I pragmatici E i realisti

I pragmatici.
E i realisti.

di Francesco Casula

Li conosco tali soggetti. E sono molti.
Sono quelli che volevano cambiare il mondo ma sono riusciti solo a cambiare se stessi. Adeguandosi allo stato delle cose presenti.
Sono molti di quelli che nel ’68 volevano fare la rivoluzione: spaccando tutto. In realtà sono riusciti solo a spaccare qualche vetrina.
Sono molti di quella generazione che sono passati da essere gramscianamente intellettuali “organici”, a organici solo a Ministeri e Enti inutili.
Un’intera generazione di giovanotti che, cresciuti, si sono sdraiati nei salotti del Potere: nel Parlamento e nella Banche; nei Giornaloni e nelle TV (di Stato o private poco importa); nelle Università. Negli Enti di qualsivoglia tipo e genere purché remunerativi in termini finanziari e di prestigio. E di potere.
Diventati pragmatici e realisti: amanti del quieto vivere, dello status quo intendo. Diventati pavidi. Ignavi: se vogliamo scomodare il Poeta fiorentino.
Diventati sostenitori del “Quieta non movere et mota quietare”. Con il pretesto che cambiare non si può, è difficile,visti i rapporti di forza, visto il contesto.
Diventati sostenitori del compromesso, anche al ribasso: se si vuole entrare nelle istituzioni. Se si vuole governare. Contare. Gestire.
Non capendo che si governerà e si gestirà, peraltro in modo subalterno, la miseria: la miseria del presente.
Sento ripetere anche da parte di molti giovani – invecchiati precocemente – che questo non è il tempo della testimonianza, degli ideali, delle utopie, dei sogni: bisogna essere realisti e pragmatici. Ecco l’ossessivo mantra. La permanente e ossessiva giaculatoria.
Bene: a questo gregge anestetizzato normalizzato e narcotizzato, con pervicacia oppongo – pur convinto e consapevole che si tratta di una vox clamans in deserto – una traiettoria esistenziale prima ancora che culturale e politica, opposta, radicalmente “altra” e antagonista.
Voglio continuare a coltivare sogni idealità utopie. Seguendo il compianto Antonello Satta, gran giornalista e valente intellettuale sardo di Gavoi, secondo cui “Chi nella vita non coltiva qualche utopia, è meglio che si dimetta”. Dalla vita ovviamente.
Voglio persino continuare a essere “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento, George Bernard Shaw, quando affermava che “l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli”.
Basta dunque con l’adeguarsi. Ma basta anche con il ripiegamento interiore, indotto dalla crisi e dalla sconfitta: che non può mai essere definitiva. E basta con il vittimismo intimista, con la lamentazione sterile e generica, con l’attesa passiva in cui ci si consuma a inghiottire il pianto, perché il passato è visto solo come gravame e il futuro come negatività spettrale.
Quello che occorre è una nuova reattività, vitale agonistica militante culturale prima ancora che politica.

I pragmatici E i realistiultima modifica: 2023-07-20T07:35:42+02:00da zicu1
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