Claudia Zuncheddu recensisce “Letteratura e civiltà della Sardegna” (2 volumi, Edizioni Grafica del Parteolla, 2011-2013)

RECENSIONE DI CLAUDIA ZUNCHEDDU

sa sardigna no est italia – sa sardigna est in su mundu

“Letteratura e civiltà della Sardegna” 1° e 2° Volume

di Francesco Casula

Ho avuto l’onore di essere interpellata su quest’opera e ritengo che il Pensiero di Francesco Casula, in modo palese rimette al centro degli obiettivi di noi sardi, la nostra storia e l’esigenza di riappropriarci del nostro ruolo di protagonisti.

E’ curioso che Francesco Casula apra questo grande lavoro con una provocazione e cioè sul dilemma secondo cui i sardi abbiano avuto oppure no una storia propria. Secondo alcuni, noi sardi non abbiamo avuto una storia, secondo altri è la storia di un popolo vinto, per non parlare di alcune interpretazioni snob di certi francesi, che forti di una visione colonialistica delle relazioni tra i popoli, non esitano a sentenziare: “La Sardegna è rimasta ribelle alla legge del progresso, terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi “. Così scriveva nel 1861 in Ile de Sardaigne, Gustavo Jourdan, un uomo d’affari francese, dopo il fallimento di un suo progetto che mirava a coltivare nella nostra Isola gli asfodeli per la produzione di alcool.

Se il Popolo sardo ha una Preistoria straordinaria e unica: la civiltà nuragica, come può non avere una sua Storia? La nostra è semplicemente una storia negata e sepolta dalle dominazioni coloniali. A noi sardi è stata tagliata la lingua e imposta quella del dominatore. E’ stata occultata la nostra storia per sradicare la nostra identità e farci dimenticare chi siamo, impoverirci e indebolirci per renderci più dominabili. Anche a Popoli africani, sotto pressione coloniale, hanno fatto dimenticare chi fossero e da dove arrivassero, cancellando dalla loro memoria persino la storia dei loro potenti Imperi Neri, che nulla avevano da invidiare all’Impero romano e alla cultura del Rinascimento sia militarmente, che come produttori d’arte e di culture raffinate.

Non esistono popoli senza storia. Esistono popoli sotto un dominio coloniale, con una storia da disseppellire e liberare. L’opera di Casula è uno strumento di orientamento all’interno di un processo di liberazione della storia e della identità sarda.

L’Autore inserisce i più illustri testimoni della nostra storia: scrittori, storici, scienziati e poeti, come porte aperte a cui accedere per riscoprire il valore e la bellezza della nostra identità. La Costante Resistenziale a cui fa riferimento Lilliu, il senso di appartenenza e di difesa delle nostre radici, ci ha reso forti e resistenti come alberi nati su terreni difficili. Penso ai ginepri del Supramonte con le radici fossili che sprigionano dalla roccia. Questi siamo noi sardi. La nostra resistenza ha fatto sì che si conservasse il nostro ricco patrimonio identitario, dalla musica con i suoi strumenti, alla poesia, all’arte e all’archeologia, alla gastronomia, alla biodiversità della nostra natura e al nostro bene ambientale, alla cultura orale di inestimabile valore, riconosciuta spesso come patrimonio materiale e immateriale dell’Umanità. Noi non abbiamo mai rinunciato a tutto ciò nonostante i violenti attacchi dall’esterno.

Sull’ironia di Casula, nel raccontare che nel 2005 la Biblioteca del quotidiano La Repubblica stampò un volume di 800 pagine sulla Preistoria italiana escludendo la civiltà nuragica, ritengo che non sia una dimenticanza o un’omissione. Gli autori italiani, che noi sardi ringraziamo per l’onestà culturale, non possono aver dimenticato la preistoria sarda. Essi hanno preso atto che quella cultura così diversa, non poteva appartenere all’Italia, riconoscendo al di là di ogni artefatto politico che sa Sardigna no est Italia. E’ dalla cultura nuragica che trae spunto la critica di Eliseo Spiga alla società della crescita che non rispetta l’ambiente, che consuma le risorse della Terra, senza garantire il benessere ai popoli, al concetto di “città che fagocita i territori”. Di questo Pensatore, Casula riporta un concetto di grande attualità: “E’ la civiltà della sovranità comunitaria, che non costruisce città ma villaggi, perché la città è ostile alla terra, agli alberi, agli animali e inselvatichisce gli uomini, pretende tributi insopportabili per accrescere le sue magnificenze… crea i funzionari del tempio e del sovrano… i servi e gli schiavi”.

Quest’opera è una bussola per i nostri giovani in un mondo globalizzato. E’ uno stimolo per “disseppellire” la nostra storia e a riappropriarsi del patrimonio identitario, per giustizia, per missione e per necessità. Questa è la forza che permette a noi sardi di camminare e di confrontarci nel mondo, senza stampelle, senza la necessità di mediazione da parte di Stati dominatori o di tutori.

Claudia Zuncheddu

L’Associazione culturale Itamicontas e l’Associazione culturale “Eliseo Spiga” il 22 novembre 2014, hanno organizzato la presentazione dell’opera di Francesco Casula 1° e 2° volume (Edizioni Grafica del Parteolla, 2011-2013) a Quartu sant’Elena.

 

Maddalena Frau e la sua poesia in lingua sarda di Francesco Casula

 

MADDALENA FRAU*

La poetessa che canta su ritmi di antiche melodie religiose e profane del popolo sardo (1945- )

Maddalena Frau è nata a Ollolai (NU) il 30 aprile 1945 e vive a Sanluri (CA). Insegnante elementare dal 1967 al 2006 nella provincia di Cagliari, ha iniziato a scrivere versi in lingua sarda (sia nella variante logudorese che campidanese) circa una quarantina di anni fa e ha arricchito le sue conoscenze linguistiche attraverso corsi di aggiornamento professionale e da autodidatta.

Si è sempre adoperata nella scuola con lo scopo di promuovere, salvaguardare e valorizzare la lingua, la letteratura e la cultura sarda, insegnandola.

Nel 2002 ha pubblicato una parte della sua produzione poetica nella silloge Lugore de luna (Luce lunare). In cui “canta” i ricordi, i giochi dell’infanzia e gli affetti; in cui nello smagato e tenero ricordo dell’infanzia, arcana e felice, si affolla un mondo di figure vive e fraterne, che la poetessa canta e vagheggia in modo commosso ma mai svenevole.

Ma Maddalena Frau canta anche la fede e la dimensione religiosa, particolarmente sentita e vissuta dalla poetessa, che illumina, vivifica e aiuta l’esistenza.

E dedica anche alcune poesie a Sos males de su mundu (I mali del mondo): tra cui i sequestri, l’AIDS, la droga, l’emarginazione degli anziani e l’inquinamento della civiltà (o inciviltà?) industriale, con la terra che non produce più fiori perché sono abbaidos cun venenu (innaffiati con veleno).

Nel 2006 ha pubblicato Sas meravillas de Don Bosco, un’altra silloge poetica: un vero e proprio poema sacro e poema epico sul fondatore dei Salesiani. Scrive a questo proposito Renzo Cau, in una magistrale analisi critica della silloge: “Se è vero che Sas Meravillas non può essere definita una biografia e per la selezione dei fatti irradianti l’ispantu (la meraviglia) e per la conseguante operazione di sintesi a cui è sottoposto il materiale biografico, non si può negare che il genere cui più si avvicina sia quello epico. Il racconto in versi infatti è tipico del poema. Anche i gosos (composizioni religiose e poetiche popolari antiche) rientrano nel genere epico, sebbene abbiano uno sviluppo embrionale. E M. Frau a questi si ispira, dando però alla composizione ben più ampio respiro”.

Nel 2011 ha pubblicato Tramas de seda,  un libro di poesie e filastrocche, ninna-nanne, duru-duru e scioglilingua, modellate in strutture giocose, scherzose, onomatopeiche e iterative, che hanno proprio le movenze del tipo della filastrocca, della canzone, dell’indovinello, del non sense di matrice popolare ma che l’Autrice sottopone a un trattamento e a una rielaborazione personale e originale.

Molte poesie contenute in Tramas de seda vengono cantate con successo dalla cantante sarda folk Silvia Sanna, (accompagnata da Antonello Pulina e da Marino Melis alla chitarra e da Antonio Pirastru all’organetto).

Stessa sorte era toccata ad alcune poesie della silloge Lugore de luna, cantate da Silvia Sanna ma anche da un gruppo musicale milanese, “Contrabbandieri di Conchiglie”, ricalcando sonorità particolari simili a quelle di De Andrè e di Rino Gaetano.

Il fatto che le poesie di Maddalena Frau vengano musicate e cantate non deve stupire: nei suoi versi che sembra carezzare e coccolare, mostra infatti una naturale attitudine al canto, alla canzone, soprattutto popolare. Tanto che, nelle liriche più belle e suggestive, quando la poesia si flette più agevolmente, riesce a creare sinfonismi e fonie, onomatopee e cromatismi, ritmi e assonanze, attraverso una tessitura metrica lineare e abilmente alleggerita con invenzioni di movimenti e scatti musicali che consentono all’Autrice di giocare a suo piacimento con la materia, che tratta e canta, costruendovi pregevoli architetture linguistiche e musicali.

In questi ultimi anni ha iniziato a partecipare a vari concorsi di poesia sarda, ricevendo significativi  premi e riconoscimenti: fra gli altri ha vinto il primo premio a Ploaghe (SS), nel Concorso di poesia satirica “Larentu Ilieschi” 2010, con la poesia S’Aipoddu.

 

Presentazione del testo [tratto da Tramas de seda, La Riflessione, Davide Zedda Editore, Cagliari, 2011, pagina 272].

 

A uno degli ultimi ritrovati tecnologici: l’I-Pod, un lettore di musica digitale basato su hard disk e memoria flash, che sta spopolando soprattutto fra i giovani, l’Autrice dedica una fulminante poesia, S’Aipoddu, che ha vinto, meritatamente, il Primo Premio nel Concorso di Poesia satirica “Larentu Ilieschi” di Ploaghe il 26 Giugno scorso. La poesia con garbo, quasi amabilmente, con il gusto della caricatura e della parodia, mette  in luce gli aspetti paradossali, ridicoli e comici di Efisineddu, ormai “schiavo” del nuovo dio giovanile oltre che di tutto il ciarpame modaiolo distribuito a piene mani dalla TV e dalla Pubblicità.

In questo componimento viene usata la lingua sarda nella variante campidanese: forse perché  essa, per la poesia comica e giocosa, risulta più congeniale e più adatta delle altre varianti: infatti lo stesso dizionario di immagini, lo stesso lessico dei modi di dire e di schemi figurativi possiede già al suo interno idee e impressioni atteggiate dall’anima popolare nella forma della satira, del paradosso e della parodia.

 

S’AIPODDU

Efisineddu andat in sa strada

cun s’origa attaccada a s’Aipoddu

e, a cropus de gambas e de coddu

fueddat cun sa musica Repada.

 

In sa busciacca de su cratzoneddu

ci ficchit su lettori musicanti;

de musica moderna deliranti

si ndi prenat su coru e su xrobeddu.

 

A cratzonis calaus a mesugonna,

a cufiedda cun su lecca-lecca

ndi bogat su macchini ‘e discoteca

cun Paf Daddi, Beionse, Madonna…

 

Baddendu Roch En Rollu iscadenau,

e Tecno e Fanchi sbanda-sbanda

si callincunu ddi fait domanda

non bidi e no intendit: stontonau!

 

Cun s’Aipodu fintzas in sa scola:

Tu-tum! Tu-tum! Su filu chiassosu,

su discenti modernu gioiosu

de letzioni fait sa cassola.

 

Si corcat e si pesat Efisinu

Cun s’origa attaccada a s’Aipoddu

Pappat e dormit a corpus de coddu,

a sartius in domu e in camminu.

 

Su babbu allirgu, tziu Piriccu Soddu

Cun sa mammai totu affainada

Impari si dda faint sa repada

A sartieddus e corpus de soddu…

Cun s’origa attaccada a s’Aipoddu.

 

 

L’I-POD

 

Efisietto va nella strada

Con l’I-Pod attaccato all’orecchio,

sgambettando e scuotendo le spalle

seguendo la musica Rap.

 

Dentro la tasca dei pantaloni

Infila il lettore MP3

E di musica moderna e frenetica

Si riempie il cuore e la mente.

 

Con i calzoni larghi a vita bassa

Con le cuffie e con lecca-lecca

Si agita con la musica da discoteca

Con Puff Daddy, Beyonce, Madonna…

 

Si scatena ballando il Rock’n Roll,

ancheggiando Techno e Funky,

e se qualcuno gli rivolge una domanda

nulla vede e nulla sente: frastornato!

 

Porta l’I-Pod anche a scuola:

Tum-tum! Tum-tum! risuona l’auricolare,

Lo studente moderno gioioso

Ne fa miscuglio con la lezione.

 

Efisietto si alza e si corica

Con l’I-Pod attaccato all’orecchio.

Mangia e dorme scuotendo le spalle

saltellando in casa, dentro e fuori.

 

Il padre felice, Signor Pietro Soddu,

con la mamma affaccendata

a suon di musica Rap

saltellano e sborsano quattrini…

con l’I.Pod attaccato all’orecchio…

 

Giudizio critico

A proposito della silloge Lugore de luna – ma la valutazione può essere estesa anche alle altre sillogi di Frau – Renzo Cau scrive ” Nonostante il registro prosaico della raccolta, il lettore resta affascinato dal raffinato ricamo linguistico, in cui sono coinvolte anche le parole più comuni, chiamate con naturalezza a sposare le modulazioni più diverse, imposte ora dal genere epico, attivo quando il ricordo si concede al racconto, o dal genere lirico-elegiaco, prevalenti nei momenti di più commosso recupero memoriale…Se il ritmo e la lingua non attuano nei confronti del livello morfosintattico nessuna violenza di rilievo, le matrici convenzionali inducono nel materiale lessicale insolite vibrazioni che diffondono nel testo una costante musicalità. Docile ai ritmi, che nella raccolta godono di grande visibilità (il settenario, l’ottonario e l’endecasillabo) grazie anche all’ossessiva sonorità dell’onnipresente rima, il significante riesce a esprimere le più intime risorse di cui dispone.

Il pattern eufonico è scandito in una grande varietà di timbri, sprigionato da un lessico assai ricco, che di volta in volta è ospitato nello spazio del verso. La musicalità che ne deriva, nasconde abilmente la monotonia del ritmo in virtù della sonorità sempre nuova della rima. La clonazione rimica gode infatti di scarsissima ospitalità. Lo stesso Verlaine, acerrimo nemico della rima facile, plaudirebbe all’originale scansione dell’impasto fonico di Lugore de luna

[Renzo Cau, Scrittori sardi contemporanei, Editrice Media Tre, Guspini, 2009, pagine 78-79 ]

 

ANALIZZARE

Il componimento è modellato  in strutture scherzose, musicali, onomatopeiche, iterative e ha proprio le movenze del tipo della filastrocca, della ninna-nanna, della canzone, dell’indovinello, del nonsense di matrice popolare ma che Maddalena Frau sottopone a un trattamento e a una rielaborazione personale e originale aggiungendo una fortissima componente ludica. Con un atteggiamento tollerante, equilibrato e disincantato verso la vita che non esclude però, che anzi richiede con forza, una critica, sotto forma di parodia e di satira  – mai però arcigna né insistita –  nei confronti delle manie, dei limiti, dei vizi, degli errori, delle debolezze umane: così – per dirla con Orazio – “ridendo castigat mores”.Ed anche in questa poesia Maddalena Frau conferma una grande cifra espressiva e poetica, grazie al suo linguaggio spassoso e carico di deflagrazioni umoristiche e dalle grandi capacità allusive, impregnate di immagini ardite, di metafore, di parabole, di simboli e di proverbi, quella scrittura e quel linguaggio che ha saputo mutuare – sia pure con grande originalità – dalla cultura tradizionale sarda e dalla oralità. Ricchissima di una materiale predisposto per la mimesi e l’iniziazione dei bambini alla vita dei grandi con Anninnias (ninne-nanne); Duru-duru; Contos de foghile o de forredda (fiabe) che ad Alghero, chiamano Cantzonetas de minjonetts; Isorvelimbas o strobeddalinguas (scioglilingua); Berbos chenza cabu né coa (“non sense”); Filaterias o cantones a istroccu (filastrocche); Istivinzos (indovinelli); proverbi; Berbos contro la malattia e contro la malasorte; scongiuri apotropaici da allegare a scapolari e amuleti; Pungas e Mazinas. La società agropastorale infatti “dava ai bambini affetti, attenzioni e cure che oggi la società industriale più non dà”, ha scritto il nostro più grande poeta etnico, Cicitu Masala. Pensiamo a tutti gli antichi giocattoli della tradizione popolare sarda (Alberi di cuccagna, buoi di granoturco, lacciuoli di fieno, sa bardufula, sa boccia, sa pippia de zappu, is fosileddus, is cuaddeddus, is carrettonis) o ai giochi (su pimpiriponi, su seddatzeddu, su binghiri-binghiri, su babballotti, su barraliccu, Zacca e poni, Su pistirincu, su pincareddu, su foghilloni, Cruxis e grastus, Cavallieri in porta, Pitzu,cu o atza?). E il Sardo dimostra ancora una volta la capacità di esprimere tutta la modernità, anche quella  legata alla tecnologia più spinta, dimostrandosi lingua duttile e flessibile. (Vedi in FLASH DI STORIA E CIVILTÀ: Il Sardo è una lingua arcaica inadatto a esprimere la modernità?).

 

FLASH DI STORIA-CIVILTA’

– Il Sardo è una lingua arcaica” inadatto a esprimere la modernità?

“Il sardo secondo alcuni sarebbe rimasto «bloccato». cioè ancorato alla tradizione agropastorale, perciò incapace di esprimere la cultura moderna: da quella scientifica a quella tecnologica, dalla filosofia alla medicina ecc. ecc. Intanto non è vero che il sardo sia completamente «bloccato» : termini e modi di dire dell’italiano dovuti allo sviluppo culturale scientifico e sociale impetuoso negli ultimi decenni sono entrati nella lingua sarda, così come termini e modi di dire stranieri – soprattutto inglesi – sono entrati nella lingua italiana che li ha giustamente assimilati. Questo «scambio» è una cosa normalissima e avviene in tutte le lingue. E tutti i sistemi linguistici, sia quelli di società «più avanzate», scientificamente ed economicamente, sia di società « più arretrate» sono in grado di esprimere i più moderni concetti e le più moderne e complesse teorie, prendendo in prestito terminologia e lessico da chi li possiede: come il contadino, che se ha finito l’acqua del proprio pozzo, l’attinge dal pozzo del vicino. A rispondere, del resto, a chi parla di «blocco» e di incapacità di alcune lingue a esprimere l’intero universo culturale moderno, sono due intellettuali e linguisti di prestigio. Scrive Sergio Salvi, gran conoscitore della Sardegna e delle minoranze etniche e linguistiche: La rimozione del «blocco» è pienamente possibile. Farò soltanto l’esempio, così significativo ed eloquente della lingua vietnamita,storicamente e politicamente dominata, fino a tempi recenti, prima dalla cinese e poi dal francese, una lingua che non solo ha brillantemente rimosso il proprio «blocco» dialettale, ma che pur non possedendo ancora un completo vocabolario tecnico-scientifico, ha creato una grande corrente di pensiero, eppure settant’anni fa il vietnamita era soltanto un “dialetto” o meglio un gruppo di dialetti.

Sullo stesso crinale si muove e risponde l’americano Joshua Aaron Fishman, il più grande studioso del bilinguismo a base etnica (è il caso della Sardegna) che scrive: Qualunque lingua è pienamente adeguata a esprimere le attività e gli interessi che i suoi parlanti affrontano. Quando questi cambiano, cambia e cresce anche la lingua. In un periodo relativamente breve, la lingua precedentemente usata solo a fini familiari, può essere fornita di ciò che le manca per l’uso nella tecnologia, nell’Amministrazione Pubblica, nell’Istruzione.

Il problema se una lingua “arcaica” possa o no esprimere concetti moderni è dunque un falso problema: in più c’è da rilevare che in ogni lingua «egemone» o «ufficiale» o «media» (che chiameremo per la complessità della sua struttura Macro lingua) si formano dei linguaggi «specifici», i tecnoletti,che tendono sempre più a internazionalizzarsi, per mezzo di una terminologia che si esprime per parole « rigide», per formule, in termini greco-latini o inglesi. I tecnoletti si caratterizzano per essere costituti da segni linguistici depurati da qualsiasi connotazione. I tecnoletti sono monosemici e referenziali, uniti da un legame biunivoco a un concetto ben determinato. Esso infatti deve significare una cosa ben precisa e non veicolare significati collaterali di nessun genere, ad esempio la linguistica moderna ha elaborato una serie di termini internazionali: struttura, funzione, significante, significato, diacronico, sincronico ecc: oppure li ha presi in prestito. In questi casi si possono operare dei traslati come è avvenuto dall’inglese all’italiano. Nessun problema quindi: il sardo può acquisire e prendere a prestito parole e modi di dire elaborati altrove”.

[Francesco Casula, La Lingua sarda e l’insegnamento a scuola, Alfa editrice, Quartu Sant’Elena, 2010, pagine 15-17]

 

 

 

Lettura [poesia tratta da Lugore de luna di Maddalena Frau, Tip. La Neby di Ledda I, Sanluri, 2002, pagine 85-86]

 

UMBRAS ISMENTIGADAS

 

Palas a sole umbrande

in terra a coda lada

tzias iscrariande

sutta sa contonada

 

Donni borta ‘e die

cuntentas, puntuales

si sediant inie

sas bighinas negales.

 

Tiravant sa corria

a mossos e a ungrèddas

sa vida consumìa

umbrande in sas mureddas.

 

Prenavant sos cherrìgos

corves e coinzòlos

de brullas, de antigos

contos amorazòlos…

 

Curriat sa livria

apetigande tottu

pistande s’iscrarìa

in su tempus connotu.

 

Cussas manos nodosas

tottu pinnicronadàs

nde torrvant grabòsas

bellas innadigàdas.

 

Nde faghiant trumentu

cussas manos nieddas!

Ite divertimentu

pro sas criaturèddas!

 

Sas novas de sa bidda

contavant a ispàntu…

Su fragu de s’armidda

punghiat cada tantu.

 

Sa roba meriande

su pastore dormiu

tzias iscrariande

in beranu e istìu.

 

Bolavant sos puzònes

supra de s’iscrarìa

pintàda a pibìones

de seda colorìa.

 

Sas corves a trintzèra

poniant in su carru…

E Basili cun Pera

pipande a zigarru.

 

Nde faghiant camminu

a piccu de sudore…

e pro carchi sisinu

pro ozu e pro laore.

 

–E corves! E cherrigos!

naravat cudda tzia

in sos tempos antigos

foras de bidda mia.

 

Corves e canistèddas

comporavat s’istranzu

Sutta sas murighèddas

naschiat su balanzu.

 

Cussa manos nodosas

tottu l’as appo amadas,

galànas e grabosas…

Umbras ismentigadas.

 

 

Però sa Musa mia

Mi ghirat cun su bentu

Da boghe e cudda tzia…

Umbras de Gennargentu.

 

–E corves! E cherrigos!… –

Mi cantat donni die

–E corves e cherrìgos!

A comporare benìe!… –

 

 

 

OMBRE DIMENTICATE

 

Spalle al sole all’ombra

sedute per terra con le gambe incrociate

le donne lavoravano l’asfodelo

sotto la cantonata.

 

Ogni pomeriggio

con gioia e puntuali

si sedevano lì

le care vicine di case

 

Lavoravano l’asfodelo

con i denti e con le unghie

La vita consumata

All’ombra dei muretti.

 

Riempivano crivelli,

corbule e canestrini

di scherzi di antiche…

storie d’amore…

 

Correva la canaglia

calpestando tutto

pestando l’asfodelo

in quel tempo vissuto.

 

Quelle mani nodose

e tutte rugose

rendevano con garbo

belle sculacciate.

 

Quanto tormento facevano

quelle mani scure!

Quanto divertimento

Per i bambini!

 

Raccontavano a meraviglia

le notizie del paese…

L’odore del timo

si sentiva ogni tanto.

 

Le greggi meriggiavano

il pastore riposava,

le donne lavoravano l’asfodelo

in primavera e in estate.

 

Gli uccellini volavano

sopra l’asfodelo

dipinto a grani

di seta colorata.

 

Le corbule a schiera

mettevano sopra il carro

Basilio con “Pera”

fumando il sigaro.

 

Percorrevano tanta strada

con fatica e con sudore

per qualche soldino

per olio e per grano

 

Corbule! Crivelli!… –

gridava quella donna

nei tempi passati

fuori del mio paese

 

Corbule e canestri

acquistava il forestiero

All’ombra dei muretti

nasceva il guadagno.

 

Quelle mani nodose

belle e graziose

le ho amate tutte

Ombre dimenticate

 

Però la mia musa

mi porta con il vento

la voce di quella donna

Ombre di Gennargentu

–Corbule! Crivelli! –

mi canta tutti i giorni

–Corbule! Crivelli!… –

Venite a comprare!… –

 

 

COMPRENDERE E VALUTARE

Altre attività didattiche per lo studente

Approfondimenti

Analizza e approfondisci il rapporto fra la poesia, il canto, la musica e la danza nella poesia tradizionale sarda, ad iniziare da quella degli “improvvisatori”.

 

Confronti

Maddalena Frau  canta su ritmi di antiche melodie religiose e profane del popolo sardo: a quali Autori potresti rassomigliarla e perché.

 

Ricerche (anche a mezzo internet)

Servendoti anche di Internet ricerca e censisci gli Autori che, nell’ultimo decennio, hanno scritto in Lingua sarda favole rivolte ai bambini.

 

Spunti vari

I valori etici sottesi nella poesia di Frau, al di là della dimensione ludica e parodistica.

 

Bibliografia essenziale

Opere dell’Autore

Lugore de luna , Tip. La Neby di Ledda I, Sanluri, 2002.

Sas meravillas de Don Bosco,La Scuola Grafica Salesiana, Torino, 2006.

Tramas de seda, La Riflessione, Davide Zedda Editore, Cagliari, 2011

 

Opere sull’Autore

Renzo Cau, Scrittori sardi contemporanei, Editrice Media Tre, Guspini, 2009.

Francesco Casula, Prefazione a Lugore de luna, Tip. La Neby di Ledda I, Sanluri, 2002.

Matteo Porru, Presentatzioni a Tramas de seda, La Riflessione, Davide Zedda Editore, Cagliari, 2011.

Salvatore Patatu, Prefazione a Tramas de seda, La Riflessione, Davide Zedda Editore, Cagliari, 2011.

Francesco Casula, Poesia sarda con s’Aipoddu de Efisineddu, Sardegna quotidiano, 27-10-2011.

*Tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna di Francesco Casula, volume 2°, Edizioni Grafica del Parteolla, 2013, Dolianova , pagine 250-267 

 La poesia che segue è stata composta da Maddalena Frau in occasione della notizia secondo la quale la Sardegna probabilmente sarà scelta come sito unico nazionale per le scorie nucleari. 

FORA ISCORIA NUCLEARE  di Maddalena Frau

Fora iscoria nucleare

de venenu colorida!

Fora, atesu, mai in sa vida

muntonarzos de nuscare!

Sa Sardinna a la sarvare

est mutinde totu unida!

 

Est s’iscoria nucleare

de su mundu àliga fea.

Fora de sa terra mea

si la depent interrare

o, si nono, apicare

a su tzugu a vida intrea.

 

Cussos macos e tinzosos,

chene anima nen coro,

si l’abbratzent su tesoro,

che lingotos pretziosos,

sos bidones putzinosos

a pudire in dom’issoro!

 

Zai chi totu ant impestau

distruinde sa Natura,

sa moderna butadura

si la tenzant a costau,

a tzimentu fravigau

in sa domo a s’ intradura.

 

Cherent fagher de Sardinna

muntonarzu natzionale…

regalande unu mortale

crancu ’e vida prus indinna

a sa nostra terra dinna

de bellesa e de gabbale.

 

No lis bastat su chi ant fatu

in cuddu tempus colau!?

Brusiau e isbuscau…

Cantu dannu e disacatu

pigandeche su recatu

de su populu isfrutau! ….

 

totu no-che sunt leande

su terrinu e sa salude…

sa betzesa e  zobentude…

A zogu nos sunt pigande.

Pesae totus cantande

a difender sa salude!

 

E sos amministradores

no atzètent cosa gai!

In Sardinna mai mai!…

Solu matas e fiores

e profumos e colores

in sa terra de mannai!…

 

A sas Istitutziones

de Guvernu Italianu

lis pedimus una manu

de rispetu a sas pessones

de sas generatziones

de su populu isolanu.

 

A sos sardos un’apellu

cun corazu cherzo dare:

fortemente a refudare

de nos ponner a tropellu

che a bestias de masellu

prontos a no-che papare.

 

Fortes, cun coro galanu,

iscritores, zornalistas,

cun poetas e artistas

ischidae a su manzanu…

A s’ingannu rufianu

aberìe sas pibiristas!

 

Si nde peset su Nuraghe

cun Zigante ’e Monte ’e Prama,

de Sardinna antiga fama,

narande:-Cherimus paghe!

Rezistrae in su condaghe:

“Fora iscoria dae Mama!

 

Fora, atesu sos bidones

de cuss’aliga de morte!

Fora de sa nostra corte

fragos de perditziones!

Fora iscorias e cannones,

e de imbentos de morte!”-

 

Sardos, amigos, cantade

disterrados cun amore

pro difender cun ardore

cudda sarda dinnidade,

de Sardinna identidade,

de cultura e de valore!

 

Fora, atesu fuliade

sas iscorias de dolore!

Sa Sardinna est de mirare!

Non si vendet pro dinare!!!

Sa Sardinna est de mirare!

Fora iscoria nucleare!

 

 

 

 

Le radici storiche, ideologiche e culturali dell”EUROCENTRISMO/OCCIDENTALISMO di Francesco Casula

Le radici dell’Occidentalismo/Eurocentrismo.

di Francesco Casula

La barbara strage jihadista di Parigi ripropone alla nostra attenzione la vecchia e vexata Quaestio sullo scontro (supposto?) di civiltà fra l’Occidente e l’Islam. Condividendoli, rimando l’analisi e le motivazioni dei gravi fatti parigini a due eccellenti articoli: quello di Rossana Rossanda (http://www.sbilanciamoci.info.) dal titolo significativo:”L’ambiguità delle piazze francesi”. Secondo la prestigiosa intellettuale comunista infatti “Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica”. Il secondo è quello di Massimo Fini (su Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio 2015) secondo cui ”è stata l’aggressività dell’Occidente a fomentare il radicalismo islamico contro di noi e ad allargarne le basi”. Da parte mia, in questa mia disamina, cercherò di individuare le radici ideologiche e storiche dell’Occidentalismo e dell’Eurocentrismo che possono illuminare e farci comprendere meglio anche quanto è successo in questi giorni. E non solo a Parigi.

Entro subito in medias res, partendo da lontano: dallo storico Erodoto (secolo VIII a.c.) per cui l’Europa è una semplice nomenclatura geografica; con Roma diventa invece  la Respubblica romana prima e l’impero poi cui Virgilio assegna il destino di parcere subiectos et debellare superbos. L’eroe virgiliano Enea, è il simbolo dell’unione fra l’Oriente e Occidente, ma è anche quello della supremazia occidentale. Non per niente si dirige da Troia verso Ovest. E dove va, in Africa? No. Il fascino di Didone non è sufficiente a trattenerlo. E’ in Europa che egli sbarca e si sisteme e la sua scelta è il simbolo della futura battaglia di Azio in cui l’Occidente con Ottaviano riporterà la vittoria sull’Oriente al quale Antonio si era dato.

Nel 769 lo spagnolo Isidoro il giovane, descrivendo la battaglia di Poitiers parla dell’esercito di Carlo Martello come di un esercito di Europei contro gli Arabi.

L’impero di Carlo Magno sorge contrapposto all’Oriente e la Respublica Christiana. o la Crhistianitas o il Sacrum Imperium o l’Occidens o l’Europa cristiana che dir si voglia, si muove unita con le Crociate contro gli infedeli, sollecitata e benedetta dal papa “ pastore clementissimo e capo dell’Europa intera” (Widukind).

E sarà unita nella riconquista della terra santa, nella reconquista in Spagna, nella difesa di Bisanzio contro i Turchi. Sarà il papa in persona, Enea Silvio Piccolomini, alias Pio II a predicare  ( in “ De Ortu et auctoritate Imperii”) la crociata dell’Europa – che per lui si identifica nella Cristiana communitas – contro i Turchi bollati dall’Ariosto come “immondi” e dal poeta portoghese Camoens “feroci ottomani”. Contro di essi deve dunque muoversi in armi la “magnanima Europa”: la definizione è del poeta Giambattista Spagnoli.

Alla fine del ‘400 il massacro di interi popoli indios, la distruzione di memorabili civiltà come quelle dei Maya, degli Aztechi o degli Incas, diventano pomposamente “scoperte” e “imprese” dei Colombo e dei Vespucci, dei Magellano e dei Caboto. Naturalmente la “conquiste” sono ispirate e legittimate da nobilissime intenzioni: “gli indigeni sono gente senza fede e senza leggi”(Vespucci)  e dunque occorre portare loro le leggi e la religione europea.

Sono voci inascoltate quelle di Charles-Andrè Julien – creatore del mito del buon selvaggio- o di Jean de Lery ma soprattutto di Montaigne  che sdegnato scrive in un passo di un suo celebre Saggio, “Dei Cannibali” 1 :” Provo vergogna nel vedere i nostri uomini inebriati da questo stupido stato d’animo e sbigottiti per le forme contrarie alle loro. Hanno l’impressione di essere fuori dal loro elemento, quando sono fuori dal loro paesello. Ovunque vadano si attengono alle loro usanze e disprezzano le altre”. E aggiunge:” In queste nazioni non c’è nulla di barbaro e di selvaggio – come mi hanno detto – soltanto che ciascuno chiama barbarie ciò che non è di sua consuetudine. Queste contrade sono ancora troppo vicine, nella loro ingenuità originale, le leggi naturali comandano ancora e non sono molto imbastardite dalle nostre. Certo, essi sono cannibali, ma noi siamo forse migliori? Noi li possiamo chiamare barbari per quanto riguarda le regole della ragione, ma non riguardo a noi che li superiamo in ogni genere di barbarie…..Essi sono selvaggi allo stesso modo che noi chiamiamo selvatici i frutti che la natura ha prodotto da sé nel suo naturale sviluppo: laddove in verità, sono quelli che col nostro artificio abbiamo alterati e distorti dall’ordine generale che dovremmo piuttosto chiamare selvatici. In quelli sono vive e vigorose le vere, più utili e naturali virtù e proprietà, che invece noi abbiamo imbastardite in questi, soltanto per adattarle al piacere del nostro gusto corrotto”.  E conclude.” Tante città rase al suolo, tante nazioni sterminate, milioni di persone passate per le armi e la parte più ricca e bella del mondo sconvolta soltanto per il commercio delle perle e del pepe”.

L’eurocentrismo non entrerà in crisi neppure con la Rivoluzione Francese che pure con la Costituzione del 1791 proibisce qualsiasi conquista riprendendo la dottrina del 22 Maggio del 1790 con la “Dichiarazione della pace nel mondo”. Essa così afferma:” La nazione francese rinuncia a intraprendere qualsiasi guerra con lo scopo di fare conquiste e non impiegherà la sua forza contro la libertà di alcun popolo”.

Sappiamo come andarono le cose: l’espansione “rivoluzionaria” “per la libertà degli altri popoli” si tradurrà in un gigantesco sforzo di egemonia e di guerre, soprattutto con Napoleone, per riaffermare il dominio eurocentrico sull’Oriente, l’Asia e l’Africa. Si potrebbe obiettare che Napoleone più che un grande europeo fu un grande imperialista ambizioso. E’ vero: ma sempre dal punto di vista eurocentrico:” Vuole espandere dappertutto l’unità dei codici, dei principi, delle opinioni, dei sentimenti europei”. Ma soprattutto vuole espandere gli “interessi” europei con le armi! Così – scrive perspicuamente Albert Camus2 “ la filosofia  dei lumi mette capo all’Europa del coprifuoco”.

Così , una rivoluzione, quella francese, che pare mettere in crisi l’idea dell’Europa come Comunità superiore, in realtà la rafforza e si pone per eccellenza, come la rivoluzione occidentalista dell’occidentalismo borghese, illuministico, razionalistico, e scientista che sta alla base dello sviluppismo produttivista e dell’ industrialismo borghese odierno tutto giocato sulla “globalizzazione” dell’economia e della cultura di cui ho parlato prima..

Con la crisi dell’Europa tradizionale di Joseph de Maistre si afferma l’Europa degli Stati-nazione non meno eurocentrica né meno oppressiva nei confronti dei popoli. Lo Stato- nazione infatti, tipica espressione dello spirito occidentalista, lungi dal rivelarsi come l’Assoluto hegeliano, l’attuazione dello spirito del popolo, l’idea dello spirito nella manifestazione esterna del volere umano e della sua libertà, significherà lacrime e sangue per le stesse popolazioni europee ma soprattutto per il mondo colonizzato.

Sarà l’Europa degli Stati nazionalisti, militaristi e capitalistici che si lanciano alla conquista del mondo – dal Sud est dell’Asia all’Africa alla stessa Cina –  in una pazza corsa verso la colonizzazione alla quale partecipa la maggior parte delle potenze europee dopo il 1880, per portare la civiltà “superiore”, comodo paravento per giustificare ogni  ambizione e ferocia.

In Francia si  parla dell’idea lanciata da Albert de Mun sui doveri delle razze superiori. ” Le razze superiori hanno un diritto perché hanno un dovere” – affermerà Jules Ferry il 28 Luglio 1885 parlando alla Camera. “Esse hanno il dovere di civilizzare le razze inferiori”.

Il Governatore generale Merlin, nel 1910 è ancora più categorico: ”In virtù del diritto di una razza civile, possiamo occupare i territori lasciati incolti dalle popolazioni barbare”.

Questa razza civile è – manco a dirlo – quella europea. Lo storico tedesco Leopold Von Ranke parla di ”Un germe, uno spirito dell’Occidente che ha compiuto dei progressi enormi, che ha conquistato l’America togliendola alle forze brute della natura e alle popolazioni indomabili che l’abitavano e l’ha trasformata completamente. Attraverso strade diverse è penetrata fino al limite della lontana Asia, dove non esiste che la Cina a sbarrargli il passaggio e cinge l’Africa avendo occupato le sue coste. Irresistibile, ineguagliabile, invincibile, grazie alle sue armi e alla sua scienza è diventata il padrone del mondo”.

Su questi presupposti teorici si affermerà il nuovo eurocentrismo militarista e imperialista degli Stati che genererà la prima guerra mondiale con gli otto milioni e mezzo di morti, distruzione e devastazione economica, miseria e carestia e… disordine su cui nascerà il “Nuovo Ordine” fascista e nazista.

L’Ordine Nuovo di Hitler infatti è  totalmente eurocentrico, per lui infatti l’Europa – “la nuova Europa” – “non è soltanto un’espressione geografica ma un concetto culturale e morale….per i mille anni a venire”. Il postulato, un vero e proprio dogma agli occhi di Hitler, è quello dell’ineguaglianza delle razze umane. Di tutte le razze, quella più completa, quella che possiede una maggiore intelligenza, una maggiore energia, un maggiore potere creativo,  è la razza dei grandi ariani  biondi dolicocefali. Essa ha quindi diritto di conquistare lo “spazio vitale”.

Si chiede – retoricamente – il grande storico francese Jean-Baptiste Duroselle3 :”Questa famosa  civiltà europea esiste ed è veramente più valida delle altre civiltà?” Ecco la sua risposta:” Io mi sento culturalmente e intellettualmente più vicino a Leopold Senghor che non al mio miglior amico inglese o olandese, cosa che non pregiudica affatto la nostra amicizia. E quando mi si dice che l’Europa è il paese del Diritto e della dignità umana io penso al razzismo; quando mi si dice che è il paese della ragione io penso a Cartesio che sosteneva che il buon senso è la cosa meglio suddivisa nel mondo.”

Sottoscrivo.

Note bibliografiche

1.Michel de Montaigne, Saggi, vol.I, Oscar Mondadori editore, pag.272

2. Albert Camus, Opere, ed. Classici Bompiani, Milano 2000  ( In L’Uomo in rivolta, pag.874).

3.Jean-Baptiste Duroselle, L’Idea d’Europa nella storia,  Edizioni Milano Nuova, 1964

 

Benvenuto Lobina e la poesia CUADDEDDU CUADDEDDU” di Francesco Casula

 

 

BENVENUTO LOBINA:Il poeta e il romanziere  bilingue che ha nobilitato la lingua sarda.(1914-1993)

Nasce nel Gennaio del 1914 a Villanovatulo (Ca) un villaggio di 1100 abitanti, nel Sarcidano. Nel 1932 è a Cagliari dove lavora alle Poste. Precocissimo poeta in lingua italiana, scopre il Futurismo, che in Sardegna arrivò solo allora. E’ tra i fondatori del gruppo futurista che faceva capo all’architetto Ettore Paccagnini. Le sue poesie in quel tempo vengono pubblicate sulla rivista Futurismo, diretta da Mino Somenzi.

Si arruola volontario in Abissinia. Gli otto anni di vita militare, dalla Guerra d’Etiopia alla Seconda guerra mondiale, rappresentano per lui un periodo di esperienze intense e fondamentali: fra l’altro abbandona il Fascismo. A questo proposito dirà in una lezione tenuta il 17 Dicembre 1990 all’Università di Cagliari: L’Amba Alagi l’hanno presa con i gas, perché quelli sarebbero stati in grado di difendersi rotolando massi dalla cima delle montagne e allora li hanno snidati con l’iprite: vedere questi poveretti ai lati della strada con le carni lacerate dal gas, senza cure, senza niente. Lì ho chiuso con il Fascismo…

Insieme – dirà lui stesso –  quelli furono anni di buio poetico durato fino agli anni cinquanta quando, leggendo le pagine della rivista di letteratura sarda S’Ischiglia, diretta e pubblicata a Cagliari da Angelo Dettori, si convinse che il suo mondo poetico poteva trovare un’espressione più propria e consona nel sardo-campidanese del suo paese, Villanovatulo, di cui scopre le grandi possibilità espressive.

Intanto dopo la guerra si stabilisce a Sassari e continua a lavorare alle Poste. La terza pagina – dedicata alla Cultura – del Quotidiano di Sassari, La Nuova Sardegna, comincia a ospitare le sue poesie. Ma è soprattutto il Premio di Ozieri a fornirgli un riscontro critico oltre che una palestra e un pubblico. Nel 1964 vince tale premio di poesia sarda, il più prestigioso – ancora oggi – in tutta la Sardegna. Da quell’anno ottiene altri premi in manifestazioni nazionali dedicati alle lingue delle minoranze. Molto significativo è il Premio nazionale Città di Lanciano che ottiene nel 1974 con la sua raccolta di poesie Terra,disisperada terra, in cui – scrive Leonardo Sole – dietro una straordinaria semplicità strutturale, nasconde una visione profonda e complessa della natura umana e dà tono epico e sapore di vita al suo dolente racconto di morte .

Nel 1978 vince il premio Rettore Diego Mele di Olzai con la poesia satirica Cuaddeddu, cuaddeddu, (Cavallino, cavallino). Era il periodo della colonizzazione petrolchimica – scrive Salvatore Tola – cui i versi satirici ritmati di Cuaddeddu, cuaddeddu sono dedicati… Benvenuto immaginava che un suo nonno, richiamato in vita da un terribile puzzo di sostanze chimiche decidesse di saltare a cavallo per andare a Cagliari a fare giustizia di tutti coloro che avevano favorito quello scempio economico e umano..

L’opera però che gli ha dato maggiore notorietà è il romanzo in sardo, con traduzione italiana a fronte, – o meglio, come sostiene Nicola Tanda, riscritto in Italiano – Po cantu Biddanoa, (Per quanto Villanova), in due volumi, pubblicato nel 1987.

Lobina stesso ammette di essere stato influenzato, nella scrittura del romanzo, dalla tradizione ispano-americana, ad iniziare da Marquez, Borges, Vargas Llosa, Juan Rulfo. Di questa tradizione inoltre tradurrà direttamente nel suo sardo-campidanese poeti (da Nicolas Guillen a Octavio Paz, a Cesare Vallejo) e narratori (Juan Rulfo, l’autore del capolavoro Pedro Paramo, il suo prosatore preferito che ha modo di conoscere e frequentare).

Nel 1992 verranno pubblicate alcune sue poesie nella silloge Is Canzonis.

Muore il 29 Dicembre del 1993. Nel 2000 vengono pubblicati postumi,  alcuni suoi Racconti bilingui (in Sardo e in Italiano).

 

 

 

CUADDEDDU, CUADDEDDU

Nebodeddu cantatori,

nebodeddu meda abbistu,

ti ddu paghit Gesu Cristu,

in salludi e in liori

 

po mi dd’ai spiegau,

nebodeddu car’ ’nonnu,

poita, apust’ ’e custu sonnu

chi xent’annus è durau,

 

iscidau mind’ad custu

malladittu fragu mallu

chi si furriat su callu

in gennarxu e in austu.

 

I atras cosas a muntonis,

nebodeddu, m’as cantau

chi su coru m’ant’unfrau

su xrobeddu e is callonis.

 

E immoi lassamì stai

no mi neristi pru’ nudda

ma asta a biri ca ’n sa udda

ci ddus appa a fai entrai.

 

I mi bastat su chi sciu,

ma una cosa ti dimandu

donamidda e i minn’andu

bollu su cuaddu miu.

 

Cuaddeddu, cuaddeddu,

curri senz’ ’e ti firmai

ca depeus arrivai

in tres oras a Casteddu.

 

A Casteddu ad pinnigau

gent’ ’i onnia manera:

sa pillandra furistera

su furoni, s’abogau.

 

Pinnigau ad gent’ ’e trassas

spilligambas e dottoris,

deputaus traittoris,

munzennoris e bagassas.

 

I a tottu custa genti

dd’anti posta a comandai

e po paga ant’a pigai

s’arretrangh’ ’e su molenti.

 

Frimadì: Santu Francau,

cuaddeddu, si bid giai.

Su chi seu andendi a fai

non ti dd’appu ancora nau..

 

Scurta: a fai un’abisitta

a is chi anti fattu troga

seu annundu cun sa soga

e i sa leppa in sa berritta.

 

Su chi primu appa a cassai

cun sa bella cambarada,

cuaddeddu, è su chi nada

ca ad donau a traballai

 

a su popullu famiu

in Sarroccu e in Portuturri

e chi si pònidi a curri

faid mort’ ’e pibizziu.

 

Poita ad crup’ ’e cuddu fragu

chi mind’ ad fattu scidai

prima dd’appu a istrumpai

e apustisi ddu cagu.

 

Sigomenti anch’è parenti

de i cuddu imbrollioni

chi ad redusiu a carboni

sa foresta e i su padenti,

 

ci ddu portu a unu logu

pren’ ’e spina, sperrumau

i ddu lassu accappiau

i agoa ddi pongiu fogu.

 

No a’ biu, cuaddeddu,

cantu montis abruxaus,

cantu spina in is cungiaus

a infora de Casteddu?

 

Anti venas i arrius

alluau tottu impari

alluau anti su mari

e is tanas e is nius.

 

Bidda’ mes’abbandonadas

a i’ beccius mesu bius

a su prant’ ’e is pippius

a pobiddas annugiadas.

 

Oh, sa mellu gioventudi

 

 

sprazzinada in mesi mundu

scarescendu ballu tundu

scarescendu su chi fudi.

 

Cuaddeddu, sigomenti

de su dannu chi eu’  biu

e di aturus chi sciu

tenid curpa meda genti,

 

a accantu si pinniganta

i mi bollu accostai

e i ddus appa a ispettai

asta a biri chi no triganta.

 

Ddusu bisi: allepuccius

a ingiri’ ’e sa mesa

faccis prena’ de malesa

omineddus abramius.

 

Ma appenas a bessiri

nd’ant ’e s’enna ’e s’apposentu

donniunu ad essi tentu

e tandu eus a arriri.

 

O su meri chi scurtai

su chi nada unu cuaddu

oi ollidi – e chi faddu

gei m’ada a perdonai –

 

i ddi nau ca cussa genti

pinnigada in su corrazzu

non cumanda d’unu cazzu

 

 

funti conca’ de mollenti.

 

Chi cumandada est’attesu

custus funti srebidoris

mancai sianta dottoris

funti genti senz’ ’e pesu.

 

Fueddendu in cudda cosa

no adi intendiu fustei

nendu “yes” e nendu “okei”

cun sa oxi pibiosa?

 

Bruttu strunzu, arrogh’ ’e merda,

cussa conca in d’unu saccu

illuegu ticci zaccu

ti dda scudu a una perda.

 

De is cosa’ de sa genti,

o cuaddu manniosu,

maccu, zoppu i arrungiosu

no as cumprendiu niente.

 

No as cumprendiu, po nai,

chi su bruttu fragu mallu

chi ddis furriad su callu

ndiddus podisi scidai?

E a candu tottu impari,

meris, predis, srebidoris,

ciacciarronis, traittoris,

ci ddus anta a iscudi a mari?

Su srobeddu dd’asi in brenti

Tprrù, cuaddu, tprrù, mollenti.


 


Traduzione*

CAVALLINO CAVALLINO

Nipotino cantatore,

nipotino molto sveglio,

ti ripaghi Gesù Cristo

in salute e buon raccolti

 

per avermelo spiegato,

nipotino caro al nonno,

perché dopo questo sonno

che durato è per cent’anni

 

a questo m’hai svegliato

maledetto brutto odore

che lo stomaco rivolta

da gennaio a tutto agosto.

 

Ed altre cose tu a iosa,

nipotino, mi hai cantato

che il cuore m’ha gonfiato

il cervello coi coglioni.

 

Ed ora lasciami stare

e non dirmi proprio niente

ma vedrai che in quel posto

li farò di certo entrare.

 

E mi basta ciò che so,

ma una cosa ti domando

dalla al nonno e me ne vado

voglio solo il mio cavallo.

 

Cavallino, cavallino,

corri senza mai fermarti

che dobbiamo noi arrivare

fino a Cagliari in tre ore.

 

 

A Cagliari è radunata

tanta gente, d’ogni risma:

la pigrizia forestiera,

il predone, l’avvocato.

 

Ha raccolto gli imbroglioni

parassiti con dottori

deputati traditori

 

monsignori con puttane.

 

Tutta quanta questa gentaglia

messa l’hanno a comandare

e per paga prenderanno

la gran verga del somaro.

 

Fermati: San Pancrazio,

cavallino, già si vede.

Ciò che vado a fare io

ancora non t’ho detto.

 

Ascolta: a fare una visita

a color che han fatto intrighi

sto andando con una fune

e il coltello nel cappello.

 

Quel che prenderò per primo

con la bella camarilla,

cavallino, è quel che afferma

d’aver dato occupazione

 

ad un popolo affamato

a Sarroch, a Portotorres

e se tenta di scappare

la morte fa della locusta,

 

perché ha colpa dell’odore

che m’ha fatto risvegliare.

Prima a terra io lo butto

e gli cago dopo sopra.

 

E siccome egli è parente

del grandissimo imbroglione

che ha ridotto tutt’a carbone

la foresta con il bosco,

 

lo porto in un certo posto

tutto spine con burroni

e lo lascio ben legato

e gli appicco dopo il fuoco.

 

Non hai visto, cavallino,

quanti monti son bruciati

quante spine nei terreni

di Cagliari poco fuori.

 

Han le vene ed i torrenti

inquinato tutti assieme

inquinato hanno il mare

e le tane con i nidi.

 

I paesi abbandonati

ai vecchi semivivi

al pianto dei bambini

alle mogli rattristate.

 

Oh, la miglior gioventù

 

 

sparpagliata in mezzo mondo

mentre scorda il ballo tondo

scordando ciò che fu.

 

Cavallino, dal momento

del danno che abbiam visto

di tant’altri che so io

ha la colpa molta gente

 

là dove fan riunione

io mi voglio avvicinare

e lì fermo ad aspettare

e vedrai non tarderanno.

 

Li vedi: belli e attillati

tutti intorno ad una tavola

facce piene di malizia

omuncoli insaziabili.

 

Ma appena usciranno

dalla porta della sala

ciascun sarà bruciato

ed allora rideremo.

O padrone, se ascoltare

le parole di un cavallo

oggi vuole – e se sbaglio

mi perdonerà di certo –

 

le dico che quella gente

ch’è rinchiusa in quel recinto

non comanda manco un cazzo

ha la testa d’un somaro.

Chi comanda è ben lontano

sono questi servitori

benché siano dei dottori

sono gente senza peso,

parlando in quella cosa (lingua)

e non ha sentito lei

dicendo “yes”, dicendo “okey”

con la voce lamentosa?

Brutto stronzo, merdaccione,

quella testa dentro un sacco

presto presto scaravento

te la sbatto contro un sasso.

Delle cose della gente,

o cavallo pien di spocchia,

matto, zoppo e pur rognoso

non hai mai capito niente.

Per dir non hai capito

che l’odore puzzolente

che lo stomaco rivolta

li potrebbe anche svegliare?

E quando essi tutti assieme,

padroni, preti ed i servi

ciarlatani e traditori

butteranno tutti a mare?

Il cervello l’hai nel ventre

su, cavallo, su somaro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONTRA A SAS ISCORIAS NUCLEARES: poesia di Maddalena Frau

 

Sa poetessa in limba sarda MADDALENA FRAU

contra a sas iscorias nucleares at iscritu custa poesia

 

 

FORA ISCORIA NUCLEARE

Fora iscoria nucleare

de venenu colorida!

Fora, atesu, mai in sa vida

muntonarzos de nuscare!

Sa Sardinna a la sarvare

est mutinde totu unida!

Est s’iscoria nucleare

de su mundu àliga fea.

Fora de sa terra mea

si la depent interrare

o, si nono, apicare

a su tzugu a vida intrea.

Cussos macos e tinzosos,

chene anima nen coro,

si l’abbratzent su tesoro,

che lingotos pretziosos,

sos bidones putzinosos

a pudire in dom’issoro!

Zai chi totu ant impestau

distruinde sa Natura,

sa moderna butadura

si la tenzant a costau,

a tzimentu fravigau

in sa domo a s’ intradura.

Cherent fagher de Sardinna

muntonarzu natzionale…

regalande unu mortale

crancu ’e vida prus indinna

a sa nostra terra dinna

de bellesa e de gabbale.

No lis bastat su chi ant fatu

in cuddu tempus colau!?

Brusiau e isbuscau…

Cantu dannu e disacatu

pigandeche su recatu

de su populu isfrutau! ….

totu no-che sunt leande

su terrinu e sa salude…

sa betzesa e  zobentude…

A zogu nos sunt pigande.

Pesae totus cantande

a difender sa salude!

E sos amministradores

no atzètent cosa gai!

In Sardinna mai mai!…

Solu matas e fiores

e profumos e colores

in sa terra de mannai!…

A sas Istitutziones

de Guvernu Italianu

lis pedimus una manu

de rispetu a sas pessones

de sas generatziones

de su populu isolanu.

A sos sardos un’apellu

cun corazu cherzo dare:

fortemente a refudare

de nos ponner a tropellu

che a bestias de masellu

prontos a no-che papare.

Fortes, cun coro galanu,

iscritores, zornalistas,

cun poetas e artistas

ischidae a su manzanu…

A s’ingannu rufianu

aberìe sas pibiristas!

Si nde peset su Nuraghe

cun Zigante ’e Monte ’e Prama,

de Sardinna antiga fama,

narande:-Cherimus paghe!

Rezistrae in su condaghe:

“Fora iscoria dae Mama!

Fora, atesu sos bidones

de cuss’aliga de morte!

Fora de sa nostra corte

fragos de perditziones!

Fora iscorias e cannones,

e de imbentos de morte!”-

Sardos, amigos, cantade

disterrados cun amore

pro difender cun ardore

cudda sarda dinnidade,

de Sardinna identidade,

de cultura e de valore!

Fora, atesu fuliade

sas iscorias de dolore!

Sa Sardinna est de mirare!

Non si vendet pro dinare!!!

Sa Sardinna est de mirare!

Fora iscoria nucleare!

de MADDALENA FRAU

 

LA CONFEDERAZIONE SINDACALE SARDA COMPIE 30 ANNI di Francesco Casula

La Confederazione sindacale sarda (CSS) compie 30 anni.

di Francesco Casula

La CSS è nata il 20 Gennaio 1985: è il terzo Sindacato etnico in Italia dopo quello valdostano (fondato nel 1952) e quello Sudtirolese (ASGB) nato nel 1978. L’ideatore della CSS e il primo segretario generale è stato Eliseo Spiga. Dopo di lui Francesco Casula e Giacomo Meloni; il segretario attuale. Il sindacato etnico sardo – o della Nazione sarda, come ama definirsi – nasce per difendere i sardi sia come lavoratori – salario, occupazione, orario e condizioni di lavoro – sia come sardi e dunque nella loro dimensione culturale e linguistica. Di qui la battaglia del Sindacato sardo a favore del Bilinguismo. Anche in forte polemica con i Sindacati italiani – CGIL-CISL-UIL in primis – contesta duramente il tipo di sviluppo e di industrializzazione che lo Stato – con la complicità delle classi politiche sarde e degli stessi sindacati – ha imposto alla Sardegna negli ultimi 50 anni, uno sviluppo tutto giocato sulla petrolizzazione dell’Isola e sulle industrie nere e inquinanti, che hanno devastato il territorio senza peraltro creare né occupazione, né prosperità e benessere. La grave crisi in atto ne è la testimonianza più eclatante. Di contro sostiene, la necessità di costruire una economia nazionale sarda, procedendo a una riappropriazione di tutte le risorse dell’Isola, per gestirle e valorizzarle direttamente. A questo punto l’economia sarda potrebbe confrontarsi con le altre economie non più come produttrice di materie prime o come mera sede di intraprese multinazionali, ma come creatrice di prodotti finiti. Per iniziare così a rompere quel meccanismo infernale, che gli economisti chiamano “lo sviluppo ineguale” per cui la Sardegna – e molte zone del Sud – produce ed esporta semilavorati (per es. petrolio raffinato), a basso valore aggiunto,  mentre importa prodotti finiti (per esempio medicine, prodotti della chimica farmaceutica), ad alto valore aggiunto): in questo scambio ineguale, la Sardegna continua a impoverirsi e il Nord Italia, dove si fanno le ultime lavorazioni, si arricchisce vieppiù. Per convincersi di questo meccanismo basta guardare i recenti dati ISTAT per quanto attiene al PIL ma non solo.

GIULIANO AMATO PRESIDENTE? Il nemico dei Sardi, di Francesco Casula

Amato e la sovranità.

Unità d’Italia, inutile retorica

di Francesco Casula

La casta (che nel contempo è anche una cricca) è sostanzialmente omogenea. Ma alcuni suoi mandarini e criccaiuoli sono particolarmente odiosi: uno di questi è Giuliano Amato, già ultracaxiano e poi riciclatosi in pdl-pd; pluri e megapensionato privilegiato; ultraspocchioso e grande nemico dei Sardi: a un Convegno tenutosi a Cagliari per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ha affermato: “Qui nella vostra Isola si discute di sovranità da affermare. Per me che sono un giurista costituzionalista fa rabbrividire che la sovranità venga attribuita a una parte del popolo e non all’intera nazione”. I “brividi” amatiani potrebbero essere liquidati semplicemente ricordandogli che la sovranità che i Sardi rivendicano attiene alla Nazione sarda e dunque all’intero popolo sardo. Ma lui, evidentemente, confondendo Stato con Nazione, con una visione tipicamente e biecamente ottocentesca e ormai superata, pensa ai sardi non come popolo specifico e come Nazione autonoma ma come parte indistinta del popolo italiano e della stessa nazione italiota. Ma sarebbe arretrato anche all’interno di queste coordinate culturali e politiche. Amato dovrebbe infatti sapere, che nell’ottica e nella sagomatura dello Stato federalista verso cui si marcia –con la sostanziale condivisione di tutte le parti politiche- la sovranità non è unica né è posta solo negli organi centrali dello Stato ma è divisa fra Stato federale e Stati particolari –o regioni che dir si voglia- e ognuno la esercita di pieno diritto.

Con la sua affermazione Amato è ancora fermo allo stato ottocentesco, unitario, indivisibile e centralista, che al massimo può dislocare territorialmente spezzoni di potere dal “centro” alla “periferia”. O, più semplicemente può prevedere il decentramento amministrativo e concedere deleghe limitare e parziali alla Regione che comunque in questo modo continua ad esercitare una funzione di “scarico”, continuando ad essere utilizzata come un terminale di politiche, sostanzialmente decise e gestite dal potere centrale. Sarebbe bastato leggere Lussu che -fin dal 1933- parlava di sovranità “divisa fra Stato federale e Stati particolari” – o meglio federati, aggiungo io – e dunque di “frazionamento della sovranità”.

Che comporta inevitabilmente la rottura e la disarticolazione dello stato unitario “nazionale” per dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati. Evidentemente tutto ciò era troppo per un Amato che, pur conoscendo bene Bobbio, è pur sempre il Presidente del Comitato dei garanti per la celebrazione dei 150 anni dell’unità d’Italia tutta tesa, temo, per rispolverare e rinverdire la retorica italiota, unitarista e patriottarda, di cui francamente, non abbiamo alcun bisogno.

(Pubblicato sull’Unione Sarda del 17-10-2010)

 

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La storia sarda? Negata. Interrata. Abrasa. O comunque, manomessa.

La storia sarda? Negata. Interrata. Abrasa. O comunque, manomessa..

di Francesco Casula

Gaspare Barbiellini Amidei, già brillante editorialista del Corriere della Sera, nel 1971 scrive un suggestivo saggio: Il minusvalore . In esso sostiene la tesi secondo la quale gli uomini ricchi rubano da sempre agli altri uomini la loro fatica, pagandola con il salario che è soltanto una parte del valore dei loro prodotti. Il resto (plus valore e dunque profitto) va ad accumulare altra ricchezza. Marx smascherò questo furto e le magiche parole della religione, della morale, della cultura e del prestigio che avevano coperto per millenni il plus valore. Ma gli uomini ricchi non rubano solo fatica agli altri uomini ma anche memoria, storia, lingua, cultura: minusvalore, appunto, di qui il titolo dell’opera. Che è l’altra faccia dello sfruttamento denunciato da Marx con il plus valore. Il che non significa – precisa l’autore – andare contro Marx, ma aggiungere a Marx qualcosa in più. Ebbene, mi piace applicare tale tesi agli Stati ufficiali, che fin dalla loro nascita rubano alle piccole patrie, alle nazionalità oppresse o comunque non riconosciute, ai popoli marginali, non solo fatica, lavoro e salario – attraverso il colonialismo interno – ma anche memoria, cultura, identità e storia. Questa tesi ben si attaglia ai Sardi: depredati e deprivati nella loro storia non solo a livello materiale (risorse, materie prime) ma anche a livello immateriale (cultura,lingua e storia soprattutto).

Succede così che in pieno Ottocento a Pietro Martini – uno dei padri della storiografia sarda – intenzionato a introdurre fra gli studenti dell’Isola l’insegnamento della Storia sarda, capitò di sentirsi rispondere dalle autorità governative piemontesi che “ nelle scuole dello Stato debbasi insegnare la storia antica e moderna, non di una provincia ma di tutta la nazione e specialmente d’Italia”.Tale concezione, da ricondurre a un progetto di omogeneizzazione culturale, la ritroviamo pari pari nelle Leggi sull’istruzione elementare obbligatoria nell’Italia pre e post-unitaria: del Ministro Casati (1859) come di Correnti (1867) e di Coppino (1887). I programmi scolastici, impostati secondo una logica rigidamente nazional-statale o statalista che dir si voglia e italocentrica, sarebbero finalizzati a creare una coscienza “unitaria“, uno “spirito nazionale“, capace di superare i limiti – così si pensava – di una realtà politico sociale composita ed estremamente differenziata sul piano storico, culturale e linguistico.   Questo paradigma fu enfatizzato nel periodo fascista, con l’operazione della “ nazionalizzazione” dell’intera storia italiana.

L’idiosincrasia – uso volutamente un termine eufemistico – nei confronti di tutto ciò che è locale, nel nostro caso di tutto ciò che è sardo, sia essa la storia che la lingua, continuerà abbondantemente anche dopo la guerra. Con una impostazione pedagogica, didattica e culturale tutta giocata sulla proibizione, cancellazione e potatura della storia locale, ma lo stesso discorso vale per la cultura e la lingua sarda. Che ha prodotto effetti devastanti negli studenti e nei giovani in genere, in modo particolare attraverso la smemorizzazione. Provate a chiedere a uno studente sardo che esca da un liceo artistico, cosa conosce di una civiltà e di un’architettura grandiosa come quella nuragica, sicuramente fra la più significativa dell’intero Mediterraneo; provate a chiedere a uno studente del liceo classico cosa sa della parentela fra la lingua sarda e il latino; provate a chiedere a uno studente di un Istituto tecnico per Ragionieri e persino a un laureato in Giurisprudenza cosa conosce di quel meraviglioso codice giuridico che è la Carta de Logu di Eleonora d’Arborea. Vi rendereste conto che la storia, la lingua, la civiltà complessiva dei Sardi dalla Scuola ufficiale è stata non solo negata ma cancellata. Ma c’è di più: una scuola monoculturale e monolinguistica, negatrice delle specificità, tutta tesa allo sradicamento degli antichi codici culturali e basata sulla sovrapposizione al “periferico” di astratti paradigmi  e categorie che le “grandi civiltà” avrebbero voluto irradiare verso le “civiltà inferiori”, ha prodotto in Sardegna, soprattutto negli ultimi decenni, giovani che ormai appartengono a una sorta di area grigia, a una terra di nessuno. Appiattiti e omologati nell’alimentazione come nell’abbigliamento, nei gusti come nei consumi, nei miti come nei modelli. Di tale appiattimento, una delle cause fondamentali è sicuramente la mancanza di memoria storica. Mi piace a questo proposito citare quanto sostiene, Umberto Eco nel suo monumentale romanzo L’Isola del giorno prima: “ Io sono memoria di tutti i miei momenti passati, la somma di tutto ciò che ricordo”. O l’afgano Khaled Hosseini, nel suo primo romanzo di grande successo Il cacciatore di aquiloni, Non è vero come dicono molti che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente”.

A significare cioè che l’individuo esiste e ha una sua identità in quanto possiede la memoria storica. Recisa ed estinta questa, sia come singoli che come comunità, saremmo semplicemente omologati, soggetti e comunità indifferenziate, senza la ricchezza delle specificità culturali e storiche.

Eppure la scuola italiana, dopo interi secoli di vera e propria insofferenza nei confronti della “storia locale” avrebbe dovuto imparare dalla Francia e da storici come Marc Bloch, Lucien  le Febvre (con la creazione nel 1929 degli Annales) e Fernand Braudel, la cui storiografia rifiuta la storia come grande evento politico-militare, rivalutando la storia locale che si pone anzi come “laboratorio“ della nuova concezione storiografica secondo la quale non vi è una gerarchia di rilevanza fra storia locale e storia generale. Superando così il paradigma storiografico secondo il quale solo la “storia generale” è degna di essere studiata. Per cui la nuova storia aperta e senza barriere disciplinari, è capace di valorizzare la vita degli uomini nel tempo e nello spazio, indagando a tutto campo: dalla cantina al solaio.

Incursioni barbaresche:”Ciuffo e gli altri, mille anni di terrore” di Francesco Casula

Unione sarda 4 gennaio 2015

I sardi presi in ostaggio e ridotti in schiavitù:fu un flagello“Ciuffo” e gli altri, mille anni di terrore.

di FRANCESCO CASULA

La Sardegna per più di un millennio è stata funestata dalle incursioni barbaresche: dal 703 fino al 1816.A detta dello scrittore libico moderno Mohamed M. Bazama, il primo assalto arabo all’Isola, forse alla base navale di Sulci (Sant’Antioco) avvenne il 24 gennaio del 703. Proseguirono, pressoché ininterrottamente – si diradarono fino a scomparire del tutto fra il XII e XIV secolo, in piena civiltà giudicale – fino al 1816, quando in seguito al Congresso di Vienna  le potenze europee imposero agli stati maghrebini del bey di Tunisi, del dey di Tripoli e del dey di Algeri,  la fine della tratta degli schiavi.Così il 3 aprile 1816  l’ammiraglio inglese Exmouth, anche come delegato del re di Sardegna, impose al bey di Algeri una convenzione che lo vincolava a pacifiche relazioni con il Regno di Sardegna. Dopo quella di Algeri analoghi trattati furono firmati con le reggenze di Tunisi e Tripoli. Le conseguenze delle aggressioni barbaresche furono immani: in termini di costi economici e delle perdite umane prima di tutto. Per non parlare della “paura del mare” che si creò nella psiche sarda: l’immagine del mare infatti sarà sempre associata alle figure dei pirati, a sos moros. Di qui la tendenza delle popolazioni costiere a ritirarsi nelle zone interne. Di qui l’abbandono delle tradizioni marinare e dell’agricoltura nelle aree litoranee, l’impaludamento delle zone costiere, l’accentuarsi della diffusione della malaria che s’aggraverà viepiù.Uno degli obiettivi delle incursioni era il sequestro di uomini e donne ma anche di bambini, da ridurre in schiavitù. Conosciamo degli esempi: il più famoso è un pastorello della Nurra, che adottato e allevato dal famoso corsaro Khair ad-din, detto Barbarossa, diventerà prima suo luogotenente e in seguito comandante in capo e rappresentante del sultano. Etichettato come “Sardo renegado”  assurgerà inoltre a terzo re di Algeri e sconfiggerà Carlo V nel 1541, in seguito alla seconda spedizione.Lo storico Pietro Martini ci parla anche di altri due sardi che faranno carriera politico-militare. Ricordando che nel 1772, verso la fine di Giugno, 28 galee muovono dal porto di Biserta verso Cagliari che tennero bloccata per più giorni, Martini scrive che a terrorizzare i cagliaritani contribuì la voce che a comandare le incursioni fossero “due rinnegati: uno sardo, detto Ciuffo, diventato rais di una galeotta, e promettitore di grandi razzie per ingraziarsi meglio il bey di Tunisi, temuto in particolar modo come conoscitore delle patrie coste; l’altro tabarchino, che da Carloforte dove lasciò la moglie, era partito a Tunisi per farvi fortuna”.Sempre Martini scrive che nel 1774 il “rinnegato” Ciuffo si sia consegnato ai sardi e, rifugiatosi in Convento, rimase lì fino all’abiura dell’Islamismo. In seguito, favorito dal Governo, avrebbe assunto il comando di una galea armata (forse quella stessa che comandava prima) combattendo “con sommo ardore” contro i Barbareschi.