Il Natale di Salvatore Cambosu,

Il Natale di Salvatore Cambosu,

 il grande scrittore di Orotelli

 Salvatore Cambosu in Miele Amaro, il suo capolavoro, -che possiamo, considerare un’antologia, un catalogo generale dell’identità sarda, della sua storia e della sua civiltà- ora come etnologo e antropologo, ora come demologo e storico, ma soprattutto come narratore e poeta, racconta dall’interno, dal sottosuolo, facendosi portavoce del popolo, una sardità non mitizzante ma ancorata alla realtà. E con essa descrive riti e tradizioni.

 Fra i tanti temi a lui molto cari e tra i più frequentati vi è il Natale. Ecco cosa scrive in proposito nel capitolo Poesie Natalizie liete e tristi :«Certo, ci vuole proprio un villaggio perché un bambino come Gesù possa nascere ogni anno per la prima volta. In città non c’è una stalla vera con l’asino vero e il bue; non si ode belato, e neppure il gri­do atroce del porco sacrificato, scannato per la ricorrenza. In città è persino tempo perso andar cer­cando una cucina nel cui cuore ne­ro sbocci il fiore rosso della fiamma del ceppo. E infine, con tante luci che vi oscurano le stelle, è troppo pretendere attecchisca la speranza che, alla punta di mezzanotte, i cie­li si spalancheranno e dallo squar­cio s’affaccerà una grotta azzur­ra…».

 Riporta quindi una serie di gosos e poesie legate alla Natività:

 Celesti tesoru/ d’eterna allegria/ dormi vida e coru/ riposa anninnia/

Dormi cun riposu /dormi fillu miu/ divinu pippiu/ de su mundu gosu/ fillu graziosu/ de s’anima mia.

 Su veru redentore/ passat da-e sas alturas/ cagliadebos creaturas/ ca dormit su Segnore.

 E ancora:

 Otto dies est a como/ chi su Segnore est naschidu/ a cantare est bessidu/ minoreddu e tantu abbistu/ In nomen de Gesù Cristu e de sa mama Maria…

 E invece in un Racconto, Il Natale in Sardegna scrive «Nei miei ricor­di non c’è posto per un Natale senza neve. Il Bambino nasceva ogni anno, in quella chiesa pisana, intie­pidita dal calore della folla, tra una sparatoria, un abbaiare e uno scam­panio frenetico. Nevicava. Le donne, inginocchiate sul pavimento nudo, cantavano …. Tutto ormai era a po­sto. La stella d’Oriente, che aveva viaggiato per gioco di fili dal porto­ne al tabernacolo, dove c’era il pre­sepe nascosto da una tendina, ades­so era a perpendicolo sulla testa del celebrante. La tendina rimossa, il Bambino sgambettava nudo, e Ma­ria era china sulla culla di paglia.

 La felicità poco durava. Di punto in bianco le donne intonavano, in no­me suo, un’altra ninna nanna: il cuore materno, a tanto breve di­stanza dal primo vagito del Bambi­no, già presagiva tra i ceri accesi e il profumo degli incensi, l’ombra della Croce sul nudo Calvario».

 E …

 VESPRO DI NATALE

 di Sebastiano Satta

 Incappucciati1, foschi2, a passo lento,

 tre banditi ascendevano3la strada

 deserta e grigia, tra la selva rada4

 ei sughereti5, sotto il ciel d’argento.

 Non rumore di mandre6 o voci7,

 il vento agitava8 per l’algida9 contrada.

 Vasto10 silenzio. In fondo, monte Spada11

 ridea12 bianco nel vespro sonnolento13.

 O vespro di Natale14! Dentro il core

 ai banditi piangea la nostalgia

 di te, pur senza udirne le campane:

 e mesti eran, pensando al buon odore

 del porchetto e del vino15, e all’allegria

 del ceppo16, nelle lor case lontane17.

 Note

 Metrica: sonetto. Rime ABBA, CDE

 1.Incappucciati: con il copricapo nero di orbace in testa..

 2.Foschi: oscuri appunto perché indossavano un cappotto di orbace nero che li nascondeva agli occhi delle persone e li proteggeva dal freddo. Le orbace infatti sono un tessuto di lana di pecora, molto resistente e impermeabile.

 3.Ascendevano: salivano

 4.Rada: non folta di sughere.

 5.Sughereti: sono boschi di sughere (o soveri) molto estesi in Gallura –nord est della Sardegna- e nel Mandrolisai –centro sud-, mentre sono assai limitati e poco folti nella Barbagia di Ollolai dove è ambientata la poesia.

 6.Rumore di mandre: le pecore portano al collo i campanacci –in sardo sas sonazas- che producono un caratteristico tintinnio e servono per essere localizzate dai pastori..

 7.Voci: i pastori sono soliti richiamare le greggi con voci e più spesso con fischi particolari che le bestie intendono come per istinto. Inoltre i pastori si chiamano fra loro, in spazi vasti, per comunicarsi notizie e scambiarsi quattro chiacchiere. Di qui l’abitudine degli stessi a parlare sempre a voce molto alta, quasi urlata.

 8.Agitava:portava.

 9.Algida: gelida, fredda.

 10.Vasto: profondo.

11.Monte Spada: una delle vette più belle e più alte del Gennargentu (m.1595) nel territorio di Fonni, mentre Punta Corrasi –cui Satta accenna nell’introduzione ai Canti Barbaricini- in agro di Oliena è alta m.1463.

 12.Ridea: spiccava perché coperto di neve.

 13.Vespro sonnolento: la sera che porta il sonno e dunque il riposo.

 14.Vespro di Natale: la notte di Natale.

 15.Porchetto e vino: ancora oggi ma soprattutto nel passato era consuetudine delle famiglie sarde di ambiente pastorale e barbaricine in specie, consumare a Natale, dopo la messa di mezzanotte abbondanti arrosti (di salsicce, porchetti, agnelli o capretti) innaffiati da un buon vino.

 16.Ceppo: i tronchi necessari per alimentare il fuoco.

 17.Case lontane: in Sardegna gli insediamenti umani sono concentrati nei villaggi, distanti gli uni dagli altri. Il territorio è spopolato per cui le campagne sono solitarie: in queste, soprattutto in quelle caratterizzate da montagne e luoghi impervii, si rifugiavano –e si rifugiano ancora- i banditi.

 A cura di Francesco Casula

Il Natale di Salvatore Cambosu,ultima modifica: 2013-12-22T23:50:31+01:00da zicu1
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