Corso di Letteratura e poesia sarda tenuto all’Università della Terza Età di Quartu da
Francesco CASULA
Lezione 14° Quartu 8-2-2012
BENVENUTO LOBINA.
Il poeta e il romanziere bilingue che ha nobilitato la lingua sarda.(1914-1993)
Nasce nel Gennaio del 1914 a Villanovatulo (Ca) un villaggio di 1100 abitanti, nel Sarcidano. Nel 1932 è a Cagliari dove lavora alle Poste. Precocissimo poeta in lingua italiana, scopre il Futurismo, che in Sardegna arrivò solo allora. E’ tra i fondatori del gruppo futurista che faceva capo all’architetto Ettore Paccagnini. Le sue poesie in quel tempo vengono pubblicate sulla rivista Futurismo, diretta da Mino Somenzi.
Si arruola volontario in Abissinia. Gli otto anni di vita militare, dalla Guerra d’Etiopia alla Seconda guerra mondiale, rappresentano per lui un periodo di esperienze intense e fondamentali: fra l’altro abbandona il Fascismo. A questo proposito dirà in una lezione tenuta il 17 Dicembre 1990 all’Università di Cagliari: L’Amba Alagi l’hanno presa con i gas, perché quelli sarebbero stati in grado di difendersi rotolando massi dalla cima delle montagne e allora li hanno snidati con l’iprite: vedere questi poveretti ai lati della strada con le carni lacerate dal gas, senza cure, senza niente. Lì ho chiuso con il Fascismo…
Insieme – dirà lui stesso – quelli furono anni di buio poetico durato fino agli anni cinquanta quando, leggendo le pagine della rivista di letteratura sarda S’Ischiglia, diretta e pubblicata a Cagliari da Angelo Dettori, si convinse che il suo mondo poetico poteva trovare un’espressione più propria e consona nel sardo-campidanese del suo paese, Villanovatulo, di cui scopre le grandi possibilità espressive.
Intanto dopo la guerra si stabilisce a Sassari e continua a lavorare alle Poste. La terza pagina – dedicata alla Cultura – del Quotidiano di Sassari, La Nuova Sardegna, comincia a ospitare le sue poesie. Ma è soprattutto il Premio di Ozieri a fornirgli un riscontro critico oltre che una palestra e un pubblico. Nel 1964 vince tale premio di poesia sarda, il più prestigioso – ancora oggi – in tutta la Sardegna. Da quell’anno ottiene altri premi in manifestazioni nazionali dedicati alle lingue delle minoranze. Molto significativo è il Premio nazionale Città di Lanciano che ottiene nel 1974 con la sua raccolta di poesie Terra,disisperada terra, in cui – scrive Leonardo Sole – dietro una straordinaria semplicità strutturale, nasconde una visione profonda e complessa della natura umana e dà tono epico e sapore di vita al suo dolente racconto di morte .
Nel 1978 vince il premio Rettore Diego Mele di Olzai con la poesia satirica Cuaddeddu, cuaddeddu, (Cavallino, cavallino). Era il periodo della colonizzazione petrolchimica – scrive Salvatore Tola – cui i versi satirici ritmati di Cuaddeddu, cuaddeddu sono dedicati… Benvenuto immaginava che un suo nonno, richiamato in vita da un terribile puzzo di sostanze chimiche decidesse di saltare a cavallo per andare a Cagliari a fare giustizia di tutti coloro che avevano favorito quello scempio economico e umano..
L’opera però che gli ha dato maggiore notorietà è il romanzo in sardo, con traduzione italiana a fronte, – o meglio, come sostiene Nicola Tanda, riscritto in Italiano – Po cantu Biddanoa, (Per quanto Villanova), in due volumi, pubblicato nel 1987.
Lobina stesso ammette di essere stato influenzato, nella scrittura del romanzo, dalla tradizione ispano-americana, ad iniziare da Marquez, Borges, Vargas Llosa, Juan Rulfo. Di questa tradizione inoltre tradurrà direttamente nel suo sardo-campidanese poeti (da Nicolas Guillen a Octavio Paz, a Cesare Vallejo) e narratori (Juan Rulfo, l’autore del capolavoro Pedro Paramo, il suo prosatore preferito che ha modo di conoscere e frequentare).
Nel 1992 verranno pubblicate alcune sue poesie nella silloge Is Canzonis.
Muore il 29 Dicembre del 1993. Nel 2000 vengono pubblicati postumi, alcuni suoi Racconti bilingui (in Sardo e in Italiano).
CUADDEDDU, CUADDEDDU
Nebodeddu cantatori,
nebodeddu meda abbistu,
ti ddu paghit Gesu Cristu,
in salludi e in liori
po mi dd’ai spiegau,
nebodeddu car’’nonnu,
poita, apust’ ’e custu sonnu
chi xent’annus è durau,
iscidau mind’ad custu
malladittu fragu mallu
chi si furriat su callu
in gennarxu e in austu.
I atras cosas a muntonis,
nebodeddu, m’as cantau
chi su coru m’ant’unfrau
su xrobeddu e is callonis.
E immoi lassamì stai
no mi neristi pru’ nudda
ma asta a biri ca ’n sa udda
ci ddus appa a fai entrai.
I mi bastat su chi sciu,
ma una cosa ti dimandu
donamidda e i minn’andu
bollu su cuaddu miu.
Cuaddeddu, cuaddeddu,
curri senz’ ’e ti firmai
ca depeus arrivai
in tres oras a Casteddu.
A Casteddu ad pinnigau
gent’ ’i onnia manera:
sa pillandra furistera
su furoni, s’abogau.
Pinnigau ad gent’ ’e trassas
spilligambas e dottoris,
deputaus traittoris,
munzennoris e bagassas.
I a tottu custa genti
dd’anti posta a comandai
e po paga ant’a pigai
s’arretrangh’ ’e su molenti.
Frimadì: Santu Francau,
cuaddeddu, si bid giai.
Su chi seu andendi a fai
non ti dd’appu ancora nau..
Scurta: a fai un’abisitta
a is chi anti fattu troga
seu annundu cun sa soga
e i sa leppa in sa berritta.
Su chi primu appa a cassai
cun sa bella cambarada,
cuaddeddu, è su chi nada
ca ad donau a traballai
a su popullu famiu
in Sarroccu e in Portuturri
e chi si pònidi a curri
faid mort’’e pibizziu.
Poita ad crup’ ’e cuddu fragu
chi mind’ ad fattu scidai
prima dd’appu a istrumpai
e apustisi ddu cagu.
Sigomenti anch’è parenti
de i cuddu imbrollioni
chi ad redusiu a carboni
sa foresta e i su padenti,
ci ddu portu a unu logu
pren’ ’e spina, sperrumau
i ddu lassu accappiau
i agoa ddi pongiu fogu.
No a’ biu, cuaddeddu,
cantu montis abruxaus,
cantu spina in is cungiaus
a infora de Casteddu?
Anti venas i arrius
alluau tottu impari
alluau anti su mari
e is tanas e is nius.
Bidda’ mes’abbandonadas
a i’ beccius mesu bius
a su prant’ ’e is pippius
a pobiddas annugiadas.
Oh, sa mellu gioventudi
sprazzinada in mesi mundu
scarescendu ballu tundu
scarescendu su chi fudi.
Cuaddeddu, sigomenti
de su dannu chi eu’ biu
e di aturus chi sciu
tenid curpa meda genti,
a accantu si pinniganta
i mi bollu accostai
e i ddus appa a ispettai
asta a biri chi no triganta.
Ddusu bisi: allepuccius
a ingiri’ ’e sa mesa
faccis prena’ de malesa
omineddus abramius.
Ma appenas a bessiri
nd’ant ’e s’enna ’e s’apposentu
donniunu ad essi tentu
e tandu eus a arriri.
O su meri chi scurtai
su chi nada unu cuaddu
oi ollidi – e chi faddu
gei m’ada a perdonai –
i ddi nau ca cussa genti
pinnigada in su corrazzu
non cumanda d’unu cazzu
funti conca’ de mollenti.
Chi cumandada est’attesu
custus funti srebidoris
mancai sianta dottoris
funti genti senz’ ’e pesu.
Fueddendu in cudda cosa
no adi intendiu fustei
nendu “yes” e nendu “okei”
cun sa oxi pibiosa?
Bruttu strunzu, arrogh’ ’e merda,
cussa conca in d’unu saccu
illuegu ticci zaccu
ti dda scudu a una perda.
De is cosa’ de sa genti,
o cuaddu manniosu,
maccu, zoppu i arrungiosu
no as cumprendiu niente.
No as cumprendiu, po nai,
chi su bruttu fragu mallu
chi ddis furriad su callu
ndiddus podisi scidai?
E a candu tottu impari,
meris, predis, srebidoris,
ciacciarronis, traittoris,
ci ddus anta a iscudi a mari?
Su srobeddu dd’asi in brenti
Tprrù, cuaddu, tprrù, mollenti.
Traduzione*
CAVALLINO CAVALLINO
Nipotino cantatore,
nipotino molto sveglio,
ti ripaghi Gesù Cristo
in salute e buon raccolti
per avermelo spiegato,
nipotino caro al nonno,
perché dopo questo sonno
che durato è per cent’anni
a questo m’hai svegliato
maledetto brutto odore
che lo stomaco rivolta
da gennaio a tutto agosto.
Ed altre cose tu a iosa,
nipotino, mi hai cantato
che il cuore m’ha gonfiato
il cervello coi coglioni.
Ed ora lasciami stare
e non dirmi proprio niente
ma vedrai che in quel posto
li farò di certo entrare.
E mi basta ciò che so,
ma una cosa ti domando
dalla al nonno e me ne vado
voglio solo il mio cavallo.
Cavallino, cavallino,
corri senza mai fermarti
che dobbiamo noi arrivare
fino a Cagliari in tre ore.
A Cagliari è radunata
tanta gente, d’ogni risma:
la pigrizia forestiera,
il predone, l’avvocato.
Ha raccolto gli imbroglioni
parassiti con dottori
deputati traditori
monsignori con puttane.
Tutta quanta questa gentaglia
messa l’hanno a comandare
e per paga prenderanno
la gran verga del somaro.
Fermati: San Pancrazio,
cavallino, già si vede.
Ciò che vado a fare io
ancora non t’ho detto.
Ascolta: a fare una visita
a color che han fatto intrighi
sto andando con una fune
e il coltello nel cappello.
Quel che prenderò per primo
con la bella camarilla,
cavallino, è quel che afferma
d’aver dato occupazione
ad un popolo affamato
a Sarroch, a Portotorres
e se tenta di scappare
la morte fa della locusta,
perché ha colpa dell’odore
che m’ha fatto risvegliare.
Prima a terra io lo butto
e gli cago dopo sopra.
E siccome egli è parente
del grandissimo imbroglione
che ha ridotto tutt’a carbone
la foresta con il bosco,
lo porto in un certo posto
tutto spine con burroni
e lo lascio ben legato
e gli appicco dopo il fuoco.
Non hai visto, cavallino,
quanti monti son bruciati
quante spine nei terreni
di Cagliari poco fuori.
Han le vene ed i torrenti
inquinato tutti assieme
inquinato hanno il mare
e le tane con i nidi.
I paesi abbandonati
ai vecchi semivivi
al pianto dei bambini
alle mogli rattristate.
Oh, la miglior gioventù
sparpagliata in mezzo mondo
mentre scorda il ballo tondo
scordando ciò che fu.
Cavallino, dal momento
del danno che abbiam visto
di tant’altri che so io
ha la colpa molta gente
là dove fan riunione
io mi voglio avvicinare
e lì fermo ad aspettare
e vedrai non tarderanno.
Li vedi: belli e attillati
tutti intorno ad una tavola
facce piene di malizia
omuncoli insaziabili.
Ma appena usciranno
dalla porta della sala
ciascun sarà bruciato
ed allora rideremo.
O padrone, se ascoltare
le parole di un cavallo
oggi vuole – e se sbaglio
mi perdonerà di certo –
le dico che quella gente
ch’è rinchiusa in quel recinto
non comanda manco un cazzo
ha la testa d’un somaro.
Chi comanda è ben lontano
sono questi servitori
benché siano dei dottori
sono gente senza peso,
parlando in quella cosa (lingua)
e non ha sentito lei
dicendo “yes”, dicendo “okey”
con la voce lamentosa?
Brutto stronzo, merdaccione,
quella testa dentro un sacco
presto presto scaravento
te la sbatto contro un sasso.
Delle cose della gente,
o cavallo pien di spocchia,
matto, zoppo e pur rognoso
non hai mai capito niente.
Per dir non hai capito
che l’odore puzzolente
che lo stomaco rivolta
li potrebbe anche svegliare?
E quando essi tutti assieme,
padroni, preti ed i servi
ciarlatani e traditori
butteranno tutti a mare?
Il cervello l’hai nel ventre
su, cavallo, su somaro.
*la traduzione è dello scrittore Francesco Carlini