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IL DOMINIO ROMANOdi Francesco CasulaPremessa generale.Con il dominio romano fu ancora peggio che con i Cartaginesi. Fu un etnocidio spaventoso.La nostra comunità etnica fu inghiottita dal baratro. Almeno metà della popolazione fuannientata, ammazzata e ridotta in schiavitù. Negli anni 177 e 176 a.c – scrive lo storicoPiero Meloni – un esercito di due legioni venne inviato in Sardegna al comando delconsole Tiberio Sempronio Gracco: un contingente così numeroso indica chiaramentel’impegno militare che le operazioni comportavano. Alla fine dei due anni di guerra – nefurono uccisi 12 mila nel 177 e 15 mila nel 176 – nel tempio della Dea Mater Matuta aRoma fu posta dai vincitori questa lapide celebrativa, riportata da Livio: Sotto il comando egli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco la legione e l’esercito del popolo romanosottomisero la Sardegna. In questa Provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici.Condotte le cose nel modo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate lerendite, egli riportò indietro l’esercito sano e salvo e ricco di bottino, per la seconda voltaentrò a Roma trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola aGiove.Gli schiavi condotti a Roma furono così numerosi che “ turbarono“ il mercato degli stessinell’intero mediterraneo, facendo crollare il prezzo, tanto da far dire allo stesso Livio Sardivenales: Sardi da vendere, a basso prezzo.Altre decine e decine di migliaia di Sardi furono uccisi dagli eserciti romani in altre guerre,tutte documentate da Tito Livio, che parla di ben otto trionfi celebrati a Roma dai consoliromani e dunque di altrettante vittorie per i romani e eccidi per i Sardi.Chi scampò al massacro fuggì e si rinchiuse nelle montagne, diventando dunque “barbara” ebarbaricina, perché rifiutava la civiltà romana: ovvero di arrendersi e sottomettersi. Quattro-cinque mila nuraghi furono distrutti, le loro pietre disperse o usate per fortilizi, strade,cloache o teatri; pare persino che abbiano fuso i bronzetti, le preziose statuine, permodellare pugnali e corazze, per chiodare giunti metallici nelle volte dei templi, percorazzare i rostri delle navi da guerra.La lingua nuragica, la primigenia lingua sarda del ceppo basco-caucasico, fusostanzialmente cancellata: di essa a noi oggi sono pervenuti qualche migliaio di toponimi:nomi di fiumi e di monti, di paesi, di animali e di piante.Le esuberanti creatività e ingegnosità popolari furono represse e strangolate. La gestionecomunitaria delle risorse, terre, foreste e acque, fu disfatta e sostituita dal latifondo, dallepiantagioni di grano lavorate da schiere di schiavi incatenati, dalle acque privatizzate, daiboschi inceneriti. La Sardegna fu divisa in Romanìa e in Barbarìa. Reclusa entro la cintaconfinaria dell’impero romano e isolata dal mondo. E’ da qui che nascono l’isolamento e ladivisione dei sardi, non dall’insularità o da una presunta asocialità.A questo flagello i Sardi opposero seicento anni di guerriglie e insurrezioni, rivolte ebardane. La lotta fu epica, anche perché l’intento del nuovo dominatore era quello dioperare una trasformazione radicale di struttura “civile e morale”, cosa che non avevanofatto i Cartaginesi. La reazione degli indigeni fu fatta di battaglie aperte e di insidienascoste, con mezzi chiari e nella clandestinità. La lunga guerra di libertà dei Sardi – èsempre Lilliu a scriverlo – ebbe fasi di intensa drammaticità ed episodi di grande valore,sebbene sfortunata: le campagne in Gallura e nella Barbagia nel 231, la grandeinsurrezione nel 215, guidata da Amsicora, la strage di 12.000 iliensi e balari nel 177 e dialtri 15.000 nel 176, le ultime resistenze organizzate nel 111 a.c., sono testimonianza di uneroismo sardo senza retorica (sottolineato al contrario dalla retorica dei roghi votivi, delletabulae pictae, dei trionfi dei vincitori).
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istituito il testatico (tributum capitis) un’imposta personale cui erano soggetti tutti iresidenti.Vigevano poi un’altra serie diimposte e tasse : sulle successioni, sul prezzo deglioggettivenduti (il 5%), sul prezzo degli schiavi venduti (il 2%), sul celibato. Una serie di tributi:per l’estrazione dei minerali, per i marmi e i graniti usati per le costruzioni, e di daziapplicati nei porti per le merci di importazione e esportazione. Per non parlare delle multe edelle confische.Manon èfinita. “Lapopolazione –scrive GiuseppiDei Nur– eraobbligataa concederel’uso pari a un terzo della propria abitazione ai soldati di passaggio, a fornire loro unadotazione di legbna, fieno perv il cavallo e in caso di emergenza, , per esempio conflittiarmati, era prevista la requisizione delle scorte di frumento, delle pelli, del denaro e persino,se posseduti, degli schiavi”**Giuseppi De Nur,Buongiorno Sardegna:da dove veniamo, Ed. La Bibliotecadell’Identità, 2013, pagina 78.L’Economia durante la dominazione romana1.Prevale la monocultura cerealicola: si produce tanto grano, (per 250.000 persone): serveanche (o soprattutto) per gli eserciti e la plebe romana. Con il grano sardo infatti siriempiranno tutti i granai dell’Urbe e per contenerlo se ne costruiranno altri nuovi: specienel Campidano e nel meridione dell’Isola.“La situazione dové comunque col tempo modificarsi, – scrive Attilio Mastino – soprattuttograzie all’attività dei colonizzatori romano-italici e in conseguenza dell’ampliamento dellaconquista: fu allora promossa su vasta scala la piantagione di alberi da frutto; si diffusel’olivicoltura, la viticoltura, la produzione di agrumi; lo scrittore Palladio attesta forse lacoltivazione di cedri nell’Isola e in particolare nel Campidano. Il protezionismo italicolimitava però enormemente la produzione di olio e di vino. C’erano poi altri prodotti menopregiati (tra i quali il miele amaro, considerato di cattiva qualità).2. E’ presente l’allevamento, tradizionalmente nomade diffuso in tutta l’Isola maspecialmente nel centro Sardegna: con suini, ovini, bovini. E con gli ovini si produce lana,latticini, formaggi, pelli: per sfamare e vestire i soldati romani!Si aggiunga la pesca, con l’esportazione di pesce salato e la produzione di garum, salsaottenuta dalla fermentazione in salamoia di sardine, acciughe o delle interiora di pesci piùgrandi, molto richiesta dalla cucina dell’antica Roma..3. Il commercio: la Sardegna è integrata nel sistema commerciale ed economicodell’impero: con il grano, metalli, legname, granito. Iol commercio è favorito dagli ottimi enumerosi porti: Olbia-Tibula (Santa Teresa-Gallura), Turris Libisonis (Porto Torres),Cornus, Tharros, Sulkis (Sant’Antico), Caralis. A Ostia ci sono dei mosaici con lamenzione di “Naviculari turritani e Calaritani: mercanti marittimi”.4. Le miniere e le saline: E’ documentato lo sfruttamento del sottosuolo e l’estrazionemineraria soprattutto nel Sulcis (tanto da far scendere il prezzo in tutto l’impero).Dalleminiere si estraeva (e si esportava) l’oro (tanto che in età imperiale si sarebbe verificata unavera e propria corsa all’oro da parte degli aurileguli); l’argento (Argentiera nella NurraSarrabus e zona di Domusnovas): ne parla anche il geografo e scrittore romano Gaio GiulioSolino,( 210-258 d. C); il bronzo, il piombo, il ferro, il rame (Funtana Raminosa a Gadoni),l’acciaio ed anche l’allume (un minerale, un sale naturale misto di alluminio e potassio,utilizzabile come deodorante naturale che blocca i batteri del cattivo odore. Ottimo ancheper le cicatrici) e le corniole (pietra preziosa della famiglia dei quarzi cripto cristallini).Giàcon i Cartaginesi era iniziata l’estrazione del sale e fin dall’inizio del II secolo a.C. èattestato a Carales l’impianto di saline, gestite da società private, che impiegavanopersonale di condizione servile. Nelle miniere lavoravano soprattutto gli schiavi, icondannati ad metalla e anche tanti cristiani. Fra gli altri due Papi, Callisto I, (nel 186-189 circa.)il 16° Papa della Chiesa cattolica e Papa Ponziano, che in Sardegna morì nel 235.
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5. Cave e granito. Attività artigianali e tessili.Intensa fu anche l’attività edilizia, fondata sullo sfruttamento delle cave, spesso per larealizzazione di importanti opere pubbliche. Per alcuni materiali (il granito) è accertatal’esportazione fuori dall’Isola, a Roma e a Cartagine. Nell’Isola si sviluppò poi un’attivitàartigianale molto limitata e comunque non competitiva, forse non sufficientemente motivatada un punto di vista economico e comunque debole e priva di una tradizione qualitativariconosciuta e apprezzata sul mercato. È espressamente menzionata l’attività tessile; mal’abbigliamento più tipico della Sardegna era la caratteristica mastruca, la veste fatta di pellidi capra e di montone.6. Fauna e floraLe fonti letterarie – precisa Attilio Mastino – ci forniscono molti dettagli sulla vegetazione(i pini, i cedri, le querce) e sulla fauna (per esempio i musmones-mufloni, i cavalli, gliuccelli favolosi, gli insetti, i tonni che si nutrono di “ghiande marine”, i cetacei): essecontribuiscono a deinire l’ambiente naturale della Sardegna antica, con le sue bellezzeselvagge e i suoi problemi, tra cui in primo piano il clima malsano che provocava lamalaria. – ricordiamo portata in Sardegna dai soldati Cartaginesi di Malco nel 540 a. C.Le città, Strade, Ponti, Edifici, Terme, AcquedottiI Romani da una parte sviluppano le città fenicio-puniche come Caralis, Nora, Sulki,Cornusecc., dall’altra ne creano di nuove: Quartu, Sestu, Settimo, Decimo (che indicano le distanzein miglia da Cagliari). E con queste Sanluri (su lori=grano), Porto Torres (Turris libisonis),Oschiri, Usellus (che ebbe un grande splendore nel 2° secolo), Meana Sardo (mediana, ametàà percorso fra Cagliari e Olbia), attraversando prima Bhiora (Serri), Valentia(Nuragus), Augustis (Austis), Sorabile (presso Fonni), Caput Tyrsi (presso Orune). Eancora: Mamoiada (mansus o statio manubiata – fermata o stazione sorvegliata),Fordongianus (Forum Traiani), Bonorva (Forte romano), Orosei (Fanum Carisi. stazioneromana)Furono numerose le Strade costruite dai Romani, mentre infatti con i Cartaginesi le stradecollegavano solo le città costiere, i Romani costruirono soprattutto quattro grandi arteriestradali: due lungo le coste: litoranea orientale e occidentale e due interne la Cagliari –Santa Teresa (allora Longo Sardo o Longone) e la Cagliari – Olbia.Insieme alle strade numerosi Ponti (vedi Pimpirias), Monumenti (a Cagliari l’Anfiteatro,laVilla di Tigellio, La grotta della vipera), Acquedotti (a Olbia), Terme (a Fordongianus) eSistemi di alimentazione idrica (a Tharros).Il Cristianesimo nella Sardegna romanaI Romani avevano poco interesse per il problema religioso: gli dei tradizionali di estrazionee provenienza greca (Giove, Giunone) venivano venerati per consuetudine. Ad essi siaggiungevano divinità di origine locale (Giano, Dionisio). In sardegna elevano a questorango il vecchio Babai chiamandolo Sardus Pater.I primi cristiani arrivarono in Sardegna, probabilmente alla fine del 1° secolo, attraverso gliesiliati. Il Cristianesimo fa proseliti soprattutto nei ceti più poveri, fra gli schiavi e gliemarginati. Alla fine del 2° secolo fu deportato in Sardegna anche colui che nel 217diventerà papa, Callisto. Più tardi gli successe nel 230 Ponziano, condannato ai lavoriforzati a vita.I Sardi cominciarono a riunirsi per professare la nuova religione, usando vecchie tombepuniche e antichi santuari pagani.Nel 284 d.C. con Diocleziano aumenta la persecuzione con arresti e confisca dei beni deicristiani. In questo periodo alcuni personaggi sono martirizzati: ricordiamo San Gavino, diTurris Libissonis (Porto Torres), San Lussorio, di Forum Traiani (Fordongianus), SanSimplicio di Olbia, San Saturno di Cagliari.
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Fra questi martiri anche un ufficiale dell’esercito romano:Efisio, imprigionato e poidecapitato a Nora.Nel 313, con l’Editto di Milano, Costantino concede la libertà di culto. Intanto la Chiesacresce il suo potere e la sua influenza politica, grazie anche alla cosiddetta Donazione diCostantino, del 337, con la quale l’imperatore avrebbe concesso al papa Silvestro la città diRoma e tutte le province occidentali, compresa la Sardegna. Per oltre mille anni questodocumento costituirà un’arma potente in mano alla Chiesa, ponendola nelle condizioni dimodificare assetti nazionali e territoriali concedendo regni a questo o quel potente di turno:nel 1297 Bonifacio VIII creerà il Regnum Sardiniae et Corsicae.Ci avrebbe pensato Lorenzo Valla, umanista brillante e colto, a demistificare e sbugiardaretale falso, con le armi finissime e scientifiche della filologia, della paleografia edell’archeologia, con un celebre opuscolo De falso credita et ementita Constantinidonatione” del 1440.Come vedono gli scrittori romani la Sardegna e i Sardi1.OrazioI giudizi e le valutazioni degli scrittori classici latini nei confronti della Sardegna e dei Sardinon sono benevoli: sia quelli di Orazio che di Livio. Quelli di Cicerone sono anzi infamantie insultanti. Orazio (65-8 a.c.), il poeta latino famoso soprattutto per le Satire, parlando diTigellio musico e cantore sardo, amico di Cesare e di Ottaviano nella Satira 1.3 scrive chetutti i cantanti hanno questo difetto: che se sono pregati non cantano ma quando comincianospontaneamente non la smettono più. E questo è il difetto che aveva il sardo Tigellio chenon riusciva a far cantare neppure Cesare. In un altra satira 1.2 dice che per la morte diTigellio, suonatrici di flauto orientali (ambibaiarum collegia), ciarlatani che vendonorimedi, mendicanti (mendici), ballerine e buffoni, donne di facili costumi, interpreti di farseoscene (mimae), guitti e buffoni (balatrones), tutta questa gente è mesta e addolorata per lamorte del cantante Tigellio; e ciò è naturale poiché egli fu generoso. A significare che ilmusico sardo era esagerato e stravagante.2.LivioLivio (59 a.c.-17 d. c.) autore della monumentale Storia di Roma Ab urbe condita libriparlando dei sardi sostiene che erano facile vinci (avvezzi ad essere battuti facilmente). Ungiudizio senza alcun fondamento storico e anzi contraddetto dallo stesso Livio, in un altropasso della sua storia, in cui parla di gente ne nunc quidem omni parte pacata (popolazionenon ancora del tutto pacificata). E siamo alla fine del 1 secolo a. C.! Dopo l arrivo infattidelle legioni romane in Sardegna nel 237 a.C. la resistenza alla dominazione romana saràlunghissima e dura. E lo stesso Livio insieme ad altri storici a scandire decine e decine diguerre contro la popolazione sarda da parte dei consoli romani: fin dal 236 un anno dopo laconquista da parte romana del centro sardo-punico della Sardegna, i Romani condusserooperazioni contro i Sardi che rifiutavano di sottomettersi. Per continuare nel 235, quando iSardi si ribellano e vengono repressi nel sangue da Manlio Torquato, lo stesso console chesarà scelto per combattere Amsicora e che celebrerà il trionfo sui Sardi, il 10 Marzo del 234,come attesteranno i Fasti trionfali capitolini. Nel 233 ulteriori rivolte saranno represse dalConsole Carvilio Massimo, che celebrerà il trionfo il Primo Aprile del 233. Nel 232 sarà ilconsole Manio Pomponio a sconfiggere i Sardi e a meritarsi il trionfo celebrandolo il 15Marzo. Nel 231 vengono addirittura inviati due eserciti consolari, data la grave situazione dipericolo, uno contro i Corsi, comandato da Papirio Masone e uno, guidato da MarcoPomponio Mathone, contro i Sardi. I consoli non otterranno il trionfo, a conferma che irisultati per i Romani furono fallimentari. E a poco varrà a Papirio Masone celebrare di suainiziativa il trionfo negatogli dal senato, sul monte Albano anzichè sul Campidoglio e con
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una corona di mirto anzichè di alloro. In questa circostanza il console Matone latestimonianza è sempre dello storico Zonara chiederà segugi addestrati nella caccia e adattinella ricerca dell uomo per scovare i sardi barbaricini che, nascosti in zone scoscese edifficilmente accessibili, infliggevano dure perdite ai Romani. Nel 226 e 225 si verificheràuna recrudescenza dei moti, ma ormai come sottolinea lo storico sardo PietroMeloni (in LaSardegna romana,Chiarelli editore) Roma è intenzionata fortemente al dominio delMediterraneo e dunque al possesso della Sardegna che continua ad essere di decisivaimportanza e l Isola unita con la Corsica come la Sicilia dopo il 227 ha avuto la formagiuridica di Provincia con l invio di due pretori per governarla. Ci saranno infatti rivolteancora nel 181 che nel 178 a.c: gli Iliesi con l aiuto dei Balari avevano attaccato laProvincia, la zona controllata da Roma e i Romani non potevano opporre resistenza perchéle truppe erano colpite da una grave epidemia, forse la malaria. Nel 177 e 176 nuove epotenti sommosse costringeranno il Senato romano ad arruolare sotto il comando delconsole Tiberio Sempronio Gracco lo stesso console della conquista romana del due legionidi fanti ciascuna, più di 300 cavalieri, 10 quinquiremi cui si associeranno altri fanti e 600cavalieri fra alleati e latini.Commenta (in Barbaricini e la Barbagia nella storia della Sardegna)) lo storico sardoSalvatore Merche: La grandezza di questa spedizione militare e lo sgomento prodotto nellurbe dal solo accenno a una sollevazione dei popoli della montagna, dimostra quanto questifossero terribili e temuti, anche dalla potenza romana, quando si sollevavano in armi.Evidentemente poi, perdurava in Roma la terribile impressione e i ricordi delle guerreprecedenti con i Pelliti di Amsicora e di Iosto, nelle quali i Romani avevano dovutoconstatare d aver combattuto con un popolo d eroi, disposti a farsi ammazzare ma non acedere. Altro che Sardi facile vinci! Alla fine dei due anni di guerra ne furono uccisi 12 milanel 177 e 15 mila nel 176 nel tempio della Dea Mater Matuta a Roma fu posta dai vincitoriquesta lapide celebrativa, riportata da Livio: Sotto il comando e gli auspici del consoleTiberio Sempronio Gracco la legione e l esercito del popolo romano sottomisero laSardegna. In questa Provincia furono uccisi o catturati più di nemici. Condotte le cose nelmodo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite, egli riportòindietro l esercito sano e salvo e ricco di bottino, per la seconda volta entrò a Romatrionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a Giove. Gli schiavicondotti a Roma furono così numerosi che turbarono il mercato degli stessi nell interomediterraneo, facendo crollare il prezzo tanto da far dire a Livio Sardi venales : da venderea basso prezzo. Ma le rivolte non sono finite neppure dopo il genocidio del 176 da parte diSempronio Gracco. Altre ne scoppiano nel 163 e 162.Non possediamo informazioni perché andate perse le Deche di Tito Livio successive al 167sappiamo però da altre fonti che le rivolte continueranno: sempre causate dalla fiscalitàesosa dei pretori romani e sempre represse brutalmente nel sangue. Così ci saranno ulterioriguerre nel 126 e 122: tanto che l 8 Dicembre di quest anno viene celebrato a Roma il trionfoex Sardinia di Lucio Aurelio; nel , con il trionfo il 15 Luglio di quest anno di Marco CecilioMetello ben annotato nei Fasti Trionfali, e infine nel 104 con la vittoria di Tito Albucio, lultima ribellione organizzata che le fonti ci tramandano, ma non sicuramente l ultimaresistenza che i Sardi opposero ai Romani.3.Cicerone.Ma è Cicerone lo scrittore latino più malevolo nei confronti dei Sardi e della Sardegna,etichettata tout court Mala Insula, di cui parla soprattutto in Pro M. Aemilio Scauro oratio.L orazione, dell anno 54 a.c. è in difesa di Emilio Scauro ex governatore della Sardegna. Icapi d’accusa (indicati in forma sintetica da Marziano Capella (grammatico romano del 5°secolo dopo Cristo) riguardano: de Bostaris nece, de Arinis uxore et de decimis tribus: E’cioè accusato di tre crimini: aver avvelenato nel corso di un banchetto Bostare, riccocittadino di Nora, per impossessarsi del suo patrimonio; aver insistentemente insidiato la
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moglie di tal Arine, tanto essa si sarebbe uccisa piuttosto che divenirne l’amante: poi lemalversazioni del governatore e cioè il crimen frumentarium, l’esazione illecita di unaterza decima; il governatore di una provincia non poteva infatti istituire nuovi tributi, néaggravare le imposte precedenti. Scauro venne dunque accusato in virtù della lex Iulia depecuniis repetundis del 59 a.C. e probabilmente della lex Cornelia de veneficiis, sicariis,parricidiis dell’81 a. C.I due reati (veneficio il primo e intemperanza sessuale il secondo, sottolinea lo storico sardoRaimondo Carta-Raspi in Storia della Sardegna, Mursia editore) non erano tali dapreoccupare un avvocato dell’ abilità di Cicerone e infatti egli riuscì a confutare questeaccuse volgendole anzi al ridicolo. Insieme a lui difendevano Scauro altri 5 avvocati digrido, tra i quali il celebre Quinto Ortensio e il tribuno Clodio e ben nove consolari cometestimoni laudatores a difesa dell imputato, uno era addirittura Pompeo. Oltre agli avvocatiinfatti l’imputato poteva avvalersi di laudatores appunto, che ne facevano l’apologia conargomenti che talora erano semplici sviluppi di testimonianze in stile ornato. Ciceronesosterrà infatti che Scauro non aveva alcun interesse a fare avvelenare Bostare, perché nonera il suo erede e non aveva nessun motivo di odio personale, mentre trova alla madre diquest’ultimo un movente che giustificherebbe l’avvelenamento del figlio; per quanto attienealla seconda imputazione, sostiene che la moglie di Arine era vecchia e brutta quindi non sivedeva la smania di sedurla da parte di Scauro. Di ben altra importanza era invece il terzoreato addebitato all’ex propretore, accusato di malversazione nella sua amministrazionedella Sardegna, con l esazione di tre decime: oltre a una decima normale e a una secondastraordinaria ma ugualmente legale, Scauro infatti ne impose una terza a suo esclusivobeneficio. Peccato che la confutazione dell’accusa più grave per i romani, quella appunto diaver ordinato le illegali esazioni di frumento (crimen frumentarium), non ci sia pervenuta.Ci è però pervenuta la parte in cui Cicerone si impegna com’è suo stile a lodare laspecchiata onestà di Scauro (figlio di Cecilia Metella, moglie di Silla) e a insultare i suoiaccusatori. Essi sono venuti dalla Sardegna convinti di intimorire e persuadere con il loronumero, ma non sanno neppure parlare la lingua latina e sono vestiti con le pelli (pellititestes). Ma c è di più: per screditare i 120 testimoni sardi non esita a dipingerli come ladronicon la mastruca (mastrucati latrunculi), inaffidabili e disonesti, la cui vanità è così grandeda indurli a credere che la libertà si distingua dalla servitù solo per la possibilità di mentire:la loro inaffidabilità viene da lontano, dalle loro stesse radici che sono rappresentate daifenici e dai cartaginesi, guarda caso nemici storici dei Romani. Di qui l accusa più grave einsultante, oggi diremmo razzistica : Qua re cum integri nihil fuerit in hac gente piena,quam ualde eam putamus tot transfusionibus coacuisse? (E allora, dal momento che nulla dipuro c’è stato in questa gente nemmeno all’origine, quanto dobbiamo pensare che si siainacetita per tanti travasi?) Proprio per questo motivo l’appellativo afer è più volte usatocome equivalente di sardus e l espressione Africa ipsa parens illa Sardiniae viene adottatadall’oratore romano per affermare che dai Fenici sono discesi i Sardi, formati da elementiafricani misti, razza che non aveva niente di puro e dopo tante ibridazioni si eraulteriormente guastata, rendendo i sardi ancor più selvaggi e ostili verso Roma tanto che isardi mescolati con sangue africano non strinsero mai con i Romani rapporti di amicizia népatti d’alleanza e che la Sardegna era l’unica provincia priva di città amiche del popoloromano e libere. A questo proposito però Cicerone innanzitutto dovrebbe mettersi d accordocon il suo compare Tito Livio che nelle sue storie (XXIII,40) ricorda città sarde socie diRoma devastate da Amsicora; in secondo luogo l’oratore romano ignora evidentemente chei Fenici arrivano in Sardegna intorno al IX secolo e che le popolazioni nuragiche nelmediterraneo occidentale erano giunte duemila anni prima della fondazione di Cartagine.Ma si tratta, si chiede lo storico Carta-Raspi nell’opera già citata, di artificio oratorio oignoranza? Probabilmente dell’uno e della altra insieme. Fatto sta che Scauro fu assolto con62 voti a favore e con soli 8 voti contrari, furono screditati i testimoni sardi, fu infangata lamemoria di Bostare e Arine, fu razzisticamente insultato l’intero popolo sardo e la sua
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Di qui l’impegno politico che porta Livio ad esaltare i grandi valori etici, religiosi epatriottici dell’antica Roma sulla base del “Tu regere imperio populos Romane, memento”(Ricordati, Romano, che tu devi dominare gli altri popoli) e del “Parcere subiectis etdebellare superbos” (Occorre perdonare chi si sottomette ma distruggere chi resiste). Percui, nonostante l’entusiastico giudizio di Tacito2“Livius primus praeclarus in fidei” (Livio,primo fra tutti gli storici, è il più degno di fede) confermato indirettamente dal dettodantesco: “Livio che non erra”, occorre tener conto che “la critica moderna ha demolitoquesta fama immeritata… e chi volesse farsi un’idea precisa delle campagne militari romaneattraverso Livio, finirebbe per non capire nulla”3: si esprime testualmente in questo modo ilgrande latinista Ettore Paratore.2.Cosa scrive Livio su AmsicoraMa ecco la pagina – tratta dal Libro XXIII, delle sue Storie – che parla di Amsicora. Riporto– per ovvi motivi – solo la traduzione in italiano. “Ormai i Sardi erano stanchi della lungadominazione romana, oppressi da gravi tributi e da una sproporzionata prelevazione digrano, e chiedevano soltanto un capo su cui fare affidamento. Questo appello fu portato aCartagine dai Sardi più eminenti: più di tutti sollecitava l’intervento Amsicora, “primo fratutti i Sardi per autorità e ricchezze”. A Roma frattanto, il Senato decretava l’arruolamentodi una legione da inviare in Sardegna al comando di Tito Manlio Torquato, che già avevasconfitto i Sardi nel 235: il console, condotte le navi da guerra a Cagliari e armati anche imarinai, ricevette l’esercito «che presidiava l’Isola» e radunò così 22.000 fanti e 1.200cavalieri. Quindi marciò contro i nemici e pose il campo non lontano da quello di Amsicora.Questi si trovava presso i Sardi Pelliti per arruolarvi dei giovani, mentre suo figlio Iostocomandava l’accampamento: imbaldanzito dalla giovane età, costui attaccòsconsideratamente battaglia e venne sbaragliato e volto in fuga: 30.000 Sardi rimasero sulcampo e circa 1.300 caddero prigionieri: il resto dell’esercito dapprima fuggì, vagando per iboschi e le campagne, poi, essendosi diffusa la notizia della fuga del capo, si concentrònella città di Cornus, capoluogo della regione. Quella battaglia sarebbe stata decisiva «per iRomani» se non fosse giunta la flotta «cartaginese» di Asdrubale: Manlio accorse aCagliari, dando ad Amsicora la possibilità di unirsi ai Punici. Asdrubale fece sbarcare letruppe e, al comando di Amsicora, l’esercito partì per devastare il territorio degli alleati diRoma. Sarebbe giunto fino a Cagliari se Manlio non avesse contrastato con l’esercito il suosfrenato saccheggio. Dapprima i due schieramenti si tennero a distanza, quindi iniziarono lescaramucce e i piccoli scontri, infine si giunse alla vera battaglia, che durò quattro ore.Poiché i Sardi erano avvezzi ad essere facilmente battuti, furono i Punici che lottarono alungo con esito incerto, ma quando la strage e la fuga dei Sardi fu completa, anch’essivennero sbaragliati: furono circondati dall’ala dell’esercito romano che aveva messo in fugai Sardi e allora la carneficina fu peggiore della battaglia. I nemici ebbero 22.000 morti,persero 27 insegne e circa 3.700 prigionieri fra Sardi e Punici: nel combattimento sicomportò splendidamente il comandante Asdrubale, fatto prigioniero coi CartaginesiAnnone e Magone. Né i capi dei Sardi resero meno degna con la loro morte quella battaglia:Iosto infatti cadde sul campo e Amsicora, che fuggiva con pochi cavalieri quando seppedella strage e della morte di suo figlio, durante la notte, perché nessuno potesseimpedirglielo, si diede la morte”. È questo il testo base sul quale storici antichi e modernihanno costruito la figura di Amsicora.3.Le aporie e le contraddizioni di Tito LivioStorici antichi e moderni hanno costruito la figura di Amsicora sul testo di Tito Livio: daquesto in sintesi emerge che: Amsicora era, allora, (tum) “auctoritate at opibus longeprimus” (XXIII,32 ): di gran lunga primo fra tutti i Sardi per autorità e ricchezze. Il giudizioliviano porterà storici antichi e moderni a considerare Amsicora come il maggiorrappresentante di quel ceto di latifondisti e proprietari terrieri dell’oristanese e di Cornus, la
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capitale, “caput eius regionis”. Piero Meloni5nellasuaStoria della Sardegna romana lodefinisce “Tra i più grandi latifondisti sardo-punici del basso Tirso”.Ci chiediamo: perché sardo-punico? La risposta che ci viene data è questa: la sceltafilocartaginese era evidente sin dai primi anni della dominazione romana e soprattutto conla guerra del 215 quando assistiamo appunto – sempre secondo il Meloni – alla pienaidentificazione con i ruoli e i destini dell’aristocrazia punica da parte dell’aristocrazialocale.Dunque Amsicora apparterrebbe all’aristocrazia punicizzata e sarebbe “punicizzato” nonsolo per interessi ma per cultura e sentimenti. Tanto che molti Sardi delle pianure e dellecoste, legati al carro degli interessi cartaginesi si difenderanno dagli attacchi degli indigenidell’interno al fine di assicurarsi un pacifico sviluppo con numerose posizioni fortificate,già nella prima metà del secolo V: a Ozieri come a Pozzomaggiore, a Bultei come aBolotana, ad Abbasanta, a Tadasuni e addirittura nelle campagne di Gavoi, Aritzo, Lanusei,Perdasdefogu: così almeno secondo Ferruccio Barrecca6cheaquestopropositoparladirinvenimenti di monete singole o in gruzzolo. Ciò detto, rimando per adessol’interpretazione di “auctoritate” e analizzo le aporie e le contraddizioni – a nostro parere –contenute nella pagina liviana: “Iosto, figlio di Amsicora, mentre il padre si trovava pressoi Sardi Pelliti, preso dalla baldanza giovanile avrebbe attaccato sconsideratamente iRomani e sarebbe stato sconfitto e ucciso, volto in fuga l’esercito dei Sardi con 30.000morti e 1.300 prigionieri.”Dopo tale colossale disfatta inflitta ai Sardi il console Tito Manlio Torquato invece diinseguire il resto dell’esercito e occupare Cornus – aveva ben quattro legioni! – volge lespalle al nemico e si trincera a Cagliari. A questo proposito c’è da chiedersi – come sidomanda il Carta Raspi7inStoria della Sardegna –: “Perché Manlio non attacca iCartaginesi che sbarcavano non lontano dagli accampamenti romani con circa 10.000 fantie alcune centinaia di cavalieri mentre il console romano aveva il doppio di effettivi: 22.000fanti e 1.200 cavalieri?”Nella seconda battaglia, svoltasi pare, nei pressi di Assemini, dopo la morte di Iosto, i Sardie i Cartaginesi ebbero 12.000 morti, persero 27 insegne e circa 3.700 prigionieri. Sempre,naturalmente secondo Livio o meglio – in questo caso – secondo Valerio Anziate, da cuipare, abbia attinto i dati. E Amsicora, quando seppe della morte del figlio si sarebbe ucciso.“Duodecim milia hostium caesa Sardorum simul Poenorum, ferme tria milia et septingenticapti et signa militaria septe et viginti… et Hamsicora cum paucibus equitibus fugiens, etsuper adflictas res necem quoque filii audivit, nocte, ne cuius interventus coepta impediret,mortem sibi conscivit” (Ab Urbe condita,XXIII, 40, 9).Dopo tale vittoria Manlio Torquato – che a parere di Teodor Mommsen8inStoria di Romaantica: “Distrusse interamente l’esercito sbarcato dei Cartaginesi e conservò di nuovo aiRomani l’incontrastato possesso dell’Isola – trionfante, parte per Roma a portarvi il lietoannuncio della Sardegna “vinta e domata per sempre”. Dopo poco più di 30 anni – è lostesso Livio a dircelo – questa Sardegna “vinta e domata per sempre” insorge di nuovo: “InSardinia magnum tumultum esse cognitum est… Ilienses adiunctis Balanorum auxiliispacatam provinciam invaserant…” .Evidentemente era stata “conquistata ma non convinta né domata” – intendendo perSardegna, la regione della montagna, “perché questa fu la ribelle… con i fierissimi Iliesi eBalari” almeno secondo Salvatore Merche9, storico sardo dell’inizio del ‘900. Nel 181 a.c laribellione sarà duramente repressa dal pretore Marco Pinario Rusca. Nuovi movimenti dirivolta ci saranno nel 178, con massicci interventi militari romani. Il pretore Tito Ebuzioinvierà al Senato romano il figlio comunicando che in Sardegna vi erano grandi rivolte. GliIliesi con l’aiuto dei Balari avevano attaccato la Provincia, la zona controllata da Roma – ei Romani non potevano opporre resistenza perché le truppe erano colpite da una graveepidemia, forse la malaria.
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Nel 177 e 176 nuove e potenti sommosse costringeranno il Senato romano ad arruolaresotto il comando del console Tiberio Sempronio Gracco – lo stesso console della conquistaromana del 238-237 – due legioni di 5.200 fanti ciascuna, più di 300 cavalieri, 10quinquiremi cui si associeranno altri 12.000 fanti e 600 cavalieri fra alleati e latini.Commenta Salvatore Merche nell’opera citata10: “La grandezza di questa spedizionemilitare e lo sgomento prodotto nell’urbe dal solo accenno a una sollevazione dei popolidella montagna, dimostra quanto questi fossero terribili e temuti, anche dalla potenzaromana, quando si sollevavano in armi. Evidentemente poi, perdurava in Roma la terribileimpressione e i ricordi delle guerre precedenti con i Pelliti di Amsicora e di Iosto, nellequali i Romani avevano dovuto constatare d’aver combattuto con un popolo d’eroi, dispostia farsi ammazzare ma non a cedere”. Alla fine dei due anni di guerra -– ne furono uccisi 12mila nel 177 e 15 mila nel 176 – , nel tempio della Dea Mater Matuta a Roma fu posta daivincitori questa lapide celebrativa, riportata da Livio: “Sotto il comando e gli auspici delconsole Tiberio Sempronio Gracco la legione e l’esercito del popolo romano sottomisero laSardegna. In questa Provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici. Condotte lecose nel modo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite, egliriportò indietro l’esercito sano e salvo e ricco di bottino, per la seconda volta entrò a Roma14 trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a Giove”.Gli schiavi condotti a Roma furono così numerosi che “turbarono” il mercato degli stessinell’intero mediterraneo, facendo crollare il prezzo tanto da far dire a Livio “Sardi venales”:Sardi da vendere a basso prezzo.Ma le rivolte non sono finite neppure dopo il genocidio del 176 da parte di SempronioGracco. Altre ne scoppiano nel 163 e 162. Non possediamo – perché andate perse le Dechedi Tito Livio successive al 167 – sappiamo però da altre fonti che le rivolte continueranno:sempre causate dalla fiscalità esosa dei pretori romani e sempre represse brutalmente nelsangue. Così ci saranno ulteriori guerre nel 126 e 122: tanto che l’8 Dicembre di quest’annoviene celebrato a Roma il trionfo “ex Sardinia“ di Lucio Aurelio; nel 115-111, con il trionfoil 15 luglio di quest’anno di Marco Cecilio Metello ben annotato nei Fasti Trionfali, e infinenel 104 con la vittoria di Tito Albucio, l’ultima ribellione organizzata che le fonti citramandano, ma non sicuramente l’ultima resistenza che i sardi opposero ai romani.Lo stesso Livio – che scriveva alla fine del I secolo a.c. affermerà – soprattutto a propositodegli Iliesi – che si tratta di “gente ne nunc quidem omni parte pacata”. Il che trovaconferma in un passo di Diodoro Siculo11, da riportarsi a questo stesso periodo, secondo ilquale gli abitanti delle zone montuose sarde, ai suoi tempi: “Ancora hanno mantenuto lalibertà”. Altro che Sardegna pacificata o sardi “avvezzi ad essere battuti facilmente” (facilevinci) come sostiene Livio!4.Ancora sulle mille contraddizioni delle fonti storiche su Amsicora.I Sardi – secondo Tito Livio – erano avvezzi ad essere facilmente battuti. Ma come fa asostenere ciò? A parte quanto succederà dopo il 215 – e che ho testé documentato – nonconosce forse lo storico romano quanto è successo prima, dal 238 almeno?Fin dal 236 infatti, due anni dopo la conquista da parte romana del centro sardo-punicodella Sardegna, i romani – come annota brevemente Giovanni Zonara12, risalendo a DioneCassio – condussero operazioni contro i Sardi che rifiutavano di sottomettersi.Nel 235, sobillati – a parere di Zonara – dai Cartaginesi che “agivano segretamente” iSardi si ribellano e vengono repressi nel sangue da Manlio Torquato – lo stesso console chesarà scelto per combattere Amsicora – che celebrerà il trionfo sui sardi, il 10 marzo del234, come attesteranno i Fasti trionfali capitolini. Nel 233 ulteriori rivolte saranno repressedal console Carvilio Massimo, che celebrerà il trionfo il primo aprile del 233. Nel 232 saràil console Manio Pomponio a sconfiggere i Sardi e a meritarsi il 15 trionfo celebrandolo il15 Marzo. Nel 231 vengono addirittura inviati due eserciti consolari, data la gravesituazione di pericolo, uno contro i Corsi, comandato da Papirio Masone e uno, guidato da
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Marco Pomponio Matone, contro i sardi. I consoli non otterranno il trionfo, a conferma chei risultati per i Romani furono fallimentari. E a poco varrà a Papirio Masone celebrare disua iniziativa il trionfo negatogli dal senato, sul monte Albano anziché sul Campidoglio econ una corona di mirto anziché di alloro. In questa circostanza il console Matone – latestimonianza è sempre di Zonara – chiederà segugi addestrati nella caccia e adatti nellaricerca dell’uomo per scovare i sardi barbaricini che, nascosti in zone scoscese edifficilmente accessibili infliggevano dure perdite ai Romani.Nel 226 e 225 si verificherà una recrudescenza dei moti, ma ormai – come sottolineaMeloni nell’opera già citata – “Roma è intenzionata fortemente al dominio delMediterraneo e dunque al possesso della Sardegna che continua ad essere di decisivaimportanza” e l’Isola unita con la Corsica – come la Sicilia – dopo il 227 ha avuto la formagiuridica di Provincia con l’invio di due pretori per governarla. Livio parla di “Sociorumpopuli romani” (alleati di Roma) e in un altro passo di “Comunità sarde, amiche di Romache contribuirono «benigne» con tributi e con la decima, visto che non si poteva pagare ilsoldo ai militari né distribuire viveri”. Ma a chi allude? Ma non è lui stesso, in altri passidelle sue “Storie” a sostenere che le popolazioni vennero multate per aver partecipato alconflitto? Obbligate a pagare gravi tributi in denaro e frumento? E non in base allepossibilità contributive ma semplicemente per aver partecipato alla rivolta a fianco di Iostoe Amsicora? La verità è che in Sardegna non esistevano popolazioni amiche dei Romani:del resto è lo stesso Cicerone13a confermarlo nell’Orazione “Pro Scauro” in cui afferma chenon vi era fino a quel tempo, il 215, in Sardegna neppure una città amica dei Romani:“…quae est enim praeter Sardiniam provinciam, quae nullam habeat amicam populo romanoac liberam civitatem?”Livio parla di Iosto ucciso in battaglia, Silio Italico14scrivechefuuccisodalpoetalatinoEnnio15. Questi nella sua opera “Annales” non fa neppure cenno a questo episodio.Tenuto conto di tutte le contraddizioni presenti nel testo dello storico romano –probabilmente spiegabili con il fatto che Livio scrive di questi avvenimenti più di 200 annidopo sulla base magari dei resoconti degli stessi consoli interessati a inghirlandarsi contrionfi e vittorie o di storici non proprio veritieri come Valerio Anziate16, occorre affermarecomunque che anche per lo storico latino, Amsicora era un sardo.Solo il Pais17, fra gli storici afferma che era cartaginese. Non si spiegherebbe infatti il nome,che di fenicio non ha neppure l’ombra, come del resto quello del figlio Iosto. Entrambi inomi infatti sono di origine anatolica e quello di Amsicora (Hamsagoras) forse teoforo odovuto a pregi fisici e spirituali. Secondo Barrecca18– nell’opera già citata – nel suo nomenon vi è alcun carattere semitico, vi è anzi un’analogia indiscutibile con l’idronomo libico,Hamsagora, ma potrebbe anche trattarsi di un fenomeno dovuto al sostrato linguisticoprotosardo, ma per nulla rivelatore di un’ascendenza africana del personaggio.Si dirà comunque che era un sardo-cartaginese per i suoi interessi di grande latifondista,integrato nell’aristocrazia punicizzata. Insomma una sorta di ascaro. Ma come spiegare inquesto caso la sua “auctoritate”, il suo prestigio che si estendeva oltre il suo territorio diCornus e dell’oristanese, presso altre genti e città e persino presso le popolazioni nuragiche?E a questa “auctoritate” che carica corrispondeva? Dobbiamo accettare l’ipotesi di Carta-Raspi19– nell’opera citata- secondo cuiera “Giudice di Cornusavendo il comando militaree politico civile”? Secondo lo storico sardo infatti la più alta magistratura della città diCornus era quella dei Giudici, corrispondente all’arconte greco o al console romano o alsufeto delle città fenicie. I “principes” liviani – tradotti genericamente come «più eminenti»costituirebbero il Senato e Amsicora proprio quell’anno – indicato dal “tum” (allora) diLivio, nel 215, sarebbe stato eletto giudice, esplicando la duplice funzione di comandantemilitare e politico che nel mondo antico troviamo per un breve periodo presso il popoloebraico: dalla morte di Giosuè nel secolo XIII agli inizi della monarchia nel secolo XI con ilre Saul20. Senza quest’autorità ma soprattutto senza un prestigio anche presso i Sardi Pelliticome avrebbe potuto recarsi presso di loro per chiedere e sollecitare il loro aiuto nella
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guerra contro Roma? (Hamsicora tum forte profectus erat in Pellitos Sardos ad iuventutemarmandam; quas copias augeret… Ab Urbe condita, XXIII, 40). Ma soprattutto: comesarebbe potuto riuscire a far intervenire nella guerra le tribù della montagna dell’interno?Non si tratta forse degli stessi sardi che intorno alla metà del VI secolo avevano lanciatouna grande offensiva contro i Cartaginesi, fino a distruggere la fortezza di Monte Sirai? Nonerano gli stessi indigeni dell’interno che nel decennio 545-535 si erano scontrati con Malco,il generale e re guerriero cartaginese, sconfiggendolo sonoramente e più volte tanto da fardire a Iustino21-ciricordaLillíu22cheiCartaginesi:“Amissamaioreexercituparte,graviproelio victi sunt: iterum infelicius victi sunt.” (Persa la gran parte dell’esercito, vengonosconfitti sonoramente e più volte).5.Ma chi era Amsicora? Alcune risposte.Per Ferruccio Barreca, il più grande studioso sardo del periodo cartaginese, Amsicora èstato un eroe fra la storia e il mito, per di più conosciuto attraverso la lente deformata deisuoi nemici, un sardo punicizzato, forse un sufeta, ma sicuramente il capo della delegazionedei maggiorenti partita a Cartagine nell’inverno del 216 a.C.; un sardo ben introdotto nelmondo punico ma non per questo punicizzato.Per altri – come Camillo Bellieni, uno dei fondatori del Partito sardo d’Azione – è unpunico con sentimenti barbaricini.Per un altro grande storico sardo, Attilio Mastino, Amsicora appartiene a una famigliasardo-libica, immigrata in Sardegna da molto tempo e completamente sardizzata. Egli è unuomo con un ruolo extramagistraturale, ovvero dux sardorum,e il fatto che la carica nonpassi a un altro maggiorente sardo ma al figlio, ci ricorda i sovrani della Numidia.Sia come sia, Amsicora rappresenta sicuramente un sardo “moderno” dei tempi antichi. Unsardo che allora riusciva a confrontarsi con altre potenze e civiltà. Un sardo, punto diincontro e di sintesi sarda di culture differenti, capace di avere una visione politica, non solotribale e locale, ma più ampia e nazionale. Un uomo di concordia e di mediazione delleforze, dei sentimenti e delle differenze dell’isola, che in questo modo rielaborate,costituivano una ricchezza e non una debolezza del suo popolo, nonostante la forza di unimpero come quello romano.6.Amsicora secondo Ferruccio Barreca.A delineare in modo preciso la figura di Amsicora è Ferruccio Barreca, – su ricordato – inuna relazione – di cui riportiamo ampi stralci: “[…] Ampsicora noi lo conosciamo attraversoquello che hanno detti i suoi nemici. Intanto, diciamo così, proprio i Romani. Se non cifossero le testimonianze dei Romani, purtroppo, non ne sapremmo niente. Non neconosciamo certo la tomba; si è sempre sperato, desiderato, anzi, di trovare la tomba diAmpsicora e ho paura che sia una speranza che resterà sempre delusa. Ampsicora, ormaidopo gli studi fatti, si è capito che non deve essere nemmeno sepolto nel territorio diCuglieri. Ampsicora è morto lontano da Cuglieri, lontano dalla sua terra natale. Anche sesembra avesse una visione larga della sua terra natale, non era strettamente legato ad unambito tribale. Certamente no. Morto lontano, pare sia morto tra Sardara e Sanluri… Quindiniente tomba. Sentiamo la parola dei suoi nemici, nemici che poi in fin dei conti hannoriconosciuto la grandezza morale di questo personaggio. Livio cosa ci dice? Che nel 215,quando i Sardi hanno tentato una riscossa a favore dei Cartaginesi, contro il dominioRomano, questo tentativo di insurrezione avviene, purtroppo poi fallisce, ed ha dueprotagonisti: uno è un cartaginese Annone, l’altro è Ampsicora e Livio ci dice cheAmpsicora era di gran lunga il più prestigioso ed il più ricco dei capi, diremo meglio, deiprincipi. Probabilmente i Cartaginesi lo avranno chiamato un “Raab”, un capo, e il piùprestigioso e il più ricco era lui fra tutti quelli della Sardegna, della Sardegna punica,ovviamente. Questa è la definizione. Cosa si può riuscire a capire? Ampsicora agiscechiaramente nell’area cornuense, nell’area oristanese. Intanto cominciamo, quindi, con
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l’escludere la provincia di Cagliari. Cornus è detta la capitale, il capoluogo, meglio, dellazona, della regione; Cornus è senza dubbio il punto focale a cui fanno riferimento gliinsorti. La insurrezione prende le mosse da Cornus. È dunque un personaggio estremamentein vista dell’oristanese e dell’area cornuense. Questo personaggio, appunto perchéappartiene a quest’area, possiamo esser certi, che la sua ricchezza l’avesse fondatasull’attività agricola e commerciale. L’attività mineraria qui non poteva essere una granderisorsa, se pure ci sarà stato qualcosa nell’estremo Sud, dalla parte più che altro di Neapolis.Quindi il Nord dell’iglesiente è già fuori. Dunque è un proprietario di terreni sfruttati ascopo agricolo. Certamente si tratta di un commerciante di prodotti agricoli. È unagricoltore che avrà commerciato, avrà forse anche esportato facendo imbarcare i prodottidei suoi terreni nelle zone portuali dell’oristanese, pensiamo a Cornus stessa, pensiamo aTharros, ad Othoca. Si muove nell’ambiente oristanese, e ovviamente si capisce che è unoristanese costiero, appunto. Le risorse agricole vengono specialmente dalla zona costiera,dalla parte oristanese bassa, l’estrema valle del Tirso, e quindi noi lo vediamo naturalmentecome inserito in quell’ambiente etnico e culturale sardo che era strettamente a contatto conl’ambiente cartaginese e il Campidano di Oristano, profondamente colonizzato daiCartaginesi, in parte dai Fenici prima. Noi ci rendiamo subito conto che la cultura fenicio-punita era una componente essenziale della figura di Ampsicora. Però ricordiamo che nonera un colono o un discendente di coloni punici. Nulla ci autorizza a pensarlo. Il suo nomeAmpsicora, nella radice amps, ci rivela chiaramente un legame col Nord Africa. Però qualeNord Africa? Non è il Nord Africa semitico. Amps è la radice da cui deriva il nome di unfiume del Nord Africa, 1’Ampsaga. L’Ampsaga è quindi un toponimo, anzi è un idronomo.Gli idronimi sono tra i toponomi i più antichi, quelli che mantengono di più il ricordo dellepopolazioni originarie di una regione. E allora può essere anche un etnico del Nord Africapresemitico. Il Nord Africa mediterraneo, cioè come noi lo chiamiamo, berbero, sevogliamo, chiamiamolo così, libico. Ma pensare che il nome libico più antico sia dovuto aduna immigrazione dal Nord Africa avvenuta chissà quando è un po’ come voler forzare lastoria. I nomi mediterranei in Sardegna, i nomi che sono strettamente apparentati col mondoberbero, libico, come vogliamo chiamarli, sono nomi “protosardi”. I nuragici parlavano unlinguaggio che, mi dispiace dirlo, non era l’etrusco. Era un linguaggio di substrato rispettoallo strato linguistico semitico da un lato portato dai fenici e dai cartaginesi, indoeuropeodall’altro, quello che sarà portato dai romani. Dunque, ecco che questo nome di Ampsicorarivela l’origine protosarda, nuragica, della famiglia di Ampsicora. È un nome locale,indigeno. Era un protosardo che però viveva nell’area intensamente permeata di culturasemitica, grazie a quella colonizzazione capillare realizzata da Cartagine fin dagli inizi delsuo dominio sulla Sardegna. Fin dalla fine del VI secolo coloni cartaginesi erano sparsinella regione ubbidendo a dettami di una sana economia e vivevano nel terreno di cuiattendevano i frutti per il loro benessere. Non vivevano nella città, ma vi si recavanosaltuariamente. I dettami dell’economia agricola cartaginese imponevano che i proprietarivivessero sul terreno. E allora questi coloni sparsi sul territorio, sia pure all’ombra dellefortezze dove le guarnigioni cartaginesi vigilavano, non solamente sullo sfruttamentoeconomico delle risorse sarde, ma anche sull’incolumità, ovviamente, dei loro coloni…Ampsicora è un sardo-punico perché si è integrato. È un agricoltore di grande possibilità.Avrà avuto certamente molti uomini alle sue dipendenze. Ci appare, quindi, veramente,questo “Raab” come lo avranno chiamato nella Sardegna punicizzata, questo “Raab” che,ecco, ci appare anche moralmente. Di Ampsicora si può analizzare anche la figura morale enon solamente quella storica ed etnica, perché in Ampsicora traspare chiaramente l’uomo diazione, senza dubbio, e non solamente il mercante preso dai suoi interessi, l’uomo cheaveva degli orizzonti che andavano al di fuori di quello stretto degli interessi economiciquale poteva avere un proprietario terriero.Lo vediamo non solo a capo degli insorti nel 215, ma lo vediamo ambasciatore della propriacorrente politica, presso i protosardi nell’interno della montagna: i sardi Pelliti. Si muove
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lui; va a convincerli perché vengano ad aiutare la causa sardo-punica. Quindi è uomo cheera pronto ad impugnare le armi, sia ad usare la propria eloquenza a favore delle proprieidee. Personaggio, quindi, complesso, che deve giustamente essere considerato l’esponente,insieme con Iosto, della nazione sarda nell’antichità. Questo personaggio rivela un’altracosa: rivela il suo carattere sardo nel voler convincere altri ambienti sardi, le tribù interne,della bontà della causa e quindi della necessità di seguirlo. Ha dimostrato di aver fiducianella gente dell’isola. Non si è appoggiato solo al sostegno, al supporto militare deicartaginesi, ma ha voluto cercare di estendere il supporto locale, il supporto indigeno. Chepoi la sua fiducia, purtroppo, l’abbia deluso e che la sua impresa abbia avuto una tragicaconclusione, è un’altra faccenda. Ha avuto questa fiducia. Ed è passato alla storia in unamaniera singolare. La leggenda storiografica romana addirittura ha voluto legare il nomedel figlio di Ampsicora, di Iosto, al poeta Ennio. Ma noi riteniamo che sia una leggenda, pernon dire una favola. Però senza dubbio, questa figura, come si diceva anche in principio, haun suo aspetto particolare. È circonfusa di quell’alone suggestivo, non mi piace direromantico, che circonda sempre gli individui che soccombono nella lotta per i loro obiettivi.Cioè l’alone che si trova sempre attorno al combattente che muore in uno sforzo disfortunato valore. Lo sfortunato valore che per chi ha un minimo di sensibilità umana ecivile riscuote sempre rispetto, riscuote simpatia. Ecco perché attorno ad Ampsicora ioritengo che, giustamente, si è formata quella leggenda che ha animato per tanto tempo gliorientamenti culturali locali. I sardi hanno sempre riconosciuto in Ampsicora questa figura.Solo adesso, stranamente, voci continentali, grazie al cielo, parlano di una figura che simuoveva per gretti interessi economici, una figura ambigua: non vedo il perché! Altri equesti in Sardegna, lo hanno definito un collaborazionista. Ohimè! Strano. Intanto io direiche bisogna sempre cercare di evitare di mischiare il presente con il passato.Collaborazionista è un termine recentissimo. Purtroppo l’abbiamo conosciuto. Sappiamocome è nato. Ma il collaborazionista chi è in sostanza? È un esponente di un determinatogruppo etnico il quale, in un momento eccezionale di invasione, di occupazione del suoterritorio da parte di un altro popolo straniero, decide da un momento all’altro di dare lapropria collaborazione, di lavorare, combattere per quel popolo che viene da fuori, col qualenon ha nulla a che vedere etnicamente, culturalmente. Il personaggio Ampsicora è ilrovescio del collaborazionista, perché, è l’espressione di 600 anni, sei secoli; diciamo,specialmente noi studiosi, archeologi, siamo abituati a considerare così, come noccioline isecoli, ma sei secoli vogliono dire 600 anni. Oh!, amici miei, 600 anni fa pressappocoviveva Petrarca, ne è passato di tempo, di esperienze. Quante stratificazioni etniche,culturali si sono succedute! Non possiamo pensare che questi, così, dall’oggi al domani sisiano messi a collaborare con Cartagine per i propri interessi economici o perché glipiaceva. Ma Ampsicora doveva sentirsi praticamente, profondamente immerso nel mondopunico, sardo-punico, nel mondo della Sardegna punica. Questa è una mia opinionepersonale. Chiamiamolo non sardo-punico, ma sardo integrato nel mondo punico.Ampsicora è integrato, ricordiamoci, non acculturato. Altro errore, altra leggenda dasfatare! Noi sappiamo bene che differenza passa fra la culturazione o acculturamento el’integrazione. L’acculturamento che cosa è? È dove due popoli si incontrano, di cultura, ditradizioni completamente diverse. È uno dei due che impone tutta la propria civiltà all’altro,senza che l’altro gli dia nulla. Ma un popolo come il popolo “protosardo”, ha alle sue spallemillenni. Ecco le nostre colleghe archeologhe ci hanno parlato della civiltà di millenniprima che arrivasse la civiltà dei cartaginesi e dei fenici; di un popolo che ha alle propriespalle millenni di civiltà. Un popolo che, lo abbiamo visto, in quell’epoca così remota, giàconosceva e utilizzava dei giacimenti di argento. Anche questa è una cosa da tener presente.Aveva preso contatto con altri popoli esterni, i quali molto prima dei fenici erano venuti,avevano stabilito degli scali commerciali sulle coste sarde e avevano portato fermenticulturali oltre che etnici nuovi. Ora questo popolo che arriva a creare il nuraghe, un popoloche poi, quando arrivano i Romani, per 127 anni combatte contro questi nuovi venuti,
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perché non se la sente di accettarne la mentalità, perché ha già una sua mentalità, ha già unasua civiltà. Io non credo che i sardi si fossero lasciati acculturare. Se noi andiamo ad Antastroviamo il culto protosardo di “Gabbai” che sopravvive quando arrivano i cartaginesi; lointerpretano come il culto di Sid, ma non se la sentono di abolire il nome di `Gabbai” checontinua. Sopravvive ad Antas come “Sid el Gabbai“, a San Nicolò Gerrei come AsMummer. È la stessa cosa, è vero, sopravvive attraverso tutta la fase punica, arriva finoall’età dei Romani, ancora tanto vivo e vitale che i Romani, i quali, ovviamente, hannocancellato il nome semitico di Sid Al e hanno conservato il nome di “Babbai”, non solo,l’hanno chiamato “Sardus”, ma “Sardus Pater Babbai”. Sentivano che era un dio sardo,vivo e vitale. E allora ecco che noi vediamo che questa civiltà protosarda ha reagito. Si èscontrata prima, si è poi incontrata, confrontata e fusa con un’altra civiltà, dando loro unaciviltà nuova che è quella sardo-punica. Questa civiltà sardo-punica ha dato come massimoesponente proprio Ampsicora. Vedete che è poco ed è molto. Abbiamo cercato di scenderenella sua anima, dietro questo nome così strano che in più è stranamente deformato, persemplificarlo. Forse riesce scomodo a qualcuno, lo chiamano infatti Amsicora, facendocadere quella “p” che invece è parte integrante del nome. Ecco cosa c’è dietro Ampsicora.Ecco da quale humus è nato questo virgulto vigoroso e quale può essere. Ha avuto unagrande coerenza fino all’ultimo, anche quando vede che tutto è perduto. Hanno pagato dipersona sia lui che il figlio, hanno pagato di persona il fatto di avere quella volontà,quell’orientamento politico. Hanno fatto una scelta politica. Quando vede che tutto èperduto preferisce uccidersi. Avrebbero potuto facilmente fuggire, prendere una delle naviche certamente gli amici punici delle città costiere gli avrebbero fornito. Se ne sarebbeandato tranquillamente, ma invece no: il suo miraggio è finito, ed egli non vuole accettare lasconfitta, non vuole accettare il dolore di aver perso il figlio, e si uccide. Ecco chi èAmpsicora […]”23.7.Amsicora? Probabilmente il primo grande autonomista della storia sarda.I protosardi, dietro la spinta del pericolo cartaginese si organizzano. A parere di Lillíu24passerebbero da forme organizzative “cantonali” a una struttura “nazionale”: la lororesistenza comunque fu stroncata e così vengono sospinti dalle pianure e dalle colline nellezone montagnose dell’interno, solitarie, sterili e disperate. L’abbandono forzato di terre chela letteratura storica greco-romana ci presenta piena di monumenti di ogni genere e fonte dibenessere materiale e civile provocò una cesura culturale – ci ricorda Lillìu25–unacrisidiciviltà fra le popolazioni nuragiche. E la marcia patetica “dalle belle pianure iolaee” (inDiodoro Siculo, IV, 29, 3; V, 15) verso le caverne e i boschi paurosi del centro montano nonfu soltanto una ritirata di uomini, donne e fanciulli perseguiti come vinti dal vincitorestraniero e sospinti verso un carcere, quasi verso un enorme campo di concentramentonaturale, ma fu anche e soprattutto la capitolazione di una intera civiltà protesa in unosforzo decisivo e vincente.“Fu pure incrinata la compattezza etnico-sociale dei Sardi dellaciviltà nuragica e ne risultò la prima grande divisione politica. Da una parte l’Isola montanadei Sardi,- ancora liberi seppur costretti in una sorta di riserva dai conquistatori – continuòad esprimere una cultura genuina e autentica di pastori, per quanto impoverita e decadente;dall’altra i Sardi più deboli, arresisi agli invasori, diventati collaborazionisti, per calcolo oper paura, degradati al livello di servi della gleba, confusero il loro sangue e la loro civiltàmescolandosi ai mercenari libici, schiavi gli uni e gli altri, del comune padrone cartaginese.I primitivi pastori ingrassavano greggi per arricchire il mercato internazionale dell’invasoree aumentarne l’insaziabile brama di potere”26. Se le cose stanno così, come la bella prosastorica di Lilliu descrive, perché i Sardi della montagna, internati dai Cartaginesi avrebberodovuto seguire e aiutare un sardocartaginese, ovvero un collaborazionista e un ascaro? Perevitare un imperialismo, sicuramente più brutale, più oppressivo e più devastante comequello romano?
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Perché Amsicora e gli altri “principes” di Cornus e delle altre città sardo-puniche arrivano auna trattativa e a un compromesso con i capi barbaricini in base al quale s’impegnano agarantire ai Sardi Pelliti e alla Barbagia autonomia e autogoverno, facendone una sorta dienclave dentro l’impero cartaginese? Può darsi: i Cartaginesi e non sicuramente i Romani –interessati solo a dominare e sottomettere i popoli – avrebbero potuto permettere aiBarbaricini un’Autonomia, se così fosse dovremmo considerare Amsicora il primo grandesardo Autonomista della storia.8.Forse un grande leader barbaricino che tentò la liberazione della Sardegnadall’occupazione romana.Ma perché escludere anche un’altra ipotesi, ovvero che Amsicora fosse finalmente – dopoinvasioni e dominazioni e conseguenti divisioni dei Sardi – il leader in grado di unire eriunificare tutti i Sardi a fronte del pericolo mortale – per la popolazione e la civiltà sarda –dei Romani? Lui, non solo sardo verace – come abbiamo già visto – ma addiritturabarbaricino come ci testimonia Silio Italico27secondocuiAmsicorasigloriavadiessereiliense, discendente dei coloni venuti da Troia e quindi un montanaro del più nobile sanguee assai coraggioso e fiero? Versione questa di Silio Italico, ma fatta propria da uno storicosardo del 1600, Giovanni Proto Arca di Bitti28che chiama Amsicora “dux barbaricinorum”?(Erat dux Barbaricinorum Hampsagoras et eius filius Oscus ex Barbaricinis ambo, quibus seiunxerant Balari, ceu Iberi, quos diximus fuisse Hispanos; qui fortiter ad proelium instructilacessebant Torquatum, vel potius illudebant de suo se Troiano genere gloriando…). Delresto, Amsicora, fin dal tempo di Cicerone non è stato sempre raffigurato con tanto di barba,pugnale e mastruca, tipico dei Sardi Pelliti?9.Amsicora nell’immaginario collettivo degli artistiÈ un caso che nell’immaginario collettivo soprattutto degli artisti e dei poeti sardi vengaconsiderato come un eroe sardo che difende la Sardegna contro il romano invasore, vero eproprio lupo e cane famelico (lupu e catteddu famidu), bardaneris, distruttori, seminatori diguerra, rovine flagelli e morti? Mi riferisco in modo particolare al suggestivo poema epicodi Salvatore Lay-Deidda29desulese,pastorelloneimontidelGennargentufinoa18anni,ordinato sacerdote nel 1947 e colto dalla morte, giovanissimo, a soli 30 anni. Nel Poema,vero e proprio poema epico nazionale sardo, intitolato e dedicato ad Amsicora, Lay-Deiddalo idealizza e ne fa un eroe nazionale, innamorato della sua terra, guida dei Sardi Pelliti,“Amsicora, su nobile regente/ De s’alma Gennargenzia fiera”, che chiama a raccolta tutti iSardi, delle pianure e delle montagne, per opporsi, in un ultimo e disperato tentativo, albrutale e definitivo dominio romano, rivendicando l’indipendenza e l’orgoglio nazionale,come canta in questa bella ottava30il poeta desulese:A Titu nara: «Roma a sos Romanos,A sos Tyros sa Tyra Karchedones,Sa Sardigna a sos Sardos! Turpes manosnon turbent sas anzenas possessionesSu Logudoro cun sos CampidanosNon connoschent né Titos né MagonesSa Sardigna est una: suos fizosSunt sos Sardos, pro vois in fastizzos»E prima di Salvatore Lay-Deidda, un suo compaesano, Antioco Casula31, più noto con ilpopolare pseudonimo di Montanaru, considerato dalla critica il più grande poeta sardo inlimba, dedica un’Ode ad Amsicora, considerato eroe della sarda libertà che risplende comeil sole non oscurato da nubi. Nella fantasia di Montanaru Amsicora viene immaginato comegran ribelle e dall’animo indomito: sfortunato eroe di una santa causa, che preferisce lamorte piuttosto che la schiavitù sotto i romani.
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Pro AmsicoraBeni, ispiritu antigu, beni tueeroe de sa sarda libertade,chi pustis tantu currere d’edaderisplendes che sole senza nue.Tue, mannu rebellu, anima ruede fronte a sa romana podestadesa morte hasa prefertu a s’amistadefuristera. Nessunu ischit inueT’han seppellidu, eroe isfortunadude una causa santa e tantos Sardosno ischini chi sias esistidu.Ma eo peso su cantu innamoradupro te, cun versos duros, galiardos,comente duramente ses vividu.Su tempus senza pasu andat a fuache marettas marinas a curturaperò sos veros Sardos in tristuravivene sempre. Est sa tristura tua,Eroe nostru, senza sepolturain custa sarda terra dur’e cruachi sos mezzus allattat cun sa luae dat a sos istranzos sa dulzura.Ma oe che Iosto, senza brigas,dogni giovanu avanzat temperadua provas de trabagliu e d’amore.Non pius, o eroe, maleigass’offesa antiga. Olvida su passadue saluda su tempus benidore.S’istoria iscritta dae, sos binchidoresnon podet mai contare cosas zustashat postu a banda sardos gherradoreschi de esser eroes han dau sa mustra.Sos bentos de levante sunt boliandeisettant su sinzale.Gherreri corazzosu e attriviude sos Sardos pellitos cumandantecontra a sos romanos accaniuca fint in terra nostra dominande.Sos bentos de levante sunt boliandeisettant su sinzale.Per ultimo accenno a un Gruppo musicale moderno32cheinunasuggestivaefelicecontaminazione fra antico e moderno, musica rock e musica sarda, in un recente testo,dedicato proprio ad Amsicora così canta: Un eroe senza sepoltura, in questa nostra duraterra sarda che allatta gli uomini migliori – canta polemicamente il poeta desulese – conl’euforbia e regala dolcezza agli stranieri.Ma ecco l’ode3527Solo fantasie? Ma forse che l’Amsicora liviano non è ugualmente costruito e disegnato sullefantasie dello storico latino tutto proteso a magnificare la stirpe romana, piegando a tale
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filosofia dati, date e avvenimenti, come ormai ci risulta con certezza e come abbiamocercato di argomentare?Paraulas sentias e versos tostosnon podent cancellare sa memoriapro ammentare peri a fizos nostroschi su populu sardu hat un’istoriaSos bentos de levante sunt boliandeisettant su sinzale.E si hamus perdiu una battalliasemus galu in custa nostra terranon semus in chirca de medalliacherimus solu binchere sa gherraSos bentos de levante sunt boliandeisettant su sinzale.In Cornus ant accatau sa morteIosto e Amsicora chin gloriapro issos terra amada e mala sortecunsacrados los at a sa memoria.Sos bentos de levante sunt boliandeisettant su sinzale.10. Alcune conclusioni finali e qualche ipotesiLa storia e la figura di Amsicora, che noi conosciamo e che è stata costruita in buonasostanza basandosi sull’opera dello storico romano Tito Livio “Ab urbe condida, XXIII, 32”non è assolutamente credibile. Il più grande latinista italiano, Ettore Paratore, nella suamonumentale Storia della Letteratura latina (Sansoni editore, pagina 455) scrive, in modoimpietoso – ripetiamo che “chi volesse farsi un’idea precisa delle campagne militari romaneattraverso Livio, finirebbe per non capire nulla”. Perché? Perché Livio intende la storiacome diletto e ammaestramento che lo portano ad alterare le vicende storiche: di qui – peresempio – il prevalere degli interessi letterari e morali su quelli storici, soprattutto nellanarrazione del periodo più arcaico. Livio è persuaso che quella di Roma fosse una storiaprovvidenziale, una specie di «storia sacra», quella del popolo eletto dagli dei. Deriva daquesta convinzione la più attenta cura a far risaltare tutti gli atti e tutte le circostanze in cuila virtus romana abbia rifulso. Tutto ciò è chiaramente adombrato anche nel proemiodell’opera Ab urbe condita dove si insiste sul carattere tutto speciale del dominio romano,provvidenziale e benefico anche per i popoli soggetti: “Se a qualche popolo è opportunopermettere che circondi le proprie origini col fascino della 28 sacralità e le attribuisca aglidei, è anche da rilevare che la maggior gloria del popolo romano in guerra è che, sebbeneesso vanti particolarmente Marte come primogenitore suo e del suo fondatore Romolo, lenazioni della terra sopportino questo vanto con la medesima buona disposizione con cui siassoggettano al suo dominio”. Di qui l’impegno politico che porta Livio ad esaltare i grandivalori etici, religiosi e patriottici dell’antica Roma sulla base del “Tu regere imperiopopulos, Romane, memento” (Ricordati, Romano, che tu devi dominare gli altri popoli) edel “Parcere subiectis et debellare superbis” (Occorre perdonare chi si sottomette edistruggere chi osa resistere). Livio scrive dunque una storia “ideologica”, senza alcunrigore storico, con svarioni colossali e immani contraddizioni che ho cercato di evidenziarenelle pagine precedenti: ricordo in modo particolare il suo giudizio sui Sardi “facile vinci”(avvezzi ad essere facilmente battuti) e quello sulla Sardegna “sottomessa e pacificata” findal 238 a.C. quando invece sappiamo che ancora nel 104 a. C. (dunque ben 134 anni dopola conquista) certo Tito Albucio avrebbe represso una ribellione dei Sardi e lo stesso Livio ècostretto a prendere atto alla fine del 1° secolo a.C., che gli Iliesi sono gente “ne nuncquidem omni parte pacata” a conferma peraltro di quanto sosterrà Diodoro Siculo, che parla
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dei Sardi delle montagne “che hanno ancora mantenuto la libertà”, e di quanto scriverà lostesso Cicerone secondo il quale fino al 215 a.C. “non vi era in Sardegna neppure una cittàamica dei Romani”. Ricordo ancora che Livio – per sua stessa ammissione – si rifà, perquanto attiene ai fatti riguardanti Amsicora, a certo Valerio Anziate, storiografo romanovissuto nell’età di Silla (1° secolo a.c.) che godeva già presso gli storici antichi e ancor piùoggi ne gode presso gli storici moderni, fama di grande falsario o comunque di faciloneria,mancanza di scrupoli ed esagerazioni. Tutto ciò per sostenere che occorre assolutamenterivedere e riscrivere la storia di Amsicora, come del resto l’intera storia della Sardegna,scritta dai vincitori e dunque ad usum delfini. Per quanto riguarda Amsicora io ho avanzatol’ipotesi che fosse o il primo grande autonomista della Sardegna o un vero e proprio eroesardo che ha tentato di liberare l’Isola dal dominio e dall’oppressione romana. Certo si trattasolamente di ipotesi. Ma una cosa è certa: l’Amsicora liviano cui ci siamo finora abbeveratinon regge, neppure come semplice ipotesi.Riferimenti bibliografici1. Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, Inizio capitolo VIII.2. Tacito, Annales, IV, 34.3. Ettore Paratore, Storia della Letteratura latina, Sansoni ed., seconda edizione, Firenze1962, pag. 455.4. Piero Meloni, La Sardegna romana, Chiarella editore, Sassari 1990, pag.55.5. Piero Meloni, La Sardegna romana, op. cit., pag. 552.6. Ferruccio Barrecca, La Sardegna fenicia e punica, Chiarella editore, Sassari 1965.7. Raimondo Carta-Raspi, Storia della Sardegna, ed. Mursia, Milano 1971.8. Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, vol.I, tomo I, Editore Sansoni, Firenze 1986,pag.143.9. Salvatore Merche, Barbaricini e la Barbagia nella storia della Sardegna, pag.26 segg.10. Salvatore Merche, op. cit. pag. 28.11. Diodoro Siculo (90 a.c.- 20 d.c.) Vive ai tempi di Cesare e nei primi anni di Augusto.Storico greco scrive in 40 libri la Biblioteca storica.12. Giovanni Zonara (1080-1118) storico e scrittore ecclesiastico bizantino, autore diun’opera Epitome storica che tratta dalle Origini alla morte di Alessio Commeno.13. Cicerone (106-43 a.c.) Parla della Sardegna – sempre in termini dispregiativi – in piùopere, fra l’altro nell’orazione Pro Scauro. Diventerà la principale fonte per altri scrittori estorici che parleranno successivamente della Sardegna.14. Silio Italico (25-101 d.c.), poeta latino. La sua opera principale è il poema epico Punicain 17 libri e 12.200 versi. Tratta della 2° Guerra Punica: dall’assedio di Sagunto fino aZama. Fu lui che attribuì al poeta Ennio la morte in duello di Iosto, il figlio di Amsicora.15. Ennio (239-169 a.c.), poeta latino, autore degli Annales, poema epico in 18 libri e in30.000 versi, per la gran parte andati persi in cui celebra la Storia di Roma dalle Origini aisuoi giorni, ispirati ad entusiastica ammirazione per l’espansionismo romano tanto da essereammiratissimo da Cicerone.16. Valerio Anziate, storiografo romano vissuto nell’Età di Silla (!° secolo a.c.). Scrisse 75libri di Annales, quasi completamente perduti. Godeva già presso gli storici antichi e ancorpiù ne gode oggi presso gli storici moderni – fama di grande falsario o comunque difaciloneria, mancanza di scrupoli ed esagerazioni.17. Ettore Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, a cura diAttilio Mastino, Ilisso edizioni, Nuoro 1999.18. Barrecca, op. cit. pag.103.19. Carta-Raspi, op. cit. pag. 209.20. Bibbia (Libro dei Giudici), 1° e 2° libro di Samuele, 1° e 2° libro dei Re.21. Giustino, epitomatore delle Filippiche di Pompeo Trogo, vissuto fra la fine del secolo IIe l’inizio del secolo III. Non era romano ma visse a Roma dove compì la sua opera. Dai 44
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( E E E+EEE9E(E9E( ( ’EEU9.)T.( .6(E E ( 5E(- (EU)..0TU - .) E E- -EE50-1J Storia della Sardegna antica9 D”<<=!#>4!#B4!#$2.Il ruolo dei Romani in SardegnaY[Z,9 La Sardegna romana ( nutrite di uno spirito di fieraindipendenza politica che anche Cartagine era stata costretta a rispettare , non lasciaronomai le armi neppure quando la maggior parte delle province mediterranee erano stateinteramente pacificate.&-8*HAsoltanto-H’NDA!=B?((7((9(-9duos lados, -6’0-& ((.2’ 71Y[Z
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[Eliseo Spiga,La Sardità come utopia- note di un cospiratore, Ed. CUEC, Cagliari 2006pagine 228-229].3.Perché i romani costruiscono strade e ponti[…] “Per meglio governare quel territorio secondo le proprie logiche di dominio furonocostruite strade carrabili sui tracciati di quelle già realizzate dai Punici, che furonoampliamente collegate con nuove vie secondarie che penetravano nelle zone interne permeglio controllarle e gradualmente assoggettarle. Nei punti nevralgici che fungevano dacerniera fra i territori sottomessi e quelli ancora nelle mani dei ribelli resistenti, i Romaniinsediarono presidi nei quali stazionavano guarnigioni di soldati, a fare da argine allescorrerie di quelli che chiamavano sardi pelliti, perché interamente vestiti di pelli, nellepianure coltivate dai contadini assoggettati. Il sistema stradale che costruirono nell’Isola eracertamente funzionale al più efficiente presidio militare nel territorio per meglio difenderlodai nemici interni ed esterni e per consentire alle legioni di muoversi rapidamente per i lorointerventi, ma era utile anche per agevolare i traffici delle merci e gli scambi commerciali,oltre che per connettere i vari centri abitati tra loro, diversi dei quali presero proprioio nomedelle colonne miliarie romane, come gli odierni centri di Sestu, Quartu, Settimo, Decimo.Le eccellenti capacità ingegneristiche in loro possesso erano proficuamente impiegate perconsolidare e perpetuale il processo di spoliazione di quel territorio che una voltaconquistato doveva essere occupato in modo efficiente ed efficaci secondo le loro logichepredatorie.Infatti per meglio rendere efficiente il trasporto delle produzioni agricole da trasferire neidiversi porti per poi imbracarle sulle navi che poi avrebbero imbarcato quel bendidio nelcontinente, costruirono ponti per l’attraversamento dei fiumi, per non essere soggetti aicondizionamenti meteorologici, poiché i corsi d’acqua gonfi per piogge e alluvioni nonavevano riguardo per alcuno, nemmeno per le “nobili” esigenze della popolazione dellalupa dalle sette tette.Ecostruironoacquedotti,termeeanfiteatriemonumentiabeneficioprincipalmentedella classe dominante locale, composta ovviamente dai delegati, ora del senato oradell’imperatore, alla quale non potevano essere fatte mancare le comodità e gli agi di cuiavrebbero potuto godere in patria, posto che già ne sopportavano la lontananza per stare inuna terra ospitale, dove generalmente venivano spediti quelli che per svariati motivi nonerano più graditi nella terra d’origine, e qui esiliati.[…]**Giuseppi De Nur,Buongiorno Sardegna:da dove veniamo, Ed. La Bibliotecadell’Identità, 2013, pagine 76-77]
ultima modifica: 2021-02-28T11:15:38+01:00da
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