Premi di poesia sarda

 

Sta per uscire il volume che raccoglie le poesie e i “Contos” che hanno partecipato al 3° Concorso letterario Escalaplano e la poesia- Poetendi e Contendi-Scalepranu in poesia” organizzato dal Comune di Escalaplano con la collaborazione della Biblioteca comunale, del Sistema Bibliotecario del Sarcidano e della Regione Autonoma della Sardegna, all’interno delle iniziative culturali a tutela e valorizzazione della Lingua e della cultura sarda. Qui di seguito la presentazione da parte del Sindaco Vincenzo Demontis e la prefazione di Francesco Casula, Presidente della Giuria del Premio

 

 

 

Presentazione di Vincenzo Demontis, Sindaco di Escalaplano

 

 

Presento volentieri la pubblicazione delle Poesie e dei Componimenti in prosa che hanno partecipato alla Terza edizione del Concorso letterario “Escalaplano e la poesia- Poetendi e Contendi-Scalepranu in poesia” organizzato dalla nostra Amministrazione con la collaborazione della Biblioteca comunale, del Sistema Bibliotecario del Sarcidano e della Regione Autonoma della Sardegna, all’interno delle iniziative culturali a tutela e valorizzazione della Lingua e della cultura sarda.

 

Nonostante i tempi ristretti che avevamo a disposizione per l’organizzazione del Concorso i risultati sono stati assolutamente superiori a qualsiasi più rosea aspettativa: la quantità e soprattutto la qualità delle opere presentate non hanno niente da invidiare a quelle di altri premi di poesia sarda, che hanno ben diversa tradizione, storia, risorse finanziarie e visibilità sui media. Possiamo dunque ritenerci pienamente soddisfatti per aver vinto un’altra scommessa culturale a favore della lingua sarda.

Accennavo alla quantità delle opere, questi i numeri: 50 poesie e 25 componimenti (Contos), cui occorre aggiungere le 26 poesie e i 10 componimenti degli studenti, (gli alunni dell’Istituto comprensivo di Escalaplano, sia delle elementari che delle medie).

Ma ancora una volta è la qualità dei partecipanti ad aver caratterizzato il Premio, eccoli: Carla Casula (1° classificata per la sezione della poesia ), sassarese di nascita ma vive fra Alghero-Macomer-Cagliari, è una giovane poetessa che ha già pubblicato due sillogi poetiche in italiano (Scialli di luna nel 2002 e Parole all’orizzonte nel 2005, Casa editrice Nemapress di Alghero). Carla Casula, giornalista pubblicista, studia glottologia all’Università di Cagliari e si dedica a ricerche di linguistica sarda su cui ha scritto numerosi articoli per il settimanale di Nuoro l’Ortobene .

Ha già partecipato a numerosi Concorsi di poesia sarda, (al Primo Concorso di Escalaplano ottenne il secondo premio). La sua poesia, in perfetto logudorese, con qualche concessione al nuorese-barbaricino, risulta intensa e sobria, elegante e rarefatta.

Gonario Carta-Brocca, (1° classificato per la sezione prosa), dorgalese, scrive in limba, sia poesie che contos, da quando aveva 20 anni. Nel 1989 comincia a partecipare ai Concorsi di poesia sarda ottenendo innumerevoli risultati: si tratta infatti di un poeta plurivincitore: nel 1996 ottiene il prestigioso premio “Romangia” e pubblica il primo libro di poesie intitolato Sos càntigos de s’ae. Nel 2000 vince il “Michelangelo Pira” che gli permette di pubblicare la seconda silloge poetica intitolata Tera. Nel 2001 esce un suo libro di paristórias Sos sette de s’arcu ‘e chelu.

Colpisce nella scrittura di Gonario Carta-Brocca la perfezione stilistica e la ricchezza lessicale insieme alla padronanza della lingua sarda.

Sandro Chiappori (2° classificato per la sezione poesia), cagliaritano, scrive nella variante campidanese ma anche in quella logudorese e gallurese, in prosa come in poesia, a dimostrazione della sua vasta poliedricità. Anche lui è un plurivincitore di premi: nel 1991 vince il “Prémio Gallura” , sia per la prosa che per il teatro; in seguito vincerà il Prémio “Luras” per la poesia e il Premio “Gramsci” per la prosa. E ancora: vince 2 edizioni del Concorso “Montanaru” (’92 e ’94), 4 edizioni del “Parteolla” etc. etc. Enumerarli tutti sarebbe impossibile: sono infatti più di 160 i riconoscimenti da lui ottenuti. In sardo-campidanese ha inoltre pubblicato la commedia Su Cammellu de Antoninu”.

Vi sono poi gli altri vincitori: il secondo posto di Angelo Podda di Cagliari per la prosa; il terzo posto di Giovanni Paolo Salaris di Terralba per la poesia, e di Ivo Murgia per la prosa, valente giovane studioso e operatore della lingua sarda, che gestisce un interessantissimo blog dedicato propria alla lingua e alla cultura sarda. E infine ci sono le segnalazioni: per Michele Podda, ollolaese, già vincitore di molti premi; Maddalena Frau, anche lei ollolaese, che ha al suo attivo due belle sillogi poetiche Lugore de luna (2002) e Sas meravillas de don Bosco (2005); Santino Marteddu di Siniscola, anche lui poeta plurivincitore: fra l’altro ha vinto il primo premio per la poesia nel secondo Concorso di Escalaplano; Giovanni Luigi Sulis, escalaplanese, l’anno scorso ottenne il secondo posto per la sezione prosa e quest’anno viene segnalato; Veronica Atzei, cagliaritana ma abitante a Turri, giovane studiosa che da anni è impegnata sul fronte della valorizzazione e diffusione della lingua sarda, ha scritto, fra l’altro, per la Collana “Omines e feminas de gabbale” dell’Alfa editrice, una monografia (insieme a Francesco Casula) su Giuseppe Dessì.

E ancora Carlo Mulas di Cagliari, Salvatore Frau di Desulo e tutti gli altri partecipanti, nessuno escluso, che ringraziamo sentitamente per aver contribuito a dare prestigio al nostro Concorso ma soprattutto per aver dato lustro e visibilità alla nostra bella e antica lingua sarda.

Vi è infine la partecipazione degli studenti escalaplanesi: che però vorremmo, per i prossimi anni, più numerosa ma soprattutto di maggior qualità: per questo sollecitiamo gli insegnanti ma anche i genitori a incoraggiare i giovani all’utilizzo della lingua sarda, sia orale che scritta, convinti come siamo che essa è anche un elemento di arricchimento linguistico e culturale nella formazione umana e civile dei nostri giovani.

Per concludere un ringraziamento a tutti quelli che hanno permesso l’organizzazione e la riuscita di questo 3° Concorso “Scalepranu in poesia”, in modo particolare alla Giuria: al Presidente, prof. Francesco Casula, alla professoressa Franca Marcialis e alla Dottoressa Bruna Siriu .

 


PREFAZIONE di Francesco Casula Presidente della Giuria

 

Donne e uomini, sempre più numerosi, scrivono poesie, contos e paristorias. Al Terzo concorso letterario “Escalaplano e la poesia- Poetendi e Contendi-Scalepranu in poesia”, in vita da soli tre anni, con pochissima visibilità nei media, ben 75 Sarde/i, a parte i giovani studenti, hanno partecipato con loro scritti.fra2.jpg

Cesare Pavese riteneva che la letteratura fosse “una difesa contro le offese della vita”; Ludwig Andreas Feuerbach, il grande filosofo tedesco ha scritto che “la parola fa l’uomo libero”. Altri critici e altri scrittori hanno sostenuto che la poesia e la scrittura in genere non si limita a registrare la realtà ma cerca di superarla, non si limita a “fotografare” gli errori ma li denuncia, li punisce, li colpisce. Altri ancora ritengono che mira a “vendicare i vinti” (Shakespeare) “ma non convinti” aggiungerebbe il nostro più grande poeta etnico, Cicitu Masala, vinti che sono i “simboli dell’umana liberazione” ha scritto Elio Vittorini.

Il grande poeta italiano Franco Fortini ha invece scritto che “La poesia non cambia nulla. Nulla è certo, Ma tu scrivi”. Sono d’accordo con Fortini. Occorre scrivere anche se la poesia non cambia nulla. Anche se la poesia non ha fini allotri, finalità altre rispetto alla poesia stessa e alla scrittura.

L’uomo infatti ha un bisogno, una necessità, quasi fisica e fisiologica della scrittura, così come l’ipoglicemico sente la necessità di prendere gli zuccheri. In questo modo la poesia assume un valore catartico, di liberazione o, se vogliamo, terapeutico. Scrivere infatti significa parlare a se stessi parlando ad altri, parlare di altri per parlare a se stessi: è voce del profondo che esplode – in genere non urla, anzi è sommessa – e si configura come un mosaico di tasselli, a volte brillanti e puliti come un cielo di Agosto, a volte grigi e oscuri come profonde notti d’inverno.

Tra il chiaro e il buio s’impone, prorompente, l’impeto imperioso di esprimersi e di riconoscersi, oscillando continuamente tra l’ansia e il tormento esistenziale e una luce che sa di tenerezza e di vita, acchetata in cerca di lidi più tranquilli e meno tempestosi.

Così la nostra anima vibra e si innalza, cantando valori alti come l’amore, la libertà, la fratellanza, la solidarietà e persino l’azione o affronta i lidi dolceamari della malinconia e della nostalgia o quelli più angoscianti e dolenti, dell’affanno e della sofferenza, ma soprattutto della solitudine, causata dalla condizione di mortale fragilità.

Questo destino può accendere nel poeta la ribellione, o suscitare lo sdegno e persino la disperazione; più spesso però si sofferma sull’orlo dell’abisso e del baratro, per salvarsi e recuperare la sorte umana in una dimensione più genuina e più veritiera: di speranza nel domani.

In genere il poeta non rifiuta l’esistenza né si attarda a rimpiangere le occasioni mancate né si consuma a ringhiottire il pianto. E il passato non lo vede solo come gravame né il futuro come semplice negatività spettrale.

Non si addice infatti il pianto dirotto e tanto meno la disperazione totale a chi comunque crede nei valori della vita pur faticosa e senza illusioni e non dismette la speranza in un diverso avvenire, che possa avere un senso per farci sorridere, che possa travalicare lo scempio globale.

Le speranze in cui tuffarci e le delusioni da spegnere così ci avvolgono e si intrecciano così profondamente che a stento riusciresti a intuire dove finiscono le une e dove iniziano le altre.

E’ questa del resto la faccia migliore di quell’eterno gioco che fa della poesia un’arte, ma anche e forse di più: un eterno bisogno di dire per ri-sentirsi, in cui vivo e palpabile viene a materializzarsi l’esterno di un intimo sconosciuto e nuovo forse anche a chi ne scrive e ne fa forma di vita.

E i poeti scrivono –hanno scritto per il Concorso di Escalaplano- di quest’intimo sconosciuto in una versificazione ora libera ora in rima, ora in forme classiche, armoniose, ben tornite, ora in forme martellanti, frantumate e saettanti -che forse meglio rappresentano il dramma della donna e dell’uomo moderno, con i suoi dubbi e le sue incertezze, le sue ansie e il suo scetticismo-; ora con brevi, brevissimi e scheletrici componimenti e lacerti lirici, distesi in versi minuti che, nel giro di poche frasi e di scarne parole, riescono a catturare un’immagine, una sensazione, un pensiero, una riflessione sulle vicende umane ed esistenziali; ora con forme più distese, più compiute e articolate. In ambedue le scritture fanno ressa nel circuito compositivo, silenzi e pause, onomatopee e cromatismi, ripetizioni insistite e fonie, ritmi e assonanze, contrazioni sintattiche e sinfonismi, metafore – abbondantissime – e brachilogie.

C’è la poesia nuova, senza maestri né modelli, con cui si privilegiano le innovazioni tecniche e gli arricchimenti tematici e in cui la parola lievita e signoreggia l’intero componimento e c’è, di converso, la poesia più tradizionale che vanta ascendenze nel passato. C’è la poesia in cui la parola evoca e tesse metafore che incentivano il pensiero oltre il dettato asciutto ed essenziale e c’è quella in cui ragnatele di sillabe, cadenzate e pregnanti, innestano un fascinoso viaggio nei regni e negli abissi della mente e della psiche umana per coglierne e capirne il mistero che da sempre pungola l’inappagata curiosità dell’uomo.

Tale mistero per lo più non è disvelato, almeno totalmente: nelle liriche del poeta infatti non vi è alcuna risposta totale alla drammatica condizione di inettitudine, di limitazione, di anomia, di inidentità della condizione umana, che continua a pascersi di ricordi e illusioni, di silenzi e di tormenti.

Tutto rimane senza un perché definitivo e definitorio. Non credo comunque che ciò sia un limite: il poeta scrive anche se nulla è certo. Anche se la poesia non cambia nulla. Anche se non offre soluzioni e risposte esaustive : ed è bello così.

Soprattutto quando la poesia è scritta in sardo, la nostra lingua materna. Quella lingua che è soprattutto senso, suoni, musica. Lingua di vocali. Dunque corporale e fisica e insieme aerea, leggera e impalpabile. E le vocali sono per il poeta l’anima della lingua, sono il nesso fra la lingua e il canto; fra la poesia, i numeri della musica, il ritmo e il ballo.

Quelle lingua che è soprattutto espressione della nostra civiltà e della nostra storia, strumento per difendere e sviluppare la nostra identità e la nostra coscienza di popolo e di nazione.

Quella lingua che è soprattutto valore simbolico di autocoscienza storica e di forza unificante, il segno più evidente dell’appartenenza e delle radici che dominatori di ogni risma hanno cercato di recidere. Ma nessun ripiegamento nostalgico o risentito verso il passato: ma il passato sepolto, nascosto, rimosso, censurato e falsificato, si tratta prima di tutto di ricostruirlo, di dissotterrarlo e di conoscerlo, perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro, il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza.

L’uomo contemporaneo, soprattutto nell’epoca della globalizzazione economica, della comunicazione planetaria in tempo reale e di Internet non può vivere senza una sua dimensione specifica, senza “radici”, sia per ragioni psico-pedagogiche (un punto di riferimento certo dà sicurezza, consapevolezza di sé e fiducia nel proprio futuro) sia per motivi di ordine culturale. La comprensione del nuovo è sempre legata alla conoscenza critica della storia della società in cui si vive, alle tecniche di produzione, al senso comune, alle tradizioni, alla propria lingua.

E’ questo l’antidoto più efficace contro la sub-cultura televisiva e à la page, circuitata ad arte da certa comunicazione mass-mediale, che riduce la tradizione a folclore e spettacolo, ad uso e consumo dei turisti. Altrimenti prevalgono solo processi di acculturazione imposti dal “centro”, dalle grandi metropoli, dai poteri forti, arroganti ed egemonici che riducono le peculiarità etniche e linguistiche a espressione retorica, pura mastrucca, flatus vocis. Occorre però concepire e tutelare lo “specifico individuale e collettivo” non come dicotomia ma in connessione con il generale, vivendo l’identità sarda con dignità e orgoglio ma senza attribuirgli un significato ideologico o di mito; identità non come dato statico e definitivo ma relativo, fluido e dinamico, da conquistare- riconquistare, costruire- ricostruire dialetticamente e autonomamente, adattandolo e sviluppandolo, quasi giorno per giorno.

L’attaccamento alla civiltà “primigenia”, in quanto realizza un continuum fra passato e presente, dà maggiore apertura al “mondo grande e terribile” e sicurezza per il futuro. In questa continuità- simbiosi fra antico- moderno e post- industriale post- moderno, in cui la positività della Sardegna s’innesta nella positività mediterranea ed europea, consiste il significato profondo dell’Identità e dell’Etnia che da un lato ci libera dalle frustrazioni, dalla chiusura mentale e dal complesso dell’insularità; dall’altro ci salvaguarda dai processi imperialistici di acculturazione, distruttivi dell’autenticità delle minoranze e dal soffocamento operato dalla camicia di nesso degli interessi economico- finanziari.

Soprattutto i giovani devono sapere di appartenere a una peculiare storia e a una peculiare civiltà e di ereditare un patrimonio culturale, linguistico artistico e musicale, ricco di risorse da elaborare e confrontare con esperienze e proposte di un mondo più vasto e complesso. In cui, partendo da radici sicure e dotati di robuste ali, possano volare alti, i giovani e non solo.

Per tutto questo è opportuno, è giusto ed è bello scrivere poesie, scrivere paristorias e scriverle in Lingua sarda!fra2.jpg

“C’è ancora chi è inerte, c’è ancora/chi ha fame; ma più nessuno è solo./E le speranze cercano parole./parole necessarie che traducano/in segni armoniosi l’attesa”. (versi tratti da E il mondo muta, Raimondo Manelli, 1956)

 

 

 

 

 

 

 

Premi di poesia sardaultima modifica: 2010-01-09T11:35:00+01:00da zicu1
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