Archivio mensile:luglio 2023
CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY – Angioy nella valutazione degli storici.
CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY
Angioy nella valutazione degli storici
di Francesco Casula
4. Carlo Botta lo chiama il Paoli sardo, definendolo: uomo tanto più vicino alla modesta virtù degli antichi, quanto più lontano dalla virtù vantatrice dei moderni5.
5. Il Valery lo dice vittima di patriottismo, forse unica nel nostro secolo6 .
6. Per lo Spano l’Angioy, mandato per sedare i tumulti dei vassalli, quando si persuase degli abusi dei feudatari, in¬nalzò il vessillo dell’emancipazione feudale7 .
7. L’Angius lo definisce un ambizioso che favorì l’anarchia e che potente per le sue aderenze e per la popolarità, opprimeva il Magistrato e perseguitava gli amici dell’ordine e i devoti al re8.
8. Il Manno è più severo: pur riconoscendo che ebbe virtù di ingegno, che fu buon padre e uomo generoso, lo definisce politicante fazioso, al quale si devono gli eccessi della insurrezione del 1795, la morte del Pitzolo e del generale Della Planargia9 .
9. Il Tola, che nel 1837 ne scrisse una breve ed incompleta biografia con intonazione più che benevola, sei anni dopo s’as-socia al giudizio del Manno in uno studio apparso nella rivista « La Meteora »10 .
10. Il Sulis in uno studio assai coscienzioso sui moti politici della Sardegna dal 1795 al 1825, rimasto incompiuto, s’indugia ad esaltare la figura dell’Angioy specialmente per la salda sua costanza nel professare i principi politici del popolare riscatto ai quali sacrò le attitudini della mente, le affezioni del cuore, le azioni della vita, le supreme preghiere in morte11. .
L’Esperson nel 1878 cerca abilmente di giustificare le con-traddizioni ed incongruenze che si riscontrano nella condotta del¬1’Angioy attribuendogli il disegno di un popolare governo, col¬l’aiuto o non della Francia repubblicana, il che positivamente non consta, e punto non avrebbe gravato la sua posizione poli¬tica; salvo, occorrendo di venir in seguito, come dappertutto si operava, a transazione, accettando onesti e civili ordini monar¬chico-costituzionali 12.
12. Per il Costa l’Angioy fu un incompreso, non scevro di vizi e di virtù, e l’insurrezione che da lui prese il nome, fu il con-traccolpo della rivoluzione dell’89, non un tentativo di codardi ambiziosi e di piccole vendette come scrisse il Manno13.. Seguendo il Sulis, Raffa Garzia presenta un Angioy, ar¬dente repubblicano e fautore delle massime francesi dell’8914.
14. Il Pola, che nel suo esauriente studio sui moti delle cam-pagne di Sardegna dal 1793 al 1802 si dimostra critico impar-ziale dell’operato dell’Angioy, ritiene che alla fine del 1796 le idee politiche dell’agitatore sardo non fossero ancora ben cono-sciute non solo, ma che non sussistessero in forma antidinastica, aggiungendo che i moti sardi del 1795 e 1796 ebbero carattere prevalentemente economico-antifeudale e che l’intenzione at¬tribuita all’Angioy di condurre i villici armati a Cagliari per ro¬vesciarvi il governo monarchico e levar la bandiera della re¬pubblica non sia mai esistita15.
15. Il Boi, che ebbe il merito di servirsi di documenti inediti tratti dagli archivi di Parigi per il suo studio sull’Angioy, scrive che questi alla soggezione ad un governo pavido e reazionario preferiva per la sua patria un governo, sia pure straniero, ma che agitava nel mondo la fiamma purissima della libertà16.
Si occuparono dell’Angioy, non di proposito ma incidental-mente, il Bartolucci17, il Segre 18, il Martini19, l’Ago¬stini20, il Bianchi21, il Deledda22, il La Vaccara23, il Mossa24, il Pittalis25, il Loddo-Canepa26 ed altri.
Note bibliografiche
5. Carlo Botta, Storia d’Italia dal 1789 in appresso. Libri V e VII.
6. Valery Ant. Claude Pasquin, Voyage en Corte, à Cile d’Elbe et en Sar¬daigne. Paris 1825.
7. Giovanni Spano, Rivoluzione di Borio nel 1796 e spedizione militare in Rivista Sarda, vol. I. Cagliari 1875 pagine. 186-204.
8. Vittorio Angius, Logudoro in Dizionario geografico-storico•statistico degli Stati di S. M. ‘L Re di Sardegna. Torino 1833-56,, vol. IX.
9. Giuseppe Manno, Storia moderna della Sardegna. Torino 1842, vol. I, pag. 136.
10. Pasquale Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna. Torino 1837-38, vol. I; pagina. 77 e segg.
11. Francesco Sulis, Dei moti liberali dell’isola di Sardegna dal 1793 al 1825, vol. I. Torino 1857.
12. Ignazio Esperson, Note e giudizi sull’ultimo periodo storico della Sardegna. Milano 1878.
13. Enrico Costa, Sassari, vol. L Sassari 1885.
14. Raffa Garzia, Canto di una rivoluzione. Cagliari 1899.
15. Sebastiano Pola, I moti delle campagne di Sardegna dal 1793 al 1802, Sassari 1925.
16. Antonio Boi, Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti. Sassari 1925.
17. Lorenzo Bartolucci, Memorie di Francesco Sulis. Cagliari 1904.
18. Antonio Segre, Vittorio Emanuele I. Torino 1928.
19. Pietro Martini, Storia della Sardegna. Cagliari 1852.
20. A. Agostini, Il canto di una rivoluzione in Piccola Rivista. Anno. 1900, n. 6.
21. Nicomede Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861, Torino 1877-1885.
22. Salvatore deledda, Moti antifrartcesi in Sardegna in Rivista d’Italia. vol.III, fase. 9, anno 1925.
23. Luigi La Vaccara, Origine dell’inimicizia fra l’Angioy e il Pitzolo in L’Unione Sarda del 3 aprile 1929.
24. Antonio Mossa, Centenario dell’ingresso di Angioy in Sassari. Sassari 1896.
25. Salvatore Pitzalis, Documento inedito su Angioy in Arch. St. Sardo, vol. XI, pagina 174.
26. Francesco Loddo Canepa, La Sardegna dal ’48 ad oggi in Rivista Il Nuraghe, n. 63.64; 65, (con una posizione antitetica a quella del Pola).
Come gli storici valutano l’Angioy
Come gli storici valutano l’Angioy
di Francesco Casula
Dionigi Scano nella prefazione a Scritti inediti, (Gallizzi editori), nel secondo capitolo dedicato a Don Maria Angioy e i suoi tempi, oltre che esprimere lui stesso dei giudizi:Dei personaggi che parteciparono alle movimentate vicende della Sardegna nell’ultimo decennio del XVIII secolo, il più discusso è stato ed è tuttora il giudice della Reale Udienza Don Giommaria Angioi o meglio Angioy secondo la grafia originaria”, riporta tutta una serie di valutazioni di altri storici, sardi, italiani e stranieri.
Eccoli:
1. “Il primo a scriverne fu Domenico Alberto Azuni (1) con il quale ‘Angioy fu legato d’affettuosa amicizia che, contratta sin da quando ambedue frequentarono le scuole del Collegio Canopoleno di Sassari, si rafforzò ancor più in età matura a Parigi, dove si trovarono ai primi dell’Ottocento, l’Angioy esule e accorato e l’Azuni elevato dal Consolato ad alti uffici.
L’Azuni scrisse dell’opera del suo amico affettuosamente più che imparzialmente presentandolo come il più ardente difensore della nazione sarda e leale servitore del. regio servizio asserendo che nella carica di alternos, affidatagli dal vicerè si comportò saggiamente, ristabilendo nel Capo Settentrionale l’ordine e la sicurezza.
2. Il Sisternes in alcune sue note scritte nel secondo decennio dell’Ottocento e destinate alla regina Maria Teresa, accusa l’Angioy di essersi rivolto alla repubblica francese per l’insurrezione del 1795 e di aver voluto rovesciare il governo monarchico per instaurare un regime repubblicano (2).
3. Il Mimaut esprime sull’Angioy lo stesso giudizio dello Azuni (3).
4. Il poeta Stanislao Caboni, condensa nel breve ambito di un sonetto il suo pensiero sull’Angioy. Eccolo integrale, mentre Dionigi Scano, nell’opera citata ne riporta solo alcuni versi:
GIOVANNI MARIA ANGIOI
E’ questa l’urna che il proscritto serra?
Vo lo spirto evocar che più non mente;
Dímmi : al trono movesti insana guerra,
O agli oppressor d’un popolo fremente?
Ti spinse alto sentire anche d’uom ch’erra
Nel fatal varco o cieca ira impotente ?
Fosti un vile o un Eroe ? La patria terra
T’era, o un poter compro col sangue, in mente?
Cupe mormoran fossa; io vil non fui,
Non traditor, tradito; il cor mi strinse
Della patria, pietà, dei mali sui;
Ma Eroe non pur, ché fermo in mio pensiero
Non prò di man, di cuore, inscio me spinse
Non oltre il Rubicon spinsi il destriero. (4).
5- continua
Note Bibliografiche
1. Domenico Alberto Azuni, Histoire géographique politique et naturelle de la Sardaigne, vol. II. Paris 1802.
2. Pietro Sisternes, Umilissima, confidenziale rassegnata dall’infrascritto alla Real Maestà di Maria Teresa d’Austria d’Este Regina di Sardegna in Archivio Storico Sardo, vol. XXI, pagina 92 e seguenti.
3. J. Francois Mimaut, Histoìre de la Sardaigne ou la Sardaigne ancienne et moderne considerée dans ses lois, sa topographie, ses productions et ses 7noeurs, voi. 11. Paris 1825.
4. Stanislao Caboni, Ritratti poetico-storici d’illustri sardi del sec. XVIII e XIX, editi da Antonio Scano. Cagliari 1937.
L’ Angioy e la marcia verso Cagliari, la sua fine di un sogno..
L’Angioy e la marcia verso Cagliari, la sua fine e la fine di un sogno…
di Francesco Casula
Il 2 Giugno 1796 l’alternos si dirige verso Cagliari, accompagnato da gran seguito di dragoni, amici e miliziani: nel Logudoro si ripetono le scene di consenso entusiastico dell’anno precedente. A Semestene però ebbe una comunicazione da Bosa circa i preparativi che erano in atto per fronteggiare ogni sua mossa e a San Leonardo, “fatta sequestrare la posta diretta a Sassari, ebbe conferma delle misure che venivano prese contro di lui”(7).
Difatti a Macomer popolani armati e sobillati da ricchi proprietari cercarono di impedirgli il passaggio, sicché egli dovette entrare con la forza. Poiché anche Bortigali gli si mostrava ostile, si diresse verso Santu Lussurgiu e l’8 Giugno giunse in vista di Oristano.
Nella capitale la notizia che un esercito si avvicinava spaventò il viceré che radunò gli Stamenti. Tutti furono contro l’Angioy: anche quelli che erano stati suoi partigiani come il Pintor, il Cabras, il Sulis. Ahimè ritornati subito sotto le grandi ali del potere in cambio di prebende e uffici. Sardi ancora una volta pocos, locos y male unidos: l’antica maledizione della divisione pesa ancora su di loro. Questa volta per qualche piatto di lenticchie. Così il generoso tentativo dell’Angioy si scontra con gli interessi di pochi: fu rimosso dalla carica di Alternos, si posero 1.500 lire di taglia sulla sua testa e da leader prestigioso e carismatico, impegnato nella lotta antifeudale, per i diritti dei popoli e, in prospettiva nella costruzione in uno stato sardo repubblicano e indipendente, divenne un volgare “ricercato”.
Occorre infatti dire e sostenere con chiarezza che l’Angioy aveva in testa – come risulta dal suo Memoriale (8) – non solo la pura e semplice abolizione del feudalesimo ma una nuova prospettiva istituzionale: la trasformazione dell’antico Parlamento in Assemblea Costituente e uno stato sardo indipendente che “doveva comporsi di quattro dipartimenti (Sassari, Oristano, Cagliari e Orani) suddivisi a loro volta in cantoni ricalcanti le micro-regioni storiche dell’Isola” (9) .
Note Bibliografiche
7. Lorenzo e Vittoria Del Piano, Giovanni Maria Angioy e il periodo rivoluzionario 1793-1812, op. cit
8. II testo integrale in francese del memoriale angioiano, con il titolo Mémoire sur la Sardaigne, si trova in La Sardegna di Carlo Felice e il problema della terra, a cura di C. Sole, Cagliari, 1967, sp. pp. 181-182. Di esso ave¬va già fornito un sunto J. F. Mimaut, Hrstoire de Sardaigne ou la Sardaigne ancienne et moderne considérée dans ses loìs, sa topographìe, ses productìons et sa moeurs, t. II, Paris, 1825, pp. 248-253. Tradotto in italiano si può leggere in A. Boi, Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti, Sassari, 1925 (v. sp. p. 80).
9. Antonello Mattone, Le radici dell’autonomia. Civiltà locale ed istituzioni giuridiche dal Medioevo allo Statuto speciale, in La Sardegna cit., 2, pp. 19-20; v, anche La Sardegna di Carlo Felice cit., pp. 194-196; C. Ghisalberti, Le costituzioni «giacobine» 1796-1799, Milano, 1973.
I pragmatici E i realisti
I pragmatici.
E i realisti.
di Francesco Casula
Li conosco tali soggetti. E sono molti.
Sono quelli che volevano cambiare il mondo ma sono riusciti solo a cambiare se stessi. Adeguandosi allo stato delle cose presenti.
Sono molti di quelli che nel ’68 volevano fare la rivoluzione: spaccando tutto. In realtà sono riusciti solo a spaccare qualche vetrina.
Sono molti di quella generazione che sono passati da essere gramscianamente intellettuali “organici”, a organici solo a Ministeri e Enti inutili.
Un’intera generazione di giovanotti che, cresciuti, si sono sdraiati nei salotti del Potere: nel Parlamento e nella Banche; nei Giornaloni e nelle TV (di Stato o private poco importa); nelle Università. Negli Enti di qualsivoglia tipo e genere purché remunerativi in termini finanziari e di prestigio. E di potere.
Diventati pragmatici e realisti: amanti del quieto vivere, dello status quo intendo. Diventati pavidi. Ignavi: se vogliamo scomodare il Poeta fiorentino.
Diventati sostenitori del “Quieta non movere et mota quietare”. Con il pretesto che cambiare non si può, è difficile,visti i rapporti di forza, visto il contesto.
Diventati sostenitori del compromesso, anche al ribasso: se si vuole entrare nelle istituzioni. Se si vuole governare. Contare. Gestire.
Non capendo che si governerà e si gestirà, peraltro in modo subalterno, la miseria: la miseria del presente.
Sento ripetere anche da parte di molti giovani – invecchiati precocemente – che questo non è il tempo della testimonianza, degli ideali, delle utopie, dei sogni: bisogna essere realisti e pragmatici. Ecco l’ossessivo mantra. La permanente e ossessiva giaculatoria.
Bene: a questo gregge anestetizzato normalizzato e narcotizzato, con pervicacia oppongo – pur convinto e consapevole che si tratta di una vox clamans in deserto – una traiettoria esistenziale prima ancora che culturale e politica, opposta, radicalmente “altra” e antagonista.
Voglio continuare a coltivare sogni idealità utopie. Seguendo il compianto Antonello Satta, gran giornalista e valente intellettuale sardo di Gavoi, secondo cui “Chi nella vita non coltiva qualche utopia, è meglio che si dimetta”. Dalla vita ovviamente.
Voglio persino continuare a essere “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento, George Bernard Shaw, quando affermava che “l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli”.
Basta dunque con l’adeguarsi. Ma basta anche con il ripiegamento interiore, indotto dalla crisi e dalla sconfitta: che non può mai essere definitiva. E basta con il vittimismo intimista, con la lamentazione sterile e generica, con l’attesa passiva in cui ci si consuma a inghiottire il pianto, perché il passato è visto solo come gravame e il futuro come negatività spettrale.
Quello che occorre è una nuova reattività, vitale agonistica militante culturale prima ancora che politica.
CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY
CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY
di Francesco Casula
-Angioy e i moti del 1795.
“I moti del 1795 a differenza di quelli del 1793, che in genere erano stati guidati da gruppi interni ai villaggi, sono preceduti da un’intensa attività di propaganda non solo antifeudale ma anche politica. Infatti insieme alle ribellioni nelle campagne si darà vita ai cosiddetti “strumenti di unione” ovvero a “patti” fra ville e paesi, per esempio fra Chiesi, Bessude, Borutta e Cheremule il 24 novembre 1795 e in seguito fra Bonorva, Semestene e Rebeccu nel Sassarese. In essi le persone giuravano di non riconoscere più alcun feudatario”(4).
“Lo sbocco di questo ampio movimento, autenticamente rivoluzionario e sociale perché metteva radicalmente in discussione i capisaldi del sistema vigente nelle campagne fu l’assedio di Sassari” (5) .
Con cui si costrinse la città alla resa dopo uno scambio di fucilate con la guarnigione. I capi, il giovane notaio cagliaritano Francesco Cilocco e Gioachino Mundula arrestarono il governatore Santuccio e l’arcivescovo Della Torre mentre i feudatari erano riusciti a fuggire in tempo rifugiandosi in Corsica prima e nel Continente poi.
Dentro questo corposo movimento antifeudale, di riscatto econonomico, sociale e persino culturale-giuridico dei contadini e delle campagne si inserisce il ”rivoluzionario” Giovanni Maria Angioy.
– Angioy “Alternos”
Mentre nel capo di sopra divampa l’incendio antifeudale, con le agitazioni che continuano e si diffondono in paesi e ville del Sassarese, gli Stamenti propongono al viceré Vivalda di nominare l’Angioy alternos con poteri civili, militari e giudiziari pari a quelli del viceré. Il canonico Sisternes si sarebbe poi vantato di aver proposto il nome dell’Angioy per allontanarlo da Cagliari e indebolire il suo partito. Certo è che il suo nome venne fatto perché persona saggia e perché solo lui, grazie al potere e al prestigio che disponeva nonché alla competenza in materia di diritto feudale ma anche perché originario della Sardegna settentrionale, avrebbe potuto ristabilire l’ordine nel Logudoro.
L’intellettuale di Bono accettò, ritenendo che con quel ruolo avrebbe rafforzato le proprie posizioni ma anche quelle della sua parte politica incentrate sicuramente nella abolizione del feudalesimo in primis. Il viaggio a Sassari fu un vero e proprio trionfo: seguaci armati ed entusiasti si unirono con lui nel corso del viaggio, vedendolo come il liberatore dall’oppressione feudale. E giustamente. Anche perché riuscì a comporre conflitti e agitazioni, a riconciliare molti personaggi, a liberare detenuti che giacevano – scrive Vittorio Angius – in sotterranee oscure fetentissime carceri.
– L’Angioy a Sassari
Accolto a Sassari dal popolo festante ed entusiasta – persino i monsignori lo ricevettero nel Duomo al canto del Te Deum di ringraziamento – in breve tempo riordinò l’amministrazione della giustizia e della cosa pubblica, creò un’efficiente polizia urbana e diede dunque più sicurezza alla città, predispose lavori di pubblica utilità creando lavoro per molti disoccupati, si fece mandare da Cagliari il grano che era stato inutilmente richiesto quando più vivo era il contrasto fra le due città: per questa sua opera ottenne una vastissima popolarità. Nel frattempo i vassalli, impazienti nel sospirare la liberazione dalla schiavitù feudale (ovvero “de si bogare sa cadena da-e su tuiu: come diceva il rettore Muroni, amico e sostenitore di Angioy) e di ottenere il riscatto dei feudi, proseguirono nella stipulazione dei patti dell’anno precedente: il 17 Marzo 1796 ben 40 villaggi del capo settentrionale, confederandosi, giuravano solennemente di non riconoscere più né voler dipendere dai baroni. Angioy non poteva non essere d’accordo con loro e li riconobbe: in una lettera spedita il 9 Giugno 1796 al viceré da Oristano, nella sfortunata marcia su Cagliari che tra poco intraprenderà, cercò di giustificare l’azione degli abitanti delle ville e dei paesi riconoscendo la drammaticità dell’oppressione feudale che non era possibile più contenere e gestire, e assurdo e controproducente cercare di reprimere.
Non faceva però i conti con la controparte: i baroni. Che tutto voleva fuorché l’abolizione dei feudi: ad iniziare dal viceré. Tanto che i suoi nemici organizzarono durante la sua stessa permanenza a Sassari una congiura, scoperta ad aprile.
Si decise perciò di “impressionare gli stamenti con una dimostrazione di forza, che facesse loro comprendere come il moto antifeudale era seguito da tutta la popolazione e che era ormai inarrestabile”(6). Lasciò dunque Sassari e si diresse a Cagliari.
3- continua
Note bibliografiche
4. Federico Francioni, Giommaria Angioy nella storia del suo tempo, Editore Della Torre, Cagliari 1985.
5. Lorenzo e Vittoria Del Piano, Giovanni Maria Angioy e il periodo rivoluzionario 1793-1812, Edizioni C. R, Quartu, 2000.
6. Natale Sanna, Il Cammino dei Sardi, vol. 3°, op. cit.
CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY
Il brutto anatroccolo: de te Sardinia fabula narratur
Il brutto anatroccolo: de te Sardinia fabula narratur.
di Francesco Casula
Bos amentades “Il brutto anatroccolo” una bella paristoria de Hans Christian Andersen?
Allegat, in carchi modu peri de nois Sardos. In suspu.
Il brutto anatroccolo della favola pensava di essere così brutto da nascondersi alla vista delle altre anatre, fino a quando scoprì invece, nel riflesso dell’acqua in cui si muoveva, di essere un bianchissimo splendido cigno.
In realtà – scrive Lee Coit (Ascoltare la propria guida interiore, Macroedizioni, Cesena, 2002) – siamo dei cigni fin dal principio, malgrado ciò che noi stessi pensiamo o gli altri pensino. Solo che non sappiamo guardare ciò che meglio riflette la nostra vera natura. La nostra storia. La nostra lingua. La nostra civiltà e tradizione: che non conosciamo e, che spesso disprezziamo.
Stiamo ancora in attesa che qualche gigante che viene dal mare, possa salvarci. I giganti non esistono.
Anzi: dal mare benint sos furones. Solo noi, con le nostre forze possiamo salvarci: magari ispirandoci agli unici giganti che conosciamo: quelli di Mont’ ‘e Prama.
Per le elezioni regionali 2024: UNA LISTA NAZIONALE SARDA
Per le elezioni regionali 2024:
UNA LISTA NAZIONALE SARDA
di Francesco Casula
Una lista civica. Plurale. Aperta. Inclusiva. Che si rivolge a tutti i Sardi. E certo soprattutto agli indipendentisti, federalisti, autonomisti; ai Movimenti, alle Associazioni, ai Gruppi che in tutti questi anni hanno lottato:
– per difendere la sanità pubblica. Per una scuola sarda e per il bilinguismo. Per trasporti decenti.
– contro la speculazione energetica. Contro le basi e le esercitazioni militari. Contro le industrie nere e inquinanti e le fabbriche delle armi.
Una Lista nazionale sarda, alternativa e contrapposta, a quelle dei Partiti e delle coalizioni italiane: di centro destra come di centro sinistra. Che in buona sostanza pari sono.
Al di là degli schieramenti, i Partiti italiani in Sardegna, storicamente, oggi come nel passato, sono stati e sono i mediatori del colonialismo dello Stato italiano; le succursali delle Agenzie madri che tutto decidono: dalle linee politiche (che poi esportano nell’Isola considerata colonia e provincia d’oltremare), alle stesse classi dirigenti e ai governi isolani che hanno sempre bisogno dell’imprimatur romano.
Al di la degli schieramenti, le controparti dei sardi sono i centri di potere costruiti, (e sedimentati nel tempo) dai Partiti italici, di centro destra come di centro sinistra.
Questi centri di potere, al di là delle elezioni e dei risultati elettorali, impediscono qualsivoglia sviluppo endogeno della Sardegna, ancorandola al sottosviluppo, alla dipendenza e all’arretratezza; privandola dei servizi essenziali (ad iniziare dai trasporti) e negando il lavoro o comunque precarizzandolo; devastando l’ambiente.
Nasce di qui – e non per motivi ideologici – l’esigenza di una Lista nazionale sarda alternativa e contrapposta ai partiti italiani.
Pensiamo a una Lista minestrone, in cui c’è tutto e il contrario di tutto? Le accozzaglie le costruiscono i Partiti italiani di centro destra come di centro sinistra, il cui unico fine è quello di conservare il potere e il dominio sui sardi.
Pensiamo a una Lista, il cui programma (e la cui composizione) dobbiamo, insieme, discutere e decidere.
L’Incontro del 16 luglio prossimo a Abbasanta (ore 9.30, Parco di Sant’Agostino) (dopo quello tenutosi ai Serri il 2 luglio scorso) dovrà essere un’occasione importante per il confronto pubblico e senza rete, per individuare alcuni essenziali punti programmatici.