Ricordando Michele Columbu a un anno dalla sua scomparsa

 

Itamicontas

 

Biblioteca di Flumini, 11 giugno 2013 ore 17.00

 

FRANCESCO CASULA RICORDA IL COMPAESANO MICHELE COLUMBU

 

L’Associazione culturale Ita mi contas per l’11 luglio prossimo (ore 17, Biblioteca di Flumini, Via Mar Ligure, 3)  organizza un Incontro per ricordare l’ollolaese Michele Columbu, a un anno esatto dalla sua scomparsa a Capitana, dove risiedeva da decenni.

 

Dopo l’introduzione del Dott. Paolo Maccioni – vice presidente di Ita mi contas – terrà la relazione il professor Francesco Casula che rievocherà la figura del leader sardista, (è stato Segretario nazionale e Presidente del PSD’Az) del parlamentare sia italiano che europeo, ma soprattutto dell’intellettuale e dello  scrittore e affabulatore ironico, raffinato e colto.

 

 

 

MICHELE COLUMBU

 

Il leader sardista, il parlamentare, l’intellettuale, lo scrittore e l’affabulatore ironico (1914-2012)

 

Michele Columbu nasce a Ollolai l’8 febbraio 1914. Dopo gli studi medi e superiori a Nuoro, frequenta l’Università di Cagliari dove si laurea in Lettere classiche. Insegna nelle scuole medie, sempre a Nuoro. Partecipa alla seconda guerra mondiale come ufficiale di cavalleria sul fronte russo.

 

Nel 1948, Emilio Lussu opera una scissione all’interno del Partito sardo d’azione, dando vita al Partito socialista sardo. Michele Columbu, sardista e “lussiano” –è  lui stesso a scriverlo – dal punto di vista della politica sociale e anche per la simpatia, l’onestà che sentivo dell’uomo, la totale partecipazione alle proprie idee, l’estrema sincerità, ma in disaccordo per quanto atteneva alla politica delle alleanze e di collaborazione con i partiti esterni, non segue Lussu nella scissione, ma amareggiato e a disagio perciò che era successo, abbandona la Sardegna e si reca a Milano dove insegnerà nelle scuole medie,– con una breve parentesi a Monza – fino al 1964.

 

Rientrato in Sardegna – è ancora lui a ricordarlo –- nel 1964-65 fa il professore a Cagliari e il Sindaco di Ollolai. Nel 1964 infatti presenta nel suo paese una lista civica sconfiggendo i democristiani. Ecco come racconta la sua doppia “professione”: Insegnando a Cagliari andavo a Ollolai alla fine della settimana…domenica facevo Consiglio…non c’erano assegni né gettone di presenza…io mi sentivo chiamare da tutte le parti «amministratore». Non potevo riparare un selciato, in dissesto e pericoloso, perché non c’era un centesimo nel comune…. E poi ci sono i disoccupati cinquanta capifamiglia e i pastori colpiti da una grande nevicata. Manda Espressi e Telegrammi agli Assessori regionali. Neppure gli rispondono. Così concepisce e attua la marcia che passerà alla storia: da Cagliari a Ollolai, a Sassari, percorrendo a piedi 500 km lungo tutta la Sardegna per chiedere lavoro e sviluppo delle zone interne e montane e per esprimere la protesta della Sardegna interna contro le condizioni di arretratezza in cui era lasciata non solo dal Governo centrale ma anche da quello regionale

 

L’iniziativa travalicherà il Tirreno: il 13 Aprile ne darà notizia il telegiornale delle Venti. Arriveranno attestati di solidarietà da tutta l’Isola, specie dal mondo agropastorale. Si svilupperà una vera e propria protesta di massa contro il fallimento dell’Autonomia. A Columbu il PCI proporrà la candidatura ma rifiuterà per dedicarsi all’organizzazione dei pastori e alla crescita del suo Partito.

 

Chiamato qualche tempo dopo al Centro regionale della programmazione come esperto dei problemi del mondo agropastorale, lascia quando nel 1972 fu eletto deputato come indipendente  nelle liste del PCI, in rappresentanza del Partito sardo d’azione, di cui diventerà segretario prima e presidente poi. Nel 1984 venne eletto parlamentare europeo nella lista Federalismo Europa dei Popoli, formata da un accordo tra il Psd’az e l’Union Valdôtaine.

 

 Ha scritto numerosi racconti (Guri e Nurilò: paesi di montagna, La strega di Gurì, La via della tanca); saggi di carattere politico (Il fischio del pastore; Lettera su Orgosolo; Contro i petrolieri; Sardità e milizia politica di Emilio Lussu; Lotte sociali, Antifascismo e autonomia in Sardegna; I veri sardi; L’autonomia vista da Milano; I veri sardisti); la raccolta di racconti L’aurora è lontana (1968) e il romanzo Senza un perché (1992), che entrerà fra i finalisti del Premio nazionale letterario Giuseppe Dessì.

 

Columbu scrive prevalentemente in italiano ma anche in lingua sarda, che padroneggia magistralmente e di cui conosce perfettamente le varianti fondamentali e persino molte varietà locali di singoli paesi. In lingua sarda ha scritto –fra gli altri- due piccoli saggi (Istados e nassiones e In chirca de una limba) e  Sardos malos a creschere, un Omaggio a Michelangelo Pira.

 

Al di là dei contenuti e della lingua utilizzata, quello che emerge dalle opere di Columbu, che amava ironicamente definirsi un pastore per pura combinazione laureato, è uno scrittore raffinato e colto, con un linguaggio carico di deflagrazioni umoristiche e dalle grandi capacità allusive, impregnato di immagini ardite, di metafore, di parabole, di simboli e di proverbi.

Muore a Cagliari il 10 luglio 2012. 

 

Presentazione del testo [tratto da Senza un perché, di Michele Columbu, AM&D Edizioni, Cagliari 1992, pagine 13-16].

Il romanzo consta di trentatre capitoli con il primo che funge da prologo. Narra la vicenda di tre personaggi, il pastore Zigàr, il terribile Zigàr, il suo giovane aiutante Miél e il vagabondo Marco, figlio dell’arcobaleno, l’intellettuale. Insieme a loro Zio Ame, un vecchio che racconta storie incredibili e che indicherà la strada del tesoro; Braus un porcaro che ha paura del bosco; Chirielle di Orthule, un avaro, che sfrutta i poveri e non li paga; Rosa l’indovina, che vede e predice a Zigar una montagna d’oro – che appare nel capitolo che si riporta – e tanti altri minori.

 

I tre protagonisti, Zigàr, Miél e Marco, in un singolare viaggio, caricati sull’asino Nuovoloso  coperte, prosciutti, formaggi, galletta in abbondanza, una grossa zucca di acquavite, due lampade a carburo, gli attrezzi da lavoro, muovono alla ricerca di improbabili tesori perduti, negli spazi infiniti di un immaginario e mitico continente, indefinito ma comunque mediterraneo. Fanno da sfondo alla favolosa caccia al tesoro – de un’aschisorju, in lingua sarda – anfratti e cavernette naturali, crepacci e dirupi, cespugli inaccessibili, rocce e sorgenti, aspri sentieri, costoni e burroni, fitti boschi, con i suoi odori e con i suoi colori, ammantati di incantesimi maligni, animali fantastici dal soffio mortale (come il cortone), montagne di aspra e selvaggia bellezza, altopiani sconfinati e valli di bianco e quasi etereo calcare, con nomi inusuali e fantastici: Garuele, Moscamakè, Moscamè, Marolanche, Tralignos, Mirisones, Checotha Gatharin, Buscabusa, Tragatraga. Che danno vita a descrizioni incantate, con veri e propri lacerti lirici: Cento usignoli invisibili si erano dati convegno in quel luogo fresco e invitante. E si scambiavano proposte di veri solfeggi. Rigogliosi ciuffi di giunchi e di menta ospitavano sciami di farfalline azzurre; sugli alti cardi fioriti brillavano cantaridi verdi e giallo oro.

 

“La caccia – scrive Giuseppe Corongiu in una bella recensione – si trasforma ben presto in una inchiesta shakespeariana che rivela gli eterni dubbi sull’esistenza umana. Il tesoro è custodito da mostri che possono arrecare all’umanità il Sommo Bene o il Sommo Male. Ma qual’é il vero bene per l’uomo? Un miracolo che smetta di farlo soffrire ma allo stesso tempo intorpidisca la sua coscienza? Che gli tolga ogni desiderio? Columbu come Sartre spiega che l’uomo ha dentro di sé il bene e il male in un abbraccio inestricabile. La panacea che potrà sbrogliare questa matassa forse non è una ricetta consigliabile”. 

 

Giudizio critico

Secondo Natalino Piras “Senza un perché è romanzo di viaggio e appartiene per questo a uno dei più classici filoni della narrativa: Gulliver, Robinson Crusoe, Tristram Shandy ma anche Ulysses, La Commedia, Il Morgante ma anche e soprattutto Don Chisciotte […].

E così, come per i classici romanzi di viaggio (pensate a un classico dei classici: l’Odissea) è importante l’epilogo. Ma più importanti per il lettore, sono le avventure e le traversie, il sole e il buio, la notte e il giorno, lungo l’arco che collega l’inizio a quello che in gergo si chiama l’agnizione, lo svelamento, la fine totale (prima di riprendere) o provvisoria.

 

Tutto questo per dire quanto sia abile narratore Michele Columbu, della sua capacità riconosciuta, acquisita a uno specifico della letteratura, di trasporre in scrittura la fabula, la trama favolistica de sos contos”.

 

[Natalino Piras, Michele affabulator maximus, Ichnusa, rivista della Sardegna, anno 11, n.23, Nuova serie, Marzo 1992-Febbraio 1993].

 

Mentre sulla “scrittura” di Columbu, Antonangelo Liori osserva “Lo stile si colloca a metà strada tra il comte philosofique tanto caro a Italo Calvino e il Don Chisciotte di Miguel Cervantes.La scrittura è semplice, essenziale, senza fronzoli, priva di neologismi e termini stranieri. Si procede avanti spediti nella narrazione mitica, interrotta ogni tanto da un sussulto di ironia. Ogni incanto viene scosso da un’immagine grottesca che fa ridere, sorridere e al tempo stesso sussultare”.

 

[Antonangelo Liori, “Senza un perché”, una fiaba surreale di Michele Columbu, L’Unione Sarda, 27-8-1992].

ANALIZZARE

Qualche critico – penso ad Antonangelo Liori e a Giuseppe Corongiu – ha avanzato l’ipotesi che i tre personaggi principali al centro del’universo narrativo di Senza un perché :Zigàr, mandriano esistenzialista metà cow boy e metà filosofo; Miel l’eterno adolescente, compagno di Zigàr, curioso di ciò che accade, avido di conoscenza e pronto a seguire il suo amico in capo al mondo; Marco, personaggio complesso e composito, spuntato dall’arcobaleno e depositario della sapienza millenaria dell’umanità, siano tre uomini distinti ma nel contempo rappresentino le tre facce dell’Autore, ovvero la manifestazione, l’epifania trivalente della sua ricca, poliedrica e multiforme personalità. Così Zigàr sarebbe Michele Columbu uomo politico, incarnante i sudati territori contadini; Marco, Columbu intellettuale, espressione delle cittadelle culturali e Miél, Columbu eterno adolescente, sempre disincantato e curioso, anzi, caratterizzato da un’insaziabile curiosità.

 

Il romanzo, in un intreccio prima cadenzato poi rapido e avvincente, è scritto in una lingua italiana nitida e rarefatta ma con forti cadenze sarde quando viene utilizzata da qualche personaggio (come per esempio Zigàr), che Columbu sa mutuare  sia pure con grande originalità – dalla cultura tradizionale sarda e dalla oralità.

 

Da esso – come del resto anche dagli altri scritti di Columbu – emerge soprattutto il suo distacco e la sua saggezza, il suo moderato ottimismo, mai vacuo però e anzi temperato da un alone di scetticismo e di dubbio; l’occhio sorridente e arguto, mai cattivo né arcigno, che spesso si fa ustorio ma che preferisce sempre l’ironia all’indignazione e all’invettiva; lo sberleffo satirico all’aggressione verbale; la canzonatura e il motteggio – quasi sottovoce allo sbraitare e alzare la voce con berci e urla. Egli è evidentemente convinto che la messa in ridicolo frusti e tagli più netto e con più energia del “serioso”o dello sparare a mitraglia. In una favola impastata di inganni e sortilegi, misteri e sogni. In cui si alternano, di volta in volta, la malinconia, l’amarezza e la nostalgia, la speranza e la dolcezza. Ma in cui a prevalere è la saggezza e un altissimo senso della moralità, ben riassunti ed esemplificati da questi due aforismi:Tristi e senza speranza  vivono gli oppressi che hanno dimenticato persino la leggenda della propria libertà e Un uomo, in qualunque luogo passi, ha il dovere di lasciare un segno di solidarietà e di amicizia.

 

 

 

Ricordando Michele Columbu a un anno dalla sua scomparsaultima modifica: 2013-07-09T07:04:29+02:00da zicu1
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