GRAZIA DORE : La giornalista Virginia Saba su “LA DONNA SARDA” ricostruisce la vita e l’opera della grande poetessa di Olzai

Tra pagine ingiallite la scoperta della poesia di Grazia Dore

scritto da: Virginia Saba 12 Febbraio 2015

Trovare un piccolo libro di poesie, “Giorni“, 1957. Sfogliare pagine ingiallite e scoprire liriche che aprono un varco tra ciò che è eterno e l’anima: solitudine. Così possiamo chiamare quello spazio infinito, che non è un’invenzione, ma una condizione umana, un’assenza, un vuoto, che solo Grazia Dore, donna sarda di una Olzai del ‘900, ha saputo cristallizzare con parole rigide e solitarie.                       

Poetessa, scrittrice, giornalista, attivista politica e sociale nata nel 1908 a Orune e trasferitasi subito a Olzai, qualcuno l’ha definita la Emily Dickinson italiana. Ma avrebbe tutto il diritto di stare da sola ai vertici della storia, delle donne sarde, della poesia, della politica nazionale, e senza paragone alcuno.
A Olzai divenne un punto di riferimento per i giovani che frequentavano la sua casa per ascoltarla parlare di democrazia e impegno sociale. Una scuola, da cui nacque poi l’associazione culturale che l’ex sindaco del paese della barbagia e oggi dirigente di tutti i presidi scolastici sardi, Bachisio Porru, racconta come un luogo in cui attraverso intelligenti domande e riflessioni si rompeva «il castello delle facili certezze», ovvero tutti quei concetti scontati, ideologie politiche e sociali diffuse al tempo, ma che, per questa donna, erano sempre e comunque oggetto di riflessione. Apriva le menti, Grazia, e invitava a non dare niente per scontato.

Erano gli anni sessanta, e lei portava tolleranza e rispetto per la diversità ideologica politica, religiosa e sociale in un ambiente ovviamente chiuso dagli ideali antifascisti. Persino Pier Paolo Pasolini si accorse di lei, individuando nella sua poetica religiosa l’assenza di insegnamenti o concetti da apprendere, a favore, piuttosto, del semplice lirismo. “Capacità di delirio, déreglèment, estasi o angoscia”, dirà di lei il poeta. In fondo “la squallida via apocalittica che sta percorrendo lei la stiamo percorrendo tutti”.
Era il Novecento. E lei una donna vissuta sotto l’ombra del secolo.

Figlia del deputato Francesco Dore, sorella di Peppina, giornalista, e Raffaella, esperta in pedagogia, si trasferì a Roma a nove anni. Al liceo divenne la pupilla di Alfredo Panzini, allievo di Carducci, che la pubblica nella prima pagina di una rivista, Fiera Letteraria, il 27 febbraio 1927, con un titolo indicativo: “Alfredo Panzini scompare una nuova scrittrice“. Quattro anni dopo la laurea in Belle Lettere, approfondisce la sua formazione culturale nella biblioteca vaticana e a trentacinque anni scrive la sua prima poesia, Giorni disabitati.

Maria Giacobbe, scrittrice e saggista nuorese, la ricorda come una donna schiva, quasi sdegnosa, che nonostante la sua generosità e gentilezza era estremamente severa nella critica e autocritica. “Troppo aristocratica di cultura e sentimenti, anche per cercare il rumore che quasi inevitabilmente accompagna ogni successo di critica e consenso di pubblico. La musica delle sue parole, la traslucida immediatezza delle sue immagini, mediata e decantata precisione del suo pensiero esprimono con la classicità essenziale che fu dei dei lirici greci la nostra inquietudine introspettiva di moderni insieme a quella straziante, innamorata, disperata ricerca di Dio che fu dei grandi mistici”.

Nel 1945, inizia a scrivere saggi per la rivista Ichunusa, del cugino Antonio Pigliaru, il celebre padre dell’attuale presidente della Regione Francesco, il quale ha voluto concedere gentilmente a La donna Sarda un testo inedito scritto da sua madre, Rina Fancellu, altra donna di spicco nella cultura sarda e recentemente scomparsa. Così parla della Dore.

Negli incontri con Grazia mi affascinava tutto di lei: mi raccontava, per esempio, delle sue coraggiose scelte politiche; nel ’48 si iscrisse all’UDI e al Partito comunista e per non essere privata dei sacramenti (allora vigeva la scomunica per tale scelta), lei, cattolica praticante, chiese la dispensa alla Santa Sede, con la motivazione che esprimeva la convinzione che in quel momento storico, solo la sinistra sarebbe stata capace di realizzare, per il singolo e la società, le esigenze dettate dal Cristianesimo; cioè, diceva, la società aveva necessità di questo tipo di forza politica per cambiare al meglio. (…)

E quante cose potrei ancora raccontare. Grazia mi ha insegnato il vero antifascismo (non fatto solo di affermazioni), rafforzando in me l’idea di pace e di rispetto verso tutte le diversità sia di idee sia di cultura. (…)

Nel cuore della Barbagia, durante gli anni vissuti ad Olzai, Grazia ha sicuramente insegnato ai suoi ragazzi delle medie e ai giovani che radunava intorno all’Associazione Culturale da lei fermamente voluta e che ha espresso un’attività intelligente e intensa, in particolare negli anni della sua presenza, ha insegnato, dicevo, le idee di coerenza e di democrazia, il tutto con la finezza, la forza, la fierezza ed anche con un pizzico di tristezza del suo temperamento barbaricino. (…)

Grazia non c’è più da ormai tanti anni e sinceramente mi è difficile esprimere a parole cosa è stata per me e per tutti, anche per Olzai, averla conosciuta e frequentata. Spero di essere riuscita, almeno in parte, a dare una degna testimonianza della sua figura di donna che, sorretta dalla forza della coerenza di vita e dalla sua ferma convinzione di fede, è riuscita a lasciare un patrimonio prezioso non solo al piccolo mondo olzaese.

Lo studioso e storico Francesco Casula le ha voluto dedicare un libro, una monografia in lingua sarda nella Collana dell’Alfa editrice “Omines e feminas de gabale”, oltre che un lungo capitolo nel saggio “Uomini e donne di Sardegna – Le controstorie”. L’ha accostata ad Eleonora d’Arborea, Grazia Deledda e Marianna Bussalai. «Rientrata a Olzai nel 1968 – racconta Casula – insegna nella scuola media di cui diventerà preside. Nel suo paese si batterà per salvaguardare tutto ciò che aveva un qualche interesse per la valorizzazione del patrimonio materiale e culturale del passato di Olzai. Ma soprattutto diventerà punto di riferimento per i giovani». In un lungo articolo pubblicato su Ichnusa nel mettere in rilievo i motivi auctotoni della poesia sarda insiste infatti sulla necessità di usare la lingua sarda anche per rinvigorire la cultura locale.
“Come studiosa dei problemi dell’emigrazione cui dedicherà il suo saggio più importante: “La democrazia italiana e l’emigrazione in America”, ancora oggi considerato un contributo fondamentale alla storia dell’emigrazione causata dalla mancata soluzione della “Questione meridionale” ovvero – secondo Grazia – della questione della terra e dei contadini, che anzi fu aggravata».
Ma soprattutto una poetessa, colta e raffinata, «che sullo sfondo di favolosi echi biblici, canta la condizione umana: il nostro dolore e la nostra immensa solitudine».

Grazia Dore si è spenta nel 1984 nella sua Olzai. La sua tomba si trova nel piccolo cimitero del paese accanto a quella di suo padre Francesco, noto politico e deputato, e alla sua amata sorella Raffaella.
Ad Olzai tutto sembra impossibile
e più d’ogni altra cosa un’esistenza
se riesce a manifestarsi oltre questo
massiccio cerchio di solitudine e silenzio.
Appena entrate nella nostra casa le
impressioni si rarefanno e le stesse
apparenze non sembrano che simboli
e immagini. Direi quasi che a
Olzai è possibile solo una conoscenza
poetica delle cose e persone
È puramente fantastico
Tanto che quasi finisco col dubitare
d’esserci stata mai.*
*poesia mai pubblicata

 

GRAZIA DORE : La giornalista Virginia Saba su “LA DONNA SARDA” ricostruisce la vita e l’opera della grande poetessa di Olzaiultima modifica: 2015-02-13T10:57:24+01:00da zicu1
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