Sul fallimento deell’industrializzazione in Sardegna

La colpe di un industria malata

di Francesco Casula*

I 50.000 sardi che Venerdì scorso, in occasione dello sciopero generale, hanno invaso le vie di Cagliari, hanno rappresentato e denunciato l’acutissima crisi che vive l’Isola, forse la più grave dal primo dopoguerra. A fotografare impietosamente tale crisi sono alcuni dati: 150 mila disoccupati, 350 mila sardi che vivono al di sotto della soglia della povertà, 13 mila lavoratori in cassa integrazione, 600 e più imprese che hanno dichiarato lo stato di “sofferenza”. Non c’è settore produttivo, ad iniziare dall’agropastorizia,(con il 24% in meno di occupati nel 2009) che non denunci grandi difficoltà. Sono in crisi anche i Servizi (scuola, sanità, trasporti). Mentre i giovani sardi riprendono la via dell’emigrazione. Tutto ciò a suggellare e certificare un duplice e contestuale fallimento cinquantennale: della  cosiddetta Rinascita e dell’Autonomia che, tradendo le aspirazioni e le speranze del popolo sardo, si sono rovesciate nella realtà del sottosviluppo e nella involuzione ai limiti della tolleranza. Sotto accusa deve essere messo soprattutto quel modello di sviluppo incentrato essenzialmente nella grande industria di stato e privata, segnatamente di quella petrolchimica, che ha devastato e depauperato il territorio: la nostra risorsa più pregiata; ha degradato e inquinato l’ambiente e il mare, con danni incalcolabili per il turismo e per la pesca; ha sconvolto gli equilibri e le vocazioni naturali; ha distrutto il tessuto economico tradizionale e quel minimo di industria e di imprenditorialità locale, attentando all’identità nazionale dei Sardi, con l’eliminazione delle specificità linguistico-culturali, con il pretesto di combattere la violenza e il banditismo: è il caso soprattutto di Ottana. Senza peraltro creare occupazione e benessere. Così oggi, Stato e privati, ci lasciano un cimitero di ruderi . E sono scappati: prima lo stato e oggi multinazionali come l’Alcoa, che dopo aver ereditato a prezzi stracciati l’azienda e dopo aver realizzato grandi profitti, essendo anche stata abbondantemente foraggiata dai soldi pubblici –un miliardo di euro dal 2006 ad oggi- incassato il malloppo s’invola altrove, dove il costo del lavoro è più basso. L’unica ipotesi di fuoruscita della Sardegna dalla dipendenza e dal sottosviluppo sta nell’intraprendere una via locale alla prosperità, cambiando radicalmente rotta rispetto al passato.

*storico

(Pubblicato su Il Sardegna del 9-2-10)

Sul fallimento deell’industrializzazione in Sardegnaultima modifica: 2010-02-09T08:56:21+01:00da zicu1
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