VESPRO DI NATALE
Incappucciati, foschi, a passo lento,
tre banditi ascendevano la strada
deserta e grigia, tra la selva rada
dei sughereti, sotto il ciel d’argento.
Non rumore di mandre o voci,
il vento agitava per l’algida contrada.
Vasto silenzio. In fondo, monte Spada
ridea bianco nel vespro sonnolento.
O vespro di Natale! Dentro il core
ai banditi piangea la nostalgia
di te, pur senza udirne le campane:
e mesti eran, pensando al buon odore
del porchetto e del vino, e all’allegria
del ceppo, nelle lor case lontane.
In questo sonetto, concentrandola in pochi versi, il poeta riesce a cogliere intensamente e a rappresentare una nota paesistica, interiorizzandola però, ovvero traducendola in tema lirico, scevro da ogni indugio illustrativo, ma soprattutto da preoccupazioni edificanti, civili e pedagogiche, ispirate a un socialismo umanitario, che pure abbondano in altre liriche.
La rappresentazione, sospesa fra la realtà e la fantasia, dei banditi incappucciati e tristi che passano per vie desolate, foschi su sfondi di neve e che incedono con tanta cupa andatura che solo questo cadenzato endecasillabo sa mimare, ricorda la misura espressiva dei piccoli quadretti del Pascoli delle Mirycae.
La forma conclusa del sonetto inoltre, dove per di più l’endecasillabo si smorza nei frequenti enjambements, rende il silenzio carico di tristezza, di dolcezza e di vitalità insieme, di una inestinguibile nostalgia dell’intimità familiare, di un rifugio sereno e festoso, che invade l’animo dei banditi, fragili creature umane anch’essi. In altre liriche mitizzati come belli, feroci e prodi.
Il linguaggio è alto, illustre, gli aggettivi ricercati, aulici (foschi, rada, algida) tanto da rischiare di risultare stereotipati e poco creativi.
Tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna, di Francesco Casula, volume I, Grafica del Parteolla Editore, Dolianova, 2011, Euro 20.
Buon Natale all Sardegna intera dall’Arcanave