Pino Aprile recensisce il libro “Carlo Felice e i tiranni sabaudi di Francesco Casula

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Pino Aprile recensisce il libro “Carlo Felice e i tiranni sabaudi di Francesco Casula

Pino Aprile, già  vicedirettore di Oggi e direttore di Gente, ha lavorato in televisione con Sergio Zavoli nell’inchiesta a puntate Viaggio nel sud e a Tv7, settimanale di approfondimento del TG1. È autore di libri tradotti in più lingue. Nel marzo 2010 ha pubblicato il libro Terroni, un saggio giornalistico che descrive gli eventi che hanno penalizzato economicamente il meridione, dal Risorgimento ai giorni nostri. L’opera è divenuta un bestseller, con 250.000 copie vendute.

A maggio 2016 pubblica Carnefici, un saggio storico che documenta, in maniera ancor più approfondita di Terroni, per via delle ricerche più recenti condotte dallo stesso giornalista in cinque anni, le stragi commesse al Sud durante l’unificazione.

Gli ultimi suoi saggi sono Terroni ‘ndernescional. E fecero terra bruciata, Milano, Piemme, 2014 (on interi capitoli dedicati alla Sardegna in cui cita abbondantemente gli storici sardi e in particolare i due Casula, Francesco e Francesco Cesare) e Carnefici, Milano, Piemme, 2016.

COME I SAVOIA DEPREDARONO LA SARDEGNA
E CREARONO LA PRIMA QUESTIONE MERIDIONALE

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di Pino Aprile

Perché vi parlo di “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”, del professor Francesco Casùla (edizioni Grafica del Parteolla)? Quando mi chiesi dove fosse la Sardegna, nella storia d’Italia, volli cercare una risposta veloce e mi trovai impelagato (tanto per cambiare) in una montagna di libri antichi e moderni (più gli uni che gli altri). E scoprii che la Questione Meridionale (sorta con l’invasione del Regno delle Due Sicilie da parte dell’esercito piemontese, prima nascostamente, con i 22 mila soldati ufficialmente disertori al seguito di Garibaldi; poi ufficialmente, con l’esercito calato a prendere possesso della refurtiva), aveva un antenato: la Questione Sarda.
Quando, a inizio del 1700, i Savoia ottengono l’isola, con un trattato internazionale, iniziano a spogliarla di ogni risorsa, escludendo i sardi da ogni possibilità di intraprendere o dirigere, salvo quei possidenti che si metteranno al servizio del nuovo padrone, per aiutarlo nel saccheggio e intascare le briciole. Le proteste, le rivolte, vengono soffocate nel sangue, con la ferocia e l’arbitrio. E giustificate con l’inciviltà della popolazione che i sabaudi, ovviamente, trattenendo eroicamente il ribrezzo, tentavano di dirozzare.
Seppi, così, che tutto quel che i Savoia fecero in Sardegna, fu solo replicato, più in grande, nel Regno delle Due Sicilie (i sardi erano circa 600mila, al momento dell’Unità, i duosiciliani quindici volte tanto). Da questa osservazione e dalla scoperta che, pur senza paesi rasi al suolo e lo sterminio della popolazione, le stesse tecniche erano state adottate dalla Germania Ovest in quella Est, dal giorno della riunificazione, nacque il mio “Terroni ‘ndernescional”.
Al Sud ci si lamenta, non a torto, della disattenzione del resto del Paese nei confronti delle regioni del Mezzogiorno. Ma la Sardegna, a parte la recente scoperta turistica, è del tutto assente. Il che parrebbe incredibile se, con una popolazione modesta, rispetto a quella di regioni di dimensione paragonabile, può vantare due presidenti della Repubblica, il segretario più amato del partito della sinistra italiana e altri dirigenti di rilievo nazionale.
Eppure, i sardi si raccontano, e molto, e bene; hanno scrittori di grande valore, un premio Nobel alla Letteratura (Deledda). Ma non riescono a farsi ascoltare dagli altri, un po’ perché, quando comunicano, paiono avere come interlocutori primi gli stessi sardi; un po’, perché gli altri, oltre che a godere della Sardegna, non mostrano grande interesse a sapere dei sardi (ma chi comincia, vuole diventare sardo, come De André e tanti altri).
Negli ultimi anni, una rinnovata produzione culturale, letteraria, di pari passo con una potente risorgiva di orgoglio isolano mai scemato, ripropone i temi della sardità e della colonizzazione. In questo, Francesco Casùla si è distinto con un’opera grandiosa, “Letteratura e civiltà della Sardegna”, in due volumi. E oggi con il libro su Carlo Felice e i suoi sanguinari parenti.
Il saccheggio dell’isola fu di tale ferocia che persino dopo l’Unità, nel 1864, in occasione dell’ennesimo inasprimento di tasse imposto dai Savoia, metà della somma rastrellata in tutto il Paese fu sottratta ai soli sardi. La disistima dei sabaudi per gli isolani era tale che tendevano a impedire i matrimoni “misti”, ritenevano i sardi “nemici della fatica, feroci e dediti al vizio”; e per de Maistre erano peggio dei “dei selvaggi perché il selvaggio non conosce la luce, il Sardo la odia”.
Una scia di razzismo e pregiudizio che viene da lontano (per Cicerone, i sardi erano per natura “ladruncoli, inaffidabili e disonesti”, in quanto africani) e arriva a oggi: appena qualche decennio fa, il noto giornalista Augusto Guerriero (Ricciardetto), scrisse che i barbaricini bisognava “trattarli” con gas asfissianti; e nel 2016, il procuratore di Cagliari, nell’inaugurare l’anno giudiziario, parlava di “istinto predatorio (tipico della mentalità barbaricina)”.
Nessuna meraviglia che a gente ritenuta incivile (osavano ribellarsi alla spoliazione dei loro beni, dell’intera isola: proprio selvaggi!), si applicassero metodi sbrigativi. Naturalmente, anche lì si trattò di estirpare il “banditismo” (nell’ex Regno delle Due Sicilie “brigantaggio”): il marchese di Rivarolo in tre anni scarsi fece incarcerare tremila persone, giustiziarne 432, con “cerimonie” pubbliche ferocissime: torture, fustigazioni che riducevano il malcapitato a brandelli, poi la forca e la decapitazione, con la testa portata in giro nei paesi in una gabbia di ferro (lo rivedremo al Sud, quando decidero di “liberarlo”).
Ma il più sanguinario fu Carlo Felice, detto Feroce, vicerè e poi re, per disgrazia dei sardi “…orrendamente torturati, trucidati nelle strade o nelle prigioni… I villaggi del Logudorese vennero assaliti dalle truppe regie, cannoneggiati, incendiati e, molti dei loro abitanti uccisi o arrestati in massa”. Spaventosi i tormenti cui fu sottoposto il patriota Francesco Cilocco, la cui testa pure fu esposta in una gabbia di ferro, il corpo bruciato e le ceneri

 

 disperse.
Con la legge delle chiudende, che consentì ai possidenti e ladroni di appropriarsi delle terre pubbliche e recintarle come proprie (distruggendo l’uso di libera terra che aveva retto da tempo immemorabile economia e comunità sarde) e sulla “proprietà perfetta”, la millenaria civiltà dell’isola fu atterrata. La rivolta salvò il costume sardo solo in alcune aree; scorse molto sangue, sorsero odi insanabili, che durano in alcuni casi ancora oggi, e grandi patrimoni inutilizzati da un manipolo di profittatori.
Ci fu una coraggiosa denuncia, nel Parlamento di Torino, da parte del deputato sardo Giorgio Asproni, che sembra anticipare, in copia, quella del duca di Maddaloni, nello stesso Parlamento, ma ormai “unitario”, nel 1861: “La vera istoria racconterà le scellerate fucilazioni; le condanne di vecchi e innocenti uomini alle galere; gli spami delle famiglie per i solo cari mandati in esilio per ingiusti sospetti; gli schiaffi e le battiture di detenuti carichi di ferro in mezzo a’ birri; il bastone, di costume barbaro, applicato alle spalle dei testimoni…”; e così via, nell’elenco degli orrori.
Sino a costruire, con la violenza, l’oppressione e la rapina, un “sottosviluppo che non è ritardo ma superfruttamento”. Fu la prima Questione meridionale. L’isola aveva avuto altre dominazioni, nel tempo (fenici, romani, pisani, genovesi, spagnoli), ma Casùla non ha dubbi su chi siano stati “i più crudeli, spietati, insipienti, famelici e ottusi (s)governanti che la Sardegna abbia avuto nella sua storia: i Savoia”.

Nota informativa sul libro “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”

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di Francesco Casula

(Editore Grafica del Parteolla, Dolianova, 2016, Euro 16, pagine 224)

Il libro  documenta in modo rigoroso la politica dei Savoia, sia come sovrani del regno di Sardegna (1726-1861) che come re d’Italia (1861-1946).

La loro politica, con le funeste scelte (economiche, politiche, culturali) “ritardò lo sviluppo di quasi cinquant’anni, con conseguenze non ancora compiuta­mente pagate”: a scriverlo è il più grande conoscitore della Sardegna sabauda, lo storico Girolamo Sotgiu.

Gli storici, gli scrittori, gli intellettuali di cui si riportano valutazioni e giudizi nei confronti dei re sabaudi spesso sono filo monarchici e filo sabaudi (come Pietro Martini) e dunque non solo loro avversari (come Mazzini o Giovanni Maria Angioy), ma tutti convergono in un severissimo giudizio nei loro confronti, ma segnatamente nei confronti di Carlo Felice.

Il volume è rivolto in modo specifico agli studenti ma ha un carattere divulgativo per fare conoscere una storia – o meglio una controstoria – poco conosciuta, anche perché assente e/o mistificata dalla storia ufficiale. Pensiamo al Risorgimento e all’Unità d’Italia, presentati come espressione delle magnifiche e progressive sorti, dimenticando i drammi e le tragedie che comportarono, ad iniziare dalla “creazione” della Questione Meridionale ancora oggi più che mai presente. Con riferimenti puntuali ad opere storiche e scritti cui rimanda (indicando con precisione Casa editrice, anno di pubblicazione e pagine), in modo che il lettore non solo possa controllare ma proseguire le sue eventuali ricerche e approfondimenti.

Il volume è rivolto in modo specifico agli studenti ma ha un carattere divulgativo per fare conoscere una storia – o meglio una controstoria – poco conosciuta anche perché assente e/o mistificata dalla storia ufficiale. Pensiamo al Risorgimento e all’Unità d’Italia, presentati come espressione delle magnifiche e progressive sorti, dimenticando i drammi e le tragedie che comportarono, ad iniziare dalla “creazione” della Questione Meridionale ancora oggi più presente che mai,

Per quanto riguarda specificamente la nostra Isola, la presenza dei sovrani sabaudi, con le loro funeste scelte (economiche, politiche, culturali) “ritardò lo sviluppo di quasi cinquant’anni, con conseguenze non ancora compiuta­mente pagate”: a scriverlo è il più grande conoscitore della “Sardegna sabauda”, lo storico Girolamo Sotgiu.

Gli storici, gli scrittori, gli intellettuali di cui si riportano valutazioni e giudizi nei confronti dei re sabaudi spesso sono filo monarchici e filo sabaudi (come Pietro Martini) e dunque non solo loro avversari (come Mazzini o Giovanni Maria Angioy) ma tutti convergono in un severissimo giudizio nei loro confronti, ma segnatamente nei confronti di Carlo Felice che fu il peggiore fra i sovrani sabaudi. Egli infatti da vicerè come da re fu crudele, feroce e sanguinario (in lingua sarda incainadu), famelico, gaudente e ottuso (in lingua sarda tostorrudu). E ancora: Più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappocco, gaudente parassita, gretto come la sua amministrazione, lo definisce lo storico sardo Raimondo Carta Raspi. Mentre per un altro storico sardo contemporaneo, Aldo Accardo, – che si basa sulle valutazioni di Pietro Martini – è Un pigro imbecille.

Scrive il Martini (peraltro storico filo monarchico e filo sabaudo):”Non sì tosto il governo passò in mani del duca del Genevese, la reazione levò più che per lo innanzi la testa; co­sicché i mesi che seguirono furono tempo di diffidenza, di allarme, di terrore pubblico”.

Il libro vuole anche essere uno strumento di informazione nei confronti delle Comunità sarde e in specie dei Consigli comunali che decidessero di rivedere la toponomastica, ancora abbondantemente popolata dai Savoia, che campeggiano, omaggiati, in Statue, Piazze e Vie. A dispetto delle loro malefatte e persino “infamie” da loro commesse Una per tutte: le leggi razziali.

Cicitu Masala

Cicitu Masala

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s’Innu nou contra a sos feudatarios


Trabagliade, trabagliade,

poveros de sas biddas,

pro mantennere in zitade

tantos caddos de istalla:

issos regollin su ranu,

a bois lassan sa palla.

 

Trabagliade, trabagliade,

petrochimicos operajos

pro su pane tribulade:

cun su ‘inari ‘e sa Rinaschida

ingrassan sos de Milanu

e a bois lassan su catramu.

 

Trabagliade, trabagliade,

in sa chejas de petroliu

de Sarrok a Portoturre:

sa cadena de trabagliu

cun sa matta mesu piena

est trabagliu de cadena.

 

Trabagliade, trabagliade,

minadores de Carbonia,

in sos puttos de ludràu:

cras bos toccat sa pensione,

unu pagu ‘e silicosi

e unu pagu de cannàu.

 

Trabagliade, trabagliade,

ohi, pastores de Orgosolo,

cun sas ‘amas de arveghes:

no andedas a isbaragliu,

attent’a  s’artiglieria

chi bos lèat a bersagliu.

 

Trabagliade, trabagliade,

emigrados berdularios,

in sas fabricas de gherra

de sos meres de sa terra:

sos dannados de sa terra

cun su famine cuntièrrana.

 

Trabagliade, trabagliade,

cun sa pinna, o literados,

subra foglios impastados,

de catramu e de petroliu:

su salariu est pariparis

a Zuda trinta dinaris.

 

LITTERA DE SA MUZERE DE SEMIGRADU

Est bènnidu, s’istiu.

Dae ispigas de nèula, in su cunzadu,

est fioridu trigu de chigìna:

has semenadu in mare.

Su ruìnzu e su solòpu han mandigadu pane ‘e fizu tou:

has semenadu in mare.

In malora has postu

sa falche subra santa de sa janna:

has semenadu in mare.

Ohi, iscura s’arzola

chi timet sa frommigia:

has semenadu in mare.

Su entu s’est pesadu ma in sa terra

falat solu paza:

has semenadu in mare.

Prenda mia istimàda,

cando torras, si mai has a torrare,

no mi pèdas ue est s’aneddu ‘e oro:

est diventadu pane a fizu tou.

Prenda mia istimada, coro meu,

t’iscrìo subra sas undas de su mare,

t’iscrìo subra su entu:

ammèntadi de me.

Ohi, cantos fizos

cherìas chi mi naschèren dae su sinu:

ma totu sunu mortos dae cando ses partidu,

in su lettu de paza b’est restadu,

a s’ala tua, uno solcu chena sèmene.

Prenda mia istimada,

no isco pius proìte ti faèddo,

sos pensamentos mios sunu che s’erva,

ateros che sas nues, ateros che ispinas.

Intro de te haìa fattu nidu,

intro de me haìas fattu nidu.

Isco chi no ses nulla

e deo ancora repìro.

Su coro est grogu

comente binza posca ‘e sa innenna.

 

 

Traduzione

 

LETTERA DELLA MOGLIE DELL’EMIGRATO

E’ venuta l’estate.

Dalle spighe di nebbia, nel tuo campo,

è nato grano di cenere:

hai seminato in mare.

La ruggine e scirocco

Hanno mangiato il pane di tuo figlio:

hai seminato in mare.

In malora hai appeso

la falce sulla porta:

hai semi nato in mare.

Ohi povera l’aia

che teme la formica:

hai seminato in mare.

Il vento s’è levato ma per terra

cade soltanto paglia:

hai seminato in mare.

Caro o caro,

quando ritorni, se ritornerai,

non chiedermi dov’è l’anello d’oro:

è diventato pane per tuo figlio.

Caro, o caro

Ti scrivo sulle onde del mare,

ti scrivo nel vento:

ricordati di me.

Ohi quanti figli

Volevi mi nascessero dal seno:

ma tutti sono morti

da quando sei partito,

sul letto di granturco c’è rimasto,

dalla tua parte, un solco senza seme.

Caro, o caro,

non so perché ti parlo,

i miei pensieri nascono come erba,

altri come le nuvole,

altri come le spine.

Dentro di te avevo fatto il nido,

dentro di me avevi fatto il nido.

So che non sei più nulla

ed ancora respiro.

Il cuore è giallo