Il vizio di Onesicrito, la Sinistra e la Questione sarda

Il vizio di Onesicrito, la Sinistra e la Questione sarda.
di Francesco Casula
Claudia Zuncheddu, su Il Manifesto sardo del 25 luglio scorso, rispondendo a Roberto Loddo sulla questione delle elezioni regionali, ha scritto che “sostenere il centro sinistra per noi sardi è un errore e una condanna al pari del centro destra”. Di qui l’esigenza e la necessità non più procrastinabile di dare vita a un terzo polo, alternativo ai poli italianisti, con una Lista nazionale sarda, civica, plurale aperta e inclusiva, che comprenda oltre che il variegato pianeta indipendentista e federalista, le Associazioni, i Movimenti, i Gruppi che in tutti questi anni, hanno condotto e conducono una opposizione sociale per la sanità e la scuola pubblica, per un nuovo Statuto su basi federaliste, contro la speculazione energetica, contro il nucleare, le basi e servitù militari, le industrie nere e inquinanti, le fabbriche di armi. Non ripeto le argomentazioni di Claudia Zuncheddu – che condivido in toto – vorrei piuttosto aggiungere, a conferma della sua posizione, ulteriori elementi. Un certo Onesicrito tra il 332 e il 336 a.C. aveva visitato l’India al seguito di Alessandro Magno, riportandone descrizioni alquanto fantasiose, che misero a lungo fuori strada i geografi dell’epoca. Partiti, Sindacati e parte degli studiosi e degli storici – segnatamente quelli di impronta più statalista – per decenni ci hanno dato della “Questione sarda” una descrizione alquanto “fantasiosa”, – un po’ come Onesicrito aveva dato dell’India – riducendola a un semplice frammento o appendice della “Questione meridionale”. O in ogni caso in questa comprendendola affogandola e diluendola. C’è di più: è stata considerata esclusivamente dal punto di vista economico. La cartina di tornasole di questa visione è rappresentata persino dallo Statuto speciale di Autonomia della Sardegna, tutto giocato sul crinale economicistico: rivelatore ne è in particolare l’articolo 13: “Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola”. Di qui i disastri e i fallimenti dell’industrializzazione, segnatamente di quella petrolchimica. E l’insieme degli aspetti etnoculturali e linguistici? Del tutto assente, nonostante gli avvertimenti di Lussu sulla necessità di sancire l’obbligo dell’insegnamento della lingua sarda nelle scuole in quanto “essa è un patrimonio millenario che occorre conservare”. E nonostante i consigli di Giovanni Lilliu che suggeriva ai Costituenti sardi di rivendicare per la Sardegna competenze primarie ed esclusive almeno per quanto riguardava i “Beni culturali”. Ma ecco come lo stesso Lilliu denuncia la scelta dei Costituenti: “Is consultoris sardus hiant stimau chi s’istruzioni e sa cultura, in cussu mamentu de recuberamentu materiali de sa Regioni fessint de interessu segundariu e hiant lassau a su Stadu de nci pessai issu esclusivamenti. E poita is Consultoris no hiant bofiu sa cumpetenzia primaria in sa istruzioni, sa scola e sa cultura sarda no figurant in sa lei de su 23 de friaxiu n.3. Aici est nasciu unu statutu sardu zoppu, fundau sceti apitzus de s’economia reali in sa cali, po s’effettu de operai in sa politica de su renascimentu, s’est scaresciu propriu de is valoris idealis e de is concettus po ponniri in movimentu su renascimentu, eus a nai cussu chi est sa basi de sa venganza autonomistica. Valoris is calis, in prus, donant arrexonis e fundamentus perennis a sa spezialidadi de sa Regioni sarda, ch’est verdaderamenti una Regioni-Natzioni: unu populu cun sinnus proprius de limba, etnia, storia, cultura, maneras de si cumportai, de gestus, de pensai is calis calant a fundu in sa vida de dognia dì e balint e operant a totus is livellus de sa sociedadi….Sa repulsa de sa cultura hat tentu effettus negativus no sceti cun sa crisi de s’autonomia. Issa hat impediu su cresciri de una classi dirigenti forti e libera sa cali hiat a essiri agatau ideas e stimulus po operai in politica, creativamenti, cun s’aggiudu de sa cultura de su logu impari a sa cultura in generali. Sa cultura de s’Autonomia fundada apitzus de sa cultura sarda, cultura de sa diversidadi, de disturbu, de resistenzia hiat a essiri indulliu is politicus sardus a si liberai de sa dependenzia, a non essiri maschera de su stadu”. Continua invece a cadere nel vizio di Onesicrito il Pd e il centro sinistra in genere quando persiste nell’attardarsi a considerare la “Questione sarda” come questione esclusivamente economica e sociale. Mai nessun accenno alla Sardegna come minoranza nazionale e linguistica: nei programmi elettorali del Pd avete mai visto il Bilinguismo come obiettivo programmatico primario da conseguire? Continua anzi ad osteggiarlo. E tanto meno è interessato alla Sardegna come “nazione oppressa” dallo Stato italiano e, dunque bisognosa non solo di liberazione economica e sociale in quanto colonia interna, ma di liberazione nazionale. Ovvero di Autodeterminazione e Indipendenza. Non cade nel vizio di Onesicrito Antonio Simon Mossa: lucidamente e correttamente egli considera la Sardegna come una colonia interna dello Stato Italiano e nel contempo una Nazione oppressa dallo stesso Stato, brutalmente e pervicacemente unitario, accentrato e centralistico: “proibita” e “non riconosciuta” dallo Stato Italiano, emarginata dalla storia, insieme a tutte le altre minoranze etniche in Europa e nel mondo che “l’imperiale geometria delle capitali europee vorrebbe ammutolire”. Contro cui è in atto un pericolosissimo processo di “genocidio” culturale e linguistico. Per annichilire e distruggere l’identità dei Sardi è infatti in atto e continua a operare – soprattutto attraverso la scuola di stato –, un processo forzato di integrazione e di snazionalizzazione: certo, rispetto ai tempi bui del Fascismo, con i guanti di velluto invece che con il bastone e l’olio di ricino. Ad essere colpita è soprattutto la storia, la letteratura e lingua sarda: rigorosamente espunte da tutti i programmi scolastici. Non comprendendo quanto saggiamente sosteneva il nostro più grande poeta etnico degli ultimi 50 anni, il compianto Cicitu Masala, secondo cui “a unu populu nche li podes moere totu e sighit a bivere, si nche li moes sa limba si nche morit” (A un popolo puoi sottrargli tutto e continua a vivere, ma se gli togli la lingua muore)!
 
 
 
 
 
 
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CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY – Angioy nella valutazione degli storici.

CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY
Angioy nella valutazione degli storici

di Francesco Casula

4. Carlo Botta lo chiama il Paoli sardo, definendolo: uomo tanto più vicino alla modesta virtù degli antichi, quanto più lontano dalla virtù vantatrice dei moderni5.
5. Il Valery lo dice vittima di patriottismo, forse unica nel nostro secolo6 .
6. Per lo Spano l’Angioy, mandato per sedare i tumulti dei vassalli, quando si persuase degli abusi dei feudatari, in¬nalzò il vessillo dell’emancipazione feudale7 .
7. L’Angius lo definisce un ambizioso che favorì l’anarchia e che potente per le sue aderenze e per la popolarità, opprimeva il Magistrato e perseguitava gli amici dell’ordine e i devoti al re8.
8. Il Manno è più severo: pur riconoscendo che ebbe virtù di ingegno, che fu buon padre e uomo generoso, lo definisce politicante fazioso, al quale si devono gli eccessi della insurrezione del 1795, la morte del Pitzolo e del generale Della Planargia9 .
9. Il Tola, che nel 1837 ne scrisse una breve ed incompleta biografia con intonazione più che benevola, sei anni dopo s’as-socia al giudizio del Manno in uno studio apparso nella rivista « La Meteora »10 .
10. Il Sulis in uno studio assai coscienzioso sui moti politici della Sardegna dal 1795 al 1825, rimasto incompiuto, s’indugia ad esaltare la figura dell’Angioy specialmente per la salda sua costanza nel professare i principi politici del popolare riscatto ai quali sacrò le attitudini della mente, le affezioni del cuore, le azioni della vita, le supreme preghiere in morte11. .
L’Esperson nel 1878 cerca abilmente di giustificare le con-traddizioni ed incongruenze che si riscontrano nella condotta del¬1’Angioy attribuendogli il disegno di un popolare governo, col¬l’aiuto o non della Francia repubblicana, il che positivamente non consta, e punto non avrebbe gravato la sua posizione poli¬tica; salvo, occorrendo di venir in seguito, come dappertutto si operava, a transazione, accettando onesti e civili ordini monar¬chico-costituzionali 12.
12. Per il Costa l’Angioy fu un incompreso, non scevro di vizi e di virtù, e l’insurrezione che da lui prese il nome, fu il con-traccolpo della rivoluzione dell’89, non un tentativo di codardi ambiziosi e di piccole vendette come scrisse il Manno13.. Seguendo il Sulis, Raffa Garzia presenta un Angioy, ar¬dente repubblicano e fautore delle massime francesi dell’8914.
14. Il Pola, che nel suo esauriente studio sui moti delle cam-pagne di Sardegna dal 1793 al 1802 si dimostra critico impar-ziale dell’operato dell’Angioy, ritiene che alla fine del 1796 le idee politiche dell’agitatore sardo non fossero ancora ben cono-sciute non solo, ma che non sussistessero in forma antidinastica, aggiungendo che i moti sardi del 1795 e 1796 ebbero carattere prevalentemente economico-antifeudale e che l’intenzione at¬tribuita all’Angioy di condurre i villici armati a Cagliari per ro¬vesciarvi il governo monarchico e levar la bandiera della re¬pubblica non sia mai esistita15.
15. Il Boi, che ebbe il merito di servirsi di documenti inediti tratti dagli archivi di Parigi per il suo studio sull’Angioy, scrive che questi alla soggezione ad un governo pavido e reazionario preferiva per la sua patria un governo, sia pure straniero, ma che agitava nel mondo la fiamma purissima della libertà16.

Si occuparono dell’Angioy, non di proposito ma incidental-mente, il Bartolucci17, il Segre 18, il Martini19, l’Ago¬stini20, il Bianchi21, il Deledda22, il La Vaccara23, il Mossa24, il Pittalis25, il Loddo-Canepa26 ed altri.

Note bibliografiche
5. Carlo Botta, Storia d’Italia dal 1789 in appresso. Libri V e VII.
6. Valery Ant. Claude Pasquin, Voyage en Corte, à Cile d’Elbe et en Sar¬daigne. Paris 1825.
7. Giovanni Spano, Rivoluzione di Borio nel 1796 e spedizione militare in Rivista Sarda, vol. I. Cagliari 1875 pagine. 186-204.
8. Vittorio Angius, Logudoro in Dizionario geografico-storico•statistico degli Stati di S. M. ‘L Re di Sardegna. Torino 1833-56,, vol. IX.
9. Giuseppe Manno, Storia moderna della Sardegna. Torino 1842, vol. I, pag. 136.
10. Pasquale Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna. Torino 1837-38, vol. I; pagina. 77 e segg.
11. Francesco Sulis, Dei moti liberali dell’isola di Sardegna dal 1793 al 1825, vol. I. Torino 1857.
12. Ignazio Esperson, Note e giudizi sull’ultimo periodo storico della Sardegna. Milano 1878.
13. Enrico Costa, Sassari, vol. L Sassari 1885.
14. Raffa Garzia, Canto di una rivoluzione. Cagliari 1899.
15. Sebastiano Pola, I moti delle campagne di Sardegna dal 1793 al 1802, Sassari 1925.
16. Antonio Boi, Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti. Sassari 1925.
17. Lorenzo Bartolucci, Memorie di Francesco Sulis. Cagliari 1904.
18. Antonio Segre, Vittorio Emanuele I. Torino 1928.
19. Pietro Martini, Storia della Sardegna. Cagliari 1852.
20. A. Agostini, Il canto di una rivoluzione in Piccola Rivista. Anno. 1900, n. 6.
21. Nicomede Bianchi, Storia della monarchia piemontese dal 1773 al 1861, Torino 1877-1885.
22. Salvatore deledda, Moti antifrartcesi in Sardegna in Rivista d’Italia. vol.III, fase. 9, anno 1925.
23. Luigi La Vaccara, Origine dell’inimicizia fra l’Angioy e il Pitzolo in L’Unione Sarda del 3 aprile 1929.
24. Antonio Mossa, Centenario dell’ingresso di Angioy in Sassari. Sassari 1896.
25. Salvatore Pitzalis, Documento inedito su Angioy in Arch. St. Sardo, vol. XI, pagina 174.
26. Francesco Loddo Canepa, La Sardegna dal ’48 ad oggi in Rivista Il Nuraghe, n. 63.64; 65, (con una posizione antitetica a quella del Pola).

Come gli storici valutano l’Angioy

Come gli storici valutano l’Angioy

di Francesco Casula

Dionigi Scano nella prefazione a Scritti inediti, (Gallizzi editori), nel secondo capitolo dedicato a Don Maria Angioy e i suoi tempi, oltre che esprimere lui stesso dei giudizi:Dei personaggi che parteciparono alle movimentate vicende della Sardegna nell’ultimo decennio del XVIII secolo, il più discusso è stato ed è tuttora il giudice della Reale Udienza Don Giommaria Angioi o meglio Angioy secondo la grafia originaria”, riporta tutta una serie di valutazioni di altri storici, sardi, italiani e stranieri.
Eccoli:
1. “Il primo a scriverne fu Domenico Alberto Azuni (1) con il quale ‘Angioy fu legato d’affettuosa amicizia che, contratta sin da quando ambedue frequentarono le scuole del Collegio Canopoleno di Sassari, si rafforzò ancor più in età matura a Parigi, dove si trovarono ai primi dell’Ottocento, l’Angioy esule e accorato e l’Azuni elevato dal Consolato ad alti uffici.
L’Azuni scrisse dell’opera del suo amico affettuosamente più che imparzialmente presentandolo come il più ardente difensore della nazione sarda e leale servitore del. regio servizio asserendo che nella carica di alternos, affidatagli dal vicerè si comportò saggiamente, ristabilendo nel Capo Settentrionale l’ordine e la sicurezza.
2. Il Sisternes in alcune sue note scritte nel secondo decennio dell’Ottocento e destinate alla regina Maria Teresa, accusa l’Angioy di essersi rivolto alla repubblica francese per l’insurrezione del 1795 e di aver voluto rovesciare il governo monarchico per instaurare un regime repubblicano (2).
3. Il Mimaut esprime sull’Angioy lo stesso giudizio dello Azuni (3).
4. Il poeta Stanislao Caboni, condensa nel breve ambito di un sonetto il suo pensiero sull’Angioy. Eccolo integrale, mentre Dionigi Scano, nell’opera citata ne riporta solo alcuni versi:

GIOVANNI MARIA ANGIOI
E’ questa l’urna che il proscritto serra?
Vo lo spirto evocar che più non mente;
Dímmi : al trono movesti insana guerra,
O agli oppressor d’un popolo fremente?
Ti spinse alto sentire anche d’uom ch’erra
Nel fatal varco o cieca ira impotente ?
Fosti un vile o un Eroe ? La patria terra
T’era, o un poter compro col sangue, in mente?
Cupe mormoran fossa; io vil non fui,
Non traditor, tradito; il cor mi strinse
Della patria, pietà, dei mali sui;

Ma Eroe non pur, ché fermo in mio pensiero
Non prò di man, di cuore, inscio me spinse
Non oltre il Rubicon spinsi il destriero. (4).
5- continua

Note Bibliografiche
1. Domenico Alberto Azuni, Histoire géographique politique et naturelle de la Sardaigne, vol. II. Paris 1802.
2. Pietro Sisternes, Umilissima, confidenziale rassegnata dall’infrascritto alla Real Maestà di Maria Teresa d’Austria d’Este Regina di Sardegna in Archivio Storico Sardo, vol. XXI, pagina 92 e seguenti.
3. J. Francois Mimaut, Histoìre de la Sardaigne ou la Sardaigne ancienne et moderne considerée dans ses lois, sa topographie, ses productions et ses 7noeurs, voi. 11. Paris 1825.
4. Stanislao Caboni, Ritratti poetico-storici d’illustri sardi del sec. XVIII e XIX, editi da Antonio Scano. Cagliari 1937.

L’ Angioy e la marcia verso Cagliari, la sua fine di un sogno..

L’Angioy e la marcia verso Cagliari, la sua fine e la fine di un sogno…

di Francesco Casula

Il 2 Giugno 1796 l’alternos si dirige verso Cagliari, accompagnato da gran seguito di dragoni, amici e miliziani: nel Logudoro si ripetono le scene di consenso entusiastico dell’anno precedente. A Semestene però ebbe una comunicazione da Bosa circa i preparativi che erano in atto per fronteggiare ogni sua mossa e a San Leonardo, “fatta sequestrare la posta diretta a Sassari, ebbe conferma delle misure che venivano prese contro di lui”(7).
Difatti a Macomer popolani armati e sobillati da ricchi proprietari cercarono di impedirgli il passaggio, sicché egli dovette entrare con la forza. Poiché anche Bortigali gli si mostrava ostile, si diresse verso Santu Lussurgiu e l’8 Giugno giunse in vista di Oristano.
Nella capitale la notizia che un esercito si avvicinava spaventò il viceré che radunò gli Stamenti. Tutti furono contro l’Angioy: anche quelli che erano stati suoi partigiani come il Pintor, il Cabras, il Sulis. Ahimè ritornati subito sotto le grandi ali del potere in cambio di prebende e uffici. Sardi ancora una volta pocos, locos y male unidos: l’antica maledizione della divisione pesa ancora su di loro. Questa volta per qualche piatto di lenticchie. Così il generoso tentativo dell’Angioy si scontra con gli interessi di pochi: fu rimosso dalla carica di Alternos, si posero 1.500 lire di taglia sulla sua testa e da leader prestigioso e carismatico, impegnato nella lotta antifeudale, per i diritti dei popoli e, in prospettiva nella costruzione in uno stato sardo repubblicano e indipendente, divenne un volgare “ricercato”.
Occorre infatti dire e sostenere con chiarezza che l’Angioy aveva in testa – come risulta dal suo Memoriale (8) – non solo la pura e semplice abolizione del feudalesimo ma una nuova prospettiva istituzionale: la trasformazione dell’antico Parlamento in Assemblea Costituente e uno stato sardo indipendente che “doveva comporsi di quattro dipartimenti (Sassari, Oristano, Cagliari e Orani) suddivisi a loro volta in cantoni ricalcanti le micro-regioni storiche dell’Isola” (9) .

Note Bibliografiche
7. Lorenzo e Vittoria Del Piano, Giovanni Maria Angioy e il periodo rivoluzionario 1793-1812, op. cit
8. II testo integrale in francese del memoriale angioiano, con il titolo Mémoire sur la Sardaigne, si trova in La Sardegna di Carlo Felice e il problema della terra, a cura di C. Sole, Cagliari, 1967, sp. pp. 181-182. Di esso ave¬va già fornito un sunto J. F. Mimaut, Hrstoire de Sardaigne ou la Sardaigne ancienne et moderne considérée dans ses loìs, sa topographìe, ses productìons et sa moeurs, t. II, Paris, 1825, pp. 248-253. Tradotto in italiano si può leggere in A. Boi, Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti, Sassari, 1925 (v. sp. p. 80).
9. Antonello Mattone, Le radici dell’autonomia. Civiltà locale ed istituzioni giuridiche dal Medioevo allo Statuto speciale, in La Sardegna cit., 2, pp. 19-20; v, anche La Sardegna di Carlo Felice cit., pp. 194-196; C. Ghisalberti, Le costituzioni «giacobine» 1796-1799, Milano, 1973.

I pragmatici E i realisti

I pragmatici.
E i realisti.

di Francesco Casula

Li conosco tali soggetti. E sono molti.
Sono quelli che volevano cambiare il mondo ma sono riusciti solo a cambiare se stessi. Adeguandosi allo stato delle cose presenti.
Sono molti di quelli che nel ’68 volevano fare la rivoluzione: spaccando tutto. In realtà sono riusciti solo a spaccare qualche vetrina.
Sono molti di quella generazione che sono passati da essere gramscianamente intellettuali “organici”, a organici solo a Ministeri e Enti inutili.
Un’intera generazione di giovanotti che, cresciuti, si sono sdraiati nei salotti del Potere: nel Parlamento e nella Banche; nei Giornaloni e nelle TV (di Stato o private poco importa); nelle Università. Negli Enti di qualsivoglia tipo e genere purché remunerativi in termini finanziari e di prestigio. E di potere.
Diventati pragmatici e realisti: amanti del quieto vivere, dello status quo intendo. Diventati pavidi. Ignavi: se vogliamo scomodare il Poeta fiorentino.
Diventati sostenitori del “Quieta non movere et mota quietare”. Con il pretesto che cambiare non si può, è difficile,visti i rapporti di forza, visto il contesto.
Diventati sostenitori del compromesso, anche al ribasso: se si vuole entrare nelle istituzioni. Se si vuole governare. Contare. Gestire.
Non capendo che si governerà e si gestirà, peraltro in modo subalterno, la miseria: la miseria del presente.
Sento ripetere anche da parte di molti giovani – invecchiati precocemente – che questo non è il tempo della testimonianza, degli ideali, delle utopie, dei sogni: bisogna essere realisti e pragmatici. Ecco l’ossessivo mantra. La permanente e ossessiva giaculatoria.
Bene: a questo gregge anestetizzato normalizzato e narcotizzato, con pervicacia oppongo – pur convinto e consapevole che si tratta di una vox clamans in deserto – una traiettoria esistenziale prima ancora che culturale e politica, opposta, radicalmente “altra” e antagonista.
Voglio continuare a coltivare sogni idealità utopie. Seguendo il compianto Antonello Satta, gran giornalista e valente intellettuale sardo di Gavoi, secondo cui “Chi nella vita non coltiva qualche utopia, è meglio che si dimetta”. Dalla vita ovviamente.
Voglio persino continuare a essere “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento, George Bernard Shaw, quando affermava che “l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli”.
Basta dunque con l’adeguarsi. Ma basta anche con il ripiegamento interiore, indotto dalla crisi e dalla sconfitta: che non può mai essere definitiva. E basta con il vittimismo intimista, con la lamentazione sterile e generica, con l’attesa passiva in cui ci si consuma a inghiottire il pianto, perché il passato è visto solo come gravame e il futuro come negatività spettrale.
Quello che occorre è una nuova reattività, vitale agonistica militante culturale prima ancora che politica.

CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY


CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY

di Francesco Casula

-Angioy e i moti del 1795.
“I moti del 1795 a differenza di quelli del 1793, che in genere erano stati guidati da gruppi interni ai villaggi, sono preceduti da un’intensa attività di propaganda non solo antifeudale ma anche politica. Infatti insieme alle ribellioni nelle campagne si darà vita ai cosiddetti “strumenti di unione” ovvero a “patti” fra ville e paesi, per esempio fra Chiesi, Bessude, Borutta e Cheremule il 24 novembre 1795 e in seguito fra Bonorva, Semestene e Rebeccu nel Sassarese. In essi le persone giuravano di non riconoscere più alcun feudatario”(4).
“Lo sbocco di questo ampio movimento, autenticamente rivoluzionario e sociale perché metteva radicalmente in discussione i capisaldi del sistema vigente nelle campagne fu l’assedio di Sassari” (5) .
Con cui si costrinse la città alla resa dopo uno scambio di fucilate con la guarnigione. I capi, il giovane notaio cagliaritano Francesco Cilocco e Gioachino Mundula arrestarono il governatore Santuccio e l’arcivescovo Della Torre mentre i feudatari erano riusciti a fuggire in tempo rifugiandosi in Corsica prima e nel Continente poi.
Dentro questo corposo movimento antifeudale, di riscatto econonomico, sociale e persino culturale-giuridico dei contadini e delle campagne si inserisce il ”rivoluzionario” Giovanni Maria Angioy.
– Angioy “Alternos”
Mentre nel capo di sopra divampa l’incendio antifeudale, con le agitazioni che continuano e si diffondono in paesi e ville del Sassarese, gli Stamenti propongono al viceré Vivalda di nominare l’Angioy alternos con poteri civili, militari e giudiziari pari a quelli del viceré. Il canonico Sisternes si sarebbe poi vantato di aver proposto il nome dell’Angioy per allontanarlo da Cagliari e indebolire il suo partito. Certo è che il suo nome venne fatto perché persona saggia e perché solo lui, grazie al potere e al prestigio che disponeva nonché alla competenza in materia di diritto feudale ma anche perché originario della Sardegna settentrionale, avrebbe potuto ristabilire l’ordine nel Logudoro.
L’intellettuale di Bono accettò, ritenendo che con quel ruolo avrebbe rafforzato le proprie posizioni ma anche quelle della sua parte politica incentrate sicuramente nella abolizione del feudalesimo in primis. Il viaggio a Sassari fu un vero e proprio trionfo: seguaci armati ed entusiasti si unirono con lui nel corso del viaggio, vedendolo come il liberatore dall’oppressione feudale. E giustamente. Anche perché riuscì a comporre conflitti e agitazioni, a riconciliare molti personaggi, a liberare detenuti che giacevano – scrive Vittorio Angius – in sotterranee oscure fetentissime carceri.
– L’Angioy a Sassari
Accolto a Sassari dal popolo festante ed entusiasta – persino i monsignori lo ricevettero nel Duomo al canto del Te Deum di ringraziamento – in breve tempo riordinò l’amministrazione della giustizia e della cosa pubblica, creò un’efficiente polizia urbana e diede dunque più sicurezza alla città, predispose lavori di pubblica utilità creando lavoro per molti disoccupati, si fece mandare da Cagliari il grano che era stato inutilmente richiesto quando più vivo era il contrasto fra le due città: per questa sua opera ottenne una vastissima popolarità. Nel frattempo i vassalli, impazienti nel sospirare la liberazione dalla schiavitù feudale (ovvero “de si bogare sa cadena da-e su tuiu: come diceva il rettore Muroni, amico e sostenitore di Angioy) e di ottenere il riscatto dei feudi, proseguirono nella stipulazione dei patti dell’anno precedente: il 17 Marzo 1796 ben 40 villaggi del capo settentrionale, confederandosi, giuravano solennemente di non riconoscere più né voler dipendere dai baroni. Angioy non poteva non essere d’accordo con loro e li riconobbe: in una lettera spedita il 9 Giugno 1796 al viceré da Oristano, nella sfortunata marcia su Cagliari che tra poco intraprenderà, cercò di giustificare l’azione degli abitanti delle ville e dei paesi riconoscendo la drammaticità dell’oppressione feudale che non era possibile più contenere e gestire, e assurdo e controproducente cercare di reprimere.
Non faceva però i conti con la controparte: i baroni. Che tutto voleva fuorché l’abolizione dei feudi: ad iniziare dal viceré. Tanto che i suoi nemici organizzarono durante la sua stessa permanenza a Sassari una congiura, scoperta ad aprile.
Si decise perciò di “impressionare gli stamenti con una dimostrazione di forza, che facesse loro comprendere come il moto antifeudale era seguito da tutta la popolazione e che era ormai inarrestabile”(6). Lasciò dunque Sassari e si diresse a Cagliari.
3- continua
Note bibliografiche
4. Federico Francioni, Giommaria Angioy nella storia del suo tempo, Editore Della Torre, Cagliari 1985.
5. Lorenzo e Vittoria Del Piano, Giovanni Maria Angioy e il periodo rivoluzionario 1793-1812, Edizioni C. R, Quartu, 2000.
6. Natale Sanna, Il Cammino dei Sardi, vol. 3°, op. cit.

CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY

CONOSCERE GIOVANNI MARIA ANGIOY
di Francesco Casula
1. Angioy e il post scommiato. Con la cacciata del viceré e dei Piemontesi, il governo (in cui gli Stamenti si erano, giustamente, arrogati il diritto di interferire) fu assunto, dalla Reale Udienza, dominata da Giovanni Maria Angioy, e la difesa fu affidata alla milizia popolare del Sulis. Inizia in questo momento un periodo pieno di contraddizioni: da una parte ricco di speranze e progetti verso l’Autogoverno, dall’altra con un rovinoso prevalere di interessi e appettiti personali e di gruppo, con tradimenti e trasformismi, opportunismi e ambizioni. Fallita intanto la missione a Torino, facevano ritorno in patria il Sircana ed il Pitzolo. “In quest’ultimo, tuttavia, – scrive Natale Sanna – che pur con la sua lettera era stato (a quanto almeno si diceva) uno dei principali sobillatori della rivolta del 28 aprile, si notava uno strano cambiamento: biasimava la sommossa ed i suoi capi, proclamava doversi ristabilire l’ordine turbato dalla disubbidienza alle disposizioni reali, accusava aspramente Domenico Simon come uno dei principali responsabili del fallimento della missione”(1). La defezione del Pitzolo, passato ormai apertamente ai conservatori, provocò il rafforzamento dell’altra fazione, detta dei giacobini (termine forse improprio, ma allora di moda), capitanata da Cabras, Pintor, Sulis, Musso e, soprattutto, dall’Angioy. In questo ribollimento di odi e di fazioni, – scrive ancora Sanna – un inaspettato provvedimento del governo di Torino sembrò dar ragione a coloro che accusavano il Pitzolo di essersi lasciato corrompere da segrete promesse di impieghi e di prebende. Il nuovo ministro, conte Avogadro di Quaregna, nominò d’autorità, senza tener conto dell’antico sistema delle terne, i nuovi alti ufficiali: reggente la Reale Cancelleria l’avvocato Gavino Cocco, gover¬natore di Sassari il cavalier Santuccio, generale delle milizie il marchese Paliaccio della Planargía, notoriamente reazionario, ed infine sovrintendente del Regno il cavalier Pitzolo. Le proteste si levarono violentissime: si inficiavano di illegalità le nomine per non essersi tenuto conto dell’uso delle terne, si accusava di spergiuro il Pitzolo per non aver tenuto fede al giuramento fatto prima di partire per Torino, ma soprattutto si paventava lo spirito reazionario del Planargia che si vociferava, volesse restaurare l’antico ordine e reprimere duramente i capi della rivolta contro i Piemontesi del 24 Aprile. Si paventava inoltre che sia il Pitzolo che il Planargia riservassero solo a sé ai propri amici “reazionari” cariche, benefizi e impieghi escludendo rigorosamente i “democratici”. Non si può procedere nella narrazione senza chiedersi quali fossero gli obiettivi che il movimento popolare intendeva raggiungere cacciando via dall’isola i piemontesi e lo stesso viceré. Sull’insurrezione di Cagliari, sugli avvenimenti successivi e sul ruolo giocato da Giovanni Maria Angioy esiste infatti un dibattito storiografico, che, sin dall’inizio, con le opere del Manno e del Sulis, si è venuto fortemente intrecciando a motivazioni politiche che possono anche oggi influire su un corretto giudizio degli avvenimenti. I popolani di Cagliari, alle cui spalle agivano influenti personaggi di orientamento democratico e giacobineggiante, si propo¬nevano, come sembra ritenere il Manno, di rovesciare gli ordinamenti tradizionali e, seguendo l’esempio francese, approdare alla costituzione di una repubblica sarda? O, invece, e certo ugualmente rinnovando, sia pure con valenza politica ben diversa, riconquistare «privilegi tradizionali» progressivamente usurpati dai piemontesi, così da assicurare al regno un governo rispettoso degli interessi della popolazione locale? E, in questo quadro, quale la funzione di Giovanni Maria Angioy, certo la figura di maggior rilievo e prestigio del movimento complessivo? Quella di chi sin dall’inizio aveva chiaro che l’obiettivo era una Sardegna repubblicana e non più feudale e, in funzione del raggiungimento di questo obiettivo, regolava le mosse proprie e delle forze politiche che lo seguivano? O quella, invece, di chi adeguava la propria strategia all’incalzare degli avvenimenti e all’allargarsi della mobilitazione di massa, progressivamente mutandola, sino a esserne travolto anche per mancanza di un disegno strategico iniziale costruito in base a una valutazione attenta delle forze che sarebbe stato possibile mobilitare? Difficile rispondere a questi interrogativi. Occorrerà studiare in modo più approfondito quegli anni terribili e insieme fecondissimi: in cui saranno poste le premesse del riscatto e dell’Autonomia del popolo sardo. Certo è che ”i protagonisti di quelle vicende in realtà erano non tessitori di miserabili congiure o espressione di improvvide rivalità campanilistiche o, nella migliore delle ipotesi, ambiziosi riformatori sociali, ma gli interpreti di un disegno globale di rinnovamento politico e sociale della Sardegna, in accordo con lo spirito dei tempi…(2). E quel periodo della storia della Sardegna, non solo il triennio rivoluzionario ma l’intero decennio (1789-1799) “seppure si chiude con la sconfitta delle forze politiche e sociali che lottavano per una trasformazione profonda della società isolana ha tuttavia rappresentato il punto di riferimento per quanti successivamente hanno speso il loro impegno per liberare l’Isola dalla subalternità e dalla arretratezza”(3). Fra i protagonisti di tale disegno complessivo di riscatto politico, economico e sociale e di autonomia identitaria, emerge con forza e spicco la figura di Giovanni Maria Angioy. 1- segue Note bibliografiche 1. Domenico Alberto Azuni, Histoire géographique politique et naturelle de la Sardaigne, vol. II. Paris 1802. 2. Pietro Sisternes, Umilissima, confidenziale rassegnata dall’infrascritto alla Real Maestà di Maria Teresa d’Austria d’Este Regina di Sardegna in Archivio Storico Sardo, vol. XXI, pagina 92 e segue. 3. J. Francosi, Mimaut, Histoìre de la Sardaigne ou la Sardaigne ancienne et moderne considerée dans ses lois, sa topographie, ses productions et ses 7noeurs, voi. 11. Paris 1825.nti.
 
 
 
 
 
 
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Il brutto anatroccolo: de te Sardinia fabula narratur

Il brutto anatroccolo: de te Sardinia fabula narratur.

di Francesco Casula

Bos amentades “Il brutto anatroccolo” una bella paristoria de Hans Christian Andersen?
Allegat, in carchi modu peri de nois Sardos. In suspu.
Il brutto anatroccolo della favola pensava di essere così brutto da nascondersi alla vista delle altre anatre, fino a quando scoprì invece, nel riflesso dell’acqua in cui si muoveva, di essere un bianchissimo splendido cigno.
In realtà – scrive Lee Coit (Ascoltare la propria guida interiore, Macroedizioni, Cesena, 2002) – siamo dei cigni fin dal principio, malgrado ciò che noi stessi pensiamo o gli altri pensino. Solo che non sappiamo guardare ciò che meglio riflette la nostra vera natura. La nostra storia. La nostra lingua. La nostra civiltà e tradizione: che non conosciamo e, che spesso disprezziamo.
Stiamo ancora in attesa che qualche gigante che viene dal mare, possa salvarci. I giganti non esistono.
Anzi: dal mare benint sos furones. Solo noi, con le nostre forze possiamo salvarci: magari ispirandoci agli unici giganti che conosciamo: quelli di Mont’ ‘e Prama.

Per le elezioni regionali 2024: UNA LISTA NAZIONALE SARDA

Per le elezioni regionali 2024:
UNA LISTA NAZIONALE SARDA

di Francesco Casula

Una lista civica. Plurale. Aperta. Inclusiva. Che si rivolge a tutti i Sardi. E certo soprattutto agli indipendentisti, federalisti, autonomisti; ai Movimenti, alle Associazioni, ai Gruppi che in tutti questi anni hanno lottato:
– per difendere la sanità pubblica. Per una scuola sarda e per il bilinguismo. Per trasporti decenti.
– contro la speculazione energetica. Contro le basi e le esercitazioni militari. Contro le industrie nere e inquinanti e le fabbriche delle armi.
Una Lista nazionale sarda, alternativa e contrapposta, a quelle dei Partiti e delle coalizioni italiane: di centro destra come di centro sinistra. Che in buona sostanza pari sono.
Al di là degli schieramenti, i Partiti italiani in Sardegna, storicamente, oggi come nel passato, sono stati e sono i mediatori del colonialismo dello Stato italiano; le succursali delle Agenzie madri che tutto decidono: dalle linee politiche (che poi esportano nell’Isola considerata colonia e provincia d’oltremare), alle stesse classi dirigenti e ai governi isolani che hanno sempre bisogno dell’imprimatur romano.
Al di la degli schieramenti, le controparti dei sardi sono i centri di potere costruiti, (e sedimentati nel tempo) dai Partiti italici, di centro destra come di centro sinistra.
Questi centri di potere, al di là delle elezioni e dei risultati elettorali, impediscono qualsivoglia sviluppo endogeno della Sardegna, ancorandola al sottosviluppo, alla dipendenza e all’arretratezza; privandola dei servizi essenziali (ad iniziare dai trasporti) e negando il lavoro o comunque precarizzandolo; devastando l’ambiente.
Nasce di qui – e non per motivi ideologici – l’esigenza di una Lista nazionale sarda alternativa e contrapposta ai partiti italiani.
Pensiamo a una Lista minestrone, in cui c’è tutto e il contrario di tutto? Le accozzaglie le costruiscono i Partiti italiani di centro destra come di centro sinistra, il cui unico fine è quello di conservare il potere e il dominio sui sardi.
Pensiamo a una Lista, il cui programma (e la cui composizione) dobbiamo, insieme, discutere e decidere.
L’Incontro del 16 luglio prossimo a Abbasanta (ore 9.30, Parco di Sant’Agostino) (dopo quello tenutosi ai Serri il 2 luglio scorso) dovrà essere un’occasione importante per il confronto pubblico e senza rete, per individuare alcuni essenziali punti programmatici.

LA NAZIONE SARDA NELLA STORIA

LA NAZIONE SARDA NELLA STORIA
di Francesco Casula
1.La nazione sarda nel periodo giudicale L’espressione “nazione sarda” comincia a ricorrere con frequenza e poi sempre più insistentemente in documenti (trattati e carte diplomatiche) che accompagnano le relazioni e i conflitti fra il Giudicato di Arborea e il regno d’Aragona (1353-1410) 1. Ma anche prima si iniziano a cogliere alcuni elementi distintivi della Sardegna che si presenta all’Italia e all’Europa: primo fra tutti la lingua con il volgare sardo, appunto fin dal 1080-85 (nel Privilegio logudorese) e poi nei diversi Condaghi ma soprattutto nella Carta De Logu. Il termine naciò sardesca viene usato la prima volta nel documento che sancisce l’atto di pace il 24 Gennaio 1388 fra i rappresentanti di Eleonora con gli inviati del re aragonese Giovanni I il Cacciatore e sta a indicare “la Sardegna non regnicola, la parte avversa alla corona, il territorio sardo riconquistato dai giudici e annesso allo stato arborense. Cioè la Sardegna auctotona” 2 . L’uso del termine nazione sarda è comprovato dalle stesse carte della corona di Arborea: esso sarà alla base di quel monumento storico, giuridico e linguistico della Carta, come sosterrà Camillo Bellieni. La lotta sanguinosa fra naciò sardesca (o nassione sardisca) e naciò catalana non si può considerare chiusa con la battaglia di Sanluri (1409), dopo di essa infatti si continua a parlare ugualmente di nazione sarda (traditrice e ribelle secondo il re di Aragona Martino il vecchio). Affermatosi definitivamente il dominio aragonese a seguito della sconfitta dell’ultimo marchese di Oristano Leonardo Alagon (1478) la contrapposizione fra naciò sarda e naciò catalana non scompare: è presente negli atti dei parlamenti isolani e nelle richieste avanzati da questi cioè nei Capitoli di corte che erano dei patti fra la nazione e il re3. 2. La nazione sarda nel ‘500-‘600 L’intellighenzia isolana, dal canto suo, se una parte rimane acceccata di fronte agli splendori dell’impero spagnolo e da ascara si prostra servilmente ad esso ed evita con grande cura lo stesso termine di nazione sarda, penso allo storico Giovanni Francesco Fara4 che usa il termine natio (scrive in latino) per indicare “nascita”, il poeta ecclesiastico Gerolamo Araolla5 (1545-fine secolo XVI), alle lingue castigliana e catalana contrappose una lingua sarda che potesse vantare una sua dignità sul piano letterario. Non è questa la sede per verificare i risultati del tentativo di Araolla: certo è che in lui si inizia a delineare un embrionale coscienza del rapporto fra nazione e lingua. Che sarà ancor più forte nello scrittore Gian Matteo Garipa, orgolese (?-1640) che scriverà « Totas sas nationes iscrien & istampan libros in sas proprias limbas naturales insoro…disijande eduncas de ponner in platica s’iscrier in sardu pro utile de sos qui non sun platicos in ateras limbas, presento assos sardos compatriotas mios custu libru »6. Invito a notare i termini, estremamente chiari e significativi: parla di lingua naturale – oggi diremmo materna – che tutte le nazioni, compresa la sarda, hanno il diritto-dovere di utilizzare per rivolgersi ai “compatrioti”, ovvero ai sardi, abitanti dunque della stessa “patria”. 3. La nazione sarda nel ‘700-‘800 Ma è soprattutto nel vivo dello scontro politico e sociale che – a parere di Federico Francioni, storico sassarese7 – prende sempre più corpo l’idea di nazione sarda. E cita il triennio rivoluzionario 1793-1796 che vedrà protagonista principale Giovanni Maria Angioy. I Sardi, prendono coscienza di sé e del proprio essere “popolo” e “nazione” prima quando si battono con successo contro l’invasione francese poi quando cacciano i piemontesi da Cagliari con il “Vespro Sardo” del 28 Aprile 1794. Al di là delle cause che stanno alla base di questo evento – scrive ancora Francioni8 – e della stessa dinamica di quelle giornate, fu indubbiamente l’esasperazione dell’atteggiamento colonialistico, quasi razzista dei ministri regi (ampiamente documentato da uno storico in questo verso insospettabile come il Manno) la classica goccia che fece traboccare il vaso. Il senso di appartenenza identitaria e di nazione sarda sarà fortemente presente nella stampa e negli scritti di quel periodo di grandi cambiamenti. « Gli ordini del regno sono depositari fedeli della sorte di tutta la nazione » si afferma nel “Giornale di Sardegna” un foglio periodico organo ed espressione del gruppo più dinamico e politicamente più progressivo degli Stamenti sardi. Ancor più forte sarà il sentimento di popolo sardo e di comunità nazionale nell’Inno di Francesco Ignazio Mannu “Su patriota sardu a sos feudatarios”; ”nell’Achille della sarda liberazione”; nella lettera “Sentimenti del vero patriota sardo che non adula” in cui l’istanza dell’abolizione del giogo feudale si coniuga con un atteggiamento anticoloniale e un sentimento nazionale sardo. Ancor più chiaramente tale “Identità sarda” emerge nel Memoriale al Direttorio di Giovanni Maria Angioy (Agosto 1799) in cui l’Alternos9 cerca di cogliere e di interpretare i tratti distintivi, peculiari e originali della individualità sarda, cominciando dal quadro geografico e morfologico, proseguendo con cenni sugli usi, i costumi, le tradizioni, i rapporti comunitari, l’atteggiamento dei sardi verso gli stranieri, fino a quello che si potrebbe chiamare un abbozzo “del carattere nazionale” isolano. In queste pagine non c’è solo il risentimento anticoloniale o il rimpianto per gli antichi diritti e i privilegi acquisiti dalla Sardegna nel corso dei secoli: il punto di approdo dell’esperienza e della riflessione angioyna nell’esilio parigino è ormai una repubblica sarda sia pure (come del resto, in quel frangente storico era inevitabile) sotto il protettorato della Grande Nation. Nel solco tracciato da Angioy si muoveranno Matteo Simon che individua le linee di un carattere nazionale sardo più esteso e articolato ma soprattutto consapevole del legame fra nazione e lingua e Francesco Sanna Corda, parroco di Terralba che a nome del popolo e della sarda nazione tenterà una sfortunata spedizione in Gallura nel 1802. Di carattere nazionale dei sardi parlerà il Tola, nello scritto giovanile omonimo rimasto incompiuto e di sardo dialetto parlerà lo Spano. 4. La nazione sarda dopo la fusione perfetta e l’unità d’Italia. In genere fino al 1847 nessuno dubita che la Sardegna sia una nazione: da Carlo Alberto al viceré De Launay, agli storici sardi che lo ribadiscono a chiare lettere: il quadro comincia a cambiare dopo la perfetta fusione: l’idea di nazione sarda è del tutto assente in Asproni e Tuveri, per Mazzini addirittura l’isola è italianissima! L’ingresso della Sardegna nella compagine statale unitaria, la conseguente imposizione dell’uniformismo centralistico da parte dello stato “unitario” non porta però alla completa omologazione o alla scomparsa di quella forte caratterizzazione individuale dell’Isola che viene messa in rilievo soprattutto nella memorialistica della seconda metà dell’ottocento. Ma che soprattutto emergerà sul fronte nel primo conflitto mondiale con la “Brigata Sassari”. A questo proposito infatti – scrive Lilliu – “Forse sarebbe utile approfondire l’analisi delle gesta belliche della Brigata Sassari nella penultima grande guerra, demitizzandola nel ruolo assegnatole dalla politica e dalla storiografia nazionalistica e fascista, di fedele e strenuo campione di amor patrio italiano, di custode bellicoso della Nazione Italiana. Resistendo sui monti del Grappa, in uno spazio geografico che gli ricordava il proprio, guidati e formati ideologicamente da ufficiali (come E. Lussu) nei quali urgevano violentemente, sino a forme ritenute quasi di indipendentismo, le istanze dell’autonomia isolane, i fanti della Brigata, combattendo contro lo straniero austro-ungarico-tedesco, riassumevano tutti gli antichi combattimenti con tutti gli stranieri conquistatori colonizzatori e sfruttatori della loro terra, comprendendo fra essi, forse gli stessi “piemontesi” fondatori dello stato, centralista e unitarista italiano. In tal senso, il momento della Brigata, può essere ritenuto una trasposizione in suolo nazionale della resistenza sarda di secoli” 10 . Qui mi fermo: il problema della Sardegna come nazione in Antonio Simon Mossa – vero teorico dell’indipendentismo sardo moderno – e nel cosiddetto “neosardismo” degli anni Settanta, avrebbe bisogno di un’altra lunga disamina. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1.A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medioevo, Cagliari 1917. 2.Francesco C. Casula, Breve storia della scrittura in Sardegna, Cagliari 1978. 3.Antonio Marongiu, I Parlamenti Sardi, Milano 1979. 4.G. F. Fara, De rebus sardois libri quatuor, Torino 1835 5.G. Araolla, Sa vida, su martiriu et morte de sos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuari, Cagliari 1582. 6. Gian Matteo Garipa, Legendariu de santas virgines et martires de Iesu Christu, Ed. Ludovico Grignano, Roma 1627, ora ripubblicata dalla casa editrice Papiros di Nuoro nel 1998 con l’introduzione di Diego Corraine e la presentazione di Heinz Jürgen Wolf e Pasquale Zucca. 7.Federico Francioni, Storia dell’idea di nazione sarda, in La Sardegna Enciclopedia, a cura di Manlio Brigaglia vol.II, Cagliari 1989 8.A. Boi, Giommaria Angioy alla luce di nuovi documenti, Sassari 1925 9. Matteo Simon , Memoire pour Napoleon, 1803. 10. Giovanni Lilliu, Costante resistenziale sarda, Cagliari 2002.
 
 
 
 
 
 
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