Scuola pubblica o scuola di Stato?

Scuola pubblica o scuola di Stato?
di Francesco Casula
Ma la nostra scuola è pubblica – cioè rivolta ai nostri giovani, al nostro “pubblico” – o di Stato? Nei contenuti come nella organizzazione, nella gestione come nei metodi? Deo la penso in custa manera. La scuola italiana in Sardegna è rivolta a un alunno che non c’è: tutt’al più a uno studente metropolitano, nordista e maschio. Non a un sardo. E’ una scuola che con i contesti sociali, ambientali, culturali e linguistici degli studenti non ha niente a che fare. Nella scuola la Sardegna non c’è: è assente nei programmi, nelle discipline, nei libri di testo. Si studia Orazio Coclite, Muzio Scevola e Servio Tullio: fantasie con cui Tito Livio intende esaltare e mitizzare Roma. Non si studia invece – perché lo storico romano non poteva scriverlo – che i Romani fondevano i bronzetti nuragici per modellare pugnali e corazze; per chiodare giunti metallici nelle volte dei templi; per corazzare i rostri delle navi da guerra. Nella scuola si studia qualche decina di Piramidi d’Egitto, vere e proprie tombe di cadaveri di faraoni divinizzati, erette da centinaia di migliaia di schiavi, sotto la frusta delle guardie;ma non si studiano le migliaia di nuraghi, suggestivi monumenti alla libertà, eretti da migliaia comunità nuragiche indipendenti e federate fra loro. Si studia Napoleone, “piccolo e magro, resistentissimo alla fatica!” ma non si spende una sola parola per ricordare che il tiranno corso, venuto in Sardegna, bombardò La Maddalena e sconfitto da Domenico Millelire, con la coda fra le gambe dovette ritirarsi e abbandonare “l’impresa”. Si studia insomma l’Italia “dalle amate sponde” e “dell’elmo di Scipio”, ma la Sardegna, con le sue vicissitudini storiche, le dominazioni, la sua civiltà e i suoi tesori ambientali, culturali e artistici è del tutto assente: un diplomato sardo e spesso persino un laureato, esce dalla scuola senza sapere nulla dell’architettura nuragica, della Carta De Logu, di Salvatore Satta e persino di Grazia Deledda. E’ ancora in vigore un DPR (89/2010) nel quale Mariastella Gelmini, all’epoca Ministro dell’Istruzione, dettava le linee guida per i docenti, e definiva i fondamentali degli insegnamenti ritenuti strategici per le scuole superiori. In questo DPR per quel che concerne la poesia e la narrativa del ‘900 da affrontare nei licei, sono indicati a titolo esemplificativo diciassette autori principali a cui fare riferimento: “…si esordirà con le esperienze decisive di Ungaretti, Saba e Montale, …contemplerà un’adeguata conoscenza di Rebora, Campana, Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto, …comprenderà letture da autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, P. Levi e potrà essere integrato da altri autori come Pavese, Pasolini, Morante, Meneghello”. Avete capito? C’è Meneghello (con tutto il rispetto per lo scrittore vicentino) ma non Grazia Deledda, unica Premio Nobel donna per la letteratura. Per non parlare degli autori in lingua sarda. Neppure nominati. Si studiano – in tutti i manuali – poeticoli come Prati e Aleardi e non giganti come Montanaru (elogiato persino da Pasolini) o Peppino Mereu: che non ha niente da invidiare ai poeti maledetti francesi come Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e Mallarmé. La lingua sarda dunque. Essa dalle scuole in Sardegna – a parte qualche esperienza portata avanti a titolo personale e sperimentale da qualche docente volenteroso – è rigorosamente esclusa. Bandita. Nonostante la pedagogia moderna più attenta e avveduta infatti ritenga che la lingua materna e i valori alti di cui si alimenta sono i succhi vitali, la linfa, che nutrono e fanno crescere i bambini senza correre il gravissimo pericolo di essere collocati fuori dal tempo e dallo spazio contestuale alla loro vita. Solo essa consente di saldare le valenze e i prodotti propri della sua cultura ai valori di altre culture. Negando la lingua materna, non assecondandola e coltivandola si esercita grave e ingiustificata violenza sui bambini, nuocendo al loro sviluppo e al loro equilibrio psichico. Li si strappa al nucleo familiare di origine e si trasforma in un campo di rovine la loro prima conoscenza del mondo. I bambini infatti – ma il discorso vale anche per i giovani studenti delle medie e delle superiori – se soggetti in ambito scolastico a un processo di sradicamento dalla lingua materna e dalla cultura del proprio ambiente e territorio, diventano e risultano insicuri, impacciati, “poveri” culturalmente e linguisticamente. Dimezzati.
 
 
 
 
 
Visualizzato da Francesco Casula alle 07:27
 
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Scuola pubblica o scuola di Stato?ultima modifica: 2023-03-24T21:44:21+01:00da zicu1
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