparaiat in familia. Oe su prus de sos babos e sas mamas su Sardu non lu faeddant e duncas sos figios non l’imparant. E tanto? Tando toccat de l’imparare in iscola, comente sutzedit pro totu sas limbas. Finas a eris fiat prus difitzile proite no lu proibiant. Galu in su 1976 su Ministeriu de sa Publica istrutzione, un una nota riservada cumbidaiat sos Presides a “controllare eventuali attività didattiche-culturali riguardanti l’introduzione della Lingua sarda nelle scuole”. E un’atera nota, in su matessi annu,de sa Presidentzia de su Consigiu, los prejait a los ischedare comente chi esserent delincuentes.

Oe sas cosas comintzant a cambiare: b’est una sensibilidade nova. E, mescamente tenimus lees a favore: sa 26 de sa Regione sarda; sa 482 de s’Istadu. In prus s’Autonomia iscolastica permitit chi mastros e professores potant dedicare, si cherent, su 15% de sas oras curriculares a s’Istoria, sa Limba e sa Cultura sarda. Sa 482 prevedit peri chi si potat impreare su sardu comente limba veicolare, pro insegnare totu sas materias ca, comente iscriet unu linguista mannu,  Renzo Titone, “l’insegnamento della lingua come materia a sé, non produce effetti significativi, se la lingua non è usata come strumento di insegnamento di altre materie e come mezzo per l’espletamento delle attività ordinarie, ossia come mezzo di comunicazione nelle situazioni di vita”.

Duncas toccat de imparare su Sardu e, in Sardu. Ma non bastat. Essidos dae iscola sos giovanos sa Limba la depent faeddare, leghere, iscriere, intendere, bidere. Si nono est una limba morta. Comente su latinu, su grecu e sas ateras limbas chi s’imparant in sas iscolas ma non s’impreant in sa vida de cada die. Pro custu est netzessariu s’impreu sotziale de su sardu: in sos ufitzios, in sos giornales, in sas televisiones, in sas retes informaticas, in sos medios eletronicos, in sa publicidade e in sa toponomastica. Comente una limba “normale”, paris cun s’Italianu. Coufitziale. Custu est su Bilinguismu perfetu, pro chi ant gherradu gente comente a Lilliu, Antoni Simon Mossa, Eliseu Spiga, Antoneddu Satta, Elisa Nivola.

De custa chistione si nd’at a faeddare su 2 de Nadale in Norghiddo (16.30, sala consiliare) in unu Cunvegnu ordinzadu dae sos Comunes de Abbasanta, Aidumajore, Ilartzi, Norghiddo, Soddie e Tadasune. 

Pubblicato su Sardegna quotidiano del 30-11-2011

      

 

 

PRO SA LIMBA SARDA: NUDDA! LO 0,40% DELL’INTERO BILANCIO DELL’ASSESSORATO REGIONALE ALLA CULTURA!

LINGUA SARDA

INTERRATA

DALLA REGIONE

di Francesco Casula

L’attuale maggioranza al Consiglio regionale, alla base del suo programma, aveva come elementi fondamentali  l’Identità e  la Lingua sarda. Che il Presidente Cappellacci, alla fine del 2009, al Congresso sardista aveva ribadito con forza sostenendo:”abbiamo programmaticamente privilegiato i temi della lingua, cultura ed eredità culturale dei sardi come   «fattori di distintività»   in quanto essi conferiscono un’importanza decisiva alle tematiche per il radicamento del senso d’appartenenza. Mi piace ricordare, in questo senso, come nel recente Programma Regionale di Sviluppo, abbiamo inserito per la prima volta la Lingua sarda come fattore di sviluppo… per poter definire l’impegno di adeguate risorse, sostenendo economicamente i nuovi scenari organizzativi e le modifiche legislative necessarie, realizzando l’obiettivo dell’ingresso non più subalterno e residuale della lingua sarda nelle scuole all’interno dell’orario curricolare, previa formazione degli insegnanti e con la creazione di nuova occupazione”. Chiacchiere.

Ecco i dati del Bilancio 2011 sugli investimenti culturali dell’Assessorato della Pubblica Istruzione: 94 milioni di euro (Servizio istruzione); 61 milioni (Servizio formazione superiore e Università); 47 milioni 880 mila (Spettacolo, sport, editoria e cinema); 26 milioni 776 mila (Beni culturali); 11 milioni 705 mila (Biblioteca e beni librari); 1milione 10 mila (Affari generali); 2 milioni 788 mila (Lingua e cultura sarda): a questa cifra va sottratto Il contributo Statale  della legge 482/99 pari a Euro 1.500.000 più gli importi per Sa Die de Sa sardigna e a interventi di natura culturale (non linguistica) pari a euro  350.000, per un totale di euro 1.850.000 e tocca aggiungere 50.000 arrivati con il collegato.

Pertanto se sottraiamo a 2.788.000 la somma di 1.850.000 otteniamo la cifra di 988.000 euro che è quanto la Regione spende in un anno per la sua politica linguistica. Rispetto a 245.159.000 euro di totale disponibile dell’Assessorato, 988.000 rappresenta lo 0, 40% del totale della cultura in Sardegna. C’è di più: nella prossima finanziaria vogliono “tagliare” su quello 0,40. E, per interrare definitivamente qualsiasi politica linguistica, è stato rimosso dal suo incarico Giuseppe Corongiu, direttore del Servizio lingua e cultura sarda. Che evidentemente dava fastidio ai becchini del Sardo.

Pubblicato su Sardegna quotidiano del 26-11-2011

 

 

UNA BELLA NOVA: BRUNO BELLOMONTE E’ LIBERO

UNA GIUSTIZIA

PER TUTTI I BELLOMONTE

di Francesco Casula

Bruno Bellomonte,images.jpg ferroviere e sindacalista di Sassari, è libero. Dopo ben 29 mesi di carcerazione preventiva. E’ stato assolto dall’accusa di terrorismo dalla prima Corte d’Assise di Roma perché il fatto non sussiste. Il Pubblico Ministero aveva addirittura chiesto 10 anni e 7 mesi di reclusione.

Per tutti quelli che hanno sempre scommesso sulla sua innocenza, per tutti i Sardi, per tutti i democratici è una splendida notizia: finalmente un po’ di giustizia giusta. Era stato  accusato di avere progettato un attentato al G8 di La Maddalena. Il piano sarebbe consistito nel dirigere un aerino telecomandato e carico di esplosivo verso la sede in cui si sarebbero riuniti i potenti della Terra. Accusa ridicola e fantasiosa, frutto di un teorema accusatorio strampalato, non comprovato da alcuna prova. Accusa contestata  e respinta da Bellomonte e non solo, insieme alle altre  ipotesi accusatorie, surrogate sostanzialmente da vacue interpretazioni di alcune intercettazioni telefoniche. Di qui l’assoluzione. Bene. Ma, a questo punto, ci sarà qualcuno che finalmente pagherà per la mala giustizia? Chi restituirà a Bellomonte i due anni e mezzo di internamento nelle carceri di mezza Italia? In violazione della stessa Legge, la 345/75 e del Protocollo d’intesa tra la Regione Sarda e il Ministero della Giustizia del 7/2/2006 sulla territorialità della pena? Chi lo risarcirà per le accuse infamanti e infanganti di terrorismo? Chi risarcirà la moglie e i parenti costretti a sacrifici e spese immani per poterlo visitare nei lunghissimi 29 mesi nelle galere italiane a Roma, Catanzaro, Viterbo ecc. ? Che cosa farà adesso Trenitalia che, con disarmante e sospetto tempismo, gli ha recapitato in carcere la lettera di licenziamento per assenteismo? La smetteranno finalmente con le perquisizioni, continue e improvvise nei confronti di organizzazioni politiche – come A Manca pro s’Indipendentzia, di cui è dirigente Bellomonte – ree solo, fino a prova contraria, di condurre una battaglia di opposizione e di dissenso politico, sia pure estremo e radicale? Veramente si potrà ulteriormente tollerare che le libertà individuali e collettive vengano compromesse o azzerate con pedinamenti asfissianti, continue perquisizioni, cimici allocate ovunque, controlli telefonici? Senza che tale accanimento abbia uno straccio di motivazioni plausibili? 

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Pubblicato su Sardegna quotidiano del 23-11-2011 

 

 

Cose Sarde


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del 21 novembre 2011

 

E IN COMMISSIONE

VALE SOLTANTO

IL DIKTAT DI ROMA

di Francesco Casula

Pacta servanda sunt, recita

un antico adagio latino.

Integrato e completato

da unu diciu sardu: sa

paraula si mantenet. Sottendono

ambedue un valore tipico

della civiltà latina e sarda: la necessità

di tener fede alla parola data e

di mantenere le promesse fatte. Tale

valore non sembra albergare nel

nostro Consiglio regionale. Che

pure dovrebbe essere abitato dagli

aristoi o, per rimanere a casa nostra

senza scomodare il lessico greco,

dai boni homines della Carta De

Logu. Insomma dai migliori: dae

sos omines de gabbale, di valore.

Ma evidentemente, vieppiù, la selezione

dei politici, è al contrario.

Capita così che nel Parlamento sardo,

la più alta espressione della nostra

rappresentanza, la parola data

è deprivata del suo valore. Questi i

fatti. Nella Regione Sardegna a metà

consiliatura devono essere rinnovate,

per regolamento, le commissioni

consiliari. L’intera opposizione

definisce un accordo globale

riguardanti le stesse, per

quanto attiene alle vicepresidenze.

Per la seconda (Diritti civili ed emigrazione)

viene scelta e designata

Claudia Zuncheddu. Che puntualmente

onora l’accordo permettendo

ai consiglieri del Pd di essere

eletti vicepresidenti in diverse

commissioni e non solo. Gli stessi

invece non mantengono l’i m p egno:

votano un consigliere del

Pdci. Cos’è successo? È lo stesso

capogruppo del Pd, Giampaolo

Diana a rivelarcelo, candidamente:

“Abbiamo ricevuto tutti una lettera

del leader del Pdci, Oliviero Diliberto,

che ci segnalava come il suo

partito contava sulla riconferma di

Ben Amara”.

Naturalmente alle segreterie romane

non si può dir di no e dunque gli

ordini da loro imposti valgono più

degli accordi presi in Sardegna: viene

eletto Ben Amara e non Zuncheddu.

E la parola data? Carta

straccio. E le pompose affermazioni

sull’autonomia politica del Pd

dalle centrali italiane? Chiacchiere.

Nella migliore tradizione dei sudditi

o, se ci aggrada di più, degli

yes-man sempre proni e servili di

fronte al capo. Inaffidabili. E sarebbero

questi l’alternativa al moriente

sistema e regime berlusconiano?

E che dire di Diliberto, leader della

sinistra dura, pura, e moralizzatrice?

Forse le lunghe e assidue frequentazioni

del potere e dei potenti

lo hanno trasformato a tal punto

che anche lui mutua dai suoi avversari

politici i peggiori costumi:

anche lui si adatta all’accozzo e alla

raccomandazione. Triste.

truncare. myblog. it

GLI YES-MAN DEL PD E GLI ACCOZZI DI DILIBERTO

E IN COMMISSIONE VALE SOLTANTO IL DIKTAT DI ROMA

di Francesco Casula

Pacta servanda sunt, recita un antico adagio latino. Integrato e completato da unu diciu sardu: sa paraula si mantenet. Sottendono ambedue un valore tipico della civiltà latina e sarda: la necessità di tener fede alla parola data e di mantenere le promesse fatte. Tale valore non sembra albergare nel nostro Consiglio regionale. Che pure dovrebbe essere abitato dagli aristoi o, per rimanere a casa nostra senza scomodare il lessico greco, dai boni homines della Carta De Logu. Insomma dai migliori: dae sos omines de gabbale, di valore. Ma evidentemente, vieppiù, la selezione dei politici, è al contrario. Capita così che nel Parlamento sardo, la più alta espressione della nostra rappresentanza, la parola data è deprivata del suo valore. Questi i fatti. Nella Regione Sardegna a metà consiliatura devono essere rinnovate, per regolamento, le commissioni consiliari. L’intera opposizione definisce un accordo globale riguardanti le stesse, per quanto attiene alle vicepresidenze. Per la seconda (Diritti civili ed emigrazione)  viene scelta e designata Claudia Zuncheddu. Che puntualmente onora l’accordo permettendo ai consiglieri del Pd di essere eletti vicepresidenti in diverse commissioni e non solo. Gli stessi invece non mantengono l’impegno: votano un consigliere del Pdci. Cos’è successo? E’ lo stesso capogruppo del Pd, Giampaolo Diana a rivelarcelo, candidamente: “Abbiamo ricevuto tutti una lettera del leader del Pdci, Oliviero Diliberto, che ci segnalava come il suo partito contava sulla riconferma di Ben Amara”.

Naturalmente alle segreterie romane non si può dir di no e dunque gli ordini da loro imposti valgono più degli accordi presi in Sardegna: viene eletto Ben Amara e non Zuncheddu. E la parola data? Carta straccio. E le pompose affermazioni sull’autonomia politica del Pd dalle centrali italiane? Chiacchiere. Nella migliore tradizione dei sudditi o, se ci aggrada di più, degli  yesmansempre proni e servilidi fronte al capo. Inaffidabili. E sarebbero questi l’alternativa al moriente sistema e regime berlusconiano? E che dire di Diliberto, leader della sinistra dura, pura, e moralizzatrice? Forse le lunghe e assidue frequentazioni del potere e dei potenti lo hanno trasformato a tal punto che anche lui mutua dai suoi avversari politici i peggiori costumi: anche lui si adatta all’accozzo e alla raccomandazione. Triste.

Pubblicato su Sardegna quotidiano il 21-11-2011

 

La storia locale e il libro “ARBUS TERRA DI CARRI E BUOI” di Francesco Ventaglio

LA STORIA

E LA LEZIONE

DI MARTINI

di Francesco Casula

A Pietro Martini, uno dei padri della storiografia sarda, intenzionato a introdurre fra gli studenti dell’Isola l’insegnamento della Storia sarda, le autorità governative piemontesi risposero che “nelle scuole dello Stato debbasi insegnare la storia antica e moderna, non di una provincia ma di tutta la nazione e specialmente d’Italia”.

Tale concezione, da ricondurre a un progetto di omogeneizzazione culturale, la ritroviamo pari pari anche nelle Leggi sull’istruzione elementare obbligatoria nell’Italia pre e post unitaria: con i programmi scolastici, impostati secondo una logica rigidamente statalista e italocentrica, finalizzati a creare una coscienza “unitaria“, uno spirito “nazionale“, capace di superare i limiti – così si pensava – di una realtà politico-sociale estremamente composita sul piano  storico, linguistico e culturale.

Questo paradigma fu enfatizzato nel periodo fascista, con l’operazione della “nazionalizzazione” dell’intera storia italiana ed è sopravissuta sostanzialmente ancora oggi, con i programmi scolastici che escludono la storia locale. Nonostante le significative posizioni degli storici francesi fin dagli inizi del Novecento  – come Marc Bloch, Lucien le Febvre o Braudel – secondo i quali non vi è una gerarchia di rilevanza fra storia locale e storia generale e solo una storia aperta e senza barriere disciplinari, è capace di valorizzare la vita degli uomini nel tempo e nello spazio, indagando a tutto campo: dalla cantina al solaio.

Ho ripensato a queste problematiche leggendo il libro di FrancescoVentaglio “Arbus, terra di carri e buoi” (che verrà presentato il 18 novembre  alle ore 17 al Montegranatico di Arbus).

Una bella e rigorosa ricerca che rappresenta  una vera e propria sonda infilata nel passato della cittadina del Medio Campidano, che registra segni etnologici e antropologici; un bastimento carico di preistoria, storia e di archeologia, ma soprattutto di riti e tradizioni, di cultura materiale e immateriale; un incunabolo dell’identità etno-nazionale e linguistica dei Sardi.

Un libro prezioso soprattutto per conoscere il paesaggio agrario di Arbus e del suo territorio ma anche del Medio Campidano e della Sardegna intera. L’Autore ambirebbe ad essere letto in modo particolare dai giovani perché – scrive –  “il futuro delle tradizioni potrà rimanere vivo solo se loro lo vorranno”.

Pubblicato su Sardegna quotidiano del 16-11-3011

 

Sardinia in limine mortis

 La Sardegna

è alla fame

e la protesta

va in piazza


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di Francesco Casula

Scioperi generali e scioperi della fame. Quotidiani sit-in davanti ai palazzi del potere. Migliaia di sardi irrompono nelle strade e occupano le piazze. La rivolta dilaga. Diffusa. Ubiquitaria. Contro le caste e le cricche. Contro le politiche del governo sardo e di quello italiano. Contro i radar e il Galsi. Contro la politica da usura e da strozzinaggio delle banche. Contro Equitalia che sequestra le aziende, mettendo sul lastrico intere famiglie.

A protestare, con un obiettivo precipuo: il lavoro, è un intero popolo. E non solo i tradizionali soggetti sociali: operai, pensionati, giovani. Anche chi nel passato non era aduso: la cosiddetta middle class; le partite IVA, i lavoratori autonomi. Assistiamo infatti a una radicale scomposizione delle classi sociali. Verso il basso. Verso una vera e propria proletarizzazione e impoverimento. Di contro aumenta la ricchezza: di pochi. Sempre più ricchi e sempre più pochi. Il dato viene registrato impietosamente dalle fredde statistiche: in Italia il 50% della ricchezza è in mano al 10% della popolazione.

E poi protestano i precari: sempre più numerosi. Senza presente e soprattutto senza futuro. Prodotto di leggi insane. E i disoccupati: ormai al 13%: il doppio della media italiana. Per non parlare dei giovani di cui uno su due non lavora. Con i laureati e le “eccellenze” che emigrano.

E intanto l’intero tessuto produttivo sardo è sostanzialmente in liquidazione: da quello industriale a quello agro-pastorale. E i poveri hanno raggiunto la cifra record: sono 350 mila. Mentre i paesi continuano a spopolarsi ed estinguersi.

E la Sardegna, l’Isola dalle vene d’argento (Argyròflebs) di Platone, un tempo incontaminata, risulta oggi, a parere Greenpeace, la regione più inquinata d’Italia.

A fronte di questi drammi, la politica continua a danzare sull’orlo del baratro: la Giunta regionale sembra interessata più al golf e alla ulteriore cementificazione delle coste che al lavoro dei giovani; il Governo italiano a continuare a taglieggiare le piccole imprese e i già miseri redditi –e diritti- di lavoratori e pensionati.

L’urlo unanime e inconfondibile dei 60 mila allo sciopero di Cagliari era: Basta! Che si cambi radicalmente rotta. La pazienza è finita. Il conflitto sociale, fin’ora contenuto e misurato può debordare pericolosamente. I politici nostrani e italiani ne sono consapevoli?

Pubblicato come editoriale in prima pagina su Sardegna quotidiano del 13-11-2011