Il casus belli fra Mani e Cugusi

Don Mario, il fratello, l’amico

che appartiene alla comunità..

di Francesco Casula

Il casus belli fra l’Arcivescovo di Cagliari Mani e il parroco di Sant’Eulalia, don Cugusi, travalica i due personaggi investendo l’intera comunità, non solo parrocchiale. Ma c’è di più: il conflitto che oppone Mani  a Cugusi, non può essere ricondotto a semplice contrasto fra due personalità: da una parte unu piscamu un po’ autoritario (del resto era o non era Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia?); dall’altra un prete un po’ discolo e poco disponibile a obbedire ac cadaver a “ordini” ritenuti ingiusti e ingiustificati. Dietro il conflitto –emerso con la rimozione di Don Cugusi ma che era presente, e non solo sotterraneamente, anche prima- vi sono due modi di intendere e vivere l’Ecclesia: preconciliare quello di Mani e, invece, fortemente conciliare quello di don Cugusi. Che da anni, in realtà, agli occhi dell’Arcivescovo era un prete “scomodo”. Perché non può essere rinchiuso in recinti precostruiti, non appartiene a una “casta” che debba difendere il suo abito. Don Cugusi appartiene infatti, per intanto, a tutta la comunità del suo quartiere, Marina, non solo a quella ecclesiale. Per questo non ha mai ridotto la communio e la stessa vita della Chiesa alla struttura ecclesiastica, all’establishement o alla lettera della dottrina, quasi fosse un’ideologia astratta e autonoma, che naviga nei cieli e non si incarna nella storia. Di qui la sua apertura agli extracomunitari e alle altre confessioni religiose. Il contenuto della fede non è infatti –per Don Cugusi- la gerarchia ma l’evento di Cristo vivente che essa custodisce. E la Chiesa per lui è chiamata a servire dunque tutti gli uomini –segnatamente gli “ultimi”- e non solo i fedeli. Il suo servizio non è dunque un mestiere o una professione: è un ministero evangelico e profetico di salvezza che si dispiega nella situazione storica concreta in cui vive e opera, accettando e incrociando il frastuono dell’esistenza, occupandosi degli uomini quali sono e non solo delle loro anime: con le loro culture e i loro linguaggi: di qui, fra l’altro, la celebrazione liturgica in lingua sarda. Egli non è il capo di una setta religiosa, è il fratello, l’amico e il padre di tutti: ma soprattutto dei diseredati. Anche se non appartengono alla Chiesa. Di contro Mani è ancora legato a una concezione della Chiesa pre Concilio Vaticano II, come struttura e istituzione gerarchica, irrigidita e tesa alla conservazione del passato. Non avvedendosi che “L’obbedienza non è più una virtù” (Don Milani).

(Pubblicato sull’Unione Sarda del 24-7-10)

 

 

Il casus belli fra Mani e Cugusiultima modifica: 2010-07-28T11:49:00+02:00da zicu1
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Un pensiero su “Il casus belli fra Mani e Cugusi

  1. A me pare invece che don Cugusi sia molto ben introdotto negli establishment e nei circoli politico-culturali che contano, come dimostra la protezione subito ricevuta da ambienti intellettuali e da personaggi politici locali.
    E’ il sacerdote Cugusi a preoccupare, perchè sembra distante ormai mille miglia dal senso della sua vocazione, che lo lega a un presbiterio e lo sottomette (per grazia e vantaggio spirituale) all’autorità di un Pastore scelto da Dio per il tramite della gerarchia.
    Le solite tiritere sulla chiesa carismatica contrapposta a quella istituzionale hanno ormai preso a noia: la teologia della liberazione in salsa campidanese fa più sorridere che inorridire.
    Sarebbe bello poter vedere un sacerdote alla deriva (questo appare dalle scenate di questi giorni) rinsavire e recuperare in pieno la gioia e la pienezza umana e soprannaturale insita nella vocazione sacerdotale vissuta con fedeltà e umiltà.
    I segnali però sono preoccupanti, speriamo nella celeste intercessione della Vergine Maria, madre dei sacerdoti.

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