Il II Congresso nazionale di ProgRes. Qualche nota di Francesco Casula.

Il 2°Congresso di ProgRes

 

1. Partecipazione.

Il Congresso ha visto una grande e variegata presenza – segnatamente di giovani e donne – come raramente succede nelle iniziative dei Partiti. A dimostrazione della capacità del Movimento indipendentista di aggregare, incuriosire, coinvolgere e interessare la Comunità sarda, travalicando i confini dell’organizzazione e dunque dei militanti e attivisti.

 

2. La relazione del Presidente Omar Onnis.

A – Del tutto condivisibile l’idea, il progetto di Partito che ha disegnato: orizzontale, liquido, leggero, aperto, antileaderistico. Con dirigenti a tempo molto limitato. A rotazione frequente. Per evitare ossificazioni dei ruoli, intercapedini e incrostazioni burocratiche. Con incarichi e responsabilità precise: ma di funzioni e di lavoro non di gerarchie.

B – Opportuni i richiami a scampoli di storia sarda, specie ai Regni Giudicali e al ventennio di fine Settecento con la rivoluzione antifeudale, popolare e nazionale. Senza ancoraggio storico si costruisce solo sulla sabbia. Richiami anche per liquidare un becero luogo comune dei Sardi pocos, locos y mal unidos. Attribuito a Carlo V, ma mai verificato in alcun documento o altra fonte storica.

Del resto l’imperatore poco doveva conoscere la Sardegna se non dai dispacci “interessati” dei vice re: solo due volte la visitò direttamente. Nel 1535 quando durante la spedizione contro Tunisi e i Barbareschi sbarcò a Cagliari trattenendosi alcune ore e nell’ottobre del 1541, nella seconda spedizione, questa volta contro Algeri, il più attivo nido dei Barbareschi. In questo caso la flotta imperiale sostò in Sardegna: ma non – come ebbe a sostenere Carlo V – per visitare Alghero, dove passò la notte del 7, bensì per esserne abbondantemente approvvigionato, a spese della popolazione della città catalana e dell’intero sassarese.

 Ma tant’è: tale luogo comune – a prescindere da Carlo V – è stato interiorizzato da molti sardi, con effetti devastanti, specie a livello psicologico e culturale  (vergogna di sé, complessi di inferiorità, poca autostima) ma con riverberi in plurime dimensioni: tra cui quella socio-economica.

I Sardi certo sono pocos,: e questo di per sé non è necessariamente un fattore negativo. Ma non locos: ovvero stolti, stolidi e men che meno imbecilli.

Certo le esuberanti creatività e ingegnosità popolari dei Sardi furono represse e strangolate dal genocidio e dal dominio romano. Ma la Sardegna, a dispetto degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico  Meloni. E non fu annientata. La resistenza continuò. I Sardi riuscirono a rigenerarsi, oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati: sos rennos sardos (i regni sardi). 

Certo con catalani, spagnoli e piemontesi furono di nuovo dominati e repressi: ma dopo secoli di rassegnazione, a fine Settecento furono di nuovo capaci ai alzare la schiena e di ribellarsi dando vita a quella rivoluzione antifeudale, popolare e nazionale che porrà la base della Sardegna moderna.

Certo, si è tentato in ogni modo di scardinare e annientare lo spirito comunitario, la solidarietà popolare, quella pluralità di reti sociali e di relazione che avevano caratterizzato da sempre le Comunità sarde con variegati sistemi e costumi solidaristici e di forte unità: basti pensare a s’ajudu torrau o a sa ponidura: costumanza che colpirà persino un viaggiatore e visitatore come La Marmora che [in Viaggio in Sardegna di Alberto Della Marmora, Gianni Trois editore, Cagliari 1955, Prima Parte, Libro primo, capitolo VII., pagine 207-209] scriverà:”. Fra le usanze dei campagnuoli della Sardegna, alcune sono de­gne di nota e sembrano risalire all’antichità più remota : citeremo le seguenti.

Ponidura o paradura.  Quando un pastore ha subito qualche perdita e vuol rifare il suo gregge, l’usanza gli dà facoltà di fare quel che si dice la ponidura o paradura. Egli compie nel suo villag­gio, e magari in quelli vicini, una vera questua. Ogni pastore gli dà almeno una bestia giovane, in modo che il danneggiato mette subito insieme un gregge d’un certo valore, senza contrarre alcun obbligo, all’infuori di quello di rendere lo stesso servizio a chi poi lo reclamasse da lui…”

Così le identità etnico-linguistiche, le specialità territoriali e ambientali, le peculiarità tradizionali, pur operanti in condizioni oggettive di marginalità economica sociale e geopolitica permangono. I Sardi infatti, nonostante le tormentate vicende storiche costellate di invasioni, dominazioni e spoliazioni, hanno avuto la capacità di metabolizzare gli influssi esterni producendo una cultura viva e articolata che ha poche similitudini nel resto del mediterraneo. Basti pensare al patrimonio tecnico-artistico, alla cultura materiale e artigianale, alla tradizione etnico-musicale connessa alla costruzione degli strumenti, alla complessa e stratificata realtà dei centri storici e delle sagre, agli studi sulla realtà etno-linguistica, alla straordinaria valenza mondiale del patrimonio archeologico e dei beni culturali, all’arte: da quella dei bronzetti a quella dei retabli medievali; dagli affreschi delle chiese ai murales, sparsi in circa duecento paesi; dalla pittura alla scultura moderna.

Ma soprattutto basti pensare alla Lingua, spia dell’Identità e substrato della civiltà sarda. Entrambe non totem immobili (sarebbero state così destinate a una sorte di elementi museali e residuali) ma anzi estremamente dinamiche.

La poesia, la letteratura, l’arte, la musica, pur conservando infatti le loro radici in una tradizione millenaria, non hanno mai cessato di evolversi, aprirsi e contaminarsi, a confronto con le culture altre. Soprattutto questo avviene nei tempi della modernità, a significare che la cultura sarda non è mummificata.

Anche il diritto consuetudinario – padre e figlio di quel monumento della civiltà giuridica che è la Carta de Logu – si è trasformato nel tempo, anche se la sua applicazione concreta (per esempio il cosiddetto “Codice barbaricino”) è da un lato costretta alla clandestinità e dall’altro a una restrizione alla società del “noi pastori”. Solo la crescita e l’affermarsi di studiosi, sardi non tanto per anagrafe quanto per autonomia dall’accademia autoreferente, ha fatto sì che gli elementi fondanti la cultura e la civiltà sarda passassero dall’enfasi identitaria alla fondatezza scientifica.

Alla straordinaria ricchezza culturale sono tuttavia spesso mancati, almeno fin’ora, i mezzi per una crescita e prosperità materiale adeguata. Oggi, dopo il sostanziale fallimento dell’ipotesi di industrializzazione petrolchimica, si punta molto sull’ambiente e sul turismo, settore quest’ultimo sicuramente molto promettente, purché si integri con gli altri settori produttivi, ad iniziare da quelli tradizionali come l’agricoltura, la pastorizia e l’artigianato. La struttura economica sarda infatti è sempre stata fortemente caratterizzata dalla pastorizia, che oggi però con i suoi quattro milioni di pecore, sottoposta com’è a processi di ridimensionamento dalle politiche dell’Unione europea, rischia una drammatica crisi.

 

C- Ecco, se un limite ho trovato nella relazione di Omar Onnis è stato quello di aver trascurato questi elementi cui ho brevemente accennato.

Ma soprattutto, almeno a me, non è parso sufficientemente chiaro il progetto del Movimento ProgRes per fuoriuscire dalla dipendenza e, dunque porre le basi per l’indipendenza.

Sia ben chiaro: nessuno pensa a un Partito che dall’alto, illuministicamente, traslochi e trasmetta ai Sardi una proposta compiuta e definita, confezionata da un manipolo di politici – e rivoluzionari – di professione come storicamente, ma è solo un esempio, è successo con i Partiti comunisti. Il programma, il progetto, il processo occorrerà costruirlo insieme ai Sardi e  alle Comunità: incontrando, incrociando e coinvolgendo quello che Lussu chiamava il popolo lavoratore sardo (pastori e contadini, artigiani e operai, insegnanti, impiegati) e insieme i nuovi dannati della terra (disoccupati – soprattutto giovani e donne – cassintegrati, precari) ovvero quel blocco sociale disponibile per una lotta per l’Indipendenza e di cui la Consulta rivoluzionaria, –pur con tutti i limiti elettoralistici –, in qualche modo ne è stata un paradigma.

Ma una bozza di proposta e di progetto occorre pur presentarla e proporla.

 

3. Una mia proposta per la discussione

Una proposta e un progetto per percorrere  una “via locale” alla prosperità e al benessere della Sardegna: partendo dalle nostre risorse economiche e materiali, ma soprattutto umane; dai giacimenti culturali e artistici;  dalle nostre vocazioni naturali; dai saperi tradizionali, per costruire uno “sviluppo” diffuso, sostenibile, dolce e armonico fra i vari settori e comparti, liquidando una buona volta le “monoculture”.

Inserendoci in quel vasto arcipelago di proposte e di progetti che a livello planetario da anni oramai vengono avanzate:

Penso a economisti come Rifkin o a scienziati e teorici dell’ecologia sociale come Vandana Shiva, indiana, che in “Sopravvivere allo sviluppo” denuncia le distorsioni irreparabili della globalizzazione capitalistica, scrivendo che: le necessità materiali dei poveri potranno essere soddisfatte soltanto quando l’economia naturale e le economie di sussistenza saranno robuste e resilienti. Per garantire che lo siano dobbiamo farla finita con l’ossessione per l’economia del mercato globale e per la ricchezza. La crescita finanziaria che distrugge la natura è la formula per aumentare la povertà e per degradare ancor più l’ambiente.

O penso all’italiano Enzo Tiezzi che in “Tempi storici e tempi biologici” ci ricorda i limiti oggettivi delle risorse naturali – soprattutto energetiche – e quindi dello sviluppo, l’era del “mondo finito” di cui parlava Paul Valery. O a Levi-Strauss e Joseph Rothscild che in “Il pensiero selvaggio” il primo e in “Etnopolitica” il secondo denunciano la distruzione e/o devastazione delle culture (e delle economie) deboli. O ancora al teorico marxista e terzomondista Samir Amin che il “La teoria dello sganciamento” prospetta la necessità di fuoruscire dal sistema occidentalista.

O all’americano Alvin Toffler che in “La terza ondata” sostiene la crisi dell’industrialismo e la necessità di una nuova civiltà, non più basata sulla concentrazione-centralizzazione-standardizzazione-omologazione.

 

4. L’Intervento del segretario nazionale Salvatore Acampora

Pur nella sua brevità e sinteticità è stato incisivo ed efficace. Anche perché è stato capace di cogliere – partendo dalla situazione specifica di una zona della Sardegna, l’Ogliastra – una pericolosa e inquietante tendenza della Sardegna oggi: lo spopolamento. Indotto da una molteplicità di fattori, ad iniziare da quelli colti e denunciati in modo netto da Acampora: la liquidazione di servizi essenziali pubblici (come Ospedali, Poste, Tribunali) o di presidi culturali indispensabili (come la scuola, Biblioteche ecc.). Lo stato centrale e centralistico, abdica alle sue funzioni di pubblica utilità, ritirandosi; ma nel contempo permane, invasivo e opprimente, con il suo apparato burocratico e fiscale.

La Sardegna – ha sostenuto Acampora – rischia di diventare una ciambella: al suo interno (o nelle zone più penalizzate e marginalizzate come l’Ogliastra) vuota e spopolata, e nelle coste intasate. Condivido. E mi fa piacere che il segretario di ProgRes abbia utilizzato la metafora della ciambella, da me stesso usata a proposito della crisi della pastorizia. Senza i pastori – ho avuto modo di scrivere qualche mese fa nella rivista sassarese Camineras – l’Isola si ridurrebbe a una ciambella: con uno smisurato centro abbandonato, spopolato, desertificato (e ancor più bruciato): senza più uno stelo d’erba. Con le comunità di paese, spogliate di tutto, in morienza. Di contro, con le coste sovrappopolate, inquinate e devastate vieppiù dal cemento e dal traffico. Con i sardi ridotti a lavapiatti e camerieri. Con i giovani senza avvenire e senza progetti. Senza più un orizzonte né un destino comune. Senza sapere dove andare né chi siamo. Girando in un tondo senza un centro: come pecore matte. Una Sardegna ancor più colonizzata e dipendente. Una Sardegna degli speculatori, dei predoni e degli avventurieri economici e finanziari di mezzo mondo, di ogni risma e zenia. Buona solo per ricchi e annoiati vacanzieri, da dilettare e divertire con qualche ballo sardo e bimborimbò da parte di qualche “riserva indiana”, peraltro in via di sparizione. Si ridurrebbe a un territorio anonimo: senza storia e senza radici, senza cultura, e senza lingua. Disincarnata. Ancor più globalizzata e omologata. Senza identità. Senza popolo. Senza più alcun codice genetico e dunque organismi geneticamente modificati: OGM. Ovvero con individui apolidi. Cloroformizzati e conformisti. Una Sardegna uniforme. In cui a prevalere sarebbe “l’odiosa, omogenea unicità mondiale”: come  l’aveva chiamata Lawrence in Mare e Sardegna.

 

 

La Questione della Lingua sarda

Sul blog –  peraltro eccellente – di Vito Biolchini sono state mosse severe critiche perché al 2° Congresso nazionale di ProgRes, a parte l’ottimo Bustianu Cumpostu, nessuno degli intervenuti ha utilizzato la Lingua sarda. La critica è giusta: come pensiamo infatti di essere credibili nella nostra battaglia per il Bilinguismo, se il sardo non lo usiamo, come lingua veicolare, ad iniziare da un consesso importante, anche simbolicamente, com’è un Congresso indipendentista?

Ciò premesso, le critiche mi sono sembrate comunque ingenerose perché a parte il mancato utilizzo del sardo in quell’occasione, ProgRes mi pare che soprattutto nell’ultimo anno abbia intrapreso una serie di iniziative interessanti e fruttuose per la valorizzazione e diffusione della Lingua sarda (dal Convegno di Oristano, Faghimus s’Iscola sarda a Fb sardo ecc.). Ne è possibile sottacere l’eccellente lavoro di un suo esponente, Massimeddu Cireddu, instancabile su questo versante: ricordo fra l’altro, i suoi ottimi articoli settimanali, sempre in Sardo su Sardegna quotidiano.

Piuttosto voglio sottolineare un dato: ProgRes – vedi documento programmatico consegnato ai partecipanti al Congresso –   continua a parlare di “Multilinguismo”. Bene: naturalmente sono d’accordo. Mi pongo però un problema – che ho già fatto presente proprio a Oristano in occasione del Convegno su ricordato – per “multilinguismo” molti intendono la presenza, specie a scuola, delle molteplici lingue ufficiali e di stato, europee e non: dall’inglese al francese; dallo spagnolo al tedesco; dall’arabo al cinese ecc. Ma non la Lingua sarda. Non è allora il caso allora – almeno a livello comunicativo – di parlare di Bilinguismo e non di multilinguismo? Così la nostra posizione è più chiara ed univoca.

Presentazione del romanzo MESSI D’ORO SULLE COLLINE di Vincenzo Mereu

Giovedì 17 gennaio prossimo (ore 17.30, Biblioteca di Flumini di Quartu ) presenterò il romanzo Messi d’oro sulle colline di Vincenzo Mereu di cui ho anche scritto la prefazione.

 

Vincenzo Mereu vive a Quartu S. Elena. Già insegnante elementare e Direttore Didattico, oltre a questo romanzo (edito da Compendium, 1999) ha scritto  varie fiabe, fra cui la più importante è Pupillu, Menduledda e su Dindu Glù-Glùu (Tradotta in lingua sarda da Francesco Casula e pubblicata dall’Alfa editrice, Quartu, 2003) Nelle sue opere l’essenza e l’anima della Sardegna risuonano orgogliosamente attraverso la dolcezza e la bellezza della natura. E’ un poeta, pittore e artista. Amante dell’arte e delle meraviglie del mondo, seguace della liricità, fedele ammiratore della musica e dei suoi profondi segreti.

 

 

Messi d’oro sulle colline: un bel romanzo di Vincenzo Mereu

 

                             di Francesco Casula

 

Il titolo, dal sapore vagamente arcadizzante, non tragga in inganno: “Messi d’oro sulle colline” di Vincenzo Mereu è un romanzo che nulla concede alla retorica del folclore e tanto meno alle pastorellerie, leggiadre e leziose o ai sentimenti mielosi.

   Esso indaga, descrive e rappresenta infatti, in modo robusto e avvincente, la Sardegna dei primi anni del ‘900, arcaica e immobile nella sua economia e nei rapporti sociali.

   Protagonista è infatti l’Isola, o meglio, un piccolo villaggio della Marmilla, aggrappato alle falde dei  monti, dalla bellezza selvaggia, dal sapore aspro e autentico, con gli abitanti incatenati a tradizioni antichissime e a potenti valori: segnatamente alla solidarietà e al senso della comunità.

   Un paese piccolo ma che “aveva tutti i problemi dell’umanità” – scrive l’autore – perché “ laddove vive un solo uomo sono presenti tutti i problemi dell’umanità”.

   La microstoria di un villaggio si erge così a storia universale, dilatandosi a rappresentazione generale della condizione umana.

   Nessuna sintesi può dare una pallida idea della quantità di episodi, figure, invenzioni fantastiche, descrizioni paesaggistiche e ambientali di cui il romanzo è  tramato. Così la prima impressione che deriva dalla lettura è determinata proprio dal continuato intreccio e dall’arcipelago di vicende e personaggi che si cercano, si fuggono, si perdono e si ritrovano in una inesauribile girandola di avventure e storie: ora tragiche e drammatiche o patetiche, ora festevoli e persino scherzose e comiche, a seconda del vario e mutevole manifestarsi dei casi della fortuna.

   La descrizione romanzesca di “Messi d’oro”, ancorata a un contesto storico preciso, si snoda infatti attraverso puntuali descrizioni delle tradizioni popolari e dell’ambiente sociale della Sardegna; testimonianze e riflessioni personali; digressioni ragionanti; excursus etno-antropologici; suggestioni oniriche; evocazioni liriche di personaggi e luoghi.

   Il romanzo prende avvio dalla descrizione della “siccità”, un male doloroso e antico della Sardegna, che “diffonde fra i contadini angoscia e tristezza” segnando, con la carestia e i patimenti, la povera gente, in balia alla prepotenza e alla tracotanza del signorotto del villaggio, Don Ferracciu. Che non si avvedrà “che ormai era destinato a entrare nel crepuscolo di un’era sulla quale stava per calare il sipario”. 

   I Sardi infatti, dopo secoli di torpore, di rassegnazione fatalistica e di acquiescenza, inizieranno a reagire alle angherie ed emetteranno i primi vagiti di insofferenza: un ragazzo del villaggio, Stefe, avrà l’ardire e il coraggio di ribellarsi ai brutali soprusi del prinzipale. Questo si vendicherà in modo odioso, ma sarà la vittoria di Pirro, l’ultimo colpo di coda di una classe moriente. Il popolano uscirà vittorioso dallo “scontro” storico con don Ferracciu che, una volta sconfitto, come  “una sorta di vulcano, lancerà lapilli infuocati che ricadranno sul suo stesso cratere…”

   Il romanzo è intriso di un profondo spirito religioso che si fa morale quotidiana, per cui la verità cristiana non naviga nei cieli, non è una verità metastorica e disincarnata, staccata dalla cultura e dai linguaggi della vita, ma si “sporca” accettando la baraonda, i balbettii, la confusione di chi vive drammaticamente il frastuono dell’esistenza. E la vera chiesa è quella “che vive in mezzo alla gente e palpita nel cuore degli uomini”: senza mura, senza addobbi, senza paramenti.

   L’altra dimensione forte che caratterizza il romanzo è quella dell’Identità, con l’esaltazione delle “radici” che “spuntano nei piedi dei Sardi e che si infiltrano nelle fenditure dei graniti, insieme alle radici dei mirti, dei corbezzoli, dei lentischi e degli olivastri…”

   “Messi d’oro”  è  dunque un romanzo  che offre un prezioso contributo etnico, etico e testimoniale per il recupero e la valorizzazione “del senso di appartenenza” ovvero “di quell’umore esistenziale del proprio essere sardo, come individui e come gruppo che, in ogni momento, nella felicità e nel dolore delle epoche vissute, ha reso i Sardi, costantemente resistenti, antagonisti e ribelli, non nel senso di voler fermare, con l’attaccamento spasmodico alla tradizione, il movimento della vita e della loro storia, ma di sprigionarlo il movimento, attivandolo dinamicamente, dalle catene imposte dal dominio esterno” ( Giovanni Lilliu).

   Il che non significa “usare la nostra differenza come ideologia o caricarla, a seconda della fasi, ora di significati autodepressivi ora di arroganze etnocentriche” (Placido Cherchi); ma accettarla riconoscerla e valorizzarla, l’Identità, come la condizione base del nostro modo di situarci nel mondo e di dialogare, senza alcuna forma di chiusura autocastrante, con gli orizzonti più diversi.

 

 

 

 

 

UN CORSO DI LINGUA E LETTERATURA SARDA a Quartu Sant’Elena

Edizione di martedì 08 gennaio 2013 – Cronaca di Quartu

Università della terza età

Corso di lingua sarda dagli albori a oggi

Alla scoperta delle radici del sardo. L’Università della terza età ha avviato un nuovo progetto di studio della lingua nostrana che ha l’obiettivo di valorizzare la produzione letteraria nel corso dei secoli. A tenerlo è Francesco Casula: le lezioni inizieranno domani e andranno avanti fino a maggio, ogni mercoledì pomeriggio della sede dell’istituzione culturale in viale Colombo. Il punto di partenza è un tuffo nel passato al periodo giudicale. «Si inizierà», sottolinea il professor Casula, «con i primi documenti in volgare nazionale sardo, cioè con la Carta di Torchitorio del 1070/80 e il Privilegio logudorese del 1080/85, fino ad arrivare ai nostri giorni».

L’obiettivo dell’operazione è quello di portare avanti una grande operazione di recupero del patrimonio letterario isolano. «Contrariamente a ciò che comunemente si dice e si pensa da parte degli stessi sardi», prosegue lo studioso, «la letteratura in sardo che l’Isola ha espresso nei secoli, oltreché variegata nei diversi generi, è ricca di opere e di autori». (g. mdn.)

Limba sarda comuna: dopo le divisioni, il confronto e l’unità?

 

LIMBA SARDA COMUNA (Lsc): dopo le divisioni il confronto?

di Francesco Casula

Dopo anni di divisioni e di polemiche, talvolta faziose, forse è la volta del confronto e della discussione, per arrivare finalmente a una condivisione e a un accordo in merito alla standardizzazione della Lingua sarda, che superi vecchie e ossificate contrapposizioni.

Un segnale potrebbe essere quello che Graziano Milia ha lanciato recentemente a Quartu (al Convegno su Lingua sarda e Identità) sostenendo di “non escludere anzi di auspicare un solo standard per la Lingua sarda”, senza demonizzare la LSC.

L’importanza del segnale è data dal fatto che Graziano Milia è stato da Sindaco di Quartu prima il principale oppositore della Limba sarda unificada e da Presidente della Provincia di Cagliari poi (insieme alla Giunta e all’intero Consiglio) il sostenitore di un Comitato che ha dato vita alla “Normalizzazione della varietà campidanese della Lingua sarda”, di fatto contrapposta alla LSC.

Normalizzazione contenuta in un volume (Alfa Editrice, Quartu, 2009,) con le “Arregulas po ortografia, fonètica, morfologia e fueddariu de sa Norma Campidanesa de sa Lingua Sarda”.

Per una discussione proficua sulla LSC, occorre, a mio parere, partire dai “meriti” che anche gli avversari le riconoscono. Ecco cosa scrivono:

“Per la prima volta nella storia della Regione Autonoma Sarda essa si dota di norme per la lingua scritta. Ciò vuol dire che:

– La Sardegna ha una lingua (che non è un dialetto dell’italiano): già questo è un fatto che persino a molti sardi suonerà come una grande novità, se pensiamo alla scarsa considerazione che il sardo ha in molti ambienti geografici e sociali.

Questa lingua:

– è ufficiale (poiché è deliberata dalla Giunta): quindi non è un mezzo di espressione per soli poeti, scrittori o estimatori, ma può esprimere anche gli atti della politica e ha un’importanza sociale e non solo letteraria;

– vuole rappresentare una “lingua bandiera”, uno strumento per far crescere in tutti i sardi il sentimento dell’identità: è una maniera forte per sottolineare il binomio fra lingua e identità, che non può essere rotto ma che oggi s’è fatto molto debole, perché il bombardamento culturale (“la lingua italiana è meglio del dialetto sardo”) è riuscito quasi del tutto a lasciarci solo un’identità mista, incerta e quasi a rompere il filo che ci lega alla storia della nostra terra e alla nostra gente;

– vuole seminare il terreno per una rappresentanza regionale nel Parlamento europeo come espressione di lingua minoritaria: questo ci darebbe il diritto di avere un eurodeputato sardo senza doverlo disputare con la Sicilia, perdendolo sempre per motivi demografici;

– vuole essere sperimentale, dunque potrà essere ampliata, corretta e arricchita con gli aggiustamenti più opportuni: pensiamo che questo sia positivo soprattutto per quelli che non saranno contenti e non si sentiranno rappresentati pienamente dalla variante scelta dalla commissione, giacché gli darà modo di intervenire con proposte di modifiche e miglioramenti;

  non vuole eliminare le varianti linguistiche parlate e scritte nel territorio sardo, anzi si pone al loro fianco nel compito che la regione si assume di difenderle, valorizzarle e diffonderle: questo punto è buono in generale, come dichiarazione di impegno, nonostante non si dica in che modo la regione lo metterà in pratica nella realtà;

A queste considerazioni di valore senza dubbio positivo, che sono dichiarate nella stessa delibera, ci pare di poterne aggiungere altre due che ci sembrano di non poco conto:

– potrebbe riavvicinare all’uso del sardo l’Amministrazione Pubblica: ciò sarebbe positivo nel senso che gli impiegati e i funzionari pubblici che spesso usano l’oscurità della lingua burocratica per ritagliarsi la loro quota di potere (grande o piccola che sia a seconda dell’importanza che hanno nella gerarchia), riprendendo a utilizzare il sardo potrebbero riavvicinarsi alla popolazione, soprattutto alle fasce deboli dei vecchi e dei poco acculturati, aiutandoli a sentirsi più considerati e tutelati;

– potrebbe avvicinare al sardo le generazioni di giovani che non hanno mai conosciuto la lingua, sia perché sono figli di continentali che non parlano il sardo, sia perché sono figli di sardi che hanno preferito non insegnargliela per qualsivoglia ragione”.

 [Documento degli studenti sulla lingua standard-Limba sarda comuna, deliberata dalla Giunta regionale, Università degli studi di Cagliari, Corso di laurea in Scienze della formazione primaria-Master Universitario di II livello in “Approcci interdisciplinari alla didattica del sardo”, Cagliari 12-Giugno-2006, pagine 22-23].

Certo gli oppositori alla LSC individuano in essa anche molti limiti, due in particolare: 1. sarebbe una lingua di plastica, artificiosa, costruita astrattamente a tavolino. E dunque senza radici e senza scrittori e poeti né passati né presenti né futuri. Ma ciò è del tutto vero? Possiamo dimenticare che uno dei più validi romanzi scritti in sardo negli ultimi anni, Sa losa de Osana (La stele di Osana) del compianto Gianfranco Pintore, scomparso recentemente, è stato scritto in Limba sarda comuna?.

 2. a prevalere nella LSC sarebbe il Logudorese. Bene: ma cosa impedisce che nella LSC sia incorporata tutta la ricchezza lessicale delle varietà e delle parlate della Lingua sarda nel suo complesso? Non lo sostengono forse gli stessi sostenitori della LSC che essa “vuole essere sperimentale, dunque potrà essere ampliata, corretta e arricchita con gli aggiustamenti più opportuni”?

E dunque che venga arricchita, ampliata e corretta. Con il contributo di tutti. E penso in modo particolare a tanti giovani, valenti studiosi e amanti della Lingua sarda, che da anni si battono, coerentemente, con scritti e azioni, nelle scuole e nelle comunità sarde, per il Bilinguismo perfetto. Penso ai Marco Sitzia e Ivo Murgia, Amos Cardia e Pietro Perra. Ma anche a studiosi e scrittori come Franca Marcialis, Stefano Cherchi e Pietro Zedda. O a poeti come Franco Carlini, Efisio Cadoni  e Michele Podda.

Quello che comunque occorre è porre fine alle disamistadi, che durano ormai da troppi anni. I nemici di sempre della Lingua sarda come corvi, continuano a svolazzare, pronti a inserirsi come sciacalli, nelle nostre divisioni mortifere, per divorarci tutti: pro LSC e contro LSC. E poco importa che siano politicanti legati al centralismo monolinguistico italiota o figuri ammantati di livree accademiche che, con spocchia e saccenteria, pontificano sul SARDO, senza mai parlarlo né scriverlo.

 

 

 

Il Bando per il XXIV Premio letterario “Mercede Mundula”

BANDO

XXIV° Premio Letterario“Mercede Mundula”

Il “Premio Letterario Mercede Mundula” per la sua XXIVa Edizione è dedicato alla Poesia e alla Narrativa (novellistica, saggistica, giornalismo).

REGOLAMENTO

SEZIONE A: riservata alle socie F.I.D.A.P.A. di tutta Italia.

Per la Poesia: le liriche, non più di 3, in lingua italiana o in lingua sarda con traduzione a lato (tassa di lettura € 30,00 per ogni gruppo di tre liriche).

Per la Narrativa: uno o più elaborati in lingua italiana o in lingua sarda con traduzione a lato . Gli elaborati non dovranno superare le 10 né essere inferiori a 5 pagine (max 30 righe per pagina) (tassa di lettura € 30,00 per ogni lavoro).

SEZIONE B: riservata alle scrittrici di tutta Italia.

Per la Poesia: le liriche, non più di 3, in lingua italiana o in lingua sarda con traduzione a lato (tassa di lettura € 30,00 per ogni gruppo di tre liriche).

Per la Narrativa: uno o più elaborati in lingua italiana o in lingua sarda con traduzione a lato . Gli elaborati non dovranno superare le 10 né essere inferiori a 5 pagine (max 30 righe per pagina) (tassa di lettura € 30,00 per ogni lavoro).

SEZIONE C: riservata alle scrittrici di ogni nazionalità

Per la Poesia: le liriche, non più di 3, in lingua originale con traduzione a lato in lingua italiana (tassa di lettura € 30,00 per ogni gruppo di tre liriche).

Per la Narrativa: uno o più elaborati in lingua originale con traduzione in lingua italiana Gli elaborati non dovranno superare le 10 né essere inferiori a 5 pagine (max 30 righe per pagina) (tassa di lettura € 30,00 per ogni lavoro).

Gli elaborati inediti, dattiloscritti, in 6 copie dovranno pervenire entro e non oltre il 28 Febbraio 2012 al seguente indirizzo:

SILVIA TROIS

SEGRETARIA DEL PREMIO

VIA GIOVANNI SPANO, 58

09124 CAGLIARI

Ø I lavori non dovranno essere firmati, ma solo contrassegnati, in ogni pagina, con un motto che dovrà essere riportato all’esterno di una busta sigillata, unitamente alla dicitura: Sezione A , Sezione B o Sezione C

Ø La busta dovrà contenere quanto segue:

 

Generalità, recapito (telefonico, e-mail), motto prescelto e, per la sezione del Premio A, Sezione FIDAPA di

appartenenza.

Ø La tassa di lettura possibilmente in assegno circolare non trasferibile intestato a F.I.D.A.P.A. Sezione di Cagliari, dovrà essere incluso nel plico dei lavori, non nella busta con le generalità.

Ø I lavori che perverranno oltre i termini indicati non saranno tenuti in considerazione. In ogni caso farà fede la data del timbro postale.

Ø La partecipazione al premio costituisce espressa autorizzazione alla pubblicazione, senza fini di lucro, delle opere inviate. La proprietà delle opere resta comunque dei rispettivi autori. I lavori inviati non saranno restituiti.

Ø Le buste con i motti vincenti e le generalità verranno aperte alla presenza della giuria e della segretaria che stilerà il relativo verbale.

Ø Per ogni sezione A e B verranno assegnati 4 primi premi, 4 secondi premi e 4 terzi premi. Per la sezione C verranno assegnati 2 primi premi, 2 secondi premi, 2 terzi premi

Ø I vincitori verranno tempestivamente avvertiti ed invitati alla manifestazione per la consegna dei premi prevista per il 30 Aprile 2012

Ø I premi saranno consegnati il giorno della premiazione ai vincitori o ai loro delegati.

Ø In caso di assenza la Commissione invierà i premi alle vincitrici.

Ø I nomi dei componenti della Giuria scelti tra i più rappresentativi della cultura isolana, verranno resi noti solo al momento della premiazione.

 

PER INFORMAZIONI: (Segretaria del Premio: Silvia Trois 338 4502638 – 070.2044338 – fidapacagliari@libero.it)

LA PRESIDENTE DI SEZIONE

PAOLA MELIS