Fra Antonio Maria da Esterzili

Università della Terza Età di Quartu 10° Lezione 13-3-2013

di Francesco Casula

FRA ANTONIO MARIA DA ESTERZILI

Il fondatore della sacra rappresentazione in Sardegna (1664-1727)

Tutto ciò che sappiamo dell’autore lo ricaviamo da una annotazione contenuta nel registro dei frati Cappuccini della Provincia di Cagliari, conservato presso l’Archivio della Curia provinciale dei Cappuccini di Cagliari (vol. II, 1695-1802). Da essa risulta che  era presente nel Convento di Sanluri (Cagliari) nel Novembre del 1668 e che morì all’età di 82 anni, il 26 Aprile 1727, dopo averne trascorso 57 di vita religiosa.

Dobbiamo dunque dedurre che nasce nel 1644 e a Esterzili, sulla base della consuetudine vigente soprattutto negli ordini religiosi, secondo i quali quando si entrava in una Congregazione, i novizi abbandonavano il nome secolare e se ne assumevano un altro di devozione, in onore di qualche santo, seguito generalmente dal nome del paese di origine, in questo caso appunto Esterzili.

Da alcuni accenni nelle cronache dell’Ordine dei Cappuccini si desume inoltre che trascorse un periodo della sua vita a Iglesias e che certamente visse anche a Cagliari. Non è improbabile tuttavia –scrive Sergio Bullegas uno dei massimi studiosi di Fra Antonio – che sia stata fatta sparire di proposito ogni traccia del suo cognome secolare e della sua biografia a causa di alcuni fatti imprecisati e incresciosi in cui fu coinvolto. Si parla infatti –nel Registro dei Cappuccini cui si è già fatto cenno- che egli si rese colpevole di seduzione di un crimine turpissimo.

Di qui la dimenticanza, per secoli, dell’Autore e delle sue opere. Solo nel secolo XIX si inizierà a parlare di lui, grazie a Giovanni Siotto Pintor, storico e letterato sardo, che ne scriverà nella sua Storia letteraria di Sardegna (vol.IV), ma tratto in inganno dal frontespizio del manoscritto, cadde in un grossolano errore affermando che si trattava di opere in spagnolo. Nel frontespizio in alto del manoscritto –che si trova attualmente presso la Biblioteca universitaria di Cagliari- è infatti scritto in castigliano, con grossi caratteri: “Libro de Comedias escripto por Fray Antonio Maria de Estercyly sacerdote capuchino en Sellury 9bre a 18 año 1688” (Libro di Commedie scritto da Fra Antonio Maria di Esterzili, sacerdote cappuccino in Sanluri il 18 Novembre 1668).

In  realtà le sue “Comedias” (Commedie, drammi) contenute nel manoscritto sono scritte in lingua sarda-campidanese con le didascalie in castigliano, la lingua dominante e ufficiale dell’epoca, in Sardegna.

Il manoscritto che conserviamo contiene: La Natività, La Passione, La Deposizione, più 550 versi, prevalentemente ottonari ed endecassillabi, strutturati in quartine e ottave, intitolati Versos que se rapresentan el Dia de la Resurrection (Versi che rappresentano il giorno della Resurrezione). Vi è inoltre un frammento, costituito dal Prologo e dall’incipit del primo atto di un’altra rappresentazione intitolata Comedia grande sobre la Assumption de la virgen Maria señora nuestra als çielos (Grande commedia sull’Assunzione di Maria vergine nostra Signora nei cieli).

A questo punto il manoscritto si interrompe –quasi fosse stato smembrato -scrive ancora Sergio Bullegas- e seguono Excomunicationes in diae coenae Domini, (Scomuniche nel giorno della cena del Signore) un compendio di disposizioni ecclesiastiche e canoniche, aggiunte probabilmente durante la rilegatura ottenuta con l’uso della pergamena.

Di tutte le opere di Fra Antonio Maria, contenute nel manoscritto, è stata edita solo la Passione, nel 1959.

 

PROLOGU

 

Morti morti morti,

morti naru e1 morti dura

mi pronosticat custa notti

terribili e tantu oscura2.

 

O’ notti traballosa o’ notti oscura2,

notti tempestosa notti de ierru3;

notti qui fais trèmiri de paura,

su xelu, terra, mari cun su inferru

 

notti chi isbandis sa luxi clara e pura,

e dogna4 gustu mandas in desterru;

notti chi cuddas luxis de su xelu

fais coberri de nieddu velu5.

 

O notti de prantu

Notti chi nos fais ispantari,

attònitus po ‘di pensari

e prenus tottu de ispantu;

 

Notti chi as fattu oscura6 sa bellesa

e condennas a tortu sa innocenzia7;

sa dignidadi rèstada vilipesa8

e reputàda in vanu sa sapienzia9;

 

àndada gettada per terra sa altesa

e fais occultari sa iscienzia10.

Su infinitu fais finitu, e temporali

su sempiternu, e morri su immortali.

[…]

 

 

Traduzione (di Sergio Bullegas, autore del testo “La Spagna, il teatro e la Sardegna, che si riporta sopra).

(Morte, morte morte/morte dico e morte dura/mi pronostica questa notte/tremenda e tanto oscura.)

(O notte travagliata o notte oscura,/notte tempestosa notte d’inverno;/notte che fai tremare di paura/cielo e terra e mare con l’inferno:/notte che scacci la luna chiara e pura,/e mandi in esilio ogni piacere;/notte che le belle luci del cielo/fai ricoprire di un oscuro velo.)

(O notte di pianto/notte che ci rendi sbigottiti,/solo al tuo pensiero siamo sconvolti/e pieni di terrore stupefatto;)

(O notte che hai oscurato la bellezza/e condanni a torto l’innocenza;/per te la dignità resta vilipesa,/superflua è reputata la sapienza;/ed è fatta crollare l’altezza,/Notte tu fai svanir la scienza./L’infinito rendi finito e temporale/il sempiterno, e fai morir l’immortale.)

 

Lettura [Testo con traduzione tratto da Il teatro in Sardegna fra Cinque e Seicento, Sergio Bullegas, Edizioni EDES, Cagliari 1976, pag.136-137]

 

Non bollu prus conçolu de  su prantu

cun prantu apa a’ passari custa dij

populu miu caru nara mi

si in su mundu ses bidu tali ispantu

 

Non fusti tui malu fillu miu

pa daridi una morti tanti dura

o maladicha mia sorti e bintura

biendudi in su modu qui imo ti biu.

 

Portademi una luxi pro mirari

custu qui fuit biancu prus que lillu

ca apenas iddu conoxu si mest fillu

po qui certa e segura potza istari.

 

Ahora S. Juan lleva una candela

encendida y la Virgen reconoce al

Chrisro y dize 

 

Fillu su prus formosu y agraziadu

su prus bellu de cantu inda naxidu

apenas de mamma tua ses conoxidu

cas ses prenu se sanguini e istiguradu.

 

Biancu e’ rubicundu fusti tui

Brundu qui oru fini fusti tui certu

Su corpus tanti bellu hoy es cobertu

De una tenebrosa y obscura nuy.

 

Vida e discansu miu de beche­sa

jay qui mortu a’ ty tor­radu imanti

fuedda a’ mama tua fillu amanti

nara a’ undi esti andada sa belleza.

 

Sa cara tua jucunda de ale­gria

nara su coru miu a’ undi est andada

fuedda a’ mama tua isconsolada

mira ca pen­çu morri de agonia.

 

Undest sa cara tua brunda que oru

is trempas coloradas qui arrosa

undest sa cara tua graziosa

sendu tottu istracha­da in costu modu.

 

Is ogus luminosus as serradu

aberiddus ti pregu e’ mirami

fillu su coru miu conçolami

po su lati qui deu ti apu dadu.

 

Ixida su coru miu si ses dor­midu

no ses dormidu ma pe­rò ses mortu

comenti in cu­sta dy tenju aconortu

candu de conca a’ peis idi miru. […]

 

 

Traduzione

Non voglio più consolazione dal pianto:

con pianto passerò questo giorno;

popolo mio caro dimmi

se nel mondo si è vista tale mostruosità.

 

Non fosti tu cattivo figlio mio,

per darti una morte tanto dura.

O sfortunata mia sorte e ventura

Vedendoti nello stato in cui ora ti vedo.

 

Portatemi una luce per mirare

Questi che fu bianco più che giglio

che appena lo conosco se mi è figlio

perché certa e sicura possa stare.

 

Ora San Giovanni solleva una candela

accesa e la Vergine riconosce Cristo e dice

 

Figlio il più formoso e aggraziato

il più bello di quanti sono nati;

appena da mamma tu sei conosciuto

perché sei pieno di sangue e sfigurato.

 

 

Bianco e vermiglio fosti tu,

biondo che oro fino fosti tu certo

il corpo tanto bello oggi è coperto

da una tenebrosa e oscura nuvola.

 

Vita e sostegno mio di vec­chiaia,

già che morto te rida­to mi hanno,

parla a mamma tua, figlio amante:

dì dov’è andata la bellezza.

 

Il viso tuo giocondo di alle­gria

dì, cuore mio, dov’è an­dato.

Parla a mamma tua sconsolata,

guarda che penso di morire d’agonia.

 

Dove sono i capelli tuoi biondi che l’oro,

le guance colorate che la rosa,

dov’è la faccia tua graziosa

essendo tutta straziata in questo modo.

 

Gli occhi luminosi hai chiuso;

aprìli, ti prego, e guardami:

figlio il cuore mio consola­mi

per il latte che io ti ho dato.

 

Svegliati cuore mio, se sei ad­dormentato:

non sei addor­mentato ma sei morto;

come in questo giorno riesco a ras­segnarmi

quando da testa a piedi ti contemplo. […]

 

(Tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna, vol. I di Francesco Casula, Grafica del Parteolla Editore, Dolianova, 2011, pagine 70-76.

Fra Antonio Maria da Esterziliultima modifica: 2013-03-11T19:01:00+01:00da zicu1
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