Un episodio della storia sarda più famoso che conosciuto : l’uccisione del vice re Camarassa

Un episodio della storia sarda più famoso che conosciuto: l’uccisione del vice re Camarassa

di Francesco Casula

Durante la dominazione catalano aragonese ma soprattutto quella spagnola vi saranno numerosi episodi di conflitto e di lotta fra Parlamento sardo e governo: quello che sfocerà nell’ammazzamento del viceré Camarassa (di cui parleremo) è il più noto.
Durante la loro esistenza (dal 1355 al 1718/20) vi furono tentativi ricorrenti degli Stamenti di rivendicare e di assumere più ampi poteri. Come in tutta Europa del resto, i Parlamenti lottavano contro i re/principi che invece tentavano di instaurare il loro potere assoluto.
L’episodio di maggiore frizione e conflitto fra il Parlamento sardo e il sovrano spagnolo avvenne nel 1655, quando gli Stamenti posero al sovrano una condizione secca: noi approviamo il donativo quando e se voi approvate le nostre richieste.
Fino ad allora il Parlamento che si riuniva ogni dieci anni, aveva posto il problema delle richieste ma slegate dall’approvazione del donativo. Ora invece è intransigente: senza l’accoglimento di ben 25 richieste, il donativo non verrà approvato.
Protagonisti di quel Parlamento sono l’arcivescovo di Cagliari (che era anche capo della Chiesa sarda) e soprattutto il marchese di Laconi, don Agustin de Castelvì, «prima voce » dello stamento militare, che viene inviato a Madrid per spiegare (e convincere) il re in relazione alle richieste del Parlamento.
Contrariamente all’uso dell’invio di un rappresentante per ogni stamento, don Agustin fu mandato lui solo a capo della delegazione, a riprova della fiducia che l’intero Parlamento, finalmente unito, salvo un gruppo nettamente minoritario, riponeva in lui.
Rimarrà per un anno a Madrid: resistendo a ricatti, minacce e lusinghe. Tentò anche forti mediazioni, riducendo le richieste da 25 a 5: una di queste non era altro che l’habeas corpus, cioè il principio secondo il quale nessuno può essere imprigionato senza il mandato di un giudice e sulla base di un reato definito; l’altra, molto più rilevante ai fini economici e sociali delle classi privilegiate che il Marchese di Laconi rappresentava, era quella della riserva ai residenti in Sardegna di tutte le cariche, civili, religiose e militari.
Il Governo di Madrid, naturalmente, respinse le richieste, non solo per una questione di merito ma di principio: non poteva accettare la tesi dello scambio (donativo per approvazione richieste) perché in qualche modo avrebbe significato mettere in una situazione di parità il regno di Sardegna con quello di Spagna.
Di più: al suo ritorno in Sardegna agli inizi del 1668 il viceré Emanuel Gomez de los Cobos marchese di Camarassa, destituì il marchese di Laconi e il 24 maggio sciolse il Parlamento stesso. Circa un mese dopo, nella notte fra il 20 e il 21 giugno il marchese di Laconi fu ucciso. Il delitto, fu fatto ricadere sulla corte viceregia. E comunque un mese dopo fu assassinato anche il viceré Camarassa. Furono accusati la moglie e il suo amante, Salvatore Aymeric, cadetto dei conti di Villamar.
Uno scontro fra il viceré, il suo autoritarismo e il parlamento? E in particolare con il Marchese di Laconi, invero un po’ ribelle e bandolero ma caduto per la difesa degli interessi dei naturales sardi, di tutti indistintamente? Addirittura redemptor y restaurador de la Patria? Padre del Pueblo o amparador de los pobres, espressioni che risultano da alcuni documenti dei giorni seguenti il delitto? Questo è il don Agustín che si vuole accreditare presso l’opinione pubblica. In realtà si tratta di un conflitto fra gli interessi delle classi privilegiate sarde e il Governo di Madrid che non vuole rinunciare minimamente al centralismo del suo potere e del suo dominio.
In altre parole, comunque: ”Non è certo possibile ricondurre questi episodi a un consapevole progetto di affermazione autonomistica e ‘nazionale’ dell’isola nei confronti della Spagna, ma essi sono comunque il segno di una monarchia non più vincente sul teatro politico e militare europeo in piena decadenza economica e civile, e che non ha più argomenti sufficienti per far accettare senza reazione le sue pretese centralistiche. E non può più offrire alle aspirazioni di affermazione delle élites, e forse dell’intera società sarda, un orizzonte di adeguato appagamento” (1)* .

*12. A. Brigaglia A.Mastino G.G. Ortu, Storia della Sardegna 3, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pagina 31

RICORDANDO DODDORE MELONI

RICORDANDO DODDORE MELONI

A sei anni dalla sua scomparsa (assassinato dallo Stato) mi piace ricordare Doddore ripubblicando quanto scrissi in quell’occasione.

di FRANCESCO CASULA

Coriaceo.
Irremovibile al limite della testardaggine.
Convinto e deciso fino alla sfrontatezza.
Ma soprattutto coerente. Da sempre. E comunque da almeno 40 anni.:dalla fine degli anni ’70. Quando ai Congressi sardisti di Oristano e Porto Torres, con la sua presenza chiassosa e la sua attiva partecipazione, contribuì a spingere il Psd’Az verso l’opzione indipendentista.
I nove anni di carcere – condannato perché coinvolto nel fantomatico “Complotto separatista” – non lo annienteranno. Anzi, rinfocoleranno la sua scelta indipendentista. Così come le successive condanne, le denuncie plurime e i processi: in cui si difenderà con forza, in lingua sarda.
Fino ad arrivare all’occupazione dell’Isola di Malu Entu: che proclamerà Repubblica indipendente, con tanto di Presidente – lui stesso – e relativi Ministri.
Una Rodomontata? Un coup de théâtre? Una geniale trovata comunicativa, per legittimarsi come leader e per divulgare e circuitare, a livello popolare e di massa, il suo messaggio indipendentista? Forse. Forse tutto questo insieme. Ma anche altro. Amo pensare che, in qualche modo, quella scelta avesse un valore prefigurante “altro”. Vale a dire: oi sa Republica de Malu Entu, un’isola pitica. E poita cras non podeus fai Republica indipendenti un’Isula prus manna, sa Sardigna intrea?
Perché Meloni era questo: poca teoria ma molta pratica. Con scelte clamorose. Che potevano anche suscitare l’ironia e lo sberleffo (degli avversari ma, talvolta anche degli amici indipendentisti) ma che andavano dritte nel cuore di molti sardi, scuotendoli, inquietandoli. E persino conquistandoli alla causa
Poca teoria – sul Sardo – per esempio:ma pratica dell’obiettivo. Lo parlava sempre: anche nei processi. Ibridato di lacerti in italiano. A significare che questa lingua era ancillare. Quando in genere si fa il contrario. E ancillare – e dunque meno importante – risulta il sardo.
Il 5 giugno scorso, si è lasciato morire. Dopo due mesi di sciopero della fame. Dopo che uno Stato, quello italiano, ingiusto e crudele, lo ha assassinato. Dopo avergli negato gli arresti domiciliari. Che non si negano – per motivi di età e di salute – neppure al peggior terrorista, mafioso, assassino.
Uno Stato che ancora una volta si è mostrato con il volto di sempre, nei confronti della Sardegna e dei Sardi: ostile e nemico. Contro cui Meloni ha sempre combattuto.
Gli amici e i suoi sostenitori – e con molte ragioni – lo ricorderanno e lo considereranno un martire, un patriota un eroe.
Da parte mia voglio ricordarlo come uno “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento, George Bernard Shaw, quando affermava che l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli.
Mi piace concludere citando quest’ottava dedicatagli dal poeta sardo Peppe Montesu de Orune

Sandalione in coro tenias
Libera e unida l’as sognada
Dae una cella s’ultima mirada
Amaramente tue li daias
Su sognu de Sardigna chi cherias
A nois lassat sa tua thucada
In paghe bae tue eroe sardu
Chi as mantesu altu s’istendardu

5 de Trigulas 2017