Ollolai 14-7-2012: così ho ricordato Michele Columbu, omine de gabbale.

COMMEMORAZIONE  DI MICHELE COLUMBU A OLLOLAI IL 14-7-2012

di Francesco Casula

La mia non sarà una commemorazione formale quanto piuttosto una testimonianza, un ricordo del Maestro e dell’Amico.

Michele Columbu è stato un protagonista assoluto degli ultimi 60 anni di storia: anzi, ha fatto la storia degli gli ultimi 60 anni in Sardegna: non solo politico-istituzionale-autonomistica ma anche culturale, letteraria, linguistica.

Con lui scompare l’ultimo patriarca del Sardismo, che ha saputo innovare e rinnovare indirizzandolo verso sentieri nazionalitari e indipendentisti. Scompare il prestigioso leader del PSD’Az, che negli anni ’80 è riuscito a salvare se non dal rischio di estinzione, certo dalla marginalizzazione e marginalità.

Con lui scompare il parlamentare (italiano ed europeo) di valore; l’intellettuale originale, straripante, fuori dalle regole. Scompare lo scrittore colto e raffinato, l’affabulatore brillante. affabulator maximus, lo ha definito Natalino Piras, sulla rivista Ichnusa.

Scompare l’amministratore coraggioso ed eroico: basti pensare al suo ruolo di Sindaco di Ollolai negli anni ’60, alla base della mitica “Marcia”. E’ lui stesso a raccontarci la sua avventura: “Insegnando a Cagliari andavo a Ollolai alla fine della settimana…domenica facevo Consiglio…non c’erano assegni né gettone di presenza…io mi sentivo chiamare da tutte le parti «amministratore». Non potevo riparare un selciato, in dissesto e pericoloso, perché non c’era un centesimo nel comune…”.

E poi ci sono i disoccupati “cinquanta capifamiglia” e i pastori colpiti da una grande nevicata. Manda Espressi e Telegrammi agli Assessori regionali. Neppure gli rispondono. Così concepisce e attua la marcia che passerà alla storia: da Cagliari a Ollolai a Sassari, percorrendo a piedi 500 km lungo tutta la Sardegna per chiedere lavoro e sviluppo delle zone interne e montane, per esprimere la protesta della Sardegna interna contro le condizioni di arretratezza in cui era lasciata non solo dal Governo centrale ma anche da quello regionale. Arriveranno attestati di solidarietà da tutta l’isola, specie dal mondo agropastorale. Si svilupperà una vera e propria protesta di massa contro il fallimento dell’Autonomia.

 

Ma io oggi non voglio parlarvi di tutto questo: ovvero del “personaggio”, quanto della “persona”: del Michele Columbu più intimo e meno pubblico. E più ollolaese.

Fino alla mia adolescenza Michele Columbu era un mito. Così emergeva dal racconto, dalla narrazione che mi faceva mia madre, sua parente, vicina di casa, solo di qualche anno più giovane. Per tutti gli Ollolaesi e non solo, era “Su Professore”: il professore per antonomasia, per eccellenza. A significare insieme rispetto affetto e ammirazione. Tutta la popolazione lo considerava, da una parte “altro” da sé, per la sua cultura, il suo ruolo politico, il suo carisma; dall’altra, nel contempo, tutto suo, per la capacità del personaggio di essere perfettamente integrato e inserito e dunque per farsi accettare pienamente dall’ambiente paesano: per la sua capacità di stabilire relazioni e rapporti con tutti, di incrociare anziani e giovani, pastori e contadini; per il suo stesso modo di vestire, per l’utilizzo abituale e usuale della Lingua sarda. Con tutti. Che padroneggiava magistralmente, in tutte le sue varianti. Di cui conosceva le parlate di moltissimi paesi del Nuorese.

Ricordo a questo proposito un episodio. Qualche anno fa a Orani ha presentato un mio libro su Marianna Bussalai. A un pubblico numerosissimo che affollava la sala consiliare chiese:”Volete che vi parli in ollolaese, oranese o nuorese?”. Parlò in perfetto ollolaese ma avrebbe, con la stessa perfezione, parlato anche in oranese o nuorese.

 

Alla fine degli anni ’70 iniziai a frequentare e conoscere personalmente Michele Columbu: grazie anche al fatto che abitavamo molto vicino (lui a Capitana e io a Flumini).  

In lui ho sempre ammirato la saggezza, il moderato ottimismo, mai vacuo però e anzi temperato da un alone di scetticismo.

Mi ha sempre colpito il suo occhio sorridente, mai cattivo né arcigno, che spesso si fa ustorio ma che preferisce sempre l’ironia all’indignazione e all’invettiva; lo sberleffo satirico all’aggressione verbale; la canzonatura e il motteggio – quasi sottovoce – allo sbraitare e alzare la voce con urla e ai berci. Egli è evidentemente convinto che la messa in ridicolo frusti e tagli più netto e con più energia del serioso o dello sparare a mitraglia. Ciò anche sulla scia della tradizione sarda.

 

Negli ultimi 10 anni ho letto e riletto i suoi scritti, anche per motivi contingenti: ho inserito Michele Columbu nella mia “Letteratura e civiltà della Sardegna” (2 volumi, Grafica del Parteolla editore, pubblicati recentemente) cui ho dedicato una decina di pagine.

E ho scoperto-riscoperto uno scrittore raffinato e colto, con un linguaggio carico di deflagrazioni umoristiche e dalle grandi capacità allusive, impregnato di immagini ardite, di metafore, di parabole, di simboli e di proverbi. O, meglio, di Dicios. Quel linguaggio che aveva saputo mutuare – sia pure con grande originalità – dalla cultura tradizionale e dall’oralità.

Sia nei Racconti che nei Saggi. Sia in quelli scritti in italiano che in quelli scritti in sardo: fra questi ultimi penso in modo particolare ai piccoli saggi Istados e nassiones, In chirca de una limba e Sardos malos a creschere.

 Ma penso soprattutto ai racconti di L’aurora è lontana (1968) e al romanzo Senza un perché (1992), che entrerà fra i finalisti del Premio nazionale letterario Giuseppe Dessì. Dominato, specie quest’ultimo dall’umorismo e dall’ironia. Mi sembra anzi quest’ultima la cifra predominante nella vita e nella scrittura di Michele. Quell’ironia che trova fondamento nella tradizione umoristica sarda. Perché Michele Columbu avrebbe potuto ripetere e far suo quanto sostenuto da Emilio Lussu: ”Nella letteratura non ho maestri. L’ironia che mi viene attribuita come caratteristica dei miei scritti non è mia ma sarda. E’ sarda atavicamente…”.

A proposito di Lussu e del rapporto di Michele con il cavaliere dei rossomori solo un cenno.  Nel 1948 Columbu non segue Lussu nella scissione del Psd’az, nonostante fosse “lussiano” dal punto di vista della politica sociale e anche per la simpatia che sentiva per l’uomo: è infatti in disaccordo per quanto atteneva “alla politica delle alleanze e di collaborazione con i partiti esterni”. Ma la stima reciproca non scemerà.

 

 

L’eredità di Michele Columbu è dunque come abbiamo visto, politica, etica e letteraria, ma soprattutto, e con questo mi avvio alle conclusioni, identitaria. E il lascito identitario è metaforicamente e esemplarmente rappresentato oggi dal ritorno delle sue spoglie a “casa”, a Ollolai. Per ricongiungersi con la sua terra. Con i parenti e soprattutto con sua madre, Tzia Anna Mazzone: mi l’amento comente siat oje, cando in Su ‘e papassinu nos brigaiat, a mene e a Zizzu Columbu, su nepode e compare e amigu meu corale, chi est innoghe.

Michele è tornato alle radici. Dopo essersi dotato di robuste ali e a aver volato in Italia e in Europa, a Roma e a Strasburgo. Aperto al respiro del mondo grande e terribile.

Così mi piace ricordare Michele. Anche al di là dei suoi successi politici. Del suo essere stato deputato e parlamentare europeo. Perché al  di là del suo cursus honorum Michele Columbu era, è stato soprattutto un’omine de gabbale. Antzis: UN’OMINE. Senza ulteriori aggettivi e specificazioni. In sardu, un’OMINE narat totu.

Adiosu Michè, o mezus, adiosu Su Professò.

E, che la terra ti sia lieve.

Ollolai 14-7-2012: così ho ricordato Michele Columbu, omine de gabbale.ultima modifica: 2012-07-16T11:25:19+02:00da zicu1
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