Il mio intervento al Convegno sulla standardizzazione

Lo standard linguistico

Esperienze e processi

Programma

Aula Vittoria Sanna (Dipartimento di Linguistica e Stilistica) 
 

Venerdì, 15 aprile 2011, ore 17.00

Ignazio Putzu (Direttore del Dipartimento), Presentazione

Frantziscu Casula (Comitadu pro sa limba sarda), Qualche buona ragione didattico-educativa per insegnare il Sardo nella scuola

             La conferenza sarà tenuta in sardo e italiano.

 

Katsuyuki Takenaka (Università di Aichi, Giappone), Estandarització del japonès: entre la recerca d’un patró comú i l’apropament de la llengua escrita a la parlada

             La conferenza sarà tenuta in lingua catalana.

 

Joan Argenter (Institut d’Estudis Catalans), La standardizzazione del catalano

 

 

Sabato, 16 aprile 2011, ore 9.00

Joan Armangué (Università di Cagliari), Il processo di standardizzazione dell’algherese (1990-2011)

Joan-Elies Adell (Direttore Espai Llull – Alghero), Il catalano di Alghero: dalla strada alla scuola e l’economia

Antonio Pinna (Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna), Il Canone II della liturgia cattolica. Un’esperienza da varianti a standard?

 

Organizzazione:                      Dipartimento di Linguistica e Stilistica dell’Università degli Studi di Cagliari

                                                            Centro di Ricerca «Arxiu de Tradicions de l’Alguer»

 

Con la collaborazione di:       Societat Catalana de Llengua i Literatura (IEC)

                                                            Institut d’Estudis Catalans

                                                            Espai Llull – Alghero

Institut Ramon Muntaner

 

 

  

 

Questo il mio intervento al Convegno

 

Qualche buona ragione didattico-educativa per insegnare il Sardo nella scuola.

di Francesco Casula

 

premessa.

La proibizione storica del sardo 

Nel 1720, quando i Savoia prendono possesso della Sardegna,la situazione linguistica isolana è caratterizzata da un bilinguismo imperfetto: la lingua ufficiale -della cultura, del Governo, dell’insegnamento nella scuola religiosa riservata ai ceti privilegiati – è il castigliano,  mentre la lingua del popolo, in comunicazione subalterna con quella ufficiale è il Sardo.

Ai Piemontesi questa situazione appare inaccettabile e da modificare quanto prima, nonostante il Patto di cessione dell’Isola del 1718 imponga il rispetto delle leggi e delle consuetudini del vecchio Regnum Sardiniae. Per i Piemontesi occorre rendere ufficiale la Lingua italiana. Come prima cosa pensano alla Scuola per poi passare agli atti pubblici.  Ma evidentemente le loro preoccupazioni non sono di tipo glottologico. Attraverso l’imposizione della Lingua italiana vogliono sradicare la Spagna dall’Isola, rafforzare il proprio dominio, combattere il “Partito spagnolo” sempre forte nell’aristocrazia ma non solo, Pensano allora di elaborare “Il progetto di introdurre la Lingua italiana nella scuola“ affidandone lo studio e la gestione ai Gesuiti. Nella prima fase il progetto coinvolgerà comunque pochi giovani: appartenenti ai ceti privilegiati. Il problema diventa molto più ampio ai primi dell’Ottocento, quando il Governo inizia a interessarsi dell’Istruzione del popolo. I bambini “poverelli” ricevono gratuitamente due libri in lingua italiana: Il Catechismo del Bellarmino e il Catechismo agrario, “giacchè l’agricoltura è precipuo sostegno di ogni stato e in particolare della Sardegna“.

Ciononostante il popolo continuerà a parlare diffusamente come sotto la dominazione spagnola, la lingua sarda, affermando con essa la sua Identità, la sua cultura, la sua concezione del mondo.

Per quanto attiene all’insegnamento della storia la situazione è analoga: a Pietro Martini –  uno dei padri della storiografia sarda, e siamo in pieno ‘800! – intenzionato a introdurre fra gli studenti dell’Isola l’insegnamento della Storia sarda, capitò di sentirsi rispondere seccamente dalle autorità governative piemontesi che “nelle scuole dello Stato debbasi insegnare la storia antica e moderna, non di una provincia ma di tutta la nazione e specialmente d’Italia”.

Tale concezione, da ricondurre a un progetto di omogeneizzazione culturale, -che per l’Isola significherà dessardizzazione- la ritroviamo pari pari nelle Leggi sull’istruzione elementare obbligatoria nell’Italia pre e post unitaria: del Ministro Gabrio Casati (1859), Cesare Correnti (1867) e Michele Coppino (1877).

I programmi scolastici, impostati secondo una logica rigidamente nazional- statale o statalista che di si voglia – e italocentrica, sono finalizzati a creare una coscienza “unitaria“, uno spirito “nazionale“, capace di superare i limiti – così si pensava – di una realtà politico-sociale estremamente composita sul piano  storico, linguistico e culturale.

Questo paradigma fu enfatizzato nel periodo fascista, con l’operazione della “nazionalizzazione-italianizzazione” dell’intera storia italiana.

A onor del vero, proprio nel periodo fascista non mancò chi, come Giuseppe Lombardo Radice, estensore dei Programmi della Scuola elementare, sostenne la necessità di valorizzare il locale e il dialetto e di partire proprio dalla lingua viva per facilitare l’apprendimento e lo sviluppo intellettuale degli scolari.(G. L. Radice, Lezioni di didattica).

Sempre nello stesso periodo, fu lo stesso Gentile a voler introdurre la Lingua sarda nelle scuole isolane, con altre lingue minori in altre Regioni italiane: subito dopo estromesse dal regime perché avrebbe messo in pericolo “ l’Italianità” della Sardegna!

L’idiosincrasia – uso volutamente un termine eufemistico – nei confronti di tutto ciò che è Sardo, e in modo particolare della Lingua, continuerà comunque anche nel  dopoguerra. Nel 1955, nei programmi elementari elaborati dalla Commissione Medici si introduce l’esplicito divieto per i maestri di rivolgersi agli scolari in dialetto. E in tempi a noi più vicini, con una nota riservata del Ministero – regnante Malfatti – del 13-2-1976 si sollecitano Presidi e Direttori Didattici a “controllare eventuali attività didattiche-culturali riguardanti l’introduzione della Lingua sarda nelle scuole”. Una precedente nota riservata dello stesso anno del 23-1 della Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva addirittura invitato i capi d’Istituto a “schedare“ gli insegnanti.

E non si tratta di “pregiudizi” presenti solo negli apparati statali e ministeriali romani: il segretario provinciale sardo di un Partito politico, allora ferocemente centralistico, sia pure di un “centralismo democratico“ nel 1978 invitava, con una circolare spedita a tutte le sezioni, di non  aderire, anzi di boicottare la raccolta di firme per la Proposta di legge di iniziativa popolare sul Bilinguismo perché  “separatista“ e attentatrice all’Unità della Nazione!

Qualche anno dopo Giovanni Spadolini, da Presidente del Consiglio nel 1981 giustifico la bocciatura da parte del Governo della Proposta di bilinguismo con la stessa motivazione:”Attentato all’Unità dello Stato!”

E fa stupore, da parte di uno storico avveduto e una persona colta come Spadolini tale affermazione. Si dimentica evidentemente che Stati moderni e democratici come l’USA e l’Australia, il Canada e il Messico o l’India, sono paesi bi/plurilingui, senza che ciò comporti lo “smembramento” o la disunione dello stato.

 

1. Qualcosa finalmente si muove

Oggi finalmente qualcosa inizia a muoversi: grazie anche alla nuova sensibilità per le lingue locali e minoritarie, c’è stato un formale riconoscimento giuridico e normativo prima a livello europeo con la “Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie” poi a livello regionale con la Legge n.26 del 15 Ottobre 1997 sulla “Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna” e infine a livello nazional- statale italiano con la Legge n.482 del 15 Dicembre 1999 riguardante “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” in cui è presente la Lingua sarda.   Lo studio della Cultura e della Lingua sarda nella Scuola, per noi Sardi è dunque oggi favorito dalla nuova normativa comunitaria, statale e regionale. Di qui l’urgenza e la necessità di utilizzare tutti gli spazi, gli strumenti e i finanziamenti che tali normative mettono a disposizione.  Per studiare – ripeto – in modo particolare la storia e la lingua sarda ma in generale l’intero universo culturale dell’Isola. A tal fine occorrerà anche pensare anche alla modifica e aggiornamento della stessa Legge 26 che oggi risulta arretrata rispetto alla legge 482 dello Stato: questa –fra l’altro- prevede che si possa insegnare in Sardo, ovvero la possibilità dell’uso veicolare della Lingua sarda per l’insegnamento curriculare- mentre questa possibilità non è prevista dalla legge 26.

 

 

2. La cultura e la lingua locale: compiti degli insegnanti

 “Spetta a noi maestri in primo luogo di richiamare gli scolari alla conoscenza del mondo che li circonda usando la lingua materna” scriveva Montanaru, il più grande poeta sardo, agli inizi del Novecento. In sintonia con quanto, circa cento anni dopo –ma meglio tardi che mai- scriveranno i programmi ministeriali, quando raccomandano di portare l’attenzione :”sull’uomo e la società umana nel tempo e nello spazio, nel passato e nel presente, nella dimensione civile, culturale, economica, sociale, politica e religiosa per creare interesse intorno all’ambiente di vita del bambino, per accrescere in lui il senso di appartenenza alla comunità e alla propria terra”.

 E’ compito della scuola– si afferma ancora – stimolare e sviluppare nei fanciulli il passaggio dalla cultura vissuta e assorbita direttamente dall’ambiente di vita, alla cultura come ricostruzione intellettuale”.

 Diat essere  –comente podet cumprendere cada nu de nois- chi cada mastru de iscola imbetzes de cundennare sa limba e sa curtura de su logu de sos dischentes, a issos los depet zunzullare a connoschere e istudiare e imparare cun su limbazzu issoro, una manera de essere, de fàghere, de cumprendere, ebia gai si trasmitit a beru sa curtura de su logu, in iscola. Oe, totus sos istudiosos: linguistas e glotologos, e totus sos scientziaos sotziales: psicologos e pedagogistas, antropologos e psicanalistas e peri psichiatras, sunt cuncordos a pessare, narrere e iscriere de s’importu mannu de sa limba sutzada cun su late de sa mama.

Inter sos linguistas pesso mescamente a Giagu Devoto e Tulliu de Mauro: su primu at narau: toccat chi sos pitzinnos potant achiltare unu billette de andada e torrada, dae sa limba materna a s’italianu e a s’imbesse; su segundu azzunghet: tocat de achiltare unu abonamentu cun medas lineas: dae sa limba materna a s’italianu e a sas limbas istrangias.

  Su chi narant totu custos istudiosos est chi pro creschere bene su pizinnu, pro aere elasticidade e impreare comente tocat s’intelligentzia, a imparare duas limbas –e si sunt tres o prus puru est galu mengius- li fàghet bene e l’agiudat puru a creschere mengius. Est in sos primos tres annos de vida chi su pilocheddu cumintzat a aere s’abecedariu in conca, e puru si a s’incuminzu de s’iscola sas allegas, sa gramatica, sas maneras de narrere parent amisturadas, sa conca sua est giai traballende pro assentare totu, una limba (su sardu) e s’atera (s’italianu) e puru sas limbas istrangias.

  Nos ant semper narau chi su sardu limitaiat s’italianu e imbetzes est a s’imbesse. Una limba cando la sues e la faghes tua dae minore, t’imparat unu muntone de cosas. T’imparat a biere su mundu in una certa manera, t’imparat a assentare sos pessamentos, t’imparat a ti guvernare a sa sola dandedi unu sensu mannu de responsabilidade, ca est una cosa tua, ca l’as intesa e impreada dae minore. Gasi si podet badiare a in antis e cumprendere totu su chi tenes cara cara, cun curiosidade e gana de imparare.

S’americanu Joshua Aaron Fishman, istudiosu mannu de sotziu-linguistica lu narat craramente, su “bilinguismu” no est de curregere, ne est una cosa chi ti faghet trambucare, ma una manera bona de imparare chi t’agiudat in sas intragnas de sa vida  e cunfruntande-di cun sos ateros. Limba e curtura de su logu de una pessone sunt medios e trastes de liberatzione, de autonomia, pro ti podere guvernare a sa sola, de indipendentzia, serbint a s’isvilupu de una pessone e mescamente de sos giovanos pro ite sa base abarrat su naturale issoro, partit “dal mondo che li circonda”: pro la narrere a sa manera de Montanaru. Sa limba imparada in domo e in ziru dae minore, serbit pro irmanigare sas cumpetentzias de comunicatzione, de sinziminzos, e de cunfrontu cun s’ateru e li serbit puru pro imparare ateras limbas.

 

 

Li serbit a essere cussiente de s’identidade sua, de l’intendere balente, de l’impreare, de non timere cumpetitziones ma de si cufrontare a barbovia cun atere, sena mancantzias. Li serbit pro fagher sua s’esperientzia de s’iscola e de sa vida, imparende e boghende a campu sas raighinas suas. Sa limba, s’istoria, sa curtura de su logu serbit a sos pitzinnos pro aere sigurantzia in issos matessi, pro apretziare s’ambiente in ue istant, pro connoschere sos balores de su logu issoro, primu intra totus s’istare paris, s’amistade e sa tratamenta, balores o maneras de faghere de sa tzivilitade sarda chi sunt balentes meda. Pro los agiudare a brusiare s’idea malavida de su “sardu” comente pessone limitada, comente curpa o neghe, pro los agiudare a no si brigungiare prus de essere sardos, ma l’imparare chi est unu balore mannu, comente essere albanesos, marochinos, o palestinesos. Sos pitzinnos oe sunt male chistionados, non tenent ne manera, ne allegas assentadas pro comunicare, imparant allegas malas o gergo, – comente aiat giai naradu Gramsci, prus de chent’annos faghet, su 26 de Marztu de su 1926, in una litera indiritzada a Teresina, sa sorre prus pitica: ” […]Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una lingua povera, monca, fatta solo di quelle poche frasi e parole delle vostre conversazioni con lui, puramente infantile; egli non avrà contatto con l’ambiente generale e finirà con l’apprendere due gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo, appreso a pezzi  e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada o in piazza. Ti raccomando proprio di cuore, di non commettere un tale errore, e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non  sarà un impaccio per il loro avvenire: tutt’altro[…]10.

Gramsci est istadu unu profeta: oe in sa limba italiana de sos pitzinnos e puru de sos dischentes e istudentes  non b’est ne gramatica, ne faeddos comente si tocat, sunt torrande a essere anarfabetas e custu est ca no ant un’apogiu de limba e de curtura, totu l’arribat dae artu e custos abarrant a beru in sos astros de s’aghera sena l’ischire a ue si bortare. 

S’istudiu e sa connoschentzia de sa limba sarda podet essere unu traste de importu mannu pro los fagher torrare in su sucru e puru pro imparare mengius sa limba italiana e sas ateras limbas, agiudande su piloccu a creschere imparende dae domo, dae s’iscola e dae sa sotziedade sua e istrangia.

 

3. ma sa “lingua mamma” (po nosu su sardu) serbit mescamenti po:

 

Ø Po ammanniai is cumpeténtzias de is iscientis, sumpepari in sa comunicatzioni, in s’atinadura e in sa cumparàntzia cun àterus sistemas;

Ø po pigai possessu de totu is ainas de sa connoscéntzia chi agiudant in s’imparu de àteras línguas;

Ø po afortiai sa connoscéntzia de s’identidadi “etno-linguística” e “etno-istórica”, sendu prima iscientis e apustis óminis e féminas mannus;

Ø po donai un’entina noa a s’esperiéntzia iscolàstica, umana e civili, aciochendu a pari is arreíxinis nostas;

Ø po cumbàtiri sa timoria, aunendu is giovunus a un humus de baloris artus de sa civiltadi sarda: s’amparu e su “comunitarismu” in primis;

Ø po sodigai e ndi bogai de mesu s’idea de “sardu” e totu su chi est sardu che cosa chi atruessat in mesu, cumenti e chi siat una nexi, che un’impriastu, de nc’istesiai aillargu, de si ndi bregungiri;

Ø po assusai e favoressi, prus che àteru contras a is “anarfabetus nous”, sèmpiri prus bantaxeris, sumpepari in sa comunicatzioni, in sa poboresa de fueddus imperaus, su status linguísticu. Chi oindí arresurtat a èssiri, intramesu is giovunus e is iscientis, póburu, de pagu profetu e totu cuguzau.

Intamis, postu ca su strúmbulu de is capassidadis linguísticas depit movi apustis de àiri scegau su “background” linguísticu, culturali, personali, de s’iscienti e de su giovunu, no po ddu poderai acapiau téteru a su connotu ma, a s’imbessi, po nd’ammanniai s’arrichesa linguística, s’educatzioni a duas línguas serbit no sceti in s’imparu de sa língua: si ponit iteu fintzas cumenti de aina po cumentzai a aparixai sa diferéntzia culturali, de sa derrota, de su “spainamentu” e de sa dificurtadi aici comenti de s’arfabetizatzioni dudosa de sa mellus parti de is istudiantis, nòdia a totus, chi pertocat s’iscola primària ma fintzas cussa de is iscolas mannas. Ma s’istúdiu de sa língua sarda impunnat prus atesu de custas indennas, mancai siant importantis meda.

S’istúdiu e sa connoscéntzia de sa língua sarda, podit èssiri unu médiu ispantosu po s’imparu e s’afortiamentu de sa connoscéntzia de sa língua italiana e de àteras línguas, chentza de èssiri unu “istrubbu”, una méngua, at a èssiri in s’interis un’aciunta, chi favoressit e no contrariat s’imparu de sa cultura e de s’isvilupu intelletuali e umanu deunudotu. Custu gràtzias a sa sustàntzia e a sa cuncàmbia chi nd’apillat de unu cunfrontu fitianu intramesu is codixis comunicativus de línguas e de culturas diferentis, poita ca su bilingismu est fatu de culturas intreveradas a pari, est a nai a bivi e a pigai parti a is assótzius culturalis chi ddas ant pesadas, is duas línguas e culturas, sarda e italiana po cumentzai, po si pòdiri allargai apustis, chentza de ndi pòdiri fai de mancu, aintru de una sotziedadi “globalizzada” che sa nosta, a àteras línguas e culturas, europeas e mondialis. Sa língua sarda ca est sustàntzia istórica arrica e sintzilla, est sinnu de un’identidadi “etno-antropologica” e sotziali s’arresurtau làdinu de una comunidadi chi tenit arréixinis in sa traditzioni e in sa cultura cosa sua. Una língua chi però no est frimma, círdina che unu fóssili o unu brunzitu nuraxesu, ma si nd’istrantaxat lestra in su tempus, si cunfrontat e intrat in giogu, intrat in s’àndala de sa linguística noa, istabbilendu cuncàmbias cun is àteras línguas. Po custu agiudat e fait crèsciri sa vida sotziali e culturali. In custu modu sa língua, no est isceti unu médiu po si cumprèndiri, ma est su modu de èssiri e de bivi de unu pópulu, su modu de lassai in donu sa cultura, s’istória e sa traditzioni.

Sa  língua sarda a s’acabbada, sendu sa parti prus forti de sa sienda de traditzionis e de su connotu, abarrat a fundóriu – po imperai una moda de nai de Giuanni Lilliu- “de s’identidadi de sa Sardínnia e de s’esisténtzia de is Sardus, cumenti natzioni e cumente pópulu, chi affundat is arreíxinis in su sentidu tuvudu de s’istória cosa sua, diversa e no comuna contras a cuss’istória e a sa cultura mediterrànea e europea avedali”.

Assumit unu valori èticu, etnico-nazionali e antropologicu e, chi boleus, fintzas políticu, chi bolit nai riscatu de s’ísula e de su diritu e doveri a si guvernai dreteminai de sei etotu.

Custu no bolit nai ca s’Identidadi nosta depat èssiri unu modu po arrefudai e po s’arrenconai a una parti: depit èssiri intamis arreconnota comenti de su mólliu po si abarrai aintru de su mundu e po arrelatai cun su mundu, “chentza de s’indúlliri a s’ispéddiu  cumenti narat cun sabidoria su filòsofu Placidu Cherchi – de imperai sa diversidadi nosta che una ideologia o a dda carrigai segundu s’ora, de barrosia etnocéntrica o de menisprétziu po sei etotu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mio intervento al Convegno sulla standardizzazioneultima modifica: 2011-04-13T10:47:39+02:00da zicu1
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