Globalizzazione e risveglio identitario


Globalizzazione e risveglio identitario

di Francesco Casula

Solo fino a qualche decennio fa sembrava vittoriosa su tutti i fronti l’ideologia, vacuamente ottimistica e credente nelle magnifiche sorti e progressive, tutta basata su uno sviluppo materiale illimitato, che avrebbe dovuto eliminare le nazionalità marginali, le diversità linguistiche e culturali, bollate sic et simpliciter come primordiali, quando non veri e propri residui e cascami del passato.
Sull’altare di tale progresso, segnato dall’orgia neoliberista e dunque dal furore del denaro e del consumo, scandito dalla semplice accumulazione di beni materiali e fondato sulla onnipotenza della tecnostruttura – di cui parla Jean Braudillard – ovvero sulla tecnologia e gli apparati di dominio politico, si è sconquassato il territorio, devastato l’ambiente, compromettendo forse in modo irreversibile gli equilibri dell’ecosistema e nel contempo sono state sacrificate e distrutte culture, risorse artistiche, codici. Si è trattato e si tratta – perché il perverso e diabolico processo, sia pure oggi messo in discussione continua – di una vera e propria catastrofe antropologica, se solo pensiamo a quanto ci rende noto il Centro studi di Milano “Luigi Negri”, secondo il quale ogni anno scompaiono nel mondo dieci minoranze etniche e con esse altrettante civiltà, modi di vivere originali, specifici e irrepetibili. Con questo ritmo, persino i più ottimisti fra i linguisti – ricordo per tutti Claude Hagè – prevedono che tra appena cento anni la metà delle sei/settemila lingue ancora oggi parlate nel pianeta oggi, scomparirà.
Il pretesto e l’alibi di tale genocidio è stato che occorreva trascendere e travolgere le arretratezze del mondo “barbarico” – per noi Sardi “barbaricino” – le sue superstizioni, le sue “aberranti” credenze, i suoi vecchi e obsoleti modelli socio-economico-culturali, espressione di una civiltà preindustriale e rurale, considerata ormai superata. I motivi veri sono invece da ricondurre alla tendenza del capitalismo e degli Stati – e dunque delle etnie dominanti – a omologare in nome di una falsa “unità”, della globalizzazione dei mercati, della razionalità tecnocratica e modernizzante, dell’universalità cosmopolita e scientista, le etnie marginali e con esse le loro differenze, in quanto portatrici di codici “altri”, scomodi e renitenti, ossia reverdes (ribelli).
Quella “unità”, di cui parla lo scrittore Eliseo Spiga nel suo suggestivo e potente romanzo, Capezzoli di pietra (Zonza Editori): Ormai il mondo era uno. Il mondo degli incubi di Caligola. Un’idea. Una legge. Una lingua. Un’eresia abrasa. Un’umanità indistinta. Una coscienza frollata. Un nuragico bruciato. Un barbaricino atrofizzato. Un’atmosfera lattea. Una natura atterrita. Un paesaggio spianato. Una luce fredda. Città villaggi campagne altipiani nazioni livellati ai miti e agli umori di cosmopolis.
Che vorrebbe un solo mondo (One world), e per di più un mondo uniforme, l’odiosa, omogenea unicità mondiale, l’aveva chiamata David Herbert Lawrence in Mare e Sardegna; anzi una sfera rigida e astratta nell’empireo e non invece tanti mondi, ciascuno col proprio movimento e con un suo essere particolare e inconfondibile.
Quell’unità e quel pensiero “unico” che – ha scritto a questo proposito il poeta Nichi Vendola, già parlamentare europeo – abolisce le stagioni, sospende il tempo, rende insignificante il contrasto fra il caldo e il freddo, ammutolisce la politica, mette al bando l’idea stessa del cambiamento.
Omologando destra, sinistra e centro; annullando progressivamente le specificità; ibernando nella bara della tecnica, del calcolo economico, della mercificazione, della globalizzazione le identità politiche, sociali, etniche.
Oggi, dicevo, fortunatamente, sia pure con difficoltà e lentamente, inizia ad affermarsi la convinzione e la consapevolezza che la standardizzazione e l’omologazione, insomma la reductio ad unum, rappresenta una catastrofe e una disfatta, economica e sociale ancor prima che culturale, per gli individui e per i popoli.
Di qui la necessità della valorizzazione e dell’esaltazione delle diversità, ovvero delle specifiche “Identità”: certo per aprirci e guardare al futuro e non per rifugiarci nostalgicamente in una civiltà che non c’è più; per intraprendere, come Comunità sarda, il recupero della nostra prospettiva esistenziale: la comunità e i suoi codici etici improntati sulla solidarietà e sul dono, i valori dell’individuo/persona incentrati sulla valentia personale come coraggio e fedeltà alla parola e come via alla felicità. E insieme per percorrere una “via locale” alla prosperità e al benessere e partecipare così, nell’interdipendenza, agli scambi e ai rapporti economici e culturali.

Globalizzazione e risveglio identitarioultima modifica: 2023-03-31T08:58:04+02:00da zicu1
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