DINO GIACOBBE: dall’esilio negli Stati Uniti al rientro in Sardegna e alla progressiva “emarginazione”.. B

DINO GIACOBBE:

l’Esilio negli Stati Uniti. La visita di Emilio Lussu e la proposta dell’insurrezione antinazista e antifascista in Sardegna. Il ritorno nell’Isola dopo la guerra. La progressiva emarginazione.

 

-L’esilio negli Stati Uniti

Sul finire del 1938, quando per i Repubblicani spagnoli tutto è perduto e le bandiere franchiste sventolano su tutte le città spagnole, le Brigate internazionali vengono ritirate dal fronte. A gennaio del 1939 la Francia apre i confini alle migliaia  di intellettuali e antifascisti provenienti da tutto il mondo che avevano combattuto in Spagna. Ad attendere Giacobbe c’è il campo di concentramento di Argelès sur Mer, ai piedi dei Pirenei. Il governo francese infatti, precipitosamente riconosce ufficialmente la dittatura spagnola di Francisco Franco.

Ma quando, dopo oltre due mesi di internamento lo stanno trasferendo a un altro, quello di Gurs, salta giù dal treno e riesce a raggiungere Parigi, “dove era più facile mimetizzarsi agli occhi della polizia che lo braccava”, scrive la figlia Simonetta. Che prosegue: “Si rifugiò presso Lussu che lo rifocillò, lo rivestì  di abiti meno compromettenti del poncho che gli era servito durante la guerra spagnola…”27.

Siamo nella tarda primavera del 1939. In tutta l’Europa si parla già di una guerra come di una catastrofe inevitabile. Giacobbe che in Francia non ha lavoro e non può neppure soggiornare, perché gli manca il permesso di soggiorno delle autorità francesi, decide di emigrare oltre atlantico. Contro l’opinione di Lussu e degli altri amici di Giustizia e Libertà, che speravano di riuscire a chiarire la sua posizione presso le autorità francesi. Parte ai primi di settembre, proprio mentre le truppe del Terzo Reich, invadono la Polonia.”Da Bruxelles – ricorda sempre Simonetta – si recherà ad Anversa e di lì, con un lasciapassare fornitogli da compagni anarchici spagnoli, che lo attesterà cittadino cubano, si imbarcherà per gli Stati Uniti, con l’ultima nave che aveva collegato l’Europa in guerra all’America” 28.

Sbarcato a New York, starà negli Stati Uniti fin dopo la fine della Guerra. Anche qui semiclandestino, costretto a lavorare sotto falso nome a Boston, in una fabbrica di pantaloni come stiratore. “Ogni tanto ritorna a New York dove lo scultore oranese Costantino Nivola, arrivato in America per salvare la moglie dalle persecuzioni razziali fasciste, ha un’accogliente studio in un grande palazzo della Quinta Strada, ospite di un curioso mecenate miliardario. Quando Nivola lascierà lo studio Giacobbe ci andrà ad abitare lui e fonderà lì nel 1944 la prima sezione americana del Partito sardo d’azione” 29.

Agli inizi del ‘42 arriva negli Usa Lussu, rimane due settimane a New York dove incontra i maggiori rappresentanti dell’emigrazione politica italiana: da Sforza a Cianca, da Tarchiani a Garosci e Max Ascoli e qualcun altro “fra cui – scrive Lussu – Dino Giacobbe di Nuoro che risiedeva a Boston e che avevo fatto venire espressamente a New York per discutere assieme sui progetti per la Sardegna” 30.

Lo stesso Lussu ricorda ancora  prima di imbarcarmi mi fermai a Boston, per stare ancora un giorno con Dino Giacobbe, il mio amico sardo, che aveva comandato la batteria “Carlo Rosselli” alla Brigata Garibaldi in Spagna e che pur essendo ingegnere, faceva lo stiratore di calzoni in una fabbrica” 31.

 

-L’insurrezione mancata.

Ma quali sono “i progetti per la Sardegna” di cui Lussu va a discutere con Giacobbe e i maggiori rappresentanti dell’emigrazione politica italiana? Si tratta dell’ipotesi “di uno sbarco di commandos in Sardegna, capace di innescare nell’Isola, attraverso la guerriglia di montagna, un focolaio di ribellione nel Paese al regime fascista” 32.

Ecco come Lussu lo descrive nel suo libro Diplomazia clandestina.

“Siccome le risposte ufficiali da Londra chiedevano del tem­po, mi fu proposto di profittarne per fare una corsa a Gibilterra e a Malta, e vedere sul posto le possibilità reali di una collabo­razione militare contro il nazifascismo in Italia, con l’iniziativa in Sardegna, secondo i miei progetti. Io avevo delle idee chiare in proposito, per quanto sempre allo stato d’ipotesi. Attorno al movimento popolare del Partito Sardo d’Azione, creatosi dopo la prima guerra mondiale in Sardegna e che io rappresentavo, s’era creata nell’isola una situazione particolare per cui tutto l’ antifascismo si era polarizzato attorno a me che, per le vicende della guerra civile, ero il solo rappresen­tante isolano che aveva potuto conquistarvi una piena libertà d’azione. I capi del Partito Sardo d’Azione erano in gran parte ufficiali e sottufficiali con una non comune esperienza di guerra formatasi alla Brigata Sassari: erano quindi quasi tutti in grado di diventare comandanti partigiani di organizzazioni popolari locali. Io conoscevo la Sardegna per averla traversata in lungo e in largo in ogni regione. Conoscevo le sue vallate e le sue montagne e tutte le linee principali di comunicazione. Mi sembrava abbastanza facile crearvi formazioni partigiane pog­giate sui complessi montani più rilevanti, ché nell’ isola, pur non essendovi grandi montagne come in Sicilia o nell’ Appennino o nelle Alpi, vi sono sistemi di alte colline che presentano una struttura geologica analoga a quella delle alte montagne. Costituirvi delle organizzazioni partigiane autonome dagli effettivi di una compagnia o di un battaglione non mi appariva impresa temeraria. Mi sembrava che coordinare compagnie e battaglioni per azioni principali in punti d’importanza strategica sarebbe piuttosto semplice. In  questo modo si potevano disturbare permanentemente i reparti tedeschi nei loro centri e nei loro spostamenti. Pensavo che le formazioni partigiane dovessero molestare e danneggiare solo le truppe tedesche, che secondo le mie informazioni erano di due divisioni. Ero convinto che, così facendo, si sarebbero acquistate le simpatie e il favore delle truppe dell’esercito italiano che nell’isola era prevalentemente  formato da sardi. L’aspirazione autonomista era diventata generale  il fascismo ne aveva potuto arrestare lo sviluppo ma non distruggere la vitalità. Un movimento partigiano autonomista avrebbe trovato in tutto l’ antifascismo possibilità unitarie varie, poiché l’autonomia era penetrata nella coscienza popolare e non eralimitata a gruppi d’intellettuali. Con mezzi adeguati, in danari e in armi e in rifornimenti viveri, si potevano creare, a mio parere, gli effettivi partigiani di due divisioni regolari. Armi e viveri avrebbero dovuto essere assicurati con lanci aerei e con sommergibili, e io ne indicavo dettagliatamente i punti appro­priatisulla carta topografica. I reparti partigiani avrebbero potuto assicurarsi il controllo di intiere zone e dominare i passaggi obbligati lungo le principali vie di comunicazione, sempre protetti alle spalle dai gruppi montani. Con pressanti azioni di sorpresa, in punti diversi, si potevano compiere e ripetere episodi di guerriglia generale, sostenuta dal favore popolare. L’azione generale e decisiva, col concentramento di tutte le formazioni partigiane, avrebbe dovuto avvenire solo per appoggiare lo sbarco d’una spedizione alleata, cui avrebbe fatto seguito la presa del potere politico e la formazione nell’isola di un governo provvisorio nazionale che avrebbe parlato a tutta l’Italia. I collegamenti dovevano essere assicurati con collegamenti radio. Io avevo messo tutti questi progetti per iscritto in un memorandum alle autorità britanniche, di cui una copia è ancora in mio possesso, con la cancellatura di nomi e persone, che per prudenza avevo fatto quando, lo consegnai successivamente ad amici sicuri a Londra. Certo erano tutti sogni, semplicemente idee e sogni” 33.

Ma erano veramente “tutti sogni, semplicemente idee e sogni”? Il giudizio – scrive la figlia Simonetta  – è “malinconico e riduttivo”. Forse espresso “in un momento di sconforto”. Tanto che Simonetta cita una lettera dello stesso Lussu al senatore Armando Congiu (del Maggio 1968) in cui scrive:”Se il piano che proponevo al gabinetto di guerra britannico nel 1942 fosse stato accolto – e per poco s’avvicinò molto al successo – certamente io avrei provocato un movimento contadino – operaio popolare base il Psd’az ma legato a tutto il movimento operaio: contro l’occupazione tedesca, il fascismo e la monarchia. Sarebbe stata la proclamazione della Repubblica sarda, con la costituzione nel territorio sardo liberato di un governo nazionale, con obiettivi repubblicano-federalisti contro la dominazione tedesca e fascista nel resto d’Italia” 34.

Lo stesso giudizio esprime sostanzialmente anche Giacobbe, qualche anno dopo, nel 1980 che scrive :”Se Lussu avesse avuto risposte positive alle garanzie che chiedeva agli alleati, i sardi sarebbero apparsi agli occhi del mondo come un Popolo e la Sardegna come una nazione che voleva ritrovare se stessa. Quella iniziativa fallì e io, che mi trovavo in America, mi trovai nell’impossibilità di partecipare alla guerra di liberazione in Italia, questa però non ha avuto il carattere che io e Emilio Lussu, volevamo dare alla insurrezione in Sardegna e ora, credo, che per noi sardi sia l’ora di iniziare una guerra di liberazione dalla Nato” 35 .

 

-Rientro in Sardegna dagli Stati Uniti e progressiva emarginazione.

Quando, dopo 8 anni di esilio nel 1945 rientra e sbarca in Sardegna dagli Stati Uniti, gli vanno incontro il Ministro ai Lavori Pubblici e Lussu: gli propongono di fare l’Alto Commissario in Sardegna per i lavori Pubblici. Non accetterà.

Intanto nel 1948 segue Lussu nella scissione del Partito sardo e con lui  i vecchi compagni come Peppino Obino, Peppino Asquer, il “conte rosso” e una pattuglia di giovani: Anton Francesco Branca, a lungo il “delfino” di Lussu, Armando Zucca, Carlo Sanna, Francesco Milia, Filiberto Farci, e un liceale, allora sedicenne, Gianfranco Contu. Non seguiranno Lussu invece invece la gran parte dei dirigenti sardisti : Bellieni, Pietro Mastino, Titino Melis, Luigi Oggiano, Gonario Pinna, Anselmo Contu Pietro Sotgiu e lo stesso Michele Columbu, il genero di Giacobbe. Che pure era “lussiano” –è lui stesso a scriverlo – dal punto di vista della politica sociale e anche per la simpatia, l’onestà che sentivo dell’uomo, la totale partecipazione alle proprie idee, l’estrema sincerità, ma in disaccordo per quanto atteneva alla politica delle alleanze e di collaborazione con i partiti esterni. Columbu non segue dunque Lussu nella scissione, ma amareggiato e a disagio perciò che era successo, abbandona la Sardegna e si reca a Milano dove insegnerà nelle scuole medie,– con una breve parentesi a Monza – fino al 1964.

Seguirà ancora Lussu quando il cavaliere dei rossomori nel novembre del 1949 confluirà nel PSI. E con Giacobbe anche la moglie che con questo partito si candiderà anche a delle elezioni regionali. Non seguirà invece Lussu nello PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria).

Intanto ritornerà per un breve periodo a Nuoro, alla Provincia. Poi farà piccoli lavori per la cassa per il Mezzogiorno. Vieppiù emarginato e deluso, per un breve periodo, va a Roma, dove farà piccoli lavori. Avrà anche un grave incidente che lo porterà in fin di vita. Rientrato in Sardegna, a Nuoro in un terreno si costruirà una piccola casa  con studio e vive da solo: non vorrà stare dalla figlia Simonetta a Capitana.

Fa, per hobby e piacere, lo speleologo : al Bue Marino di Cala Gonone, studierà la situazione idrogeologica, esplorerà e ricostruirà i camminamenti.

E fa anche l’archeologo. E da ispettore onorario alle antichità della provincia di Nuoro, scoprirà fra Bono e Benetutti La Tomba del Labirinto, attribuita alla cultura di san Michele, (seconda metà del terzo millennio-inizio del secondo millennio), che descriverà in modo minuzioso. Si tratta dell’unico labirinto presente in Sardegna. Giacobbe il 4 luglio del 1958 segnala la prima volta la scoperta alla Sovrintendenza alle Antichità di Sassari. La farà conoscere a Lilliu che però preso dai Nuraghi – mi dice Simonetta – non gli darà molta importanza. Gli farà invece conoscere una professoressa che in seguito intesterà a sé la scoperta che era invece di Dino. Ma fa anche molte altre scoperte archeologiche.

Continuerà a interessarsi di politica, ma ormai non si riconosce più nei Partiti e nelle loro idee dominanti. “L’11 novembre 1973 a Macomer viene celebrato con due anni di ritardo il cinquantennio del più famoso Congresso dei Combattenti (8 agosto 1920). Parteciperà anche Giacobbe. Sono presenti il presidente del Consiglio regionale Felicetto Contu, lo storico Girolamo Sotgiu, Paolo Pili e altre personalità 36.

Il 16 maggio 1982 nei locali della Biblioteca Satta di Nuoro si dà vita al Movimento politico di Sardinna e Libertade che vedrà leader Angelo Caria. Vi Parteciperà Dino Giacobbe e Fabrizio De André. In quell’occasione ho avuto modo di parlargli, sia pure per pochi minuti: ho avuto l’impressione di trovarmi davanti a un gigante, non solo fisico: pur incurvato per l’età, ma soprattutto morale. Di trovarmi davanti a un vecchio cavaliere ed eroe romantico, un apostolo, un idealista. Forse anche a un “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento quando affermava che l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli. Come Dino Giacobbe.

Morirà in ospedale a Cagliari nel 1984.

 

 

Note bibliografiche

19. Antonio Roich, Storia di un capo tribù, Grafica Mediterranea. Bolotana, 2000, pagina 157.

20. Ibidem, pagina 157.

21. Manlio Brigaglia, opera citata.

22. Diplomazia clandestina, ora in Alba rossa di Joyce ed Emilio Lussu, Ed. Transeuropa, Bologna, 1991, pagina 227.

23. L’antifascismo in Sardegna a cura di Manlio Brigaglia, Francesco Manconi, Antonello Mattone e Guido Melis, Della Torre editore, Cagliari 1986, pagina 26.

24. Diplomazia clandestina, opera citata, pagina 212.

25. Antonio Roich, Storia di un capo tribù, opera citata, pagina 169.

26. Ibidem, pagina 174.

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