Premio di poesia “Iglesias”

Sabato 23 Ottobre alle ore 17, presso la Sala Lepori, Via Isonzo (fronte Istituto Minerario) a Iglesias ci saranno le premiazioni del Concorso di Poesia “Città di Iglesias” e del Concorso di Fotografia.

Ecco l’intervento che farò, in quanto membro della Giuria

Cos’è la poesia?

di Francesco Casula

Donne e uomini, sempre più numerosi, scrivono poesie. Perchè?.

Cesare Pavese riteneva che la letteratura fosse “una difesa contro le offese della vita”; Ludwig Andreas Feuerbach, il grande filosofo tedesco ha scritto che “la parola fa l’uomo libero”. Altri critici e altri scrittori hanno sostenuto che la poesia e la scrittura in genere non si limita a registrare la realtà ma cerca di superarla, non si limita a “fotografare” gli errori ma li denuncia, li punisce, li colpisce. Altri ancora ritengono che mira a “vendicare i vinti” (Shakespeare), “ma non convinti” aggiungerebbe il nostro più grande poeta etnico, Cicitu Masala, vinti che sono i “simboli dell’umana liberazione” ha scritto Elio Vittorini.

Il grande poeta italiano Franco Fortini ha invece scritto che “La poesia non cambia nulla. Nulla è certo, Ma tu scrivi”. Per Raimondo Manelli –sostanzialmente sulla stessa linea di Fortini- la poesia è uno strumento necessario e utile proprio per la sua inutilità: uno spazio di libertà che consente di immaginare mondi diversi da quello insoddisfacente, quotidiano, ingiusto e massificato in cui si vive.

Sono d’accordo con Fortini e Manelli. Occorre scrivere anche se la poesia è “inutile” e non cambia nulla. Anche se la poesia non ha fini allotri: ovvero finalità altre rispetto alla poesia stessa e alla scrittura.

L’uomo infatti ha un bisogno, una necessità, quasi fisica e fisiologica della scrittura, così come l’ipoglicemico sente la necessità di prendere gli zuccheri. In questo modo la poesia assume un valore catartico, di liberazione o, se vogliamo, terapeutico. Scrivere infatti  significa parlare a se stessi parlando ad altri, parlare di altri per parlare a se stessi: è voce del profondo che esplode – in genere non urla, anzi è sommessa – e si configura come un mosaico di tasselli, a volte brillanti e puliti come un cielo di Agosto, a volte grigi e oscuri come profonde notti d’inverno.

Tra il chiaro e il buio s’impone, prorompente, l’impeto imperioso di esprimersi e di riconoscersi, oscillando continuamente tra l’ansia e il tormento esistenziale e una luce che sa di tenerezza e di vita, acchetata in cerca di lidi più tranquilli e meno tempestosi.

Così la nostra anima vibra e si innalza, cantando valori alti come l’amore, la libertà, la fratellanza, la solidarietà e persino l’azione o affronta i lidi dolceamari della malinconia e della nostalgia o quelli più angoscianti e dolenti, dell’affanno e della sofferenza, ma soprattutto della solitudine, causata dalla condizione di mortale fragilità.

Questo destino può accendere nel poeta la ribellione, o suscitare lo sdegno e persino la disperazione; più spesso però si sofferma sull’orlo dell’abisso e del baratro, per salvarsi e recuperare la sorte umana in una dimensione più genuina e più veritiera: di speranza nel domani.

In genere il poeta non rifiuta l’esistenza né si attarda a rimpiangere le occasioni mancate né si consuma a ringhiottire il pianto. E il passato non lo vede solo come gravame né il futuro come semplice negatività spettrale.

Non si addice infatti il pianto dirotto e tanto meno la disperazione totale a chi comunque crede nei valori della vita pur faticosa e senza illusioni e non dismette la speranza in un  diverso avvenire, che possa avere un senso per farci sorridere, che possa travalicare lo scempio globale.

Le speranze in cui tuffarci e le delusioni da spegnere così ci avvolgono e si intrecciano così profondamente che a stento riusciresti a intuire dove finiscono le une e dove iniziano le altre.

E’ questa del resto la faccia migliore di quell’eterno gioco che fa della poesia un’arte, ma anche e forse di più: un eterno bisogno di dire per ri-sentirsi, in cui vivo e palpabile viene a materializzarsi l’esterno di un intimo sconosciuto e nuovo forse anche a chi ne scrive e ne fa forma di vita.

E i poeti scrivono di quest’intimo sconosciuto in una versificazione ora libera ora in rima, ora in forme classiche, armoniose, ben tornite, ora in forme martellanti, frantumate e saettanti -che forse meglio rappresentano il dramma della donna e dell’uomo moderno, con i suoi dubbi e le sue incertezze, le sue ansie e il suo scetticismo-; ora con brevi, brevissimi e scheletrici componimenti e lacerti lirici, distesi in versi minuti che, nel giro di poche frasi e di scarne parole, riescono a catturare un’immagine, una sensazione, un pensiero, una riflessione sulle vicende umane ed esistenziali; ora con forme più distese, più compiute e articolate. In ambedue le scritture fanno ressa nel circuito compositivo, silenzi e pause, onomatopee e cromatismi, ripetizioni insistite e fonie, ritmi e assonanze, contrazioni sintattiche e sinfonismi, metafore – in genere abbondantissime – e brachilogie.

C’è la poesia nuova, senza maestri né modelli, con cui si privilegiano le innovazioni tecniche e gli arricchimenti tematici e in cui la parola lievita e signoreggia l’intero componimento e c’è, di converso, la poesia più tradizionale che vanta ascendenze nel passato. C’è la poesia in cui la parola evoca e tesse metafore che incentivano il pensiero oltre il dettato asciutto ed essenziale e c’è quella in cui ragnatele di sillabe, cadenzate e pregnanti, innestano un fascinoso viaggio nei regni e negli abissi della mente e della psiche umana per coglierne e capirne il mistero che da sempre pungola l’inappagata curiosità dell’uomo.

Tale mistero per lo più non è disvelato, almeno totalmente: nelle liriche del poeta infatti non vi è alcuna risposta totale alla drammatica condizione di inettitudine, di limitazione, di anomia, di inidentità della condizione umana, che continua a pascersi di ricordi e illusioni, di silenzi, di tormenti e di trasalimenti.

Tutto rimane senza un perché definitivo e definitorio. Non credo comunque che ciò sia un limite: il poeta scrive anche se nulla è certo. Anche se la poesia non cambia nulla. Anche se non offre soluzioni e risposte esaustive : ed è bello così.

 

 

It’est sa poesia?… Est sa lontana

bell’immagine bida e non toccada,

unu vanu disizu, una mirada,

unu ragiu ’e sole a sa fentana,

………………………………….

Unu sonu improvisu de campana,

sas armonias d’una serenada

o sa oghe penosa e disperada

de su entu tirende a tramuntana.

……………………………….

It’est sa poesia?… Su dolore,

sa gioia, su tribagliu, s’isperu,

sa oghe de su entu e de su mare.

………………………………..

Sa poesia est tottu, si s’amore

nos animat cudd’impetu sinceru,

e nos faghet cun s’anima cantare.

(Montanaru)

 

 

 

Premio di poesia “Iglesias”ultima modifica: 2010-10-21T11:26:00+02:00da zicu1
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