U articolo della Nuova Sardegna sulla presentazione del libro “Uomini e donne di Sardegna-Le controstorie”

Da La Nuova Sardegna del 27 gennaio 2011 —   pagina 02   sezione: Cagliari

Da Amsicora a Deledda, i grandi dell’isola

 

In un libro di Casula le biografie di 15 Sardi che hanno fatto la storia della Sardegna

 CAGLIARI. Nel 238 a.c. Roma conquista la Sardegna, nel 1297 Bonifacio VIII crea il regno di Sardegna e Sicilia. L’isola riappare nei libri di storia col regno sardo-piemontese, con un po’ di fortuna si può trovare a margine la Brigata Sassari, e forse due trafiletti su Emilio Lussu e Antonio Gramsci. La storia la scrivono i vincitori e la nuova fatica di Francesco Casula, «Uomini e Donne di Sardegna», presentata martedì nella Biblioteca Regionale di Cagliari, è la risposta che lo studioso intende dare agli storici italiani, che hanno sempre tralasciato di documentare la storia sarda. Il sottotitolo del libro, pubblicato dalla Alfa Editrice, è appunto «le Controstorie» e tra le sue pagine si trovano le 15 biografie dei personaggi che hanno fatto grande questa terra. Quattro donne e undici uomini che hanno saputo eccellere nelle loro arti e scienze, come l’unica donna italiana vincitrice del nobel per la letteratura, Grazia Deledda, paragonata ai prosatori russi, o come Sigismondo Arquer, intellettuale di livello europeo, che cooperò alla stesura della Cosmografia di Sebastian Münster. Fino agli intellettuali contemporanei Eliseo Spiga e Francesco Masala, i quali hanno collaborato col professor Casula sui temi della sardità e della lingua. Francesco Casula intende smuovere le colonne portanti della metodologia storica italiana, infatti afferma: «Dopo storici come Braudel, Marc Bloch e Lefebvre, i quali ci hanno insegnato che la storia è come il maiale, non si butta via niente, gli studiosi italiani ancora si ostinano a snobbare la storia locale». Il professor Casula spiega di aver esaminato 400 libri storici, trovandovi sempre identiche pecche. Durante la conferenza, per buona parte tenuta in limba, Frantziscu Casula ha inoltre sottolineato l’importanza dell’insegnamento della cultura e della lingua sarda alle nuove generazioni, per eliminare quel «senso di straniamento che coglie gli studenti di questa scuola nazionale» a detta dello studioso «nordista, metropolitana e maschilista». Una condizione indispensabile per ricostruire una «statualità» sarda.
Pierluigi Carta

 

 

Grazie!

Ringrazio tutti quelli che Martedì scorso a Cagliari hanno partecipato, numerosissimi,  alla presentazione del mio libro “Uomini e donne di Sardegna”: ex colleghi e ex alunni del “Martini”, compaesani ollolaesi, dirigenti e militanti della CSS e sardisti, amici e compagni  di tante battaglie per la Lingua e la cultura sarda, per l’Autogoverno e la Sovranità dell’Isola, unico strumento per la sua libertà e prosperità.

Un ringraziamento particolare a Micheli Ladu, coordinatore del dibattito; a Mario Carboni che ha presentato il libro; a Maria Marongiu, l’editore.

L’Unione Sarda sulla presentazione del libro “Uomini e donne di Sardegna”

da L’Unione sarda del 25-1-11

“Uomini e donne sardi”

Libro di Casula


 

Sarà presentato oggi al­le 17 nella biblioteca re­gionale, in viale Trieste

Uomini e donne di Sar­degna. Le contro storie, di Francesco Casula. Il volume comprende 15 monografie di personagi illustri: Amsicora ­Eleonora dArborea Si­gismondo Arquer Giommaria Angioy Grazia Deledda – Anto­nio Gramsci – Marianna Bussalai – Montanaru ­Antonio Simon Mossa – Emilio Lussu – Giuseppe Dessì Grazia Dore ­Francesco Masala – Eli­seo Spiga Giovanni Lil­liu. Personaggi che han­no descritto, illustrato e rappresentato magi­stralmente la Sardegna e i valori della sua civil­tà e della sua identità, sapendo -come scrive il compianto Antonello Satta «andare per il mondo con pistoccu in bertula mostrano le stimmate dei sardi».

 

 

J

 

La Nuova Sardegna sulla presentazione del libro “Uomini e donne di Sardegna”

la Nuova Sardegna 24 gennaio 2011 —   pagina 19   sezione: Nazionale


LIBRO DI CASULA
Storie di uomini e donne
che hanno fatto l’isola

 CAGLIARI. «Uomini e donne di Sardegna. Le contro storie» è il titolo del libro di Francesco Casula, che sarà presentato domani alle 17 nella biblioteca regionale di viale Trieste. Da Amsicora a Eleonora, da Sigismondo Asquer a Grazia Deledda per arrivar a Gramsci sino ad Antonio Simon Mossa, Emilio Lussu e Giuseppe Dessì, e continuare con Francesco Masala ed Eliseo Spiga.

 

Conferenza sulla Storia Sarda

L’11 Gennaio alle ore 16 all’Università della Terza Età di Sanluri (presso la sala dell’ex Montegranatico – fronte Castello- con accesso sulla via San Rocco) Francesco Casula terrà una Conferenza sulla Storia sarda avente per tema l’occupazione romana e il suo dominio plurisecolare con lo sconvolgimento economico, sociale, politico e culturale-linguistico della Sardegna (238-A. C.- 456 D. C.)

 

1. L’etnocidio

In modo particolare verrà trattato il vero e proprio etnocidio operato dalle legioni romane. Qualche storico parla di 400.000 Sardi sterminati, probabilmente tutti i maschi in età adulta. Tito Livio, il grande cantore di Roma e della sua funzione “civilizzatrice”, al cui imperio tutti dovevano sottostare, salvo appunto lo sterminio, registra ben nove trionfi concessi e tributati dal senato romano ai generali e consoli, per aver sconfitto i Sardi in decine di campagne belliche. Se solo pensiamo che per ottenere il “trionfo” occorreva uccidere almeno 5.000 nemici arriviamo subito a 45.000 morti ammazzati. Cui occorrerà aggiungere quelli uccisi oltre i 5.000! E’ lo stesso Livio a documentare che :

-nel 215 a.c  l’esercito sardo (in un primo momento fu sconfitto subendo la perdita di 3.000 soldati (e 800 furono fatti prigionieri); in un secondo momento, dopo una cruenta battaglia la coalizione sardo-punica fu duramente sconfitta e morirono 12.000 tra Sardi e Cartaginesi e 3.700 furono fatti prigionieri:

– nel 177/176 a.C., per sedare la ribellione dei Balari e degli Iliesi il Senato inviò il console Tiberio Sempronio Gracco al comando di due legioni di 5.200 fanti ciascuna, più 300 cavalieri, cui si associarono altri 1.200 fanti e 600 cavalieri fra alleati e Latini. In questa rivolta persero la vita 27.000 sardi (12.000 nel 177 e 15.000 nel 176); in seguito alla sconfitta, a queste comunità fu raddoppiato il gravame delle tasse, mentre Gracco ottenne il trionfo. Tito Livio documenta l’iscrizione nel tempio della dea Mater matuta, a Roma, dove i vincitori esposero una lapide celebrativa che diceva: « Sotto il comando e gli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco, la legione e l’esercito del popolo romano sottomisero la Sardegna. In questa provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici. Condotte le cose nel modo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite, egli riportò indietro l’esercito sano e salvo e ricco di bottino; per la seconda volta entrò a Roma trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a Giove.»

 

2. Brutale e intensivo sfruttamento e rapina delle risorse della Sardegna.

La Sardegna con il dominio romano fu sottoposta a uno sfruttamento agricolo e minerario senza precedenti nella sua storia.

L’Isola esportava piombo, ferro, acciaio, argento, rame  grazie alle sue miniere nel Sulcis, come nel Sarrabus e in molte altre “regioni” e località sarde, i cui nomi ancora oggi evocano quei minerali (Funtana Raminosa, Montiferru, Capo ferrato Argentiera).

L’esportazione dei minerali sarà tanta da far scendere il loro prezzo in tutto l’Impero. Condannati (damnati ad effodienda metalla) al lavoro in miniera saranno soprattutto gli schiavi ma anche i “dissidenti” che Roma per punizione confinava in Sardegna, ad iniziare dai cristiani: fra l’altro persino due pontefici, Papa Callisto (174) e Papa Ponziano (235).

Ma l’Isola esportava soprattutto grano, prodotto anche grazie agli enormi spazi che si liberarono con il taglio indiscriminato delle foreste, grano con cui si riempirono tutti i granai dell’Urbe tanto che se ne costruirono di nuovi. Tanto grano da sfamare ben 250.000 persone: ad iniziare dagli eserciti e dalla stessa plebe romana, che pacificata e cloroformizzata richiedeva al senato ormai solo panem et circenses.

E con il grano esportava lana, latticini, carne: prodotti soprattutto al Centro della Sardegna mentre i cereali venivano prodotti specie nei campidani.. E con il grano, legnami, pietre, granito: a Roma come a Cartagine, per le ville dei patrizi romani. Che venivano esportati grazie anche agli ottimi porti di Olbia come di Tibula (Santa Teresa di gallura), di Turris Libisonis (Porto Torres) come di Cornus, Tharros, Sulkis (Sant’Antioco) Carales. Tanto che in alcuni mosaici di Ostia si menzionano i Naviculari Turritani e Calaritani ( Mercanti marittimi…).

 

3. La cancellazione della lingua nuragica e con essa delle comunità sarde.

La primigenia e antica lingua nuragica del ceppo basco-caucasico fu cancellata, annientata: e non poteva essere diversamente una volta che furono di fatto eliminati (uccisi o fatti schiavi e portati a Roma) tutti i maschi adulti.

Con la lingua indigena e genuina fu annientata l’economia e la società comunitaria: solo al centro la proprietà e la gestione delle risorse rimase ancora comunitaria, in tutto il resto dell’Isola le terre furono divise in latifondi e regalati ai clienti dei conquistatori, mentre le miniere e le saline diventarono proprietà dello stato.

Gli storici  pifferai di Cesare, (anche sardi) veri e propri ascari, leccaculo e canes de isterzu, magnificano la funzione civilizzatrice di Roma  dei romani che costruirono strade e  porti, Certo. Ma solo per far transitare i loro eserciti e il bottino verso Roma. Certo costruirono, palazzi, ville, terme, anfiteatri, cloache: ma solo per sé: per ristorarsi e divertirsi e…alleggerirsi!

E i Sardi?

Le popolazioni sarde –ci informa Pietro Meloni nella sua La Sardegna romana

“Nutrite di uno spirito di fiera indipendenza politica che anche Cartagine era stata costretta a rispettare, non lasciarono mai le armi neppure quando la maggior parte delle province del Mediterraneo erano state interamente pacificate”.

Dai romani, ovviamente.- commenta Eliseo Spiga- Che com’è noto consideravano luoghi di pace soltanto i cimiteri”.

 

4. Un Governatore romano particolarmente “predone”: Emilio Scauro e gli insulti razzisti di Cicerone contro i Sardi nell’orazione “Pro Scauro”.

Emilio Scauro, ex governatore della Sardegna, viene accusato di tre “crimini”: aver avvelenato nel corso di un banchetto Bostare, ricco cittadino di Nora, per impossessarsi del suo patrimonio; aver insistentemente insidiato la moglie di tal Arine, tanto che essa si sarebbe uccisa piuttosto che divenirne l’amante; aver imposto una terza decima illegale (oltre che la prima decima normale e la seconda decima straordinaria, ma comunque legale) che avrebbe incassato lui personalmente.

Scauro fu difeso da Cicerone nel 54 a.c.: “i due reati  (veneficio il primo e intemperanza sessuale il secondo, –sottolinea lo storico sardo Raimondo Carta-Raspi in Storia della Sardegna– non erano tali da preoccupare l’oratore romano e infatti egli riuscì a confutare queste accuse volgendole anzi al ridicolo”.

Di ben altra importanza era invece il terzo reato addebitato all’ex propretore, accusato di malversazione nella sua amministrazione della Sardegna. Peccato che la confutazione dell’accusa più grave per i romani e per il senato romano, quella appunto di aver ordinato le illegali esazioni di frumento non ci sia pervenuta.

Ci è però pervenuta la parte in cui Cicerone si impegna, com’è suo stile, a lodare la specchiata onestà di Scauro (figlio di Cecilia Metella, moglie di Silla) e a insultare i suoi accusatori. Essi sono venuti dalla Sardegna convinti di intimorire e persuadere con il loro numero, ma non sanno neppure parlare la lingua latina e sono vestiti con le pelli (pelliti testes). 

Ma c’è di più: per screditare i 120 testimoni sardi non esita a dipingerli come ladroni con la mastruca (mastrucati latrunculi), inaffidabili e disonesti la cui vanità è così grande da indurli a credere che la libertà si distingua dalla servitù solo per la possibilità di mentire: la loro inaffidabilità viene da lontano, dalle loro stesse radici che sono rappresentate dai fenici e dai cartaginesi, guarda caso nemici storici dei Romani. Di qui l’accusa più grave e insultante, oggi diremmo “razzistica”: “E allora, dal momento che nulla di puro c’è stato in questa gente nemmeno all’o­rigine, quanto dobbiamo pensare che si sia inacetita per tanti travasi?”

Proprio per questo motivo l’appellativo afer è più volte usato come equivalente di sardus e l’espressione Africa ipsa parens illa Sardiniae viene adottata dall’oratore romano per affermare che dai fenici sono discesi i Sardi, formati da elementi africani misti, razza che non aveva niente di puro e dopo tante ibridazioni si era ulteriormente guastata rendendo i sardi ancor più selvaggi e ostili verso Roma tanto che i sardi mescolati con sangue africano non strinsero mai con i Romani rapporti di amicizia né patti d’alleanza e che la Sardegna era l’unica provincia priva di città amiche del popolo romano e libere.

Innanzitutto Cicerone dovrebbe mettersi d’accordo con il suo “compare” Tito Livio, che nelle sue storie (XXIII,40) ricorda città sarde socie di Roma devastate da Amsicora; in secondo luogo l’oratore romano ignora evidentemente che i Fenici arrivano in Sardegna intorno al IX secolo e che le popolazioni nuragiche nel mediterraneo occidentale erano giunte duemila anni prima della fondazione di Cartagine. Ma si tratta – si chiede lo storico Carta-Raspi nell’opera già citata- “di artificio oratorio o ignoranza?”

Probabilmente dell’uno e della’altra.

Fatto sta che Scauro fu assolto con 62 voti a favore e soli 8 voti contrari, furono screditati i testimoni sardi, fu infangata la memoria di Bostare e Arine, fu razzisticamente insultato l’intero popolo sardo e la sua “origine”.

Scauro fu assolto nonostante le accuse gravissime e Cicerone considererà “Pro Scauro” una delle sue più belle orazioni, tanto che più volte nelle Lettere ne cita delle parti con compiacimento. Pare comunque che non sia stata l’orazione di Cicerone ad assolvere Scauro: protetto da Pompeo potè corrompere i giudici che lo mandarono assolto.

Ma uno degli accusatori, Publio Valerio Triario, non si dà per vinto e dopo le elezioni come console, Scauro, accusato stavolta di brogli, nonostante fosse ancora difeso da Cicerone, riuscì a farlo condannare costringendolo a prendere la via dell’esilio.

E pochi anni dopo, -come ricorda nella tragedia  Ulisse e Nausica in sa Cost’Ismeralda, il poeta e studioso di cose sarde Aldo Puddu-,” Cicerone viene decapitato dal centurione di Marc’Antonio mentre cerca di sfuggire alla proscrizione e come estremo sfregio la nobile Fulvia infilza la sua esanime lingua con uno spillo da fermaglio: ut sementem feceris ita metes: mieterai a seconda di ciò che avrai seminato, ipse dixit”.