GRAMSCI E LA SARDEGNA

       

GRAMSCI E LA SARDEGNA di Francesco Casula

1. Gramsci e la Questione Meridionale.

Nella elaborazione gramsciana la “Questione meridionale” assume il valore di una vera e propria questione nazionale, anzi la più importante questione della storia italiana. Essa viene sviluppata segnatamente nel saggio Alcuni temi della questione meridionale ma è anche presente in molti appunti che si trovano nei Quaderni dal carcere

In Gramsci il “meridionalismo” per intanto si trasferiva da elitari circoli intellettuali alle masse e si ricomponeva così l’unità della teoria e della prassi, alla base di tutta la sua riflessione, perché per l’eroe antifascista occorre certo conoscere il mondo ma –marxisticamente- per cambiarlo e non solo per capirlo e interpretarlo.

In secondo luogo –per così dire come premessa- Gramsci rifiuta con sdegno le tesi delle cosiddette tare criminogene dei sardi e dei meridionali, sostenute allora persino in certi ambienti socialisti impregnati di positivismo –è il caso di Enrico Ferri, direttore dell’Avanti, organo del Partito socialista, dal 1904 al 1908 e deputato dello stesso partito per molte legislature- secondo le quali le popolazioni meridionali erano inferiori “per natura”. Questa ideologia pararazzistica aveva fatto breccia anche tra le masse lavoratrici del Nord: in qualche modo ne è testimonianza un’orrenda ma significativa espressione di Trampolini, massimo esponente del socialismo emiliano, secondo il quale gli italiani si dividevano in “nordici” e “sudici” .

Ma anche quando non sfociano in queste espressioni al limite del razzismo, le posizioni complessive dei Socialisti –e dunque non solo quelle di Filippo Turati e dei riformisti- sono di totale sfiducia nelle possibilità del proletariato meridionale: il loro interesse infatti è rivolto esclusivamente alla classe operaia del Nord e alle sue organizzazioni. Di qui l’abbandono sdegnato del Partito socialista da parte di Gaetano Salvemini, che al PSI rimprovererà proprio di essere “nordista”, ovvero di interessarsi solo delle oligarchie operaie delle industrie settentrionali mentre rimane estraneo quando non ostile rispetto agli interessi dei contadini meridionali.

Nell’affrontare la Questione meridionale l’intellettuale di Ghilarza pone in prima istanza la necessità di un’alleanza stabile e storica fra gli operai del Nord e i contadini del sud e dunque manda gambe all’aria non solo il positivismo razzistico di certo socialismo ma la sfiducia generale che si nutriva dei confronti dei contadini. In questa posizione si sente fortissimo il suo essere sardo, il legame con la sua terra, la conoscenza e la consapevolezza dei mali dell’Isola; insieme l’elaborazione che fa della “Questione meridionale” è strettamente legata alla strategia rivoluzionaria del Partito comunista di allora.

Gramsci nella sua elaborazione parte dalla considerazione che l’esistenza delle due Italie –una sviluppata e l’altra sottosviluppata- erano il risultato inevitabile del processo risorgimentale, di come si era realizzata l’unità, senza la partecipazione e il coinvolgimento delle masse contadine. Si era trattato in buona sostanza di una “rivoluzione passiva” che aveva visto protagonista e vincente il cosiddetto blocco storico conservatore, costituito dagli industriali del Nord alleati e complici con gli agrari del Sud e con gli intellettuali che facevano da cerniera fra le masse sfruttate e i grandi latifondisti meridionali.

Di qui l’esigenza –e la proposta gramsciana–  di un’alleanza fra operai e contadini e dunque della creazione di un nuovo blocco storico capace di contrapporsi, come classi rivoluzionarie, a quello vecchio fra borghesia settentrionale e agrari: un blocco storico però che non fosse solo economico e sociale ma anche di ordine intellettuale e ideologico, tale infatti era quella antagonista. Per cui al centro vi era la questione degli intellettuali e la conquista dell’egemonia.

Quanto questo progetto si sia realizzato fino ad oggi sta al lettore valutare e giudicare: certo è che le “due Italie”, di cui parla Gramsci, sono ancora oggi corposamente e drammaticamente presenti. E’ altrettanto vero che quel dualismo e quello scarto nello sviluppo fra Nord e Sud –a parere di chi scrive- era frutto e prodotto certo del processo risorgimentale guidato ed egemonizzato dai moderati (Cavour, i Savoia e i loro referenti sociali: borghesia e agrari) ma anche, per non dire soprattutto, delle politiche dei Governi unitari: sia della destra che della sinistra storica come  di Crispi e Giolitti, tutti nordisti e brutalmente antimeridionali, centralisti e negatori di qualsiasi autonomia.

2. Gramsci e la lingua sarda: la lettera a Teresina7

(….) Franco mi pare molto vispo e intelligente: penso che parli già correttamente. In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispiaceri a questo proposito. E’ stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta,  parlasse liberamente in sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non si deve fare questo errore coi tuoi bambini. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sè, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino più lingue, se è possibile. Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una lingua povera, monca, fatta solo di quelle poche frasi e parole delle vostre conversazioni con lui, puramente infantile; egli non avrà contatto con l’ambiente generale e finirà con l’apprendere due gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo, appreso a pezzi  e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada o in piazza. Ti raccomando proprio di cuore, di non commettere un tale errore, e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non  sarà un impaccio per il loro avvenire: tutt’altro. (…)

3. Gramsci controcorrente.

Ebbene Gramsci, proprio in questo periodo storico e in questa temperie culturale ed ideologica ha il coraggio di andare controcorrente, anche su questo versante:  “non imparare il sardo da parte di Edmea ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia….è bene che i bambini imparino più lingue…. ti raccomando di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire : tutt’altro.

 Il grande intellettuale sardo esprime in questa lettera una serie di posizioni sulla lingua materna, che i linguisti e i glottologi nonchè gli studiosi delle scienze sociali: psicologi come pedagogisti, antropologi come psicanalisti e persino psichiatri avrebbero in seguito articolato, argomentato e rigorosamente dimostrato come valide, in modo inoppugnabile.

4. Gramsci e le tradizioni popolari.

Sì, le tradizioni popolari: “ ….le canzoni sarde che cantano per le strade i discendenti di Pirisi  Pirione di Bolotana … le gare poetiche…. le feste di San Costantino di Sedilo e di San Palmerio …. le feste di Sant’Isidoro”.  Sai – scrive in una lettera alla mamma il 3 Ottobre 1927 – che queste cose mi hanno sempre interessato molto, perciò scrivimele e non pensare che sono sciocchezze senza cabu nè coa”.

In altre opere ribadirà che il folclore non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa che è molto seria e da prendere sul serio. Solo così –fra l’altro– l’insegnamento sarà più efficiente e determinerà realmente una nuova cultura nelle grandi masse popolari, cioè sparirà il distacco fra la cultura moderna e la cultura popolare o folclore. In altre occasioni sottolinea che folclore è ciò che è e “occorrerebbe studiarlo come una concezione del mondo e della vita“, “riflesso della condizione di vita culturale di un popolo“ in contrasto con la società ufficiale. “.

5.Gramsci e il “folclorismo”.

Quello che invece Gramsci critica è il “folclorismo“, ovvero l’abbandono all’isolamento storico e a una cultura arbitrariamente privata di ogni residua mobilità, che definisce , malattia mortale di una cultura disattenta ai significati progressivi della esperienza popolare e invece esaurita nel rispecchiamento della vita passata, nella celebrazione di quei“ valori” che disturbano meno la morale degli strati dirigenti e rendono in questo senso più facili tutte le operazioni  conservatrici e reazionarielegando vieppiù il folclore “alla cultura della classe dominante “.

6. Gramsci e le “pardulas”.

In altre lettere – per esempio in quelle del 16 Novembre del 1931 alla sorella Teresina– chiede notizie su parole in sardo logudorese e campidanese e alla madre – nella lettera del 26 Febbraio del 1927 – si figura di rinnovare una volta libero e tornato al paese il “grandissimo pranzo con culurzones e pardulas e zippulas e pippias de zuccuru e figu siccada”. In un’altra lettera del 27 Giugno 1927 le chiede di mandargli “la predica di fra Antiogu a su populu de Masullas”.E al figlio Delio che parlava russo e italiano e cantava canzoncine in francese avrebbe voluto insegnare a cantare in sardo: “lassa su figu, puzzone”.

7. Gramsci e l’utilizzo della Lingua sarda.

Ma il  “sardo“ di Gramsci non si ferma qui: alle pardulas e ai bimborimbò delle feste paesane, pure importanti. Il suo rientrare insistente nella lingua materna non è un fatto sentimentale. Va ben oltre. Voglio ricordare per inciso che nei primi mesi di vita studentesca nella Facoltà di Lettere a Torino i suoi interessi si rivolgono in modo particolare agli studi di glottologia di qui le sue ricerche sulla lingua sarda  e il suo proposito di laurearsi, con il suo grande maestro Matteo Bartoli, proprio in glottologia. O basti pensare che si fa scrivere da due bolscevichi della “Sassari“ lo slogan della futura rivoluzione in Sardegna: “Viva sa comune sarda de sos massajos, de sos minadores, de sos pastores, de sos omines de traballu” (Avanti ,edizione piemontese del 13 Luglio 1919). Non è da escludere inoltre che sia stato proprio su suo suggerimento che il Consiglio italiano dei contadini prometta di fare una traduzione in lingua sarda dell’appello rivolto al Partito sardo d’Azione in occasione del suo 5° Congresso in Macomer il 27 Settembre del 1925.

8. Lingua come concrezione storica.

concezione del mondo e della vita“, “riflesso della condizione di vita culturale di un popolo“ in contrasto con la società ufficiale. “.

5.Gramsci e il “folclorismo”.

Quello che invece Gramsci critica è il “folclorismo“, ovvero l’abbandono all’isolamento storico e a una cultura arbitrariamente privata di ogni residua mobilità, che definisce , malattia mortale di una cultura disattenta ai significati progressivi della esperienza popolare e invece esaurita nel rispecchiamento della vita passata, nella celebrazione di quei“ valori” che disturbano meno la morale degli strati dirigenti e rendono in questo senso più facili tutte le operazioni  conservatrici e reazionarielegando vieppiù il folclore “alla cultura della classe dominante “.

6. Gramsci e le “pardulas”.

In altre lettere – per esempio in quelle del 16 Novembre del 1931 alla sorella Teresina– chiede notizie su parole in sardo logudorese e campidanese e alla madre – nella lettera del 26 Febbraio del 1927 – si figura di rinnovare una volta libero e tornato al paese il “grandissimo pranzo con culurzones e pardulas e zippulas e pippias de zuccuru e figu siccada”. In un’altra lettera del 27 Giugno 1927 le chiede di mandargli “la predica di fra Antiogu a su populu de Masullas”.E al figlio Delio che parlava russo e italiano e cantava canzoncine in francese avrebbe voluto insegnare a cantare in sardo: “lassa su figu, puzzone”.

7. Gramsci e l’utilizzo della Lingua sarda.

Ma il  “sardo“ di Gramsci non si ferma qui: alle pardulas e ai bimborimbò delle feste paesane, pure importanti. Il suo rientrare insistente nella lingua materna non è un fatto sentimentale. Va ben oltre. Voglio ricordare per inciso che nei primi mesi di vita studentesca nella Facoltà di Lettere a Torino i suoi interessi si rivolgono in modo particolare agli studi di glottologia di qui le sue ricerche sulla lingua sarda  e il suo proposito di laurearsi, con il suo grande maestro Matteo Bartoli, proprio in glottologia. O basti pensare che si fa scrivere da due bolscevichi della “Sassari“ lo slogan della futura rivoluzione in Sardegna: “Viva sa comune sarda de sos massajos, de sos minadores, de sos pastores, de sos omines de traballu” (Avanti ,edizione piemontese del 13 Luglio 1919). Non è da escludere inoltre che sia stato proprio su suo suggerimento che il Consiglio italiano dei contadini prometta di fare una traduzione in lingua sarda dell’appello rivolto al Partito sardo d’Azione in occasione del suo 5° Congresso in Macomer il 27 Settembre del 1925.

8. Lingua come concrezione storica.

A più riprese infatti nelle sue opere sottolinea l’importanza del Sardo in quanto concrezione storica complessa e autentica,simbolo di una identità etno- antropologica  e sociale, espressione diretta di una comunità e di un radicamento nella propria tradizione e nella propria cultura. Una lingua che non resta però immobile –come del resto l’identità di un popolo– come fosse un fossile o un bronzetto nuragico, ma si “costruisce“ dinamicamente nel tempo, si confronta e interagisce, entrando nel circuito della innovazione linguistica, stabilendo rapporti di interscambio con le altre lingue. Per questo concresce all’agglutinarsi della vita culturale e sociale. In tal modo la lingua, per Gramsci, non è solo mezzo di comunicazione fra individui, ma è il modo di essere e di vivere di un popolo, il modo in cui tramanda la cultura, la civiltà, la storia, le tradizioni.

 

Bibliografia essenziale

Opere dell’Autore

– Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Einaudi editore, Torino 1955

Lettere dal carcere, Einaudi editore, Torino, 1971.

Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Gerratana, Einaudi Editore,Torino 1975.

L’Ordine Nuovo. 1919-1920, a cura di Gerratana e Santucci, Einaudi editore,Torino 1987.

Folklore e senso comune, Editori riuniti, 1992

La religione come senso comune, a cura di La Rocca, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997.

Le opere, a cura di Santucci, Editori Riuniti, Roma 1997.

La nostra città futura, scritti torinesi (1911-1922), a cura di A. d’Orsi, Carocci editore, Roma 2004.

La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma 2005.

Opere sull’Autore

– Mario Manacorda, Il principio educativo in Gramsci, Armando editore, Roma, 1987.

– Paolo Spriano, Gramsci in carcere e il partito, l’Unità editrice, Roma, 1988.

– Giuseppe Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza editore ,Roma-Bari 1989.

– Norberto Bobbio, Saggi su Gramsci, Feltrinelli editore, Milano, 1990.

– Giuseppe. Vacca, Appuntamenti con Gramsci, Carocci editore, Roma, 1999.

– Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti editore, Milano 1957.

– Eric J. Hobsbawm, Gramsci in Europa e in America, Laterza editore, Roma-Bari 1995.

– Luciano Canfora, “Su Gramsci”, Datarews editrice, Roma, 2007.

– Gianni Fresu, ‘Il diavolo nell’ampolla’. Antonio Gramsci, gli intellettuali e il partito, Città del sole editore, Napoli 2005.

– Frantziscu Casula-Matteu Porru, Antoni Gramsci, Alfa editrice, Quartu, 2006.

 

 

  

 

GRAMSCI E LA SARDEGNAultima modifica: 2016-01-18T18:42:39+01:00da zicu1
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