Fra crocifissi e islam nelle scuole

 

 

E’ GIUNTA L’ORA DI TUTTE LE RELIGIONI

 

di Francesco Casula*

Questa Europa difende solo le zucche della festa di Halloween: attacca così, il Cardinal Bertone, segretario di Stato del Vaticano, la sentenza della Corte di giustizia che cancella i crocifissi dalla aule scolastiche. Non si può che convenire con lui. Anche perché –a sostenerlo è il teologo Vito Mancuso, solitamente poco tenero con le gerarchie ecclesiastiche- il crocifisso raffigura il dolore e appartiene al nostro patrimonio culturale collettivo. Più che a una singola confessione religiosa. Più difficile invece risulta essere d’accordo con un altro prelato, il cardinal Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, che nell’opporsi all’insegnamento dell’Islam ha ribadito la giustezza dell’ora di religione a scuola. Che invece occorre mettere radicalmente in discussione: ma non per rierigere vecchi e superati steccati o fomentare guerre di religione bensì, da una parte per salvaguardare la laicità dello Stato e dall’altra perché l’ora di religione a scuola per moltissimi credenti è una ferita per la libertà religiosa e di coscienza. Si potrà obiettare che “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano”, come recita l’art.9 del Concordato. E’ vero. Proprio per questo, la cultura religiosa, specie quella cattolica, occorre insegnarla a tutti i giovani, senza alcun esonero. Ma tale insegnamento –questo è il punto-  non può essere impartito da “insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica” -perché ciò si configurerebbe come pura catechesi- bensì da docenti, con regolari titoli accademici, magari in Storia delle religioni o in Cultura religiosa, sganciati e liberi da qualsiasi controllo esterno, che non sia quello usuale, esercitato dalle autorità scolastiche, sui docenti delle altre materie curriculari. Dentro tale disciplina e tale  insegnamento pluriconfessionale, -in cui verosimilmente la religione cattolica, per il ruolo che ha avuto nella cultura italiana, avrà uno spazio consistente – dovranno trovare spazio anche tutte le altre religioni. Dentro un ambito di confronto e di incontro. Al di fuori di questa prospettiva vi è l’intolleranza e l’inevitabile scontro: la stessa giusta difesa e valorizzazione della propria identità deve avvenire in uno scambio e in un arricchimento reciproco di culture e di religioni non nella solitudine e nella separazione.

 

*STORICO

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 1011-09)

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limba e prosperità

 

Sa limba motore dello sviluppo.

di Francesco Casula*

Nel Piano regionale di sviluppo, predisposto e presentato nei giorni scorsi dalla Giunta regionale, si parla della Lingua sarda. Ecco quanto si sostiene nel paragrafo <Diffondere la conoscenza e l’uso della lingua sarda>: ”L’attenzione alla cultura delle persone è rappresentata anche dalla volontà di mantenere e rafforzare la promozione dell’insegnamento della lingua sarda, da inserire nell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche. Obiettivo principale è quello di favorire l’insegnamento della lingua sarda, all’interno dell’orario curricolare laddove ciò sia possibile, in relazione alle singole autonomie scolastiche, per raggiungere in tal modo la piena crescita identitaria dei sardi con l’inserimento di materie specifiche come l’archeologia, la storia dell’arte e delle tradizioni popolari in Sardegna”. E’ la prima volta che nella storia dell’Autonomia, in un documento di programmazione economica, si parla della lingua sarda. Ma c’è di più. Del sardo e delle questioni culturali e identitarie non si fa cenno neppure nella legge fondamentale della Comunità Sarda, lo Statuto speciale, tutto incentrato sul versante economicistico. C’è da augurarsi, a questo punto, che ciò rappresenti una svolta e si inizi a considerare sa limba anche come un motore per lo sviluppo, che crea lavoro e prosperità. Naturalmente si dovrà passare dalle enunciazioni di principio alle scelte concrete: per questo occorrerà che nella Finanziaria regionale in discussione in questi giorni, vengano previste corpose risorse finanziarie per la valorizzazione del sardo e per il suo insegnamento curriculare nelle scuole di ogni ordine e grado. Altrimenti –come mi dice Michele Podda- totu custas paràulas sunt bentu in unu sacu. Lo stesso Podda già sindaco di Ollolai, docente per professione e poeta in limba per hobby, fresco vincitore Sabato scorso 31 ottobre del Premio Montanaru a Desulo, si augura, in una ottava, che messe da parte polemiche vacue e inutili su quale lingua insegnare, si possano dedicare due ore alla settimana per l’apprendimento de sa limba ‘e sos mannos. Ecco l’ottava: “Crèschida e limba sunt ponende impare/sos sardos cherent ponner marrania/non brigas po comuna o mesania/su sardu totu in iscola imparare/bilinguismu pro como a lu lassare/istòria e arte a un’àtera bia/de leze a totus sa limba ‘e sos mannos/duas oras donzi iscola po tres annos.

*storico

 

(Pubblicato su Il Sardegna del 4-11-2009)