Le pale eoliche: si pigant su ranu e a nois lssant sa palla

Le pale eoliche: issos si pigant su ranu e a nois lassant sa palla.

di Francesco Casula

Furat chie benit dae su mare.
E’ una costante storica: chi viene dal mare per occupare e conquistare la nostra Isola mostra il suo istinto predatorio.

Iniziarono a occupare il nostro mare. Precludendoci il commercio e i viaggi. Rinchiudendoci e isolandoci.
Poi occuparono le nostre terre. E con esse si impadronirono delle nostre miniere. Ci rubarono i nostri prodotti, per alimentare gli eserciti romani e le loro conquiste: il nostro grano, pelli e lana, carne e formaggi.
Iniziarono a radere al suolo le nostre foreste. Progressivamente. Fino alla soluzione finale con i tiranni sabaudi. Per le ferrovie e le industrie del Nord.
Ed oggi ci depredano persino il sole e il vento.

Contemporaneamente ci privarono della nostra lingua, della nostra cultura e della nostra identità comunitaria come canta in “Su patriota sardu a sos feudatarios” Francesco Ignazio Mannu.: Issos nos hana leadu/Dae sos archivios furadu/Nos hana sas mezzus pezzas/
Et che iscritturas bezzas/Las hana fattas brujare.
Perché, parafrasando quanto sostiene Gaspare Barbiellini Amidei in un suggestivo saggio, “Il Minusvalore”: gli uomini ricchi – ed io aggiungo i popoli ricchi e dominatori – rubano da sempre agli uomini poveri, – ed io aggiungo ai popoli poveri – la loro fatica, pagandola con un salario che è soltanto una parte dei loro prodotti. Il resto, plus valore, va ad accumulare altra ricchezza. Ma gli uomini – e i popoli – ricchi rubano agli uomini e ai popoli poveri anche la memoria, la lingua, la cultura, la bontà.
La vicenda delle Pale eoliche ha più di un’analogia con l’industrializzazione, segnatamente quella petrolchimica, imposta dallo Stato con la complicità e, talvolta persino consenso aperto, delle classi dirigenti sarde: come quella, anzi più di quella viene imposta dall’altro, senza il coinvolgimento né consenso delle popolazioni: anzi, spesso contro la loro volontà.
L’industrializzazione – peraltro clamorosamente fallita, anche rispetto ai fini principali che diceva di proporsi: l’occupazione – significò devastazione e inquinamento del territorio. E con esso esportazione dei semilavorati nel Nord per produrre là ricchezza profitti e lavoro, con le seconde e terze lavorazioni e la chimica fine: proseguendo con quel meccanismo coloniale dello scambio ineguale. Con cui la Sardegna continua a esportare nel Nord materie prime e semilavorati, pagati pochissimo, mentre continua a importare dallo stesso Nord prodotti finiti pagati moltissimo. Di qui il nostro impoverimento progressivo, da una parte e dall’altra l’arricchimento ulteriore dello stesso Nord. Aumentando il divario e la forbice nello sviluppo.
In maniera , per così dire per molti versi analoga, succede con le Pale: alla Sardegna rimane sa palla e issos si pigant su ranu. Calchi sisinu, pocos soddos alle popolazioni che ospitano i mostri di ferro e profitti milionari agli speculatori. Alla Sardegna fra 20/30 anni tonnellate di ferro arrugginito da smaltire e al Nord energia bella, pronta e pulita. Perché occorre ribadirlo l’energia prodotta dal vento (e dal sole) sardo non è per noi ma per loro. Come i semilavorati della chimica. Per creare, ancora una volta, la loro ricchezza. Alle nostre spalle.
Basta!

Le pale eoliche: si pigant su ranu e a nois lssant sa pallaultima modifica: 2023-08-09T07:45:12+02:00da zicu1
Reposta per primo quest’articolo