Conferenza sulla lingua sarda: un intervento di Michele Podda e la mia relazione sulla Letteratura sarda

 

L’amico  e compaesano Michele Podda, già sindaco di Ollolai, valente poeta in limba e grande studioso, difensore e diffusore della stessa, ci ha mandato l’intervento che pubblichiamo volentieri.

Gran parte di esso non lo condivido: ma istet tranquillu Micheli : nella Conferenza ho sostenuto con forza e in Sardu –polemizzando e contestando anche brutalmente un linguista italiano di Milano, certo Gabriele Iannàccaro- che “SOLTANTO L’OBBLIGO SCOLASTICO potrà ridare quel prestigio che, unico e solo, riuscirà a interrompere il processo  di estinzione della nostra lingua”.

 

Qui di seguito l’intervento di Michele Podda e la mia relazione sulla Letteratura sarda.

 

 

 

Conferenza sulla “limba”: non b’est acontzu chene iscontzu.

 

Nei giorni dal 9 all’11 dicembre, a Fonni, si tiene la conferenza annuale per la lingua sarda.

Un’altra inutile passerella di studiosi e studiati, politici e conferenzieri, e sopratutto di “addetti” regionali che svolgeranno a dovere il loro ruolo di cerimonieri dell’occasione.

 

L’elenco dei partecipanti per la verità è di tutto rispetto, dato che molti di loro sono ben noti per aver concretamente lavorato in vari modi per la lingua sarda. Il programma dei lavori per contro è tanto generico quanto superficialmente ammiccante, come fa intendere il titolo “Una Limba Normale”, proposto tutto con iniziale maiuscola nel sito RAS.

 

Avrei capito la maiuscola per l’articolo iniziale, perchè è la prima parola; capisco anche la maiuscola per limba, perchè le si vuole attribuire importanza, prestigio, alla stregua di un nome proprio che, detto in logudorese (in campidanese è identico a quello in italiano “lingua”) significa, in tale contesto, “lingua sarda” e niente altro. Dunque la maiuscola come idea di volerla mettere ancor più al centro dell’attenzione. E va bene.

Ma perchè la maiuscola per “Normale”? E’ un aggettivo che non dovrebbe comunque assumere connotazione di primo ordine, che non può obiettivamente aspirare a posizioni di altissimo rilievo, come per “Limba”; un motivo ci sarà.

 

A ben vedere, spero di non sbagliarmi, il significato di questa scelta grafica potrebbe essere il seguente: VOGLIAMO CHE SI PARLI DI LINGUA SARDA NORMALE, E NON TANTO DI LIMBA SARDA COMUNA.

 

SPERO di non sbagliarmi, perchè allora questa sarebbe la velata confessione di un fallimento che poteva essere facilmente previsto, se i burocrati e i politici avessero ascoltato studiosi e appassionati che seguono sul campo le sorti della lingua sarda.

Riconosco che tanti volenterosi hanno salutato l’arrivo della LSC come una via necessaria alla sua valorizzazione, un modo di giungere più in fretta al riconoscimento di un “sardo” ufficiale, in totale buona fede; ma questa scelta non poteva avere futuro, perchè il punto di partenza doveva e deve restare assolutamente il sardo parlato, quello esistente, in tutte le sue forme, nei numerosissimi dialetti, compresi quelli di Sassari e della Gallura.

L’ammettere di avere sbagliato è un importante passo avanti, perchè ciò limiterebbe i danni e potrebbe costituire finalmente l’inizio di un nuovo modo di affrontare la questone, con estremo rispetto e con tanta umiltà e prudenza, nei confronti della lingua sarda conosciuta e parlata in tutta la Sardegna.

 

Ricercando notizie, come dicevo, sulla conferenza, mi sono imbattuto nella nota riguardante la conferenza stampa tenuta dall’Ass. Milia, pubblicata come accennavo nel sito della Ras.

Titolo di tale nota: “La Regione punta allo sviluppo della lingua sarda. Presentata conferenza regionale”. Dunque abbiamo già una rivelazione di prima mano: pare che la Regione intenda puntare, nientepopodimeno che, allo sviluppo… Incredibile, ancora queste parole trite, già obsolete dalla nascita, trenta o quaranta anni fa; e qui si ripetono ancora come promessa, come dichiarazione di intenti, come soluzione per il futuro. Se questo è il livello, allora la lingua sarda può stare fresca davvero.

Il “lungo e articolato” resoconto, una ventina di righe in tutto, con una foto che lo sovrasta per posizione, dimensione, nitidezza, colore e contenuto, fornisce agli interessati altri “importantissimi” dettagli, fra cui i principali sono:

 

– che bisogna dare alla lingua una collocazione normale e non occasionale, perciò quel titolo (il problema sarebbe “come”, cioè con quali strumenti e metodi);

 

– che nella conferenza verranno presentate le linee guida del Piano triennale per la lingua e la cultura sarda, e che esse convergeranno verso progetti che diano solidità alle nostre radici, alla nostra tradizione ed alla nostra lingua (questi progetti e obiettivi, assolutamente generici, sono gli stessi da tanti decenni e di fatto sono rimasti degli slogans vuoti, mai veramente perseguiti);

 

– che non si vuole “che la nostra lingua rimanga confinata in alcune zone, sempre più ristrette, della Sardegna” (un pio desiderio/auspicio che necessita di atti concreti);

 

– che in zone sempre più ristrette, ove il 70% parla ancora sardo, solo il 13% dei bambini conversa in limba con i propri genitori (questa è detta anche “scoperta dell’acqua calda”; mentre ne stiamo parlando la percentuale è già scesa al 5%);

 

– che “anche per questo abbiamo deciso di puntare sull’istruzione e sull’insegnamento, a cominciare dalle scuole” (altra novità sconcertante: però non capisco bene cosa significhi “puntare”; finora invece?);

 

– che “chiederemo di inserire, nel progetto ministeriale “Scuola digitale”, tra gli argomenti scientifici, anche la lingua sarda” (geniale, così potrà trovare applicazione l’inutile e per adesso dannoso C.R.O.S., il correttore ortografico di recente partorito);

 

– che “in molte zone proprio del nuorese le famiglie non parlano più in limba” (ma dove son finite le belle tradizioni?);

 

 – che “non è assolutamente una vergogna sentirsi europei e allo stesso tempo sardi, con la nostra identità linguistica” (bontà loro);

 

  che infine è una questione di soldi e che dunque “è necessario che la Regione reperisca altre fonti di finanziamento per lo sviluppo della politica culturale e linguistica” (speriamo che piova).

 

E questo è tutto. Di novità, come si vede, neanche l’ombra; salvo il progetto nazionale di “Scuola digitale” in cui inserire l’argomento scientifico “lingua sarda” e in cui ritengo si voglia utilizzare il CROS appena varato. Desolante. Per il resto tante parole prive di contenuto. Solo i partecipanti dunque potrebbero riempire il vuoto profondo, purchè le proposte abbiano poi concrete applicazioni.

 

Perciò rivolgo un appello a tutti i partecipanti alla Conferenza di Fonni, che hanno a cuore le sorti del sardo:

 

·       abbiate coraggio nell’ostacolare progetti artificiosi ed insulsi che si ammantano di funzioni e valori che non hanno per la lingua sarda, perchè non sarebbero soltanto inutili, ma dannosi;

 

·       accantonate, almeno per il momento, la LSC e proponete lo studio del sardo che c’è, quello ancora vivo, in tutte le sue varianti e dialetti esistenti, compresi sassarese e gallurese; e rinviate per qualche anno l’uso veicolare della lingua sarda;

 

·       chiedete, pretendete SUBITO l’istituzione della cattedra di lingua sarda in tutte le scuole della Sardegna, con 2-3 ore settimanali per cominciare; proponetevi per predisporre testi adeguati;

 

·       fate presente che non è questione di soldi, perchè al limite l’intero ammontare delle somme previste per lingua e cultura sarda (addetti regionali, convegni e pubblicazioni, premi, cotillons e quant’altro) si potrebbe destinare a questo obiettivo;

 

·       ricordate all’Assessore che SOLTANTO L’OBBLIGO SCOLASTICO potrà ridare quel prestigio che, unico e solo, riuscirà a interrompere il processo  di estinzione della nostra lingua;

 

·       che nell’insegnamento si dovrà assolutamente salvaguardare la lingua sarda da qualunque ingerenza di quella italiana TRAVESTITA DA SARDA, che deve restare ASSOLUTAMENTE DISTINTA; in caso contrario si sancirà la morte del sardo per asfissia;

 

·       minacciate che se questo non sarà fatto non vi limiterete a denunciare, ma adotterete altre forme di protesta, ben più convincenti di quelle degli stessi pastori.

 

 Coraggio dunque, “non b’est acontzu chene iscontzu”.

                                                                                    Michele Podda

 

 

Relazione alla Cunferèntzia annuale regionale de sa limba sarda

9, 10, 11 Nadale 2010 Fonne, (NU)

Uno statuto speciale per la letteratura sarda come letteratura “nazionale”.

di Francesco Casula

L’umore esistenziale del proprio essere sardo, –di cui parla Lilliu- come individui e come gruppo che, in ogni momento, nella felicità e nel dolore delle epoche vissute, ha reso i Sardi costantemente resistenti, antagonisti e ribelli, non nel senso di voler fermare, con l’attaccamento spasmodico alla tradizione, il movimento della vita e della loro storia, ma di sprigionarlo il movimento, attivandolo dinamicamente dalle catene imposte dal dominio esterno” pur in presenza di forti elementi di integrazione e di assimilazione, nella società, nell’economia e nella cultura continua a segnare profondamente, sia pure con gradazioni diverse, oggi come ieri, l’intera letteratura sarda che risulta così, autonoma, distinta e diversa dalle altre letterature. E dunque non una sezione o, peggio, un’appendice di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore e comunque da confinare nella letteratura “dialettale”. Il sistema linguistico e letterario sardo infatti, come sistema altro rispetto a quello italiano, è empre stato, come tale, indipendente e contiguo ai vari sistemi linguistici e letterari che storicamente si sono avvicendati nell’Isola, da quello latino a quello catalano e castigliano, e, per ultimo, a quello italiano, con tutte le interferenze e le complicazioni che una simile condizione storica comporta. Una situazione ricca e complessa, propria di una regione-nazione dell’Europa e del mediterraneo.

Nasce anche da qui l’esigenza di un’autonoma trattazione delle vicende letterarie sarde: ad iniziare da quelle scritte in Lingua sarda. Da considerare non “dialettali” ma autonome, nazionali sarde, vale a dire. A questa stessa conclusione arriva, del resto, un valente critico letterario (e cinematografico) italiano come Goffredo Fofi, che nell’Introduzione a Bellas Mariposas di Sergio Atzeni (edito

 

dalla Biblioteca dell’Identità-Unione sarda, pag.18-19) scrive:”Sardegna, Sicilia. Vengono spontanei paragoni che indicano la diversità che è poi quella dell’insularità e delle caratteristiche che, almeno fino a ieri, ne sono derivate, di isolamento e di orgoglio. E’ possibile fare una storia della letteratura siciliana o una storia della letteratura sarda, mentre, per restare in area centro-meridionale- non ha senso pensare a una storia della letteratura campana, o pugliese, o calabrese, o marchigiana, o laziale…

Il mare divide e costringe: La letteratura siciliana e la letteratura sarda possono essere studiate –nonostante la comunanza della lingua, con quella di altre regioni, almeno dopo l’Unità- come “Letterature nazionali”. Con un loro percorso, una loro ragione, loro caratteri e segni”.

Più o meno sulla stessa linea si muove Franco Brevini, considerato il maggior competente di poesia dialettale contemporanea, secondo il quale occorre riconoscere al sistema letterario sardo uno statuto particolare almeno per due motivi fondamentali:

1.Il sardo non può essere considerato un dialetto;

2. Difficilmente la Sardegna a causa della sua posizione decentrata e della sua peculiarissima storia, specifica e dissonante rispetto alla coeva storia  europea, segnata com’è dall’incontro con diverse culture, può essere integrata in un discorso di storia italiana.

 Da una analisi attenta della letteratura sarda potremmo vedere che dalle origini del volgare sardo fino ad oggi, non vi è stato periodo nel quale la lingua sarda non abbia avuto una produzione letteraria. Del resto a riconoscere una Letteratura sarda è persino  un viaggiatore francese dell’800, il barone e deputato Eugene Roissard De Bellet che dopo un viaggio nell’Isola, in La Sardaigne à vol d’oiseau nel 1882 scriverà :”Si è diffusa una letteratura sarda, esattamente

 

 come è avvenuto in Francia del provenzale, che si è conservato con una propria tradizione linguistica”

Certo, qualcuno potrebbe obiettare, che essa, rispetto ad altre lingue romanze, ha prodotto pochi frutti. E’ questa  -per esempio- la posizione dello stesso Gramsci, che dopo aver detto una sacrosanta verità “ il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé”, afferma che esso non ha prodotto “ una grande letteratura”.

In realtà Gramsci non conosce la letteratura sarda: e per molti versi, non poteva neppure conoscerla, dati i tempi e le condizioni storiche in cui viveva e operava. E non la conosciamo appieno neppure oggi tanto che è urgente una grande operazione di scavo e di recupero del nostro patrimonio letterario, molto del quale è ancora inedito, numerosissimi testi sono ancora ignorati dai critici o sepolti in biblioteche e in archivi privati e pubblici. E occorre tener conto non solo dei testi scritti ma anche di quelli orali –abbondantissimi- quando ne siano recuperate le testimonianze.

Faccio solo un’esempio: abbiamo potuto conoscere Giovanni Matteo Garipa, -non lo conosceva neppure Wagner- solo recentemente, grazie alla ripubblicazione della sua opera su Legendariu de Santas Virgines et Martires de Jesu Cristu (1627) da parte dalla casa editrice Papiros di Nuoro nel 1998 con l’introduzione di Diego Corraine e la presentazione di Heinz Jürgen Wolf  e Pasquale Zucca. Eppure si tratta del più grande scrittore in lingua sarda del secolo XVII  (1575/1585-1640), Eppure molti motivi avrebbero dovuto spingere gli studiosi a conoscere e valorizzare il Garipa, ma soprattutto due:

1.la tesi del sacerdote orgolese, oggi quanto mai attuale, della necessità dell’insegnamento della lingua sarda –definita “limba latina sarda”– come prerequisito per il corretto apprendimento, da parte degli studenti, anche delle altre lingue;

 

 

2.la sua convinzione che fosse urgente dotare la Sardegna di una tradizione letteraria «nazionale» sarda, ossia, come si

direbbe oggi, di una lingua letteraria uniformemente usata in tutto il territorio dell’isola e sorretta da un repertorio di testi in grado di competere con quelli delle altre lingue europee.

E’ stato anche obiettato che la lingua sarda ha prodotto “cultura bassa”. Rispetto a questa accusa occorrerebbe finalmente iniziare a liquidare certi equivoci gerarchici sulla cultura e sulle sue forme, per cui ci si attarda ancora a parlare di cultura “alta” e cultura “bassa”, di cultura “materiale” (miniere, artigianato, agricoltura, pastorizia, turismo) inferiore e subordinata alla cultura “immateriale” (lingua, letteratura, arte, musica, diritto ecc. ecc) o di cultura orale inferiore alla cultura “scritta” e dunque meno degna di essere conosciuta e studiata. La cultura, senza gerarchie, deve essere intesa in senso antropologico, ovvero nei valori sottostanti alle scelte collettive e individuali e quindi agli ideali che orientano i comportamenti, con particolare riferimento a quelli sociali.

Anche il termine “letteratura”, secondo il dettato dei più moderni e aggiornati orientamenti di studi, va inteso nel senso di scrittura o produzione di opere di cultura che occupano spazi non tradizionali quali gli atti giuridici, le costituzioni politiche, la poesia e la tradizione orale e finanche le opere di carattere didascalico o divulgativo per le quali veniva usata la lingua sarda al fine comunicare meglio con il popolo.

Ma anche dato e non concesso che la lingua sarda abbia prodotto poco, si poteva pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato  imbrigliato e impastoiato potesse correre e correre velocemente? La lingua sarda, certo, deve crescere, e sta crescendo: ha soltanto bisogno che le vengano riconosciuti i suoi diritti, che le venga proprio riconosciuto il suo “status” di lingua, e dunque le opportunità per potersi esprimere, oralmente e per iscritto, come avviene per la lingua italiana.

 

La Lingua sarda, dopo essere stata infatti lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale, viene infatti ridotta al rango di dialetto paesano, frammentata ed emarginata, cui si sovrapporranno prima i linguaggi italiani di Pisa e Genova e poi il catalano e il castigliano e infine di nuovo l’italiano.

Contrariamente a ciò che comunemente si dice e si pensa da parte degli stessi sardi, la letteratura in sardo che l’isola ha espresso nei secoli, oltreché variegata nei diversi generi, è ricca di opere e di autori anche quando superata la fase esaltante del medioevo, all’indomani della sconfitta del regno di Arborea, mancando un centro politico indipendente, le lingue dominanti (catalano, castigliano e infine italiano) assunsero via via il ruolo di lingue ufficiali accolte in toto dal ceto dirigente isolano. La lingua sarda restò praticata dai cantori che diedero vita a una lunga tradizione poetica orale, ma anche da scrittori con riflessi di tipo colto.
Nei secoli si succedettero tentativi, da parte degli intellettuali sardi più vicini al popolo (in particolare uomini di Chiesa), di normalizzare l’uso scritto della lingua. Uno sforzo ancora oggi attuale, nel momento in cui, per effetto di una nuova coscienza linguistica, si è assistito alla nascita della prosa narrativa in lingua sarda.

Occorre comunque sottolineare che è soprattutto a partire dall’ultima metà del Novecento che i poeti e gli scrittori in lingua sarda hanno offerto risultati non solo quantitativamente ma anche qualitativamente risultati di grande rilievo. E nelle loro opere “la Sardegna, finalmente, -come scrive Nicola Tanda- da « non luogo»,  diventa «luogo», non di un esclusivo recupero memoriale, ma luogo dell’immaginario che produce il progetto di una identità dinamica,

 

 

dal quale deriva l’energia vitale e morale di un nuovo modello di sviluppo economico e civile”.

E gli autori trovano una condizione specifica nello «stare» per ottica e palpitazioni, per weltanschaung, per il modo con cui intendono e contemplano la vita e per tante altre cose, razionali e irrazionali, che derivano dai misteri e dalle iniziazioni dell’arte, compresa la nostalgia, che, a dispetto dei politici«realisti», come dice Borges, è la relazione migliore che un uomo possa avere con il suo paese.

L’importante è che la produzione letteraria esprima una specifica e particolare sensibilità locale, ovvero “una appartenenza totale alla cultura sarda, separata e distinta da quella italiana” diversa dunque e “irrimediabilmente altra”, come scrive il critico sardo Giuseppe Marci.

L’importante è soprattutto –come scrive Antonello Satta- “che gli autori sappiano andare per il mondo con pistoccu in bertula, perché proprio in questo andare per il mondo, mostrano le stimmate dei sardi e, quale che sia lo scenario delle loro opere, vedono la vita alla sarda”.

L’importante infine è che la letteratura sarda abbia, come ogni letteratura, tratti universali della qualità estetica e se, in più è  «specifica», soprattutto per una questione di Identità. E’ proprio l’Identità sarda infatti il tratto che a mio parere accomuna gli Autori che scrivono in sardo. Ad iniziare dai poeti del Premio Ozieri in cui la peculiare identità della Sardegna non poteva essere garantita né da alcuna facile coloritura “dialettale” né dalla lingua presa in prestito –l’italiano- ma semplicemente dalla lingua sarda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

Conferenza sulla lingua sarda: un intervento di Michele Podda e la mia relazione sulla Letteratura sardaultima modifica: 2010-12-12T11:56:28+01:00da zicu1
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3 pensieri su “Conferenza sulla lingua sarda: un intervento di Michele Podda e la mia relazione sulla Letteratura sarda

  1. Caro Francesco,
    pur non ritenendomi io così valente come poeta e tanto grande come studioso, accetto volentieri la qualifica di “difensore e diffusore” della lingua sarda, con le unghie e con i denti, e ne vado orgoglioso. Grazie dunque.

    Mi spiace che tu non condivida “gran parte” dell’articolo; epperò mi consola quel che tu hai sostenuto con forza alla Conferenza di Fonni: “SOLTANTO L’OBBLIGO SCOLASTICO potrà ridare quel prestigio che, unico e solo, riuscirà a interrompere il processo di estinzione della nostra lingua”.

    In effetti questo è l’obiettivo centrale, quello che conta, e tutto l’articolo alla fin fine è volto alla sua realizzazione. Tutto il resto è certo importante, ma se noti costituisce più che altro un “percorso possibile”, il più idoneo secondo me, ma non certo il solo. L’importante è che si tenga presente un altro punto, oltre a quello che tu condividi pienamente: “… lo studio del sardo che c’è, quello ancora vivo, in tutte le sue varianti e dialetti esistenti…”, libero dalle subdole intrusioni dell’italiano, che giocoforza lo corrode sempre più, nel lessico certo, ma più a fondo nella sintassi, nei modi di dire, persino nei proverbi; insomma nello “spirito” oltre che nella forma (Wagner), nell’anima stessa.
    Realizzati SUBITO questi due punti, per il resto si può intervenire con calma, ragionandoci su, senza voler ottenere in pochi anni quel che le altre lingue sorelle hanno raggiunto in secoli.

    Io peraltro ti confesso che sono d’accordo in tutto sulla tua relazione. In particolare condivido appieno quanto segue:
    – Il sistema linguistico e letterario sardo, come sistema altro rispetto a quello italiano, è sempre stato altrettanto indipendente e contiguo ai vari sistemi linguistici e letterari con cui è venuto a contatto …”;
    – “Difficilmente la Sardegna … può essere integrata in un discorso di storia italiana;
    – “Noi non conosciamo appieno neppure oggi la letteratura sarda, tanto che è urgente una grande operazione di scavo e di recupero del nostro patrimonio letterario scritto e orale”;
    – “…occorrerebbe finalmente iniziare a liquidare certi equivoci gerarchici sulla cultura e sulle sue forme, su cultura “alta” e cultura “bassa”, cultura “materiale” inferiore e subordinata a quella “immateriale”;
    – “La lingua sarda è come un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato imbrigliato e impastoiato, che una volta liberato non può correre velocemente”;
    – “E’ soprattutto a partire dall’ultima metà del Novecento che i poeti e gli scrittori in lingua sarda hanno offerto risultati non solo quantitativamente ma anche qualitativamente degni di grande rilievo”;
    – ” L’importante è che la letteratura sarda abbia, come ogni letteratura, i tratti universali della qualità estetica e, se «specifica», quelli della propria Identità.

    Ho qualche dubbio su un solo punto del tuo scritto.
    Quando affermi che ” La lingua sarda, certo, deve crescere, E STA CRESCENDO…”, bisognerebbe ricordare quanto accennavo prima, ossia il rischio che tale crescita possa contenere il germe dell’ asfissia del sardo da parte della lingua italiana. Tu sai bene che in quel caso il processo di estinzione “della vera lingua sarda” sarebbe ugualmente reale, benchè poco visibile, forse.
    CONOSCERE QUESTO RISCHIO SIGNIFICA POTERLO EVITARE, con tanta umiltà, impegno e pazienza.

  2. Caro Francesco, pur non ritenendomi io così valente come poeta e tanto grande come studioso, accetto volentieri la qualifica di “difensore e diffusore” della lingua sarda, con le unghie con i denti, e ne vado orgoglioso. Grazie dunque.
    Mi spiace che tu non condivida “gran parte” dell’articolo; epperò mi consola quel che tu hai sostenuto con forza alla Conferenza di Fonni: “SOLTANTO L’OBBLIGO SCOLASTICO potrà ridare quel prestigio che, unico e solo, riuscirà a interrompere il processo di estinzione della nostra lingua”.

    In effetti questo è l’obiettivo centrale, quello che conta, e tutto l’articolo alla fin fine è volto alla sua realizzazione. Tutto il resto è certo importante, ma se noti costituisce più che altro un “percorso possibile”, il più idoneo secondo me, ma non certo il solo. L’importante è che si tenga presente un altro punto, oltre a quello che tu condividi pienamente: “… lo studio del sardo che c’è, quello ancora vivo, in tutte le sue varianti e dialetti esistenti…”, libero dalle subdole intrusioni dell’italiano, che giocoforza lo corrode sempre più, nel lessico certo, ma più a fondo nella sintassi, nei modi di dire, persino nei proverbi; insomma nello “spirito” oltre che nella forma (Wagner), nell’anima stessa.
    Realizzati SUBITO questi due punti, per il resto si può intervenire con calma, ragionandoci su, senza voler ottenere in pochi anni quel che le altre lingue sorelle hanno raggiunto in secoli.

    Io comunque ti confesso che sono d’accordo in tutto sulla tua relazione. In particolare:
    – Il sistema linguistico e letterario sardo, come sistema altro rispetto a quello italiano, è sempre stato altrettanto indipendente e contiguo ai vari sistemi linguistici e letterari…”;
    – “Difficilmente la Sardegna … può essere integrata in un discorso di storia italiana;
    – “Noi non conosciamo appieno neppure oggi la letteratura sarda, tanto che è urgente una grande operazione di scavo e di recupero del nostro patrimonio letterario scritto e orale”;
    – “…occorrerebbe finalmente iniziare a liquidare certi equivoci gerarchici sulla cultura e sulle sue forme, su cultura “alta” e cultura “bassa”, cultura “materiale” inferiore e subordinata a quella “immateriale”;
    – “La lingua sarda è come un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato imbrigliato e impastoiato, che una volta liberato non può correre velocemente”;
    – “E’ soprattutto a partire dall’ultima metà del Novecento che i poeti e gli scrittori in lingua sarda hanno offerto risultati non solo quantitativamente ma anche qualitativamente degni di grande rilievo”;
    – ” L’importante è che la letteratura sarda abbia, come ogni letteratura, i tratti universali della qualità estetica e, se «specifica», quelli della propria Identità.

    Ho qualche dubbio su un solo punto del tuo scritto.
    Quando affermi che ” La lingua sarda, certo, deve crescere, E STA CRESCENDO…”, bisognerebbe ricordare quanto accennavo prima, ossia il rischio che tale crescita possa contenere il germe dell’ asfissia del sardo da parte della lingua italiana. Tu sai bene che in quel caso il processo di estinzione “della vera lingua sarda” sarebbe ugualmente reale, benchè poco visibile, forse.
    CONOSCERE QUESTO RISCHIO SIGNIFICA POTERLO EVITARE, con tanta umiltà, impegno e pazienza.

  3. Caro Francesco, pur non ritenendomi io così valente come poeta e tanto grande come studioso, accetto volentieri la qualifica di “difensore e diffusore” della lingua sarda, con le unghie con i denti, e ne vado orgoglioso. Grazie dunque.
    Mi spiace che tu non condivida “gran parte” dell’articolo; epperò mi consola quel che tu hai sostenuto con forza alla Conferenza di Fonni: “SOLTANTO L’OBBLIGO SCOLASTICO potrà ridare quel prestigio che, unico e solo, riuscirà a interrompere il processo di estinzione della nostra lingua”.

    In effetti questo è l’obiettivo centrale, quello che conta, e tutto l’articolo alla fin fine è volto alla sua realizzazione. Tutto il resto è certo importante, ma se noti costituisce più che altro un “percorso possibile”, il più idoneo secondo me, ma non certo il solo. L’importante è che si tenga presente un altro punto, oltre a quello che tu condividi pienamente: “… lo studio del sardo che c’è, quello ancora vivo, in tutte le sue varianti e dialetti esistenti…”, libero dalle subdole intrusioni dell’italiano, che giocoforza lo corrode sempre più, nel lessico certo, ma più a fondo nella sintassi, nei modi di dire, persino nei proverbi; insomma nello “spirito” oltre che nella forma (Wagner), nell’anima stessa.
    Realizzati SUBITO questi due punti, per il resto si può intervenire con calma, ragionandoci su, senza voler ottenere in pochi anni quel che le altre lingue sorelle hanno raggiunto in secoli.

    Io comunque ti confesso che sono d’accordo in tutto sulla tua relazione. In particolare:
    – Il sistema linguistico e letterario sardo, come sistema altro rispetto a quello italiano, è sempre stato altrettanto indipendente e contiguo ai vari sistemi linguistici e letterari…”;
    – “Difficilmente la Sardegna … può essere integrata in un discorso di storia italiana;
    – “Noi non conosciamo appieno neppure oggi la letteratura sarda, tanto che è urgente una grande operazione di scavo e di recupero del nostro patrimonio letterario scritto e orale”;
    – “…occorrerebbe finalmente iniziare a liquidare certi equivoci gerarchici sulla cultura e sulle sue forme, su cultura “alta” e cultura “bassa”, cultura “materiale” inferiore e subordinata a quella “immateriale”;
    – “La lingua sarda è come un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato imbrigliato e impastoiato, che una volta liberato non può correre velocemente”;
    – “E’ soprattutto a partire dall’ultima metà del Novecento che i poeti e gli scrittori in lingua sarda hanno offerto risultati non solo quantitativamente ma anche qualitativamente degni di grande rilievo”;
    – ” L’importante è che la letteratura sarda abbia, come ogni letteratura, i tratti universali della qualità estetica e, se «specifica», quelli della propria Identità.

    Ho qualche dubbio su un solo punto del tuo scritto.
    Quando affermi che ” La lingua sarda, certo, deve crescere, E STA CRESCENDO…”, bisognerebbe ricordare quanto accennavo prima, ossia il rischio che tale crescita possa contenere il germe dell’ asfissia del sardo da parte della lingua italiana. Tu sai bene che in quel caso il processo di estinzione “della vera lingua sarda” sarebbe ugualmente reale, benchè poco visibile, forse.
    CONOSCERE QUESTO RISCHIO SIGNIFICA POTERLO EVITARE, con tanta umiltà, impegno e pazienza.

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