Gli svarioni della Presidente Todde

Gli svarioni della Presidente Todde

di Francesco Casula

A la7 Todde, il 30 agosto scorso, è caduta in una serie di svarioni. Tre in particolare.

1. Gli abitanti della Sardegna sono molto meno del milione e ottocentomila di cui lei ha parlato: sono esattamente 1.569.832 al 1 gennaio 2024.

2. Non risponde alla verità storica il fatto che lo Stato italiano (attraverso la Costituente) abbia concesso nel 1948 l’Autonomia speciale alla Sardegna perché “povera e arretrata”. C’erano altre Regioni italiane ancor più povere e arretrate (ricordo per esempio Lucania e Calabria) cui non è stata concessa nessuna autonomia speciale.
Il motivo vero della concessione è stato a causa della specificità storica culturale e linguistica della Sardegna: che però lo Stato italiano non poteva né ammettere né confessare. Altrimenti, nello Statuto, riconoscendo tale specificità, avrebbe dovuto prevedere potestà e competenze in quegli ambiti, culturali e linguistici. Ancora oggi del tutto assenti nello Statuto stesso. Nonostante Emilio Lussu rivendicasse la presenza della lingua sarda nelle scuole e Giovanni Lilliu competenze primarie ed esclusive nel settore dei Beni culturali. Richieste, l’una come l’altra, respinte.
Come sempre però il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Succede così che per ben tre volte nello Statuto sardo si usa la locuzione “Il popolo sardo”. Mentre in tutti gli altri Statuti regionali non si parla mai di “Popolo lombardo o laziale o campano” ma di Regioni della Lombardia, del Lazio della Campania. Al legislatore, freudianamente, scappa, dal sen sfuggito inconsapevolmente, “la verità” : quello sardo è un Popolo, ben distinto da quello italiano!
Nasce quindi uno Statuto, costruito esclusivamente sul versante economicistico (1, cartina di tornasole ne è l’articolo 133:” Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola.

3. Lo svarione più grave attiene però alla attuale povertà e arretratezza della Sardegna oggi. La Todde cerca di arrampicarsi sugli specchi per spiegarla. Perché dimentica un dato storico imprescindibile: il colonialismo interno (2). Con il Nord predatore: di risorse economiche e finanziarie che dalla Sardegna (e dal Sud) s’involano al Nord. Con un tipo di sviluppo fondato sullo scambio ineguale. Con la Sardegna ridotta a base di servizio di industrie nere e inquinanti, servitù militari. Ed oggi hub energetico per l’Italia. Con issos chi si nche pigant su ranu (energia pulita, bella e pronta) e a noi lasciano devastazione e, aliga.

Riferimenti bibliografici:
1. Francesco Casula, Statuto sardo e dintorni, Artigianarte editore, Cagliari 2001.
2. Ecco un minimo di bibliografia per capire il colonialismo, compreso quello interno, lo scambio ineguale e il furto da parte del Nord delle risorse del Sud e della Sardegna in specie:
1. Nicola Zitara, L’Unità d’Italia. nascita di una colonia, Jaca Book, Milano, 1971; Il proletariato esterno, Jaca Book , Milano, 1972; Memorie di quand’ero italiano, Ed. Città del Sole, Reggio Calabria, 2013.
2.Anton Carlo/Carlo Capecelatro, Contro la Questione Meridionale, Ed. Savelli, Roma 1972.
3.Pino Aprile, Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali, ( 2010); Giù al Sud, perché i terroni salveranno l’Italia ( 2012); Il Sud puzza. Storia di vergogna e d’orgoglio, (2013); Terroni ‘ndernescional. E fecero terra bruciata, (2014); Carnefici, (2016): tutti editi dalla PIEMME di Milano.
4.P. A. Baran, Il surplus economico e la teoria marxiana dello sviluppo, Feltrinelli, Milano,1975.
5.Gunter Frank, Il surplus economico e la teoria marxiana dello sviluppo, Feltrinelli, Milano,1975.
6.Samir Amin, Sulla Transizione, Ed. Jaca-Book, Milano, 1973 e La teoria dello sganciamento, Ed. Diffusioni, Milano 1986.

La resistenza dei Sardi

La resistenza dei Sardi

di Francesco Casula

È in atto un momento storico di “resistenza” del popolo sardo, con una mobilitazione e un protagonismo mai visto e che attraversa l’intera Isola. Con manifestazioni, sit-in, assemblee popolari. E con una raccolta di firme, a decine di migliaia, per una proposta di legge popolare “Pratobello 2024” in grado di bloccare o comunque limitare la speculazione energetica e lo scempio delle Pale e dei campi fotovoltaici.
Una mobilitazione spontanea, dal basso: come momento alto di partecipazione popolare, protagonismo sociale e democrazia diretta. Con decine e decine di migliaia di sarde e sardi, protagonisti di una vera e propria rivoluzione, non violenta pacifica e di massa. Uniti. Al di là e al di fuori di ideologie ossificate, di (in)culture neocoloniali; di Partiti italici allogeni e allotri, estranei e ostili storicamente ai Sardi, di cui si ricordano solo in occasione delle elezioni, per depredare il nostro voto. Con promesse fallaci e con una lingua biforcuta: autonomisti in Sardegna e centralisti a Roma.
Ancora una volta i Sardi, come tante volte nella loro millenaria storia, fin dai tempi della dominazione romana, costantemente “resistono” alle ruberie agli sfregi e agli stupri ancora oggi inferti da “chi viene dal mare”: speculatori o meglio a veri e propri colonizzatori faccendieri affaristi e predatori incalliti invasivi invadenti e sbrigativi, che sono entrati (e i più), vogliono entrare in casa nostra. Senza permesso. Al di fuori e contro la nostra volontà
Sono predatori venuti da tutto il Pianeta, d’oltreoceano e d’oltralpe, che hanno deciso di mettere a ferro e fuoco, ogni angolo di questa terra promessa, votata al ruolo di genio naturale, trasformata per scelte scalmanate e devastanti in terra di ulteriori servitù: con migliaia di pale eoliche e distese infinite di pannelli cinesi.
Piani di assalto studiato nelle casseforti delle banche d’affari mondiali, congegnato nelle diplomazie europee ma messi a punto “accolti” e “legalizzati” nei Palazzi romani e nel Governo Draghi sostenuto dal “Partito unico”: la locuzione non è mia ma di Luciano Canfora. Ovvero sostenuto da quasi tutta la partitocrazia italica.E, ahimè, purtroppo con il beneplacito o comunque, la connivenza e collusione dei “basisti” e vassalli locali.
Vengono in Sardegna per sfruttare e depredare le nostre risorse, deprivandocene: vento e sole, terra e mare. Suolo e sottosuolo. Per devastare manomettere e squassare il nostro territorio: imbruttendo il nostro paesaggio. Violentando l’ambiente. Sradicando gli alberi. Interrando la nostra storia e la nostra cultura e identità etno-antropologica, e linguistica.
Senza alcun ritorno neppure in termini economici e finanziari per la Sardegna e i Sardi. Per produrre energia “verde”, pulita e bella e pronta all’Italia, ma soprattutto al Nord. E consegnare i colossali profitti dei mostri delle Pale e dei campi eolici a imprese e fondi finanziari di mezzo mondo
Di qui la “resistenza” e l’opposizione dei Sardi, non per conservare lo status quo ma per respingere il neocolonialismo.
E’ un ritorno alla “costante resistenziale” di cui parla Giovanni Lilliu in un suo suggestivo saggio? Forse sì.
Costante resistenziale, che avrebbe permesso ai sardi di conservare il senso di appartenenza e che consisterebbe in: “quell’umore esistenziale del proprio essere sardo, come individui e come gruppo che, in ogni momento, nella felicità e nel dolore delle epoche vissute, ha reso i Sardi costantemente resistenti, antagonisti e ribelli, non nel senso di voler fermare, con l’attaccamento spasmodico alla tradizione, il movimento della vita e della loro storia, ma di sprigionarlo il movimento, attivandolo dinamicamente dalle catene imposte dal dominio esterno”.
Si riferisce certo alla storia in generale ma, a mio parere, ben si attaglia anche all’oggi.

I Romani non conquistarono mai la Barbagia. Un mito da sfatare

I Romani non conquistarono mai la Barbagia?
Un mito da sfatare.

di Francesco Casula

(Per anni l’ho coltivato anch’io questo mito. Da barbaricino di Ollolai, in qualche modo mi rendeva orgoglioso. Ma quando la documentazione storico-archeologica certifica, con prove indiscutibili e incontrovertibili, liquida il mito stesso, occorre avere il coraggio, di mettere da parte l’orgoglio etnocentrico, attenendosi alla storia documentale)
Ebbene, l’archeologa Maria Ausilia Fadda – già direttrice del Museo archeologico di Nuoro – contesta proprio il mito secondo cui la Barbagia non sarebbe mai stata conquistata dai Romani, con prove, parrebbe, inattaccabili. (in Archeologia viva, Giunti editore, 2012)
1. A Sirilò, sul Supramonte di Orgosolo, ci sono i resti di un antico villaggio, con diversi strati, dall’età del bronzo fino all’epoca della dominazione romana.
In Sirilò sono stati recuperati cocci di tazze di ceramica attica, di coppe di produzione punica, fine vasellame da mensa, frammenti di raffinatissimi corredi funerari e di oggetti votivi, come ad esempio le cinque foglie d’argento, risalenti al VII secolo a.C., forse parte di un diadema. A dimostrazione – secondo la Fadda – dei contatti commerciali fra nuragici delle zone interne e la costa occidentale, dove prima con i Fenici e poi con i Cartaginesi arrivavano merci di raro pregio, molto richieste dalle aristocrazie locali. Già allora la Barbagia era un mercato aperto, figurarsi cosa doveva essere al tempo dei Romani. La romanizzazione successiva al 1° e 2° secolo d.C. è documentata dal ritrovamento di monete, di una brocca in lamina di bronzo, di grandi contenitori per derrate.
2. In Barbagia c’è un altro sito archeologico, area di sant’Efis , nelle campagne di Orune, due ettari con i magazzini e il deposito di merci. Qui sono state trovate le giare e le anfor africane che contenevano l’olio pregiato e la salsa di pesce, oltre a splendide lucerne, vasellame finissimo, bicchieri in vetro soffiato e persino lanterne, con incisa l’immagine di Cristo con gli apostoli. Una vera e propria città-mercato al centro della strada che da Olbia – passando per Caput Tirsi (Buddusò) – Sorabile (vicino a Fonni)– Valentia (Nuragus)– Biora (Serri), arrivava fino a Cagliari.
Nell’età imperiale, nel 3° secolo d.C. il villaggio era abitato da sardi romanizzati, occupava un punto strategico sulla strada principale della Sardegna ed era un centro di smistamento delle merci tra il porto di Olbia e quello di Cagliari.
Bene. Il punto però – a mio parere – non è tanto quello di sapere che i Romani conquistarono la Sardegna: le prove dell’archeologa Fadda e molte altre, non possono lasciare dubbi. Il problema è se e per quanto tempo l’abbiano veramente “dominata”.
Ma su questa questione tornerò. Anticipo solo che il dominio fu breve e, in ogni caso più limitato rispetto al dominio nel resto della Sardegna dai Romani stessi “Romània”, contrapposta appunto alla “Barbària”.
Una vastissima area del centro diventerà vieppiù autonoma da Roma dando vita, progressivamente, a un vero e proprio”regno” (?) di cui il capo sarà Ospitone, non a caso chiamato dal Papa Gregorio Magno (594) “Dux Barbaricinorum”.I Romani non conquistarono mai la Barbagia?
Un mito da sfatare.
di Francesco Casula
(Per anni l’ho coltivato anch’io questo mito. Da barbaricino di Ollolai, in qualche modo mi rendeva orgoglioso. Ma quando la documentazione storico-archeologica certifica, con prove indiscutibili e incontrovertibili, liquida il mito stesso, occorre avere il coraggio, di mettere da parte l’orgoglio etnocentrico, attenendosi alla storia documentale)
Ebbene, l’archeologa Maria Ausilia Fadda – già direttrice del Museo archeologico di Nuoro – contesta proprio il mito secondo cui la Barbagia non sarebbe mai stata conquistata dai Romani, con prove, parrebbe, inattaccabili. (in Archeologia viva, Giunti editore, 2012)
1. A Sirilò, sul Supramonte di Orgosolo, ci sono i resti di un antico villaggio, con diversi strati, dall’età del bronzo fino all’epoca della dominazione romana.
In Sirilò sono stati recuperati cocci di tazze di ceramica attica, di coppe di produzione punica, fine vasellame da mensa, frammenti di raffinatissimi corredi funerari e di oggetti votivi, come ad esempio le cinque foglie d’argento, risalenti al VII secolo a.C., forse parte di un diadema. A dimostrazione – secondo la Fadda – dei contatti commerciali fra nuragici delle zone interne e la costa occidentale, dove prima con i Fenici e poi con i Cartaginesi arrivavano merci di raro pregio, molto richieste dalle aristocrazie locali. Già allora la Barbagia era un mercato aperto, figurarsi cosa doveva essere al tempo dei Romani. La romanizzazione successiva al 1° e 2° secolo d.C. è documentata dal ritrovamento di monete, di una brocca in lamina di bronzo, di grandi contenitori per derrate.
2. In Barbagia c’è un altro sito archeologico, area di sant’Efis , nelle campagne di Orune, due ettari con i magazzini e il deposito di merci. Qui sono state trovate le giare e le anfor africane che contenevano l’olio pregiato e la salsa di pesce, oltre a splendide lucerne, vasellame finissimo, bicchieri in vetro soffiato e persino lanterne, con incisa l’immagine di Cristo con gli apostoli. Una vera e propria città-mercato al centro della strada che da Olbia – passando per Caput Tirsi (Buddusò) – Sorabile (vicino a Fonni)– Valentia (Nuragus)– Biora (Serri), arrivava fino a Cagliari.
Nell’età imperiale, nel 3° secolo d.C. il villaggio era abitato da sardi romanizzati, occupava un punto strategico sulla strada principale della Sardegna ed era un centro di smistamento delle merci tra il porto di Olbia e quello di Cagliari.
Bene. Il punto però – a mio parere – non è tanto quello di sapere che i Romani conquistarono la Sardegna: le prove dell’archeologa Fadda e molte altre, non possono lasciare dubbi. Il problema è se e per quanto tempo l’abbiano veramente “dominata”.
Ma su questa questione tornerò. Anticipo solo che il dominio fu breve e, in ogni caso più limitato rispetto al dominio nel resto della Sardegna dai Romani stessi “Romània”, contrapposta appunto alla “Barbària”.
Una vastissima area del centro diventerà vieppiù autonoma da Roma dando vita, progressivamente, a un vero e proprio”regno” (?) di cui il capo sarà Ospitone, non a caso chiamato dal Papa Gregorio Magno (594) “Dux Barbaricinorum”.

Pale? Un attentato alla nostra identità

Pale? Un attentato alla nostra Identità.

di Francesco Casula

Il territorio non è solo un luogo fisico. È un complesso di identità geografiche ambientali e paesaggistiche. Ma soprattutto storiche e archeologiche. Artistiche e architettoniche. Letterarie e linguistiche. Antropologiche.
Con l’assalto delle Pale ci sarebbe un vero e proprio scempio e scasso della Identità complessiva dei Sardi, che sarebbe gravemente non solo ferita ma brutalmente devastata e manomessa, forse irrimediabilmente.
Da questo punto di vista l’opposizione alle Pale si configura come una difesa della nostra civiltà e assumerebbe anche un alto valore culturale etnico ed etico.
Per questo è necessaria l’unità dei Sardi come Popolo e come Nazione. Non è in ballo un Partito, un’ideologia, la maggioranza o la minoranza di governo (sia regionale che statale): riguarda l’intero Popolo Sardo e i suoi interessi generali, culturali e civili, ambientali e paesaggistici, prima ancora che energetici ed economici.
Ma soprattutto è in gioco la sua libertà decisionale e le sue capacità di AUTODETERMINARSI.
Mai come questa volta sarà necessario un confronto/scontro con lo Stato per affermare e rivendicare i nostri spazi di Autodeterminazione e di Sovranità in merito all’uso e gestione del nostro territorio.
Hic Rhodus, hic salta!

Per i terreni di Sa Serra (Nuoro) un destino funesto.
di Francesco Casula
Per i terreni di Sa Serra un destino fumesto: ieri “privatizzati”, oggi bruciati e, Dio non voglia, destinati ad essere ulteriormente devastati dalle Pale eoliche.
IERI:
esattamente il 26 aprile del 1868, una domenica, a Nuoro Paskedda Zau, diede vita a una ribellione, passata alla storia come rivolta di “Su Connotu”,
Paskedda vedova, con 10 figli a carico, (che fa la pastora, avendo preso il posto del marito morto), in strada, all’uscita della messa, si rivolse alle donne che con lei avevano assistito alla celebrazione. Raggiunta la piazza antistante la chiesa, cominciò a chiamare anche gli altri nuoresi invitandoli alla ribellione. Che si trasforma in vera e propria rivolta con più di 300 persone – soprattutto donne – che assaltano il Municipio, scardinano le porte, asportano i fucili della Guardia nazionale, scaraventano in piazza i mobili e i documenti dello stato civile ma soprattutto i documenti catastali (su papiru bullau) sulle lottizzazioni dei terreni demaniali (dell’Ortobene e di Sa Serra, circa 8 mila ettari), che l’Amministrazione comunale – espressione degli interessi dei printzipales e della borghesia intellettuale e professionale, per lo più massonica – aveva deciso di vendere a famelici possidentes. Sottraendoli all’uso comunitario di pastori e contadini (che consentiva legnatico ghiandatico e pascolo per le pecore), viepiù ridotti alla miseria: uso che costituiva, per le comunità, un sollievo alla povertà, aggravatasi in seguito alla violenta carestia, che, nel 1866, li aveva colpiti duramente, mettendoli in ginocchio e portandoli sull’orlo della catastrofe.
Quelle terre comunitarie non potevano essere vendute. Ma violando consuetudini millenarie i tiranni sabaudi con una Legge del 25 aprile 1865 le avevano “liberate” dal vincolo e rese vendibili. Con il pretesto che il Comune di Nuoro doveva pagare i costi della ferrovia allora incipiente.
La rivolta di Paskedda Zau rappresenta l’epilogo drammatico di rivolte decennali contro la privatizzazione delle terre, volute dai tiranni sabaudi, prima con l’Editto delle Chiudende e poi con l’abolizione dei diritti di ademprivio.

OGGI:
parte di queste terre, boschive e a pascolo, evidentemente “maledette”, vengono bruciate da mani criminali: ben 1500 ettari.
Ma c’è un fatto curioso ma soprattutto inquietante: ricadono in quell’area bruciata due progetti di Pale eoliche. Il primo si chiama “Intermontes” con 13 Pale, ognuna alta 180 metri, sulla strada provinciale Nuoro-Benetutti, degli Spagnoli di “Edp Renewables”.
Il secondo della “Nuoro Wind s.r.l” ma con sede a North Bridge Road nel grattacielo centrale di Singapore. Il parco prevede 15 torri giganti, con 135 metri di altezza.
Un destino funesto per i terreni di Sa Serra: ieri sottratti all’uso comunitario della gente nuorese (soprattutto dei pastori) da parte di famelici possidenti (autorizzati dallo stato sabaudo) e oggi sottratti ai sardi tutti da parte di veri e propri nuovi colonizzatori faccendieri e predatori incalliti invasivi invadenti e sbrigativi.
Predatori venuti da tutto il Pianeta, d’oltreoceano e d’oltralpe, che hanno deciso di mettere a ferro e fuoco, ogni angolo di questa terra promessa, votata al ruolo di genio naturale, trasformata per scelte scalmanate e devastanti in terra di stazione di servizio di industrie nere e inquinanti e di servitù per armi rifiuti scorie e ora pale eoliche e distese infinite di pannelli cinesi.
Piani di assalto studiato nelle casseforti delle banche d’affari mondiali, congegnato nelle diplomazie europee ma messi a punto “accolti” “legalizzati” nei Palazzi romani, ovvero, ancora una volta come nel 1865, autorizzati dallo Stato nemico dei Sardi. E, ahimè con il beneplacito o, comunque la connivenza collusione e pavidità dei “basisti” e vassalli locali. Come nel 1868 con il Comune di Nuoro!
Vengono per sfruttare, deprivandocene, le nostre risorse: vento e sole, terra e mare. Suolo e sottosuolo. Devastando il nostro territorio e imbruttendo il nostro paesaggio.
Ma non solo. Violentando l’ambiente. Sradicando gli alberi. Interrando la nostra storia e la nostra cultura e identità etno-antropologica, e linguistica.
Sardos, ma finas a cando? Usque tandem?