-Il Natale per Cambosu
“[…]Fra i tanti temi cari a Salvatore Cambosu quello del Natale è forse tra i più frequentati. Cambosu è stato uno scrittore, ma anche un poeta. Un poeta in prosa fra quei pochi che hanno permeato la narrazione di aneliti di trascendenza, di soffi di tenerezza, di “sorrisi di luna”. Il Natale di Cambosu è tutto concentrato nella rimembranza, nel ricordo della sua infanzia, della sua casa e della chiesa di Orotelli, suo paese natale, tanto amato come lo sono per chiunque quei paesi che ti lasciano dentro le radici della memoria. Il poeta-narratore si percepisce in ogni sua riga, ma Cambosu lo era anche quando non scriveva, in quel suo essere timido, povero, amaro e inquieto, visionario dei momenti topici della vita e dell’anno. Appunto, il Natale.
In “Miele amaro”, la sua opera più letta, dedica un intero capitolo alle poesie natalizie liete e tristi, col suo vezzo della ricerca sulle tradizioni popolari che fanno di quel libro un’antologia unica dell’anima sarda. Innamorato com’era della vita semplice del paese, del suo paese, scrive: «Certo, ci vuole proprio un villaggio perché un bambino come Gesù possa nascere ogni anno per la prima volta. In città non c’è una stalla vera con l’asino vero e il bue; non si ode belato, e neppure il grido atroce del porco sacrificato, scannato per la ricorrenza. In città è persino tempo perso andar cercando una cucina nel cui cuore nero sbocci il fiore rosso della fiamma del ceppo. E infine, con tante luci che vi oscurano le stelle, è troppo pretendere attecchisca la speranza che, alla punta di mezzanotte, i cieli si spalancheranno e dallo squarcio s’affaccerà una grotta azzurra…».
Salvatore Cambosu ha vissuto sempre il Natale con un misto di dolcezza e di tristezza, riflettendo che la nascita del Bambinello prelude alla sua morte, così come -certamente pensava- ogni umano nascere. Questo risvolto natalizio è avvertibile nel racconto “Il Natale in Sardegna”. Seguite: «Nei miei ricordi non c’è posto per un Natale senza neve. Il Bambino nasceva ogni anno, in quella chiesa pisana, intiepidita dal calore della folla, tra una sparatoria, un abbaiare e uno scampanio frenetico. Nevicava. Le donne, inginocchiate sul pavimento nudo, cantavano …. Tutto ormai era a posto. La stella d’Oriente, che aveva viaggiato per gioco di fili dal portone al tabernacolo, dove c’era il presepe nascosto da una tendina, adesso era a perpendicolo sulla testa del celebrante. La tendina rimossa, il Bambino sgambettava nudo, e Maria era china sulla culla di paglia.
La felicità poco durava. Di punto in bianco le donne intonavano, in nome suo, un’altra ninna nanna: il cuore materno, a tanto breve distanza dal primo vagito del Bambino, già presagiva tra i ceri accesi e il profumo degli incensi, l’ombra della Croce sul nudo Calvario»[…] “
[Gianni Pititu, Nei paesi della Barbagia senza neve non c’è Natale, tra gioia e tristi presagi, “L’Unione sarda” 18 Dicembre 2008, pag.37]. – tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna, volume I, di Francesco Casula, Editore Grafica del Parteolla, Dolianova, 2011, pagine 268-269-